Sentenza n. 41 del 1991

 

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SENTENZA N.41

ANNO 1991

 

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori:

Prof. Giovanni CONSO                                              Presidente

Prof. Ettore GALLO                                                   Giudice

Dott. Aldo CORASANITI                                              "

Dott. Francesco GRECO                                                 "

Prof. Gabriele PESCATORE                                           "

Avv. Ugo SPAGNOLI                                                    "

Prof. Francesco Paolo CASAVOLA                               "

Prof. Antonio BALDASSARRE                                     "

Prof. Vincenzo CAIANIELLO                                       "

Avv. Mauro FERRI                                                         "

Prof. Luigi MENGONI                                                    "

Prof. Enzo CHELI                                                           "

Dott. Renato GRANATA                                                "

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 916 del codice della navigazione, 10 della legge 15 luglio 1966, n. 604 (Norme sui licenziamenti individuali), e 35, terzo comma, della legge 20 maggio 1970, n. 300 (Norme sulla tutela della libertà e dignità dei lavoratori e dell'attività sindacale nei luoghi di lavoro), promosso con ordinanza emessa il 16 luglio 1990 dal Pretore di Roma nel procedimento civile vertente tra Caterina Toffolo e la S.p.A. A.L.I., iscritta al n. 597 del registro ordinanze 1990 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 39, prima serie speciale, dell'anno 1990.

Visto l'atto di costituzione di Caterina Toffolo nonché l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

Udito nell'udienza pubblica dell'8 gennaio 1991 il Giudice relatore Gabriele Pescatore;

Uditi l'avv. Roberto Muggia per Caterina Toffolo e l'Avvocato dello Stato Mario Cevaro per il Presidente del Consiglio dei ministri.

 

Ritenuto in fatto

 

Il Pretore di Roma - nel corso di un giudizio promosso da un'assistente di volo, dipendente dalla S.p.A. A.L.I. (Aero leasing italiana), per ottenere la declaratoria d'illegittimità del licenziamento disposto nei suoi confronti - con ordinanza 16 luglio 1990 ha sollevato questione di legittimità costituzionale, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, dell'art. 916 cod. nav., nonché dell'art. 10 della legge 15 luglio 1966, n. 604 e dell'art. 35, terzo comma, della legge 20 maggio 1970, n. 300, nella parte in cui non prevedono l'applicabilità al "personale aeronautico" dell'intera legge n. 604 del 1966 e dell'art. 18 della legge n. 300 del 1970, consentendo il recesso ad nutum dell'esercente dal rapporto di lavoro.

Il giudice a quo osserva in proposito che l'inapplicabilità delle su dette disposizioni al personale di volo appare discriminatorio ed ingiustificato anche perché, a seguito della sentenza n. 96 del 1987 della Corte costituzionale, l'anzidetta normativa è operante nei confronti del personale marittimo navigante. Con tale sentenza, infatti, la Corte ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 10 della legge n. 604 del 1966, e dell'art. 35, terzo comma, della legge n. 300 del 1970, nella parte in cui escludevano l'applicabilità all'anzidetto personale marittimo dell'intera legge n. 604 del 1966 e dell'art. 18 della legge n. 300 del 1970.

Nel giudizio davanti a questa Corte è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato dall'Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata manifestamente infondata. Ha dedotto in proposito che, con la legge 11 maggio 1990, n. 108, il divieto di licenziamento senza giusta causa o giustificato motivo e la tutela reale in caso di licenziamento illegittimo, sono stati estesi a tutte le categorie di lavoratori, cosicché la differenza di trattamento tra personale marittimo navigante e personale di volo è già venuta meno. Ha osservato, inoltre, che il contratto collettivo nazionale di lavoro per i piloti di aeromobile del 30 dicembre 1978 e quello per gli assistenti di volo del 23 marzo 1979, già prevedevano l'applicabilità a tali categorie degli artt. 2 e 3 della legge n. 604 del 1966 e la reintegrazione nel posto di lavoro in caso di licenziamento illegittimo.

Davanti a questa Corte si è costituita pure la parte privata chiedendo la declaratoria d'illegittimità costituzionale dell'art. 916 cod. nav., nonché degli artt. 10 della legge n. 604 del 1966 e 35 della legge n. 300 del 1970, nei sensi e per le ragioni indicate nell'ordinanza di rimessione.

