Sentenza n. 584 del 1990

 CONSULTA ONLINE 

SENTENZA N.584

ANNO 1990

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

Prof. Giovanni CONSO, Presidente

Prof. Ettore GALLO

Dott. Aldo CORASANITI

Prof. Giuseppe BORZELLINO

Dott. Francesco GRECO

Prof. Gabriele PESCATORE

Avv. Ugo SPAGNOLI

Prof. Francesco Paolo CASAVOLA

Prof. Antonio BALDASSARRE

Prof. Vincenzo CAIANIELLO

Prof. Luigi MENGONI

Prof. Enzo CHELI

Dott. Renato GRANATA

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 327, comma primo, del codice di procedura civile in relazione all'art. 430 dello stesso codice, promosso con ordinanza emessa il 24 gennaio 1990 dal Tribunale di Genova nel procedimento civile vertente tra Fazia Cecilia e Bertone Carmelina ed altra, iscritta al n. 436 del registro ordinanze 1990 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 28, prima serie speciale, dell'anno 1990.

Visto l'atto di costituzione di Fazia Cecilia nonchè l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica dell'11 dicembre 1990 il Giudice relatore Luigi Mengoni;

uditi l'avv. Luciano Ventura per Fazia Cecilia e l'Avvocato dello Stato Giorgio D'Amato per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

1.- Nel corso del giudizio di appello, promosso con ricorso depositato il 3 luglio 1989, contro una sentenza del Pretore di Genova in materia di lavoro, pubblicata il 23 giugno 1988 e non notificata, il Tribunale di Genova, con ordinanza emessa il 24 gennaio 1990, ha sollevato, in riferimento all'art. 24 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell'art. 327, primo comma, cod. proc. civ., in relazione all'art. 430, nella parte in cui prevede che il termine di un anno per l'impugnazione decorre dalla pubblicazione della sentenza, anzichè dalla comunicazione del deposito (avvenuta, nella specie, il 4 luglio 1988).

A sostegno della valutazione di non manifesta infondatezza il giudice a quo richiama la giurisprudenza di questa Corte, la quale ha ripetutamente affermato che il pieno esercizio del diritto di difesa postula la possibilità di utilizzare "nella sua interezza" il termine stabilito dalla legge per il compimento di un atto: e ciò indipendentemente dalla durata del termine, come si argomenterebbe specialmente dalla sent. n. 159 del 1971. Pertanto la funzione informativa della comunicazione di cancelleria non può essere disgiunta da quella di determinare il dies a quo del termine per l'impugnazione.

2.- Nel giudizio davanti alla Corte si é costituito l'appellante aderendo alle argomentazioni dell'ordinanza di rimessione e concludendo per l'accoglimento della questione.

In una memoria depositata nell'imminenza dell'udienza di discussione la difesa della parte privata sostiene che l'art. 327 sarebbe l'unica eccezione al principio - ricavabile da una nutrita serie di norme - che garantisce alla parte gravata dall'onere di compimento di certi atti entro un e "la conoscibilità del momento iniziale di decorrenza del termine stesso, che viene fatto coincidere con quello dell'avvenuta comunicazione". Il ritardo dei depositi delle sentenze, ben oltre i termini indicati dalla legge, rende particolarmente difficoltosa la verifica quotidiana in cancelleria della pubblicazione ed esclude che tale comportamento possa farsi rientrare nel concetto di anormale diligenza" cui fa riferimento la Corte di cassazione nelle sue numerose pronunce di manifesta infondatezza della questione.

3.- É intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato dall'Avvocatura dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata inammissibile o, in subordine, infondata.

Sul primo punto é eccepita l'irrilevanza della questione perchè, essendo la comunicazione della sentenza intervenuta undici giorni dopo il deposito, restava alla parte soccombente un largo margine di tempo per proporre l'appello. Sul secondo punto si richiamano gli argomenti con cui più volte la Corte di cassazione ha ritenuto la questione manifestamente infondata (Cass. nn. 3501 del 1979, 5819 del 1984, 9906 del 1988, 3906 del 1989).

In una memoria depositata nell'imminenza dell'udienza di discussione l'Avvocatura sviluppa gli argomenti di infondatezza, ma insiste altresì nella domanda principale di inammissibilità appoggiandola sul rilievo che la sollevata questione mira a una pronunzia manipolativa del sistema.

Considerato in diritto

1. - Il Tribunale di Genova impugna, per contrasto con l'art. 24 della Costituzione, l'art. 327, primo comma, cod. proc. civ., in relazione all'art. 430, nella parte in cui fa decorrere il termine di un anno per l'impugnazione dalla pubblicazione della sentenza mediante deposito in cancelleria, anzichè dalla comunicazione del deposito.

2. - La questione è inammissibile.

Essa mira, infatti, a una sentenza che sconvolgerebbe la coerenza del sistema delle impugnazioni. La decorrenza del termine previsto dall'art. 327, primo comma, cod. proc. civ., dalla data di pubblicazione della sentenza è un corollario del principio (confermato dall'art. 391-bis, introdotto nel codice di procedura civile dalla legge 26 novembre 1990, n. 353, recante provvedimenti urgenti per il processo civile) secondo cui, dopo un certo lasso di tempo, la cosa giudicata si forma indipendentemente dalla notificazione della sentenza (a istanza di parte). Stabilito questo principio, di per sè non contestato dal giudice a quo, ne deriva logicamente la decorrenza del termine di un anno dal momento in cui la sentenza è perfezionata, cioé appunto dalla data della pubblicazione.

Lo spostamento del dies a guo alla data di comunicazione della sentenza non solo sarebbe intrinsecamente contraddittorio con la logica del principio, ma ne restringerebbe irrazionalmente il campo di applicazione alle parti costituite in giudizio, alle quali soltanto la sentenza è comunicata d'ufficio (art. 133, secondo comma, cod. proc. civ.). Per evitare una simile conseguenza dovrebbero essere modificate almeno altre due norme.

Anzitutto il secondo comma dello stesso art. 327, sostituendolo con una norma la quale disponga che per la parte contumace il termine di cui al primo comma decorre dalla notificazione della sentenza ai sensi dell'art. 292, ultimo comma; in secondo luogo pure quest'ultima disposizione, introducendovi la precisazione che la sentenza è (immediatamente) notificata d'ufficio alla parte contumace, in contrasto con l'interpretazione oggi prevalente che la intende come precetto sul modo della notificazione, da farsi pur sempre a istanza di parte ai fini della decorrenza dei termini brevi previsti dall'art. 325. Una modificazione del sistema normativo di tale portata andrebbe oltre i poteri di questa Corte.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell'art. 327, primo comma, cod. proc. civ., in relazione all'art. 430 dello stesso codice, sollevata, in riferimento all'art. 24 della Costituzione, dal Tribunale di Genova con l'ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 12/12/90.

Giovanni CONSO, PRESIDENTE

Luigi MENGONI, REDATTORE

Depositata in cancelleria il 28/12/90.