Sentenza n. 544 del 1990

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SENTENZA N.544

ANNO 1990

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

Prof. Giovanni CONSO, Presidente

Prof. Ettore GALLO

Dott. Aldo CORASANITI

Prof. Giuseppe BORZELLINO

Dott. Francesco GRECO

Prof. Gabriele PESCATORE

Avv. Ugo SPAGNOLI

Prof. Francesco Paolo CASAVOLA

Prof. Antonio BALDASSARRE

Prof. Vincenzo CAIANIELLO

Avv. Mauro FERRI

Prof. Luigi MENGONI

Prof. Enzo CHELI

Dott. Renato GRANATA

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 112, comma primo, del d.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124 (Testo unico delle disposizioni per l'assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali), promosso con ordinanza emessa il 23 maggio 1990 dal Tribunale di Siena nel procedimento civile vertente tra I.N.A.I.L. e Simonetti Giuseppe, iscritta al n. 451 del registro ordinanze 1990 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 29/prima serie speciale dell'anno 1990.

Visti gli atti di costituzione dell'I.N.A.I.L. e di Simonetti Giuseppe, nonchè l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica del 27 novembre 1990 il Giudice relatore Aldo Corasaniti;

uditi l'avv. Giuseppe De Ferrà per l'I.N.A.I.L. e l'Avvocato dello Stato Luigi Siconolfi per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

1.- Nel giudizio di rinvio dalla Corte di cassazione vertente tra Simonetti Giuseppe, crede del lavoratore Simonetti Michele, deceduto il 12 marzo 1982 per insufficienza cardiorespiratoria cagionata da silicosi polmonare, e l'I.N.A.I.L., e concernente il diritto all'attribuzione della rendita in relazione alla predetta malattia professionale, invano reclamato in vita dal lavoratore, a decorrere dal suo insorgere fino alla data della morte - diritto del quale l'I.N.A.I.L. aveva eccepito la prescrizione ex art. 112, primo comma, del d.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124 (T.U. delle disposizioni per l'assicurazione obbligatoria contro gli infortuni e le malattie professionali) -, il Tribunale di Siena, con ordinanza emessa il 23 maggio 1990, ha sollevato questione di legittimità costituzionale, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, della suindicata disposizione.

Osserva il giudice a quo che solo l'accertamento autoptico effettuato il 14 maggio 1982 aveva consentito di diagnosticare una forma silicotica non evidenziabile radiologicamente, presente sin dal 1976 in forma progressivamente ingravescente, e valutabile, al momento della morte, nella misura del 50%. E poichè, in applicazione dell'art. 112, primo comma, del d.P.R. n. 1124 del 1965, come interpretato dalla Cassazione nel formulare il principio di diritto, la prescrizione dell'azione per il conseguimento della rendita decorre, nonostante l'erroneità o l'insufficienza delle indagini mediche eseguite in vita dall'assicurato, dal momento in cui la malattia professionale abbia raggiunto la soglia indennizzabile, nel caso in esame, risalendo al 1976 la malattia e risultando proposta la domanda giudiziale l'erede il 1° aprile 1983, la prescrizione sarebbe maturata.

Si evidenzia peraltro, ad avviso del Tribunale, una difformità di trattamento tra il caso del lavoratore che venga riconosciuto affetto da malattia professionale durante la sua vita, attraverso le indagini a tale riconoscimento funzionali, ed il caso del lavoratore la cui malattia professionale possa essere accertata esclusivamente dopo la morte, mediante autopsia.

Il lavoratore vivente sarà infatti sempre in grado, con situazione di privilegio, di far valere tempestivamente il proprio diritto al primo manifestarsi della malattia, laddove gli eredi del lavoratore deceduto incorreranno nella prescrizione ogni volta che l'esame autoptico, rivelatosi a posteriori l'unico mezzo di verifica della malattia nella sua entità indennizzabile, accerti che la malattia é insorta oltre tre anni prima.

L'art. 112, primo comma, del d.P.R. n. 1124 del 1965 sembra pertanto contrasta, ad avviso del giudice a quo, con l'art. 3 della Costituzione, nella parte in cui, nel sancire la prescrizione triennale dell'azione diretta al conseguimento della rendita da malattia professionale, non ne prevede la decorrenza, per gli eredi del lavoratore assicurato deceduto, non iure proprio, ma iure hereditatis, dal momento in cui la malattia professionale di grado indennizzabile si riveli all'esame autoptico, risultato unico mezzo possibile di verifica.

2.- Avanti a questa Corte si sono costituiti sia Simonetti Giuseppe che l'I.N.A.I.L.: il primo per sollecitare l'accoglimento dell'eccezione, il secondo per contestarne l'ammissibilità e la rilevanza.

3.- É altresì intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato dall'Avvocatura dello Stato, che ha contestato la fondatezza della questione. Ciò in base al rilievo che la prescrizione decorre dalla manifestazione dei danno (Corte cost. n. 129/1986), e cioé da un fatto la cui sussistenza va individuata in concreto dal giudice della singola controversia, nell'ambito della formula generale adottata dal legislatore.

Considerato in diritto

1. -É sollevata in via incidentale questione di legittimità, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, dell'art. 112, primo comma, del d.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124 (Testo unico delle disposizioni per l'assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali), nella parte in cui, prevedendo la prescrizione triennale dell'azione giudiziaria diretta al conseguimento della rendita da malattia professionale, ne stabilisce la decorrenza, per gli eredi del lavoratore assicurato, dal momento dell'effettivo raggiungimento del grado di indennizzabilità della malattia anche quando questo non sia accertabile, nella sua risalenza, se non mediante, o previo, esame autoptico.