 

Considerato in diritto

 

1. - L'ordinanza di rimessione investe l'art. 916 cod. nav.. Tale norma attribuisce all'esercente dell'aeromobile la "facoltà, in qualunque tempo e luogo, di risolvere il contratto" di lavoro del personale di volo; tale facoltà viene configurata dall'ordinanza "come presupposto ancorché negativo della declaratoria di illegittimità della risoluzione del rapporto di lavoro operata dall'A.L.I. (Aero Leasing Italiana S.p.A., esercente dell'aeromobile)", di cui è causa.

Così come risulta articolata, la censura colpisce la norma attributiva all'esercente dell'ampio potere di risoluzione, considerandolo come elemento impeditivo dell'applicazione al rapporto di lavoro del personale di volo della giusta causa o del giustificato motivo di licenziamento e della tutela reale, con la reintegrazione del posto di lavoro, prevista dalla normativa generale.

Le questioni sollevate dall'ordinanza sono state già esaminate da questa Corte, anche se esse furono proposte sotto un angolo visuale meno ampio di quello attuale.

Invero, nella fattispecie di cui alla sentenza 3 aprile 1987, n. 96, furono oggetto di censura l'art. 10 della legge n. 604 del 1966 e l'art. 35, terzo comma, della legge n. 300 del 1970; l'uno, in quanto non prevedeva l'applicabilità al personale navigante della legge n. 604 del 1966 sui licenziamenti individuali; l'altro, in quanto demandava ai contratti collettivi di lavoro l'"applicazione" allo stesso personale dei principi contenuti in taluni articoli dello statuto dei lavoratori, non consentendo, così, la diretta operatività dell'art. 18 nei confronti del personale stesso.

L'obiettivo centrale dell'attuale impugnativa è, invece, l'art. 916 cod. nav.; ad esso accedono quelli che sono stati oggetto della pronuncia, ora ricordata, di questa Corte.

2. - L'Avvocatura generale dello Stato ha rilevato che la questione dovrebbe essere dichiarata infondata, dato che la legge 11 marzo 1990, n. 108, avrebbe esteso la disciplina limitativa dei licenziamenti e la tutela reale a tutte le categorie di lavoratori (comprese quelle del personale navigante, marittimo ed aereo).

Questa osservazione non è fondata, né nel suo presupposto funzionale, né nelle sue implicazioni normative.

Invero, la disciplina del lavoro nautico costituisce un subsistema incardinato sull'art. 1 cod. nav., che regola le fonti del diritto della navigazione.

L'operatività del diritto comune presuppone, salvo che sia diversamente disposto, la mancanza di norme poste in via diretta o ricavabili per analogia dalla disciplina speciale; così, l'art. 916 cod.nav., attribuendo all'esercente il potere di risoluzione del rapporto di lavoro a bordo dell'aeromobile, impedisce l'applicabilità della diversa disciplina che regola e limita il potere di licenziamento nell'ambito del rapporto di lavoro in generale.

Quanto alle implicazioni di carattere normativo sostanziale, è da porre in rilievo che la legge n. 108 del 1990 non modifica il regime di inapplicabilità al personale navigante marittimo ed aeronautico della disciplina limitativa dei licenziamenti posta dalla legge n. 604 del 1966.

Per l'individuazione delle categorie dei lavoratori destinatari della tutela la nuova legge non tocca il sistema risultante dal combinato disposto dell'art. 10 della legge n. 604, dell'art. 2, terzo comma, della legge 13 maggio 1985, n. 190 e dell'art. 2095 cod. civ., sistema che identifica tali destinatari nei quadri, negli impiegati e negli operai.

Siffatto criterio di individuazione non consente (cfr. sentenza n. 96 del 1987) l'applicabilità della disciplina limitativa dei licenziamenti al personale navigante marittimo ed aeronautico, al quale non sono riferibili le tre anzidette categorie (cfr. artt. 114, 115, 731 e 732 cod. nav.).

Quanto alla tutela reale l'art. 6, primo comma, della legge n. 108, che opera un'espressa abrogazione nella norma del primo comma dell'art. 35 della legge n. 300 del 1970, lascia integro il terzo comma di questa norma, che demanda ai contratti collettivi l'applicazione dei principi dello statuto dei lavoratori (tra gli altri quelli ricavabili dall'art. 18) "alle imprese di navigazione per il personale navigante", escludendo così la diretta operatività della tutela reale a questa categoria di lavoratori.

