Sentenza n. 261 del 1990

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SENTENZA N.261

ANNO 1990

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

Dott. Francesco SAJA, Presidente

Prof. Giovanni CONSO

Prof. Ettore GALLO

Dott. Aldo CORASANITI

Prof. Giuseppe BORZELLINO

Dott. Francesco GRECO

Prof. Renato DELL'ANDRO

Prof. Gabriele PESCATORE

Avv. Ugo SPAGNOLI

Prof. Francesco Paolo CASAVOLA

Prof. Antonio BALDASSARRE

Prof. Vincenzo CAIANIELLO

Avv. Mauro FERRI

Prof. Luigi MENGONI

Prof. Enzo CHELI

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale della legge regionale dell'Emilia-Romagna riapprovata il 9 novembre 1989 dal Consiglio regionale, avente per oggetto: <Credito agrario di conduzione con provvista in valuta estera>>, comunicata il 14 novembre 1989 al Commissario del Governo, promosso con ricorso del Presidente del Consiglio dei ministri, notificato il 29 novembre 1989, depositato in cancelleria il 6 dicembre successivo ed iscritto al n. 103 del registro ricorsi 1989.

Udito nell'udienza pubblica del 6 marzo 1990 il Giudice relatore Vincenzo Caianiello;

uditi l'Avvocato dello Stato Gaetano Zotta per il ricorrente, e l'avvocato Giandomenico Falcon per la Regione.

Ritenuto in fatto

1.- Con ricorso notificato il 29 novembre 1989, il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, ha impugnato la legge della Regione Emilia-Romagna approvata l'8 giugno 1989 e riapprovata il 9 novembre 1989 (nel medesimo testo rinviato dal Governo), concernente il "credito agrario di conduzione con provvista in valuta estera".

Si deduce in primo luogo nel ricorso che la concessione ad istituti esercenti il credito agrario di contributi "a garanzia del rischio di cambio", per le operazioni relative all'acquisto di valuta estera destinata all'accensione di "prestiti di conduzione" ad imprenditori agricoli singoli o associati, favorirebbe l'indebitamento all'estero in valuta, rendendo incompatibile la disciplina in oggetto con l'art. 117 della Costituzione che non consente alle regioni di intervenire direttamente o indirettamente sui flussi finanziari con l'estero, incidendo sul mercato dei cambi e quindi sul valore esterno della moneta nazionale.

La normativa impugnata violerebbe inoltre l'art. 109 del d.P.R. n. 616 del 1977 che - in attuazione dell'art. 117 della Costituzione, dal cui ambito esula la materia monetaria e creditizia e, ovviamente, la provvista all'estero di risorse finanziarie - avrebbe trasferito alle regioni una serie di funzioni tassativamente indicate, tra le quali non rientra la concessione di contributi a garanzia del rischio di cambio. Peraltro, quand'anche tal tipo di intervento - in quanto diretto ad agevolare l'accesso al credito - si ritenesse di competenza delle regioni, l'attività di quest'ultime resterebbe pur sempre limitata - ai sensi del quarto comma del citato art. 109 - alla mera determinazione dei criteri applicativi dei provvedimenti (di incentivazione) definiti in sede statale.

Un ulteriore motivo di incostituzionalità viene poi ravvisato nella violazione dei principi della legislazione statale in materia, espressi dall'art. 13 della legge 22 dicembre 1984, n. 887, nei cui comma terzo e seguenti si prevede che lo Stato - per le operazioni di credito agrario in valuta estera - possa garantire il rischio di cambio, ma a determinate condizioni e limiti che non risulterebbero rispettati dalla denunciata normativa regionale. Contrariamente a quest'ultima, infatti, nella disciplina statale, la garanzia viene accordata solo per crediti agrari di miglioramento, per oscillazioni eccedenti il 2%, per operazioni di durata minima ultraquinquennale, e non oltre un controvalore massimo - in linea capitale - predeterminato.

