Sentenza n. 71 del 1991

 

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SENTENZA N. 71

 

ANNO 1991

 

 

REPUBBLICA ITALIANA

 

In nome del Popolo Italiano

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori:

Prof. Giovanni CONSO                                              Presidente

Prof. Ettore GALLO                                                   Giudice

Dott. Aldo CORASANITI                                              “

Dott. Francesco GRECO                                                 “

Prof. Renato DELL’ANDRO                                          “

Prof. Gabriele PESCATORE                                           “

Avv. Ugo SPAGNOLI                                                    “

Prof. Francesco Paolo CASAVOLA                               “

Prof. Antonio BALDASSARRE                                     “

Prof. Vincenzo CAIANIELLO                                       “

Avv. Mauro FERRI                                                         “

Prof. Luigi MENGONI                                                    “

Prof. Enzo CHELI                                                           “

Dott. Renato GRANATA                                                “

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale del combinato disposto degli artt. 1, 26 "e seguenti", 60, 62, 63 e 64 della legge 3 febbraio 1963, n. 69 (Ordinamento della professione di giornalista), in connessione con gli artt. 806 e 819 del codice di procedura civile, 19 del codice di procedura penale, 28 e 30 del regio decreto 26 giugno 1924, n. 1054 (Approvazione del testo unico delle leggi sul Consiglio di Stato), e 7, terzo comma, della legge 6 dicembre 1971, n. 1034 (Istituzione dei tribunali amministrativi regionali), promosso con ordinanza emessa il 13 aprile 1988 dalla Corte di cassazione, Sezioni unite civili, nei procedimenti civili riuniti vertenti tra S.p.A. Editrice La Stampa ed altra e Consiglio nazionale dell'Ordine dei giornalisti ed altri, iscritta al n. 239 del registro ordinanze 1990 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 20, prima serie speciale, dell'anno 1990.

Visti gli atti di costituzione della S.p.A. Editrice La Stampa, della F.I.E.G., del Consiglio nazionale dell'Ordine dei giornalisti, nonché l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei Ministri;

Udito nell'udienza pubblica dell'8 gennaio 1991 il giudice relatore Francesco Paolo Casavola;

Uditi gli avvocati Alessandro Pace per la F.I.E.G., Franco Pastore, Alessandro Pace per S.p.A. Editrice La Stampa e l'Avvocato dello Stato Pier Giorgio Ferri per il Presidente del Consiglio dei Ministri.

 

Ritenuto in fatto

 

 

1. - Con d.P.R. 19 luglio 1976, n. 649, a modifica del regolamento di esecuzione della legge n. 69 del 1963 sull'ordinamento della professione di giornalista, veniva consentita l'iscrizione nell'elenco dei pubblicisti e dei giornalisti, ricorrendo determinate condizioni, anche ai tele-cine-foto operatori.

Il citato d.P.R. veniva impugnato dalla Federazione italiana editori di giornali (F.I.E.G.) e da alcuni editori privati dinanzi al Tribunale amministrativo regionale del Lazio, che dichiarava inammissibili i ricorsi per carenza di lesione attuale (dovendo il regolamento essere censurato congiuntamente all'atto applicativo del medesimo).

Successivamente la Società editrice "La Stampa" chiedeva al Tribunale amministrativo regionale del Piemonte l'annullamento delle delibere con cui il consiglio interregionale dei giornalisti del Piemonte e Valle d'Aosta aveva disposto l'iscrizione nel registro dei praticanti giornalisti di due gruppi di cine-foto operatori dipendenti della ricorrente società.

In tale giudizio sollevava regolamento di competenza la Presidenza del Consiglio dei Ministri (in quanto la domanda involgeva l'annullamento del d.P.R. n. 649 del 1976), a seguito del quale il Consiglio di Stato affermava la competenza del Tribunale amministrativo regionale del Lazio, dinanzi a cui venivano riassunti i giudizi con l'intervento della F.I.E.G.

Con sentenza 14 settembre 1981, n. 678, il Tribunale amministrativo regionale annullava il citato d.P.R., dichiarando caducate le conseguenziali delibere, ma il Consiglio di Stato, adito in appello, riunite le cause, con decisione 16 dicembre 1983, n. 945, dichiarava il difetto di giurisdizione del giudice amministrativo ed annullava senza rinvio la sentenza del Tribunale amministrativo regionale.

