Sentenza n. 283 del 1990

 CONSULTA ONLINE 

SENTENZA N.283

ANNO 1990

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

Prof. Giovanni CONSO, Presidente

Prof. Ettore GALLO

Dott. Aldo CORASANITI

Prof. Giuseppe BORZELLINO

Dott. Francesco GRECO

Prof. Renato DELL'ANDRO

Prof. Gabriele PESCATORE

Avv. Ugo SPAGNOLI

Prof. Francesco Paolo CASAVOLA

Prof. Antonio BALDASSARRE

Prof. Vincenzo CAIANIELLO

Avv. Mauro FERRI

Prof. Luigi MENGONI

Prof. Enzo CHELI

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 217, ultimo comma, del regio decreto 31 agosto 1933, n. 1592 (Approvazione del testo unico delle leggi sull'istruzione superiore), e dell'art. 17 del regio decreto 27 ottobre 1935, n. 2153 (Aggregazione alla Regia università di Roma, come Facoltà, dei Regi Istituti superiori di ingegneria, di architettura, di scienze economiche e commerciali e di magistero della stessa sede), promosso con ordinanza emessa il 22 maggio 1989 dal T.A.R. del Lazio nel ricorso proposto dal Comune di Roma contro il Ministero delle finanze, iscritta al n. 658 del registro ordinanze 1989 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 2, prima serie speciale, dell'anno 1990.

Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri; udito nella camera di consiglio del 21 marzo 1990 il Giudice relatore Mauro Ferri.

Ritenuto in fatto

1.- Il T.A.R. del Lazio, adito dal Comune di Roma per l'annullamento dell'ordinanza dell'Intendente di finanza della Provincia di Roma con la quale era stato intimato in via amministrativa il rilascio dello stabile "Paolino alle Terme" - di proprietà dello Stato ma utilizzato senza titolo dal Comune per adempiere l'obbligo, su di esso gravante Per legge, di fornire i locali alla facoltà di magistero - ha sollevato questione di legittimità costituzionale delle disposizioni che tale obbligo prevedono (artt. 217. ultimo comma, del rd. 31 agosto 1933, n. 1592 e 17, del rd. 27 ottobre 1935, n. 2153), in riferimento agli artt. 3, 5, 33 e 128 Cost.

Ad avviso del giudice a quo le norme che fanno carico ai Comuni di sopportare gli oneri relativi alla provvista di immobili e mobili destinati al servizio dello Stato trovano la loro giustificazione nella prestazione di servizi di competenza statale a cittadini residenti nel territorio comunale. Poichè questo non avviene nel settore dell'istruzione universitaria (alla quale ciascuno può accedere senza alcun collegamento con la propria residenza), sarebbe del tutto incongruo far gravare gli oneri relativi sui cittadini del luogo dove é ubicata l'università (della quale il magistero costituisce ora articolazione come facoltà); ciò tanto più ove si consideri la diversa regola generale che fa obbligo allo Stato di concedere in uso perpetuo e gratuito gli immobili posti a servizio delle università e degli istituti superiori.

2.- L'intervenuta Avvocatura generale dello Stato, nell'assunto che nel giudizio principale si faccia questione di diritti soggettivi e non di interessi, ha richiesto, pregiudizialmente, che gli atti siano restituiti al giudice a quo affinchè, motivando sulla sussistenza della propria giurisdizione, faccia constatare la rilevanza della sollevata questione.

Nel merito ha concluso per l'infondatezza osservando che, nell'ipotesi in esame, il Comune opera come ente di "decentramento autarchico" per l'assolvimento di funzioni statali; che, in particolare é innegabile per il Comune l'utilità indotta dalla collocazione di un ateneo nel suo territorio; che Comuni e Province sono, in via generale, chiamati a concorrere alle spese di funzionamento delle università site nei rispettivi territori (art. 45, secondo comma, r.d. n. 1592 del 1933); che la determinazione della misura del contributo compete alla discrezionalità del legislatore.

Quanto ai parametri costituzionali invocati, la difesa dei Governo ha osservato che l'art. 3 della Costituzione non può concernere pretese disparità di trattamento tra pubbliche amministrazioni ed ha sostenuto che la competenza statale esclusiva di cui all'art. 33, secondo comma, della Costituzione, non é incompatibile con la partecipazione degli enti autarchici agli oneri finanziari, e che conseguentemente non sussistono le lamentate lesioni all'autonomia dell'ente territoriale.

Considerato in diritto

1. -Il Comune di Roma ha impugnato avanti il T.A.R. del Lazio, chiedendone l'annullamento, l'ordinanza dell'Intendente di finanza della Provincia di Roma recante l'intimazione, in via amministrativa, al rilascio dello stabile demaniale denominato <Paolino alle Terme>, utilizzato dal Comune stesso per adempiere l'obbligo di fornire i locali occorrenti per la facoltà di Magistero dell'Università di Roma, previsto dagli artt. 217, ultimo comma, del Testo Unico delle leggi sull'istruzione superiore, approvato con regio decreto 31 agosto 1933 n. 1592, e 17 del regio decreto 27 ottobre 1935 n. 2153.

Il T.A.R. adito ha rimesso gli atti a questa Corte sollevando questione di legittimità costituzionale delle predette norme, le quali, nella parte in cui pongono il riferito obbligo in capo al Comune di Roma contrasterebbero: -con gli artt. 3 e 33 della Costituzione, per l'irrazionalità dell'onere economico imposto al Comune di Roma, a fronte della regola generale che fa obbligo allo Stato di provvedere ai locali posti a servizio delle Università; -con gli artt. 5 e 128 della Costituzione, per violazione dell'autonomia dell'ente territoriale, il quale, benchè sfornito di poteri di intervento sull'istruzione universitaria, è chiamato a sopportarne i relativi costi senza alcuna possibilità di recupero nei confronti di utenti residenti in altri Comuni.