La circostanza poi che l'operatività del contributo regionale a garanzia del rischio di cambio non sia subordinata al semplice verificarsi dei suoi presupposti legali, ma venga invece condizionata (art. 2 della legge) alla previa stipula di convenzioni fra la regione e gli istituti di credito, restando così sostanzialmente affidata alle libere scelte degli amministratori regionali, darebbe luogo, ad avviso dei ricorrente, ad una concreta ingerenza nell'"ordinamento creditizio", con conseguente violazione dell'art. 109, comma 2, del d.P.R. n. 616 del 1977, che riserva allo Stato la competenza in tale settore.

Si deduce, infine, l'illegittimità della norma di cui al quarto comma dell'art. 1 della legge in questione che, ponendo "a carico del beneficiario" l'eventuale onere derivante da una variazione del cambio in misura superiore a quella garantita dalla regione, utilizzerebbe il termine "beneficiario" in modo tutt'altro che chiaro "con possibili riflessi sulla disciplina dei rapporti interprivati".

2.- Con atto depositato il 22 dicembre 1989 la Regione Emilia-Romagna si é costituita in giudizio eccependo, preliminarmente, che tutte le censure contenute nel ricorso - ad eccezione di quella concernente la presunta violazione dei principi generali posti nella materia dalla legge statale n. 887 del 1984 - risulterebbero inammissibili, perchè formulate per la prima volta in sede di impugnativa, senza essere state in alcun modo prospettate nel precedente atto di rinvio governativo.

Circa il lamentato effetto di indebitamento verso l'estero, che la normativa impugnata Provocherebbe, la regione osserva che il motivo di illegittimità così dedotto risulterebbe ulteriormente inammissibile, in quanto attinente ad una violazione dell'interesse nazionale la cui cognizione é di esclusiva competenza del Parlamento. Nel merito, peraltro, la censura sarebbe infondata, sia perchè poggiante su di una mera illazione, sia perchè la legge regionale, non essendo diretta a disciplinare il fenomeno del ricorso alla provvista di valuta estera, ma, più semplicemente ad agevolare un determinato tipo di credito agrario, atterrebbe, ai sensi dell'art. 109 del d.P.R. n. 616/77, a materie di competenza regionale. Peraltro, il quarto comma del predetto art. 109, letto unicamente alle disposizioni che lo precedono, non ridurrebbe le funzioni regionali ad una semplice potestà attuativa, ma, al contrario, garantirebbe l'esercizio di poteri regionali anche in presenza di benefici a carattere statale o comunitario.

In ordine alla presunta inosservanza dei principi stabiliti nella materia dall'art. 13 della legge n. 887 del 1984, la regione osserva che tale norma confermerebbe anzitutto che, alla luce del vigente ordinamento, tra i vari strumenti di incentivazione del settore agricolo, deve comprendersi anche la garanzia del rischio di cambio. Per quanto attiene invece alla diversità di disciplina, la resistente afferma che le differenze denunciate dallo Stato costituirebbero una semplice espressione della propria autonomia legislativa e non già una violazione di regole che non possono in alcun modo considerarsi principi.

Quanto alla censurata necessità di stipulare convenzioni con gli istituti di credito ai fui dell'operatività della garanzia, la regione ritiene che tale garanzia non potrebbe mai operare "in modo automatico" come sostiene invece il ricorrente, in quanto l'attività degli operatori finanziari non può costituire oggetto di disciplina regionale. La denunciata indeterminatezza dei termine "beneficiario" di cui all'art. 1, quarto comma, della legge impugnata, non potrebbe, infine, vanificare l'evidente intento della disposizione di porre un limite, oltre il quale il rischio di cambio deve comunque gravare (come accadrebbe in assenza di qualsiasi garanzia) sull'effettivo beneficiario dell'operazione.

