Ordinanza n. 95 del 1991

 

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ORDINANZA N. 95

ANNO 1991

 

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori:

Prof. Ettore GALLO                                                   Presidente

Dott. Aldo CORASANITI                                         Giudice

Prof. Giuseppe BORZELLINO                                       “

Dott. Francesco GRECO                                                 “

Prof. Gabriele PESCATORE                                           “

Avv. Ugo SPAGNOLI                                                    “

Prof. Francesco Paolo CASAVOLA                               “

Prof. Antonio BALDASSARRE                                     “

Prof. Vincenzo CAIANIELLO                                       “

Avv. Mauro FERRI                                                         “

Prof. Luigi MENGONI                                                    “

Prof. Enzo CHELI                                                           “

Dott. Renato GRANATA                                                “

ha pronunciato la seguente

 

ORDINANZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 2 della legge 19 febbraio 1981, n. 27 (Provvidenze per il personale di magistratura), promosso con ordinanza emessa il 21 maggio 1990 dalla Corte dei conti, sezione terza giurisdizionale, sul ricorso proposto da Rossi Manlio ed altri, iscritta al n. 687 del registro ordinanze 1990 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 45, prima serie speciale, dell'anno 1990;

Visto l'atto di costituzione di Rossi Manlio ed altri, nonché l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei Ministri;

Udito nella camera di consiglio del 30 gennaio 1991 il Giudice relatore Francesco Paolo Casavola;

Ritenuto che nel corso di un giudizio in cui i ricorrenti, magistrati, avvocati e procuratori dello Stato cessati dal servizio anteriormente al 1° luglio 1983 avevano richiesto l'applicazione ai trattamenti pensionistici del meccanismo d'incremento previsto per il personale in servizio dall'art. 2 della legge 19 febbraio 1981, n. 27, la Corte dei conti, sezione terza giurisdizionale, ha sollevato, con ordinanza emessa il 21 maggio 1990, questione di legittimità costituzionale di quest'ultima norma, per il dubbio che, nella parte in cui non prevede anche per le pensioni tale sistema di incremento triennale, essa vulneri gli artt. 3, 36 e 38 della Costituzione;

che la Corte remittente, premesso di aver positivamente deciso con sentenza parziale il problema della riliquidazione delle pensioni dei ricorrenti sulla base dei miglioramenti economici maturati per il personale in servizio, secondo quanto sancito dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 501 del 1988, osserva come altre decisioni, rispettivamente delle sezioni riunite e della sezione giurisdizionale per la Sardegna, abbiano senz'altro ritenuto che il meccanismo d'incremento di cui è causa dovesse estendersi anche alla pensione, in quanto retribuzione differita;

che tale orientamento non pare tuttavia condivisibile integralmente al giudice a quo, attesa l'esistenza di un'evidente lacuna normativa a riguardo e considerata l'impossibilità di provvedere per il futuro;

che l'esistenza di un sistema d'adeguamento periodico degli stipendi alla media dei miglioramenti retributivi realizzati nel triennio da altri settori, in quanto ritenuto inapplicabile ai pensionati, costituirebbe la premessa per una progressiva divaricazione dei due trattamenti, di servizio e di quiescenza (in danno di quest'ultimo), così producendosi una situazione analoga a quella sanzionata con la sentenza n. 501 del 1988;

che ciò concreterebbe un vulnus degli artt. 36 e 38 della Costituzione per la riduzione della piena remuneratività della pensione rispetto alla quantità e qualità del lavoro prestato, nonché della proporzionalità ed adeguatezza della stessa in relazione ai mutamenti del potere d'acquisto della moneta ricorrendo altresì lesione del principio della parità del trattamento tra personale in servizio e pensionati;

che è intervenuto il Presidente del Consiglio dei Ministri, rappresentato dall'Avvocatura dello Stato, che ha concluso per la declaratoria d'infondatezza della questione sulla base del valore meramente tendenziale del principio della coincidenza tra pensione e retribuzione goduta all'atto della cessazione dal servizio.

Considerato che le sezioni riunite ed alcune sezioni giurisdizionali della Corte dei conti, hanno inteso la previsione di cui alla norma impugnata, relativa al sistema di adeguamento, come non scindibile diacronicamente e ne hanno fatto applicazione sia per il passato che per il futuro in sede di riliquidazione delle pensioni;

che tale tesi si fonda su un'estensiva lettura del dispositivo della sentenza n. 501 del 1988 di questa Corte, con riferimento all'espressione "trattamento economico derivante dall'applicazione degli artt. 3 e 4 della legge 6 agosto 1984, n. 425" (ritenuto comprensivo dell'anzidetto adeguamento), ed è non soltanto condivisa dal giudice a quo "in linea di principio", ma anche parzialmente seguita nel provvedimento concessivo della completa riliquidazione sino al 1° gennaio 1988;

che è stato anche recentemente sottolineato come il controllo di questa Corte, riguardando la compatibilità delle leggi denunziate con i principi della Costituzione, non può sostanziarsi in una revisione, in grado ulteriore, delle interpretazioni offerte dagli organi giurisdizionali cui tale attività compete (cfr. sentenza n. 456 del 1989);

che tale affermazione risulta a fortiori appropriata allorché venga prospettata una questione a contrario volta ad ottenere una pronuncia ripetitiva del precedente decisum costituzionale;

che, inoltre, la Corte remittente richiede una sentenza atta ad innestare nella normativa pensionistica un meccanismo d'adeguamento periodico concepito per il personale in servizio, attività questa - per la varietà delle scelte possibili e la molteplicità delle implicazioni - certamente estranea al sindacato di costituzionalità e viceversa propria del legislatore;

che pertanto, anche sotto tale profilo, la questione è manifestamente inammissibile;

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale;

 

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

Dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell'art. 2 della legge 19 febbraio 1981, n. 27 (Provvidenze per il personale di magistratura) - più esattamente degli artt. 11 e 12 della legge 2 aprile 1979, n. 97, nel testo sostituito dalla norma citata - sollevata dalla Corte dei conti, sezione terza giurisdizionale, in relazione agli artt. 3, 36 e 38 della Costituzione, con l'ordinanza di cui in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, l'11 febbraio 1991.

 

Ettore GALLO - Aldo CORASANITI - Giuseppe BORZELLINO - Francesco GRECO - Gabriele PESCATORE - Ugo SPAGNOLI - Francesco Paolo CASAVOLA - Antonio BALDASSARRE - Vincenzo CAIANIELLO - Mauro FERRI - Luigi MENGONI - Enzo CHELI - Renato GRANATA.

 

Depositata in cancelleria il 16 febbraio 1991.