2. - L'intervenuta Avvocatura dello Stato, argomentando in ordine alla natura di diritto soggettivo e non di interesse legittimo delle questioni in giudizio avanti il T.A.R. del Lazio, ha eccepito che il giudice remittente, tenuto a verificare anche d'ufficio la propria giurisdizione, non si sarebbe fatto carico di tale compito, che incide direttamente sulla rilevanza della questione di legittimità costituzionale, la cui soluzione, in caso di difetto di giurisdizione, risulterebbe del tutto inutile.

L'Avvocatura ha chiesto pertanto che siano rinviati gli atti al giudice a quo affinchè motivi la sussistenza del requisito della rilevanza, sotto l'indicato profilo della giurisdizione.

L'istanza non può essere accolta.

É costante indirizzo di questa Corte che il difetto di giurisdizione del giudice a quo comporti la irrilevanza della questione di costituzionalità soltanto quando risulti chiaramente dalla legge o corrisponda ad un univoco orientamento giurisprudenziale, sì da rivestire il carattere dell'evidenza (cfr. sentt. nn. 102 del 1990, 575 del 1989, 777 del 1988). In tali casi, infatti, l'eventuale pronuncia d'incostituzionalità verrebbe privata delle conseguenze che le sono proprie in quanto resterebbe inapplicabile ai casi concreti in cui la questione è stata sollevata.

Tanto non può' affermarsi nella fattispecie in esame.

Nel giudizio pendente avanti il T.A.R. del Lazio è stata contestata la legittimità di un provvedimento amministrativo, qual è l'ordinanza di rilascio emessa dall'Intendente di finanza della Provincia di Roma, e ne è stato chiesto l'annullamento.

Circoscritto in tali termini, cioé quale giudizio di legittimità su di un atto della Pubblica Amministrazione emesso in esercizio dei suoi poteri discrezionali, detto sindacato ed il relativo potere di annullamento sono affidati, nel vigente ordinamento, al solo giudice amministrativo; ciò è sufficiente per disattendere la tesi dell'Avvocatura dello Stato.

3. - Nel merito la questione non è fondata.

Non è ravvisabile, in primo luogo, alcun contrasto con il combinato disposto degli artt. 3 e 33 della Costituzione, denunciato sotto il profilo della non ragionevolezza dell'onere imposto al Comune di Roma, a fronte di una regola generale che farebbe obbligo allo Stato di concedere in uso gratuito e perpetuo gli immobili posti a servizio delle Università.

Invero, il presupposto ora enunciato non può essere condiviso in quanto, sulla base dell'art. 33 della Costituzione, lo Stato ha certo l 'obbligo di provvedere alla pubblica istruzione in ogni ordine e grado, dettando le norme relative ed apprestando i mezzi necessari, ma detto principio non esclude affatto che gli enti locali possano essere chiamati a contribuire in vario modo agli oneri relativi agli istituti di istruzione situati nel loro territorio; il che può avvenire tanto nell'istruzione inferiore, quanto, come nel caso, nell'istruzione superiore, secondo un orientamento legislativo che non è mutato fin dal Testo Unico in esame ad oggi (v. ad es. gli artt.: 45 del Testo Unico n. 1592 del 1933; 91, lett. F, del regio decreto 3 marzo 1934 n. 383; 44 legge 28 luglio 1967 n. 641).

In conseguenza non possono ritenersi irragionevoli norme che, lungi dal costituire un caso isolato, si inseriscono in un indirizzo non di rado seguito dal legislatore; anche in tempi recenti la legge 14 agosto 1982 n. 590 (recante <Istituzione di nuove Università>) ha previsto agli artt. 30 e 35 che siano mantenuti fermi, in favore delle istituite nuove Università statali di Reggio Calabria e di Verona, gli impegni di contribuzione già precedentemente assunti da consorzi nei quali sono presenti gli enti locali.

Nè, sotto altro profilo, l'affidamento al Comune del compito di fornire i locali occorrenti alla facoltà di Magistero viola gli artt. 5 e 128 della Costituzione.

Sul punto occorre, in primo luogo, precisare che il Comune non è estraneo al servizio di istruzione universitaria, come dimostra la presenza di rappresentanti comunali negli organi d'amministrazione dell'Università cui spettano il governo amministrativo e la gestione economica e patrimoniale della medesima. In secondo luogo, possono utilmente essere richiamate le considerazioni già formulate da questa Corte nella sentenza n. 150 del 1986, osservando in sintesi che allo stato attuale dell'ordinamento la finanza locale è in gran parte finanza derivata e che, in linea generale, è lo Stato che provvede, a fornire ai Comuni i mezzi necessari alla copertura delle spese che a loro fanno carico.

Detti elementi, nel loro insieme, sono sufficienti ad escludere che le norme denunciate violino gli invocati parametri costituzionali.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale degli artt. 217 del Testo Unico delle leggi sull'istruzione superiore, approvato con regio decreto 31 agosto 1933, n. 1592, e 17 del regio decreto 27 ottobre 1935, n. 2153 (Aggregazione alla Regia università di Roma, come Facoltà, dei Regi Istituti superiori di ingegneria, di architettura, di scienze economiche e commerciali e di magistero della stessa sede), sollevata dal T.A.R. del Lazio, in riferimento agli artt. 3, 33, 5 e 128 della Costituzione, con l'ordinanza in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 11/06/90.

Giovanni CONSO, PRESIDENTE

Mauro FERRI, REDATTORE

Depositata in cancelleria il 14/06/90.