Sentenza n. 20 del 1991

 

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SENTENZA N.20

ANNO 1991

 

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori:

Prof. Giovanni CONSO                                              Presidente

Prof. Ettore GALLO                                                    Giudice

Dott. Aldo CORASANITI                                              “

Prof. Giuseppe BORZELLINO                                       “

Dott. Francesco GRECO                                                  “

Prof. Gabriele PESCATORE                                            “

Avv. Ugo SPAGNOLI                                                    “

Prof. Francesco Paolo CASAVOLA                               “

Prof. Antonio BALDASSARRE                                     “

Prof. Vincenzo CAIANIELLO                                       “

Prof. Luigi MENGONI                                                    “

Prof. Enzo CHELI                                                            “

Dott. Renato GRANATA                                                “

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 16 della legge 21 dicembre 1978, n. 843 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato: Legge Finanziaria), come modificato dall'art. 14 del decreto legge 30 dicembre 1979, n. 633 (recte: n. 663 - Finanziamento del Servizio sanitario nazionale nonché proroga dei contratti stipulati dalle pubbliche amministrazioni in base alla legge 1° giugno 1977, n. 285, sulla occupazione giovanile), convertito, con modificazioni, nella legge 29 febbraio 1980, n. 33, promosso con ordinanza emessa l'11 dicembre 1989 dal Pretore di Venezia nel procedimento civile vertente tra Ceroni Adriana e l'I.N.P.S., iscritta al n. 412 del registro ordinanze 1990 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 26, prima serie speciale, dell'anno 1990.

Visto l'atto di costituzione di Ceroni Adriana nonché l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

Udito nell'udienza pubblica del 27 novembre 1990 il Giudice relatore Francesco Greco;

Udito l'avvocato Enrico Cornelio per Ceroni Adriana e l'Avvocato dello Stato Luigi Siconolfi per il Presidente del Consiglio dei ministri.

 

Ritenuto in fatto

 

1. - Ceroni Adriana, titolare di una pensione di reversibilità a carico dell'I.N.P.S., quale vedova di un assicurato presso l'Istituto e, nel contempo, titolare di un reddito di lavoro subordinato perché dipendente del Ministero delle Poste e Telecomunicazioni, chiedeva al Pretore di Venezia di dichiarare non dovuta la restituzione, chiesta dall'I.N.P.S., delle somme percepite dal giugno 1980 al maggio 1988 per quote aggiuntive della pensione erogatale, non spettanti ai sensi dell'art. 14 del decreto legge 30 dicembre 1979, n. 663, convertito, con modificazioni, nella legge 29 febbraio 1980, n. 33, ai titolari di reddito da lavoro dipendente.

In via subordinata, sollevava questione di legittimità costituzionale di detta norma per la disparità di trattamento che sussisteva rispetto ai lavoratori autonomi che non subivano decurtazioni della pensione al titolo di cui innanzi.

L'I.N.P.S., costituitosi in giudizio, eccepiva l'infondatezza della domanda e della questione di legittimità costituzionale perché il percettore di reddito autonomo non gode di forme automatiche di protezione del proprio guadagno.

Il giudice adito riteneva la questione sollevata rilevante e non manifestamente infondata e, con ordinanza dell'11 dicembre 1989, ne rimetteva l'esame a questa Corte.

2. - Il giudice remittente rilevava l'esistenza di una irrazionale discriminazione tra lavoratori subordinati e lavoratori autonomi in quanto la decurtazione è collegata alla natura del reddito, che è fatto irrilevante rispetto alla funzione della pensione ed alle ragioni che possono giustificare la sua riduzione.

Osservava che, da un verso, occorre considerare che la pensione di reversibilità assolve la funzione di somministrare ai superstiti i mezzi che il decesso dell'assicurato fa loro venir meno; e, dall'altro, che la pur legittima riduzione del suo importo, nel caso di percezione di altro reddito, deve essere ragguagliata alle condizioni economiche del pensionato e non alla natura della fonte.

Né può essere razionale giustificazione il fatto che il lavoratore autonomo non gode di forme automatiche di protezione del reddito.

3. - L'ordinanza è stata ritualmente comunicata, notificata e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale.

3.1 - Nel giudizio dinanzi a questa Corte si è costituita la parte privata la quale, nel riportarsi alle considerazioni svolte dal giudice remittente, ha concluso per l'accoglimento della questione.

In rappresentanza del Presidente del Consiglio dei ministri è intervenuta l'Avvocatura generale dello Stato la quale ha rilevato che il diverso trattamento dei lavoratori subordinati rispetto a quelli autonomi costituisce espressione del potere discrezionale del legislatore in materia. Ha, poi, osservato che con la legge n. 160 del 1975 è stato introdotto un nuovo meccanismo di adeguamento periodico delle pensioni solo per i lavoratori subordinati (art. 9), mentre quello dei lavoratori autonomi è stato ancorato (art. 2) al criterio dell'adeguamento automatico di cui all'art. 19 della legge n. 153 del 1969, realizzandosi così per i primi un meccanismo più favorevole, ritenuto necessario per meglio adattare gli ordinamenti pensionistici alle peculiarità che ciascuno presenta.

Ha concluso per la infondatezza della questione.