Avverso tale pronuncia la Società editrice "La Stampa" proponeva ricorso per cassazione dinanzi alle Sezioni unite per motivi di giurisdizione (analoga impugnazione veniva proposta con ricorso incidentale dalla F.I.E.G., mentre resistevano con controricorsi il Consiglio nazionale dell'ordine dei giornalisti, il Ministero di grazia e giustizia, nonché Solavaggione Sergio).

La Corte, pronunciandosi limitatamente al giudizio relativo all'impugnazione diretta dell'atto regolamentare, dichiarava sul punto la giurisdizione del giudice amministrativo e cassava (con sentenza 13 aprile 1988, n. 1102) la decisione del Consiglio di Stato.

Separato e sospeso il giudizio concernente l'impugnativa delle delibere, le medesime Sezioni unite, con ordinanza emessa il 13 aprile 1988 (pervenuta alla Corte costituzionale il 9 aprile 1990), hanno sollevato, in relazione agli artt. 24, primo comma, e 113, secondo comma, della Costituzione, questione di legittimità costituzionale del combinato disposto degli artt. 1, 26 "e seguenti", 60, 62, 63 e 64 della legge 3 febbraio 1963, n. 69, in connessione con gli artt. 806 e 819 del codice di procedura civile, 19 del codice di procedura penale, 28 e 30 del testo unico delle leggi sul Consiglio di Stato (regio decreto n. 1054 del 1924), 7, terzo comma, della legge n. 1034 del 1971, nella parte in cui, letti in correlazione, escludono che il terzo, la cui posizione giuridica sia incisa dal provvedimento d'iscrizione nel registro dei giornalisti (o praticanti giornalisti), possa impugnare (o contestare la legittimità di) tale provvedimento dinanzi ad una "qualsiasi istanza giurisdizionale".

Il giudice a quo, qualificato il provvedimento d'iscrizione del giornalista (o praticante) nel registro relativo come atto amministrativo d'accertamento, costitutivo di uno status professionale, esclude che le relative controversie, devolute al giudice specializzato di cui all'art. 63 della legge professionale, possano essere di competenza del giudice amministrativo ovvero possano formare oggetto di accertamenti incidentali senza efficacia di giudicato. La norma citata, peraltro, nell'individuare per il giornalista un giudice naturale del suo status, impone che soltanto questi decida erga omnes con efficacia di giudicato tutte le questioni in materia ed indica altresì tassativamente i soggetti legittimati ad impugnare le delibere, con esclusione dei terzi.

A riguardo la Corte di cassazione osserva che, per effetto della disposizione del contratto collettivo nella specie applicabile, l'iscrizione di un fotografo (dipendente dell'editore in argomento nel registro dei giornalisti) determina il passaggio d'inquadramento del lavoratore dal settore dei poligrafici a quello dei giornalisti, con modificazione del trattamento economico a carico del datore di lavoro e conseguente interesse di quest'ultimo a non veder modificati i termini del rapporto di lavoro.

In ciò risiederebbe la configurabilità di una posizione soggettiva, idonea ad essere lesa da un atto amministrativo (in ipotesi) illegittimo quale, appunto, la delibera d'iscrizione (contrariamente a quanto in passato affermato dalla stessa Corte che, con sentenza n. 6252 del 1981, aveva escluso la diretta attitudine lesiva dell'atto). A fronte di tale "diritto" non vi sarebbe possibilità alcuna per il terzo di far valere l'illegittimità in argomento, con conseguente possibile violazione della garanzia costituzionale alla tutela giurisdizionale.

L'ordinanza di rimessione conclude rilevando come all'accoglimento della questione sia collegata la legittimità della norma che (a seguito di una possibile pronuncia additiva) affidi ad un giudice specializzato la tutela di un terzo (questione che ricadrebbe "nell'autonoma valutazione" della Corte costituzionale).