Considerato in diritto

1. - Con ricorso in via principale, il Presidente del Consiglio dei ministri ha impugnato la legge regionale dell'Emilia-Romagna riapprovata il 9 novembre 1989, concernente il <credito agrario di conduzione con provvista in valuta estera>. Si sostiene nel ricorso che la legge, prevedendo un contributo della Regione a garanzia del rischio di cambio per la erogazione, da parte degli istituti esercenti il credito agrario, di <prestiti di conduzione> con fondi derivanti da provvista in valuta estera e disciplinando la misura massima e le modalità di concessione ed erogazione di tale contributo, contrasta: a) con l'art. 117 della Costituzione perchè interviene sui flussi finanziari con l'estero, incidendo sul mercato dei cambi; b) con l'art. 109 del d.P.R. n. 616 del 1977 perchè la materia monetaria e creditizia esula da quelle di competenza regionale e perchè, quand'anche i contributi si inquadrassero negli interventi diretti ad agevolare l'accesso al credito, la competenza regionale resterebbe limitata alla determinazione dei criteri applicativi dei provvedimenti di incentivazione definiti in sede statale; c) con i principi della legislazione statale in materia, espressi dall'art. 13 della legge 22 dicembre 1984, n. 887 che prevede la garanzia solo per i crediti di miglioramento, di durata ultraquinquennale, relativa mente alle variazioni di cambio superiori al 2%, e, in ogni caso limitatamente ad un controvalore massimo predeterminato, 1à dove la legge regionale impugnata estende la garanzia ai crediti di conduzione, senza limiti di tempo, per le variazioni inferiori al 2% e senza la predeterminazione di un controvalore. Si sostiene, altresì, in particolare: che l'art. 1, quarto comma, ponendo a carico del <beneficiario> l'eventuale onere derivante da una variazione del cambio superiore al 2% ed utilizzando il termine <beneficiario> in modo ambiguo, nel senso, cioè, della sua possibile riferibilità all'Istituto di credito anzichè all'imprenditore agricolo, possa incidere sulla disciplina dei rapporti interprivati, addossando all'Istituto tale onere; che l'art. 2 della legge impugnata contrasti con l'art. 109, secondo comma, del d.P.R. n. 616 del 1977, perchè subordina l'operatività del contributo in parola non al verificarsi dei suoi presupposti legali, ma alla precisa stipula di convenzioni fra la regione e gli istituti di credito, lasciando così l'individuazione di questi ultimi alla libera determinazione degli amministratori regionali, con conseguente ingerenza nel settore del credito.

2.1.-Va preliminarmente disattesa l'eccezione di inammissibilità formulata dalla Regione Emilia-Romagna - sia in relazione alle censure riguardanti la legge nel suo complesso ed in precedenza indicate sub a) e b), sia in relazione alle censure concernenti, in particolare, l'art. 1, quarto comma e l'art. 2 - nell'assunto che le stesse non sarebbero state in alcun modo prospettate nel precedente atto di rinvio governativo.

In proposito va rilevato che, come questa Corte ha costantemente affermato (sentt. n. 221 del 1975, n. 212 del 1976, n. 72 del 1985 ed altre ivi richiamate), è sufficiente, ai fini della ammissibilità delle censure, che esse trovino riscontro sia pur generico nella determinazione governativa di rinvio, purchè i motivi di questa coincidano con quelli della successiva impugnazione <almeno nelle loro linee essenziali> (sent. n. 132 del 1975 e n. 147 del 1972) anche se in sede di rinvio solo <sinteticamente enunciati> (sent. n. 8 del 1967).

Nella specie sussiste tale rispondenza tra le censure formulate nel ricorso ed il provvedimento di rinvio nel quale non solo si fa riferimento ad una asserita ingerenza della Regione <nella materia dell'ordinamento del credito> ma si individua, altresì, il parametro normativo nell'art. 109 del d.P.R. n. 616 del 1977, e cioè i due punti essenziali su cui si sviluppa il successivo iter argomentativo del ricorso. Risultano perciò soddisfatte le condizioni cui questa Corte ha costantemente subordinato, sotto il profilo indicato, l'ammissibilità dell'impugnativa delle leggi regionali.