4. - Nell'imminenza dell'udienza il difensore della parte privata ha presentato delle note di udienza nelle quali ha rilevato che nel regime pensionistico, tranne che per effetto della norma denunciata, non vi è alcuna distinzione circa la fonte e la natura del reddito ai fini dell'incidenza sull'altro reddito percepito dal titolare della pensione di reversibilità; che, in sostanza, la prevista diminuzione della pensione importa lesione anche dei principi di cui agli artt. 36, 37 e 38 della Costituzione, oltre a cagionare una irrazionale discriminazione tra pensionati esercenti anche attività lavorativa, tenendosi conto della natura del reddito anziché della sua entità.

 

Considerato in diritto

 

1. - Il Pretore di Venezia dubita della legittimità costituzionale dell' art. 16 della legge 21 dicembre 1978, n. 843, come modificato dall' art. 14 del decreto legge 30 dicembre 1979, n. 663, convertito, con modificazioni, nella legge 29 febbraio 1980, n. 33, nella parte in cui prevede che la quota aggiuntiva fissa corrisposta sui trattamenti pensionistici ai sensi della legge 3 giugno 1975, n. 160 (art. 10), ai fini della perequazione automatica, non è cumulabile con la retribuzione percepita in costanza di rapporto di lavoro alle dipendenze di terzi, in quanto violerebbe l'art. 3 della Costituzione, determinando disparità di trattamento rispetto ai lavoratori autonomi per i quali non è prevista alcuna decurtazione della pensione.

2. - La questione non è fondata.

Si premette che, in base all'ordinanza di rimessione, in questa sede deve essere presa in esame solo la violazione dell' art. 3 della Costituzione e non anche quella degli artt. 36, 37 e 38 della Costituzione, dedotta nella memoria dalla parte privata.

Già l'art. 10, ultimo comma, della legge 3 giugno 1975, n. 160, che ha dettato norme per il miglioramento dei trattamenti pensionistici e per il collegamento alla dinamica salariale, ha previsto la non cumulabilità delle quote aggiuntive, legate ai punti di contingenza accertati per i lavoratori dell'industria in determinati periodi, con la retribuzione percepita in costanza di rapporto di lavoro alle dipendenze di terzi.

La detta previsione è rimasta invariata nelle leggi successive (art. 16 della legge finanziaria n. 843 del 1978 e art. 14 del decreto legge n. 663 del 1979, convertito, con modificazioni, in legge n. 32 del 1980, contenente disposizioni in materia previdenziale oltre che i provvedimenti di finanziamento del servizio sanitario nazionale).

Un'analoga previsione per i pensionati che, oltre alla pensione, percepiscono redditi derivanti da lavoro autonomo, non è contenuta né nelle dette leggi né in altre.

Tale situazione non produce la lamentata irrazionale discriminazione tra lavoratori subordinati e lavoratori autonomi.

Invero, rientra nel potere discrezionale del legislatore la determinazione delle misure e dei criteri di adeguamento dei trattamenti pensionistici alla variazione del costo della vita nonché delle modalità di perequazione degli stessi; ed il retto esercizio di tale potere non comporta necessariamente che si debbano prendere in considerazione le condizioni di vita dei pensionati anziché la natura e la fonte del reddito cumulato con il trattamento pensionistico.

Alla variazione del costo della vita attiene la previsione di quote aggiuntive le quali riguardano la contingenza.

3. - Nella fattispecie, l'esercizio del potere del legislatore non è sindacabile in questa sede perché non risulta violato il principio della razionalità.

La diversità dei trattamenti trova adeguata e razionale giustificazione nella stessa diversità dei rapporti che danno causa al reddito percepito dal pensionato oltre la pensione.

Invero, si è più volte affermata la diversità che sussiste tra lavoro autonomo e lavoro subordinato.

Inoltre, nella specie, la differente disciplina deriva proprio dalla natura e dalla stessa finalità delle quote aggiuntive. Esse, poiché, come si è detto innanzi, si concretano in trattamenti relativi alla contingenza, sono, in sostanza, già erogate al lavoratore alle dipendenze di terzi sotto forma di indennità o di trattamenti analoghi, mentre il lavoratore autonomo non percepisce alcunché di simile.

 

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

Dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 16 della legge 21 dicembre 1978, n. 843 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato: Legge Finanziaria), come modificato dall' art. 14 del decreto legge 30 dicembre 1979, n. 663 (Finanziamento del Servizio sanitario nazionale, nonché proroga dei contratti stipulati dalle pubbliche amministrazioni in base alla legge 1° giugno 1977, n. 285, sulla occupazione giovanile), convertito, con modificazioni, in legge 29 febbraio 1980, n. 33, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, sollevata dal Pretore di Venezia con l'ordinanza in epigrafe.

 

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, l'11 gennaio 1991.

 

Giovanni CONSO - Ettore GALLO - Aldo CORASANITI - Giuseppe BORZELLINO - Francesco GRECO - Gabriele PESCATORE - Ugo SPAGNOLI - Francesco Paolo CASAVOLA - Antonio BALDASSARRE - Vincenzo CAIANIELLO - Luigi MENGONI - Enzo CHELI - Renato GRANATA.

 

Depositata in cancelleria il 18 gennaio 1991.