La norma, così interpretata dalla Corte di cassazione, implicherebbe infatti-secondo il giudice a quo-una ingiustificata disparità di trattamento della situazione dell'erede rispetto a quella del lavoratore vivente.

2. -L'interpretazione cui il giudice a quo si riferisce, enunciata più volte da quel supremo consesso dopo la sentenza di questa Corte n. 116 del 1969, e ribadita con la sentenza di rinvio con cui il giudice a quo era stato investito della causa, è nel senso che la prescrizione in argomento decorre dalla data dell'effettivo raggiungimento, quale obbiettivamente accertata-mediante prova a carico peraltro dell'Istituto assicuratore (I.N.A.I.L.) - del grado di indennizzabilità della malattia professionale, anche quando, al momento della manifestazione della malattia, il termine prescrizionale così decorrente sia già maturato.

Ora in realtà tale indirizzo non è giustificato dalla sentenza di questa Corte n. 116 del 1969, la quale si è limitata a dichiarare l'illegittimità costituzionale dell'art. (67, primo comma, del regio-decreto 17 agosto 1935, n. 1765, e, ex art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87, dell'art.) 112, primo comma, del d.P.R. n. 1124 del 1965, ora impugnato, in quanto fa decorrere il termine prescrizionale dal giorno della manifestazione della malattia professionale, anche quando quest'ultima -considerata come situazione patologica ingravescente-abbia raggiunto il grado di indennizzabilità successivamente alla detta manifestazione. La pronuncia ha lasciato dunque ferma la decorrenza della prescrizione dal giorno della manifestazione della malattia per l'ipotesi che il grado di indennizzabilità sia stato raggiunto anteriormente alla manifestazione stessa. Ciò nel quadro di una interpretazione sistematica della normativa secondo un criterio di ragionevole favore per l'assicurato, senza pregiudizio dell'esigenza di più sollecite, e quindi di più sicure, indagini da parte dell'Istituto assicuratore, esigenza che è soddisfatta dal riferimento alla obbiettiva manifestazione della malattia.

E su tale risultato interpretativo non incide la questione se debbano ancora ritenersi in vigore le norme di cui ai commi primo e secondo dell'art. 135 del d.P.R. n. 1124 del 1965, rivolte a far coincidere la manifestazione in discorso, nel caso di astensione dal lavoro dovuta alla malattia, dalla data di tale astensione (art. 135, primo comma), e in tutti gli altri casi (particolarmente in quello di mancata astensione dal lavoro o di manifestazione successiva alla cessazione della prestazione d'opera nella lavorazione morbigena) dalla data della denuncia di malattia. Infatti l'eventuale conclusione negativa - non traibile affatto dalla sentenza di questa Corte n. 116 del 1969, e solo per la seconda delle due norme desumibile dal dispositivo caducatorio della sentenza di questa Corte n. 206 del 1988 (che, proprio per essere caducatorio, conferma a contrario la vigenza della prima delle due norme)-non impedisce che continui ad essere rilevante ai fini della decorrenza della prescrizione la manifestazione obbiettiva della malattia, individuabile attraverso valutazioni medico-legali o attraverso presunzioni juris tantum ricollegate anche a comportamenti dell'assicurato.

Qui tuttavia non può che muoversi dalla interpretazione cui il giudice a quo, in sede di rinvio, si è attenuto, e dalla ipotesi, che egli prospetta, di una assoluta inaccertabilità, allo stato della scienza diagnostica, ante mortem - vale a dire prima dei risultati dell'esame autoptico - del grado di indennizzabilità della malattia professionale.

3. - La questione è fondata.

In realtà le due ipotesi, messe a raffronto dal giudice a quo, sono la ipotesi di assoluta inaccertabilità ante mortem del raggiungimento del grado di indennizzabilità della malattia professionale-vale a dire, ripetesi, prima dei risultati dell'esame autoptico - e quella di accertabilità ante mortem, anche se per avventura difficile o disagevole, del detto raggiungimento.

Ora non vi è dubbio che le due ipotesi siano nettamente differenziate, non ricorrendo nella prima una situazione suscettiva di esser considerata come la manifestazione univoca di una malattia già divenuta indennizzabile, situazione che ricorre invece nella seconda.

Pertanto il prevedere che anche nella prima la prescrizione decorra da una data anteriore a quella della esperibilità del mezzo diagnostico che si presuppone esser l'unico idoneo all'accertamento della malattia e del raggiungimento del suo grado di indennizzabilità, ancorchè tale raggiungimento sia di gran lunga risalente, implica violazione del princìpio di eguaglianza, che vieta di sottoporre allo stesso regime situazioni obbiettivamente differenziate.

D'altra parte, quando, per definizione, nessun mezzo diagnostico è utilmente esperibile dall'assicurato ante mortem, e pertanto nessuna manifestazione della malattia ante mortem può dirsi univoca, la prescrizione non può ragionevolmente farsi decorrere che dal giorno della morte. Sarebbe viceversa irragionevole farla decorrere da un momento anteriore, ponendo una causa di estinzione dell'azione, che si collega per sua natura all'inerzia del titolare protratta per un dato tempo, a carico del detto titolare per non avere esso proposto un'azione giudiziaria votata, allo stato della scienza e quindi con ogni prevedibilità, a un sicuro insuccesso.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 112, primo comma, del d.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124 (Testo unico delle disposizioni per l'assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali), nella parte in cui prevede che la prescrizione dell'azione giudiziaria decorra da un momento anteriore alla morte dell'assicurato anche quando la malattia professionale non sia accertabile se non mediante, o previo, esame autoptico.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 12/12/90.

Giovanni CONSO, PRESIDENTE

Aldo CORASANITI, REDATTORE

Depositata in cancelleria il 19/12/90.