2. - È intervenuto il Presidente del Consiglio dei Ministri, rappresentato dall'Avvocatura dello Stato, che ha concluso per la declaratoria di inammissibilità, ovvero di infondatezza della questione, escludendo anzitutto che gli interessi in eventuale conflitto con l'aspirazione del giornalista ad acquisire lo status professionale possano essere qualificati in termini di situazioni giuridicamente tutelabili (diritti soggettivi od interessi legittimi). Proprio sulla base dell'opportunità per la categoria in parola di un'associazione che garantisca la libertà professionale - ben al di là della tutela sindacale - secondo il pensiero espresso da questa Corte con sentenza n. 11 del 1968, l'Avvocatura argomenta circa la razionalità dell'impugnata normativa, che identifica nell'interessato e nel pubblico ministero i soli soggetti legittimati ad un'azione giurisdizionale avente ad oggetto la titolarità dello status di giornalista.

Poiché la rilevanza del titolo professionale nell'ambito del rapporto di lavoro non deriva affatto dalla legge, bensì da una pattuizione contrattuale (alla quale hanno concorso gli stessi soggetti che ora ne lamentano gli effetti), risulterebbe assai dubbia - secondo l'Avvocatura - l'idoneità della clausola ad assumere una rilevanza esterna al rapporto stesso, tale da invadere, alterandola, la disciplina pubblicistica del rapporto (modificando "la stessa configurazione legale dello status di giornalista").

La connotazione aziendalistica così impressa alla professione verrebbe, in altri termini, ad influenzare la funzione dell'Ordine, viceversa preposto ad una ben diversa salvaguardia della dignità professionale.

Sarebbe infine il giudice del lavoro a dover conoscere degli effetti della clausola contrattuale che conferisce efficacia vincolante all'iscrizione all'albo, nella dimensione propria ed effettiva della controversia, data appunto dal rapporto di lavoro.

3. - Nel giudizio davanti a questa Corte si sono costituite la F.I.E.G. e la S.p.A. Editrice La Stampa, depositando memorie d'analogo contenuto, in cui si dà anzitutto atto dell'intervenuta dichiarazione (resa con la citata sentenza n. 1102 del 1990) della giurisdizione del giudice amministrativo circa la domanda di annullamento del d.P.R. n. 649 del 1976 (e del conseguente riconoscimento in favore delle parti stesse di un mezzo diretto di tutela avverso un provvedimento idoneo a pregiudicare il loro interesse).

Tuttavia, secondo la difesa delle parti, l'eventuale illegittimità del regolamento non travolgerebbe automaticamente le delibere di ammissione, le quali, a loro volta, potrebbero anche presentare dei vizi non derivanti dall'atto generale: in entrambi i casi residuerebbe in capo al datore di lavoro un interesse, in concreto privo di tutela, a far verificare la legittimità di tali provvedimenti attributivi di status.

Si sottolinea infine nelle memorie come la questione sollevata dalle Sezioni unite sia strettamente collegata da nesso di conseguenzialità ( ex art. 27 della legge n. 87 del 1953) con l'altra questione concernente l'attuale composizione del giudice specializzato, che, nell'ipotesi di accoglimento, non potrebbe certamente mantenere l'attuale configurazione. Il collegio, infatti, in quanto integrato da un giornalista e da un pubblicista, sarebbe "aprioristicamente" sfavorevole all'editore, così vulnerando gli artt. 3, 102 e 108 della Costituzione.

Si conclude ricordando come l'auspicata declaratoria d'illegittimità dovrebbe essere estesa (sempre ex art. 27 cit.) anche alla disciplina dettata per i pubblicisti.

4. - Nell'imminenza dell'udienza hanno depositato memorie d'analogo contenuto la Federazione italiana editori giornali (F.I.E.G.) e la S.p.A. Editrice La Stampa, che, da una parte, hanno sottolineato la peculiarità del lavoro giornalistico, che - a differenza di numerose altre professioni liberali - non si svolge in regime di lavoro autonomo, bensì come prestazione d'opera subordinata e, d'altra parte, hanno richiamato la disposizione dell'art. 1 del C.C.N.L., a termini del quale l'acquisizione dello status di giornalista determina il correlativo trattamento economico-normativo.

In secondo luogo si ribadisce come la situazione soggettiva dell'editore vada correttamente ravvisata - secondo l'indicazione delle stesse Sezioni unite rimettenti - in termini d'"interesse a non vedere modificato il contenuto del rapporto di lavoro": tale qualificazione comporterebbe la necessità di garantire tutela a siffatta posizione.

