Ordinanza n. 320 del 1990

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ORDINANZA N.320

ANNO 1990

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

Prof. Francesco SAJA, Presidente

Prof. Giovanni CONSO

Prof. Ettore GALLO

Dott. Aldo CORASANITI

Prof. Giuseppe BORZELLINO

Dott. Francesco GRECO

Prof. Renato DELL'ANDRO

Prof. Gabriele PESCATORE

Avv. Ugo SPAGNOLI

Prof. Francesco Paolo CASAVOLA

Prof. Antonio BALDASSARRE

Prof. Vincenzo CAIANIELLO

Avv. Mauro FERRI

Prof. Luigi MENGONI

Prof. Enzo CHELI

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nei giudizi di legittimità costituzionale dell'art. 248 del decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 271 (Norme d'attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale) in relazione all'art. 444 del codice di procedura penale, promossi con le seguenti ordinanze:

1) ordinanza emessa il 30 novembre 1989 dal Pretore di Brescia - Sezione distaccata di Breno - nel procedimento penale a carico di Catturich Ducco Pietro, iscritta al n. 57 del registro ordinanze 1990 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 8/1a s.s. dell'anno 1990;

2) ordinanza emessa il 26 ottobre 1989 dal Pretore di Messina- Sezione distaccata di Milazzo-nei procedimenti penali riuniti a carico di Tromba Mario, iscritta al n. 67 del registro ordinanze 1990 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 8/1a s.s. dell'anno 1990.

Visti gli atti d'intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 4 aprile 1990 il Giudice relatore Renato Dell'Andro.

Ritenuto che, con ordinanza del 30 novembre 1989 (Reg. ord. n. 57/1990) il Pretore di Brescia, Sezione distaccata di Breno, ha sollevato questione di legittimità costituzionale, in riferimento all'art. 3 Cost., dell'art. 248 del decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 271 (Norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale) nella parte in cui non consente l'applicazione della pena su richiesta delle parti, a norma dell'art. 444 del codice di procedura penale, anche ai procedi menti per i quali siano state compiute le formalità d'apertura del dibattimento di primo grado;

che, invero, secondo il Pretore di Breno, l'istituto dell'applicazione della pena su richiesta delle parti, oltre ad essere finalizzato ad una rapida decisione del processo penale, comporta anche rilevanti conseguenze sostanziali, a cominciare dalla diminuzione della pena fino ad un terzo, sicchè si verrebbe a determinare un'irrazionale disparità di trattamento tra gli imputati, fondata esclusivamente sul dato estrinseco e formale del compimento delle formalità d'apertura del dibattimento;

che analoga questione di legittimità costituzionale della medesima norma di cui al citato art. 248 del decreto legislativo n. 271 del 1989 è stata sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 24 Cost., dal Pretore di Messina, Sezione distaccata di Milazzo, con ordinanza del 27 ottobre 1989 (Reg. ord. n. 67/90);

che, in particolare, a parere del Pretore di Messina, Sezione distaccata di Milazzo, il divieto di chiedere l'applicazione della pena su richiesta delle parti anche nell'ipotesi di processo già inoltrato viene a precludere l'esercizio d'un diritto della difesa da parte di cittadini che si trovano nella medesima situazione sostanziale di altri e che non lo hanno potuto esercitare prima, per fatto a loro non riferibile, in tal modo determinando, oltre ad un'irrazionale disparità di trattamento, anche una violazione del diritto di difesa;

che in entrambi i giudizi è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata infondata;

che, infatti, a parere dell'Avvocatura, la finalità dell'istituto dell'applicazione della pena su richiesta delle parti è quella d'incentivare l'immediata definizione del processo, eliminando la fase dibattimentale e quella dell'appello, di modo che la riduzione della pena non rappresenta un beneficio bensì una contropartita-premio per la rinuncia al rito ordinario;

che, di conseguenza, il termine per avanzare la richiesta dell'applicazione della pena è stato non illogicamente individuato nella dichiarazione d'apertura del dibattimento, superato il quale non potrebbe più realizzarsi la funzione dell'istituto e verrebbe meno il collegamento fra incentivo e rito differenziato; sicchè la prospettata diversità di trattamento trova razionale giustificazione nella diversità delle situazioni processuali.

Considerato che i giudizi, concernendo questioni analoghe e, in parte, identiche, possono essere riuniti;

che le considerazioni svolte da questa Corte nella sentenza n. 277 del 1990-relativa all'impossibilità (a norma dell'art. 247 del medesimo decreto legislativo n. 271 del 1989) di chiedere il giudizio abbreviato quando siano già state compiute le formalità d'apertura del dibattimento - valgono anche per l'analoga questione qui trattata, relativa alla possibilità di richiedere l'attivazione dell'istituto dell'applicazione della pena su richiesta delle parti soltanto prima del compimento delle formalità d'apertura del dibattimento di primo grado;

che, in particolare, nella citata sentenza la Corte ha fra l'altro sottolineato-con osservazione valida anche in ordine alla disposizione oggetto del presente giudizio-l'<inscindibile unità finalistica> della disposizione in quella sede impugnata, osservando che la riduzione della pena in tanto è consentita in quanto è diretta a sollecitare la richiesta, da parte dell'imputato, dell'attivazione d'un istituto inteso ad assicurare la rapida definizione del maggior numero di processi; di modo che, divenuto impossibile, con l'apertura del dibattimento, raggiungere le finalità che il legislatore si prefigge, diventa conseguentemente e razionalmente impossibile all'imputato realizzare il c.d. <diritto> alla riduzione della pena;

che, pertanto, tale essendo lo scopo degli istituti del giudizio abbreviato e dell'applicazione della pena su richiesta delle parti (esclusione della fase dibattimentale) è del tutto razionale che, per i procedimenti già in corso all'entrata in vigore del nuovo codice di procedura penale, tali istituti siano stati resi applicabili soltanto quando il loro scopo possa essere interamente perseguito;

che la precitata sentenza ha altresì aggiunto - con considerazione anch'essa estensibile all'istituto dell'applicazione della pena su richiesta delle parti-che irrazionale sarebbe semmai l'applicabilità in quella sede del giudizio abbreviato, dopo l'apertura del dibattimento; giacchè in tal caso i benefici concessi all'imputato non sarebbero più giustificati nè dallo scopo (ormai impossibile) d'eliminare la fase dibattimentale nè dal rischio assunto dall'imputato (il quale si troverebbe nella comoda situazione di decidere dopo che il pubblico ministero ha già offerto le sue prove e comunque dopo aver potuto valutare l'andamento del dibattimento stesso);

che, pertanto, non è producente il confronto fra imputati per i quali il dibattimento sia stato o non sia stato ancora aperto, appunto perchè si tratta di situazioni oggettivamente diverse;

che, di conseguenza, le questioni di legittimità costituzionale sollevate con le ordinanze in epigrafe vanno dichiarate manifestamente infondate.

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87 e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

riuniti i giudizi,

dichiara la manifesta infondatezza delle questioni di legittimità costituzionale dell'art. 248 delle norme d'attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale del 1988 (testo approvato con il decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 271) sollevate, in riferimento all'art. 3 Cost., dal Pretore di Brescia, Sezione distaccata di Breno, con ordinanza del 30 novembre 1989 e, in riferimento agli art. 3 e 24 Cost., dal Pretore di Messina, Sezione distaccata di Milazzo, con ordinanza del 26 ottobre 1989.

Così deciso in Roma, in camera di consiglio, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 26/06/90.

Francesco SAJA, PRESIDENTE

Renato DELL'ANDRO, REDATTORE

Depositata in cancelleria il 05/07/90.