3. - Nel quadro normativo così delineato si collocano le questioni di costituzionalità, proposte dall'ordinanza di rimessione, che impugnano, in primis, l'art. 916 cod. nav..

L'ampia e incondizionata facoltà dell'esercente di risolvere il contratto di lavoro prevista da tale norma è stata collegata alle "particolari esigenze disciplinari della vita di bordo" (cfr. Relazione ministeriale al codice della navigazione, n. 573).

Osserva la Corte che tale riferimento è inidoneo a giustificare la norma, anche se suscita il richiamo a motivi tradizionalmente invocati, consistenti nella peculiarità del lavoro nautico, caratterizzata dall'ampia autonomia del datore di lavoro di organizzare la comunità di bordo e, in essa, la formazione e la composizione qualitativa dell'equipaggio (anche sotto l'aspetto della piena affidabilità dei suoi membri). In particolare, il richiamo alle "esigenze disciplinari" fa emergere le giustificazioni connesse alla garanzia della sicurezza della navigazione. Su queste esigenze si fondavano anche la specifica struttura fiduciaria e la rilevanza personale della prestazione del lavoratore a bordo.

In proposito la ricordata sentenza n. 96 del 1987 ebbe ad osservare, riferendosi al contratto di arruolamento, che il codice della navigazione, col prevedere, nell'art. 374, la derogabilità del precedente art. 345 dai contratti collettivi e, se a favore del lavoratore, dai contratti individuali, sicuramente esclude che il potere di risoluzione del rapporto di lavoro attribuito all'armatore possa configurarsi come posizione soggettiva tesa a realizzare finalità di interesse generale, indisponibili, dell'esercizio nautico. E analoghe considerazioni possono riferirsi all'art. 916 cod. nav., rispetto al quale il successivo art. 930 stabilisce gli stessi margini di derogabilità dalla contrattazione collettiva e individuale.

È da rilevare, poi, circa le invocate esigenze della sicurezza, che il progresso tecnico ha investito con larghezza di risultati gli strumenti di rilevamento e di controllo dei pericoli ad essa inerenti, da non consentire al potere di risoluzione dell'esercente dell'aeromobile alcuna funzione di garanzia, specificamente idonea anche in linea residuale a raggiungere risultati di un qualche rilievo per la sicurezza della navigazione.

Appare, dunque, fondata la censura di illegittimità costituzionale dell'art. 916 cod. nav., per contrasto con l'art. 3 della Costituzione, in quanto la norma, che attribuisce all'esercente il potere di risolvere il contratto di lavoro a bordo dell'aeromobile (cioè di licenziare ad nutum il personale che vi è addetto), discrimina senza alcuna base razionale tale personale rispetto ai marittimi arruolati (ai quali si è riferita la dichiarazione di incostituzionalità operata dalla sentenza n. 96 del 1987) e ai lavoratori comuni.

4. - La riconosciuta incostituzionalità dell'art. 916 cod. nav. rimuove il limite posto dalla legislazione speciale all'applicabilità al personale di volo del principio della giusta causa o del giustificato motivo e comporta la fondatezza della censura di illegittimità costituzionale dell'art. 10 della legge n. 604 del 1966 nella parte in cui non prevede che essa sia applicabile all'anzidetto personale.

Valgono in proposito le considerazioni svolte nella sentenza n. 96 del 1987, limitandone qui il richiamo all'affermazione secondo la quale la sostanziale omogeneità delle situazioni afferenti ai lavoratori comuni e a quelli nautici a bordo impone l'uniformità della disciplina, nella mancanza di fondate ragioni per differenziarle.

5. - È parimenti fondata la censura di incostituzionalità dell'art. 35, terzo comma, della legge n. 300 del 1970 - norma di carattere speciale, non toccata, come si è visto, dalla disciplina della legge n. 108 del 1990 - in quanto la detta norma, prescrivendo la mediazione della contrattazione collettiva, non consente la diretta applicazione dell'art. 18 dello statuto dei lavoratori anche al personale navigante delle imprese di navigazione aerea.