Conclusivamente si osserva che l'illegittimità conseguenziale delle norme concernenti la composizione del giudice specializzato deriverebbe soltanto dall'ipotesi di accoglimento della questione in riferimento all'esclusione dell'editore-terzo dal giudizio che dinanzi al giudice specializzato si svolge e non anche alla possibile eliminazione della esclusiva competenza di tale sezione ovvero alla possibilità per qualsiasi giudice di conoscere incidenter tantum della legittimità dell'iscrizione.

Tali due ultime soluzioni sarebbero alla Corte offerte, a parere della difesa delle parti, dal petitum costituzionale così come formulato dalle Sezioni unite.

5. - Ha inoltre depositato memoria fuori termine anche il Consiglio nazionale dell'Ordine dei giornalisti.

 

Considerato in diritto

 

 

1. - La Corte di cassazione, Sezioni unite civili, con ordinanza del 13 aprile 1988, pervenuta alla Corte costituzionale il 9 aprile 1990 (R.O. n. 239/1990), con riferimento agli artt. 24, primo comma, e 113, secondo comma, della Costituzione, solleva questione di legittimità costituzionale del combinato disposto degli artt. 1, 26 e "seguenti", 60, 62, 63 e 64 della legge 3 febbraio 1963, n. 69 (Ordinamento della professione di giornalista), in connessione con gli artt. 806 e 819 del codice di procedura civile, 19 del codice di procedura penale, 28 e 30 del regio decreto 26 giugno 1924, n. 1054 (Approvazione del testo unico delle leggi sul Consiglio di Stato), 7, terzo comma, della legge 6 dicembre 1971, n. 1034 (Istituzione dei tribunali amministrativi regionali), "nella parte in cui, letti in correlazione, escludono che il terzo, la cui posizione giuridica sia incisa dal provvedimento d'iscrizione nel registro dei giornalisti (o praticanti giornalisti), possa impugnare (o contestare la legittimità di) tale provvedimento dinanzi ad una qualsiasi istanza giurisdizionale".

2. - L'ordinanza di rimessione individua nell'editore di giornali una posizione giuridica soggettiva che si esprime nell'interesse e nella correlativa pretesa di non vedere mutata la posizione di lavoro del personale impiegato nell'azienda giornalistica, se non in conformità degli artt. 1372, 1374, 2077 del codice civile, complessivamente indicati come lex contractus. Tale posizione giuridica, che ad avviso della Corte di cassazione ha natura di diritto soggettivo, verrebbe però incisa da un atto amministrativo, estraneo alla lex contractus, consistente nella iscrizione nell'albo dei giornalisti di prestatori d'opera, i termini del cui lavoro subordinato rispetto all'editore mutano a seguito dell'acquisizione dello status di giornalista per il provvedimento d'iscrizione adottato dai Consigli dell'Ordine professionale.

Dato il principio generale che ogni atto amministrativo che incida in una posizione di diritto soggettivo deve essere legittimo, il giudice a quo riscontra nell'ordinamento, rispetto al caso di specie, assenza di tutela giurisdizionale, non potendo conoscere di diritti soggettivi il giudice amministrativo, né disapplicare l'atto amministrativo costitutivo di status il giudice ordinario, né potendo infine essere adito il giudice specializzato perché la legittimazione ad agire presso di lui, ex art. 63 della legge n. 69 del 1963, è limitata al giornalista interessato e al pubblico ministero.

Di qui l'esigenza di una pronuncia di questa Corte per violazione degli artt. 24, primo comma, e 113, secondo comma, della Costituzione.

3. - La questione non è fondata.

Non essendo contestabile da parte della giurisdizione di costituzionalità l'individuazione spettante alla giurisdizione di nomofilachia della descritta posizione giuridica soggettiva dell'editore di giornali, il thema decidendum si circoscrive intorno alla ipotesi di violazione del diritto di difesa, per essere l'editore di giornali escluso dalla legittimazione ad adire il giudice specializzato, di cui all'art. 63 della legge n. 69 del 1963.

L'ordinamento della professione di giornalista, come costruito dal legislatore del 1963, soprattutto attraverso l'istituzione dell'Ordine e l'obbligatorietà dell'iscrizione all'albo, persegue fini che superano "di gran lunga la tutela sindacale dei diritti della categoria", nel rapporto di lavoro subordinato con l'impresa giornalistica.