È da premettere che, rispetto a questo personale, la Corte ebbe a rilevare (sent. n. 96 del 1987 cit.) che la contrattazione collettiva, esplicatasi in alcune importanti aziende, non aveva posto in luce carenze così gravi come quelle riscontrate per il personale marittimo navigante. Ma tale contrattazione, proprio per la sua efficacia a livello aziendale, ha lasciato scoperte vaste aree con la mancanza di tutela specifica di un complesso di naturali suoi destinatari.

La fattispecie, che ha dato luogo all'ordinanza di rimessione, ne è chiaro segno: trattasi di assistente di volo operante in una impresa di navigazione aerea, rispetto alla quale la contrattazione collettiva non prevede la deroga all'art. 916 cod. nav., con la conseguente inapplicabilità della disciplina limitativa dei licenziamenti in tutti gli aspetti di cui è questione.

Si determina, così, in una materia che attiene a posizione soggettiva di grande rilievo nel rapporto di lavoro, e che non sopporta disuguaglianze, una disparità di trattamento ingiustificata, aggravata proprio dalla inadeguatezza della contrattazione collettiva. La norma dello statuto dei lavoratori (art. 35, terzo comma) finisce, così, per produrre nei confronti del personale di volo effetti discriminatori, separando dall'area garantita soprattutto i lavoratori occupati nelle imprese minori.

La situazione richiede particolare attenzione, data l'attuale efficacia soggettiva dei contratti collettivi, che non appare suscettibile di celeri mutamenti. In tempi di frammentazione organizzativa il fenomeno assume peculiare rilievo sotto l'aspetto della conformità alla Costituzione della normativa chiamata a dargli regola.

Nei riguardi del personale di volo delle imprese di navigazione, lo statuto dei lavoratori rivela, dunque, gravi limiti quando lascia alla contrattazione collettiva l'applicazione del principio della tutela reale e determina una sperequazione tra questa categoria di lavoratori e quelle dei lavoratori marittimi e dei lavoratori comuni. Tale trattamento differenziato manca, per quanto si è detto, di qualsiasi razionale giustificazione. Va, quindi, dichiarata l'illegittimità costituzionale ( ex art. 3 Cost.) del sistema normativo che lo cagiona e che si incentra sull'art. 35, terzo comma, della legge n. 300 del 1970, nella parte in cui non prevede la diretta applicabilità dell'art. 18 della stessa legge al personale aeronavigante delle "imprese di navigazione" quando ricorrano i presupposti di cui allo stesso art. 18, come modificato dall'art. 1 della legge n. 108 del 1990.

La declaratoria di illegittimità costituzionale dell'art. 916 cod. nav. comporta come conseguenza, ex art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87, la dichiarazione di illegittimità costituzionale dell'art. 345 cod. nav., che attribuisce all'armatore un illimitato potere di risoluzione del rapporto di lavoro del tutto analogo a quello conferito all'esercente dell'aeromobile dall'art. 916 cod. nav.

 

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

Dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 916 del codice della navigazione;

Dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 10 della legge 15 luglio 1966, n. 604 (Norme sui licenziamenti individuali), nella parte in cui non prevede l'applicabilità della legge stessa al personale navigante delle imprese di navigazione (aerea);

Dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 35, terzo comma, della legge 20 maggio 1970, n. 300 (Norme sulla tutela della libertà e dignità dei lavoratori e dell'attività sindacale nei luoghi di lavoro), nella parte in cui non prevede la diretta applicabilità al predetto personale anche dell'art. 18 della stessa legge, come modificato dall'art. 1 della legge 11 maggio 1990, n. 108 (Disciplina dei licenziamenti individuali);

Dichiara - in applicazione dell'art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87 - l'illegittimità costituzionale dell'art. 345 del codice della navigazione.

 

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 17 gennaio 1991.

 

Giovanni CONSO - Ettore GALLO - Aldo CORASANITI - Francesco GRECO - Gabriele PESCATORE - Ugo SPAGNOLI - Francesco Paolo CASAVOLA - Antonio BALDASSARRE - Vincenzo CAIANIELLO - Mauro FERRI - Luigi MENGONI - Enzo CHELI - Renato GRANATA;.

 

Depositata in cancelleria il 31 gennaio 1991.