L'Ordine dei giornalisti, come questa Corte ebbe a sottolineare nella sentenza n. 11 del 1968, ha il compito di salvaguardare, erga omnes e nell'interesse della collettività, la dignità professionale e la libertà di informazione e di critica dei propri iscritti.

Ne consegue che per controversie tra l'Ordine e i singoli associati, afferenti a questa sfera di prevalente interesse pubblico e di rispetto della deontologia della professione, è dalla legge precostituito un giudice specializzato nella cui composizione la presenza di un giornalista professionista e di un pubblicista corrisponde alla legittimazione ad agire riservata a soli giornalisti e pubblicisti, oltre che al pubblico ministero.

Rispetto all'ambito delle funzioni dell'Ordine professionale e a quello delle competenze del giudice specializzato, l'editore di giornali è un terzo estraneo privo di ragioni da tutelare in questa istanza. Non può quindi ravvisarsi lesione del diritto di azione e di difesa, di cui all'art. 24 della Costituzione, per non trovarsi il titolare dell'impresa giornalistica incluso tra i legittimati ex art. 63 della legge n. 69 del 1963.

4. - Altro profilo è quello della asserita incidenza del provvedimento amministrativo dell'ente pubblico-Ordine professionale sul diritto soggettivo dell'imprenditore a non vedere mutato il rapporto di lavoro per la sopravvenuta iscrizione del lavoratore subordinato nell'albo dei giornalisti.

L'aporia denunciata dalla Corte di cassazione circa il difetto di un giudice, presso cui azionare tale diritto ed ottenere l'annullamento o quanto meno la disapplicazione del provvedimento d'iscrizione costitutivo dello status di giornalista, avrebbe consistenza solo se ricorresse esplicita preordinazione in una norma della legge professionale dell'effetto modificativo della posizione di lavoro in corso, esplicato dall'atto di iscrizione.

Solo in questa ipotesi potrebbe aversi incisione della posizione giuridica, qualificata in termini di diritto soggettivo, dell'editore di giornali, senza tutela e dunque con violazione dell'art. 113, terzo comma, della Costituzione.

Ma tale preordinazione non ricorre e, conseguentemente, non è dato rilevare alcuna delle prospettate violazioni degli invocati parametri costituzionali.

5. - Il dato residuale riscontrabile allo stato dell'ordinamento, tuttavia al di fuori della verifica di costituzionalità, è che la modificazione della posizione di lavoro a seguito della iscrizione del lavoratore subordinato nel registro dell'Ordine dei giornalisti trova sua fonte nella interpretazione del terzo comma dell'art. 1 del contratto collettivo nazionale di lavoro in vigore, che suona mera ricognizione della qualità di giornalista: "Sono giornalisti professionisti e pubblicisti coloro che tali risultano qualificati ai sensi degli ordinamenti della professione giornalistica".

La portata di tale clausola ha origine e si esaurisce nell'ambito della fenomenologia negoziale e delle competenze giurisdizionali del giudice del lavoro.

 

per questi motivi

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

 

Dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale del combinato disposto degli artt. 1, 26 e seguenti, 60, 62, 63 e 64 della legge 3 febbraio 1963, n. 69 (Ordinamento della professione di giornalista), sollevata - in connessione con gli artt. 806 e 819 del codice di procedura civile, 19 del codice di procedura penale, 28 e 30 del regio decreto 26 giugno 1924, n. 1054 (Approvazione del testo unico delle leggi sul Consiglio di Stato), e 7, terzo comma, della legge 6 dicembre 1971, n. 1034 (Istituzione dei tribunali amministrativi regionali) - dalla Corte di cassazione, in riferimento agli artt. 24, primo comma, e 113, secondo comma, della Costituzione, con l'ordinanza di cui in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 28 gennaio 1991.

 

Giovanni CONSO - Ettore GALLO - Aldo CORASANITI - Francesco GRECO - Renato DELL'ANDRO - Gabriele PESCATORE - Ugo SPAGNOLI - Francesco Paolo CASAVOLA - Antonio BALDASSARRE - Vincenzo CAIANIELLO - Mauro FERRI - Luigi MENGONI - Enzo CHELI - Renato GRANATA.

 

Depositata in cancelleria l'8 febbraio 1991.