2.2. -Va disattesa anche l'eccezione di inammissibilità relativa alla parte del ricorso in cui si lamenta che la legge regionale <incentiverebbe l'indebitamento estero in valuta>. L'assunto secondo cui si sarebbe in presenza di una censura di merito non può essere condiviso perchè, secondo questa Corte (sent. n. 991 del 1988), le censure di merito si differenziano da quelle di legittimità per il dato formale che le regole o gli interessi assunti come parametro del giudizio non siano sanciti in alcuna norma della Costituzione, mentre nel caso in esame il ricorrente fonda le proprie richieste sulla pretesa violazione di norme costituzionali (art. 117 della Costituzione) e di norme interposte (art. 109 del d.P.R. n. 616 del 1977).

3.1. - Nel merito il ricorso è infondato.

Per quel che riguarda le censure in precedenza indicate sub a) e sub b) va rilevato che, una volta che l'art. 109, primo comma, del d.P.R. n. 616 del 1977 considera tra le funzioni trasferite alle Regioni <ogni tipo di intervento per agevolare l'accesso al credito nei limiti massimi stabiliti in base a legge dello Stato>, è inevitabile che in via indiretta si producano effetti sulla manovra del credito e che, quando, come nella specie, si tratti di attingere da risorse estere, tali interventi finiscano con l'incidere sui movimenti valutari e quindi sulla moneta. Ma voler dedurre, dal prodursi di tali effetti mediati, l'impedimento per le Regioni di intervenire con misure agevolative del credito, significherebbe svuotare la competenza loro espressamente attribuita dall'art. 109 del d.P.R. n. 616.

D'altronde l'eventualità che, attraverso un eccesso di interventi agevolativi, possa verificarsi una alterazione delle linee di politica nazionale in materia creditizia e, quindi, monetaria e valutaria, è scongiurata dalle previsioni contenute nello stesso art. 109, il quale precisa che tali interventi possano attuarsi <nei limiti massimi stabiliti in base a legge dello Stato> e <<che resta ferma la competenza degli organi statali relativa all'ordinamento creditizio, agli istituti che esercitano il credito, alla determinazione dei tassi minimi praticabili dagli istituti>>, rinviando altresì alla legislazione dello Stato (art. 3, legge 22 luglio 1975, n. 382) per la determinazione dei <tassi minimi di interesse agevolati a carico dei beneficiari>.

Così individuati i limiti della legislazione concorrente, in un quadro di contemperamento dell'interesse regionale volto a perseguire, attraverso una politica di incentivi, lo sviluppo delle attività economico-produttive attinenti alle materie trasferite, con quello statale diretto a mantenere sotto controllo l'ordinamento creditizio ed i riflessi sui flussi monetari e valutari, non può condividersi l'altro assunto del ricorrente secondo cui l'attribuzione regionale riguarderebbe <solo> le funzioni di determinazione di criteri applicativi delle agevolazioni stabilite in sede statale. Invero il quarto comma dell'art. 109 cit. fa riferimento alle misure applicative non per escluderne altre, ma per comprendere anche quelle che servano a rendere operativi sul piano concreto i provvedimenti regionali.

Quest'ultima disposizione stabilisce difatti che: <Il trasferimento di funzioni di cui al primo comma comprende le funzioni di determinazione dei criteri applicativi dei provvedimenti regionali di agevolazione creditizia, di prestazione di garanzie e di assegnazione di fondi, anticipazioni e quote di concorso, destinati alla agevolazione dell'accesso al credito sulle materie di competenza regionale, anche se relativi a provvedimenti di incentivazione definiti in sede statale e comunitaria>.

Sulla base del testo della disposizione citata non può perciò seguirsi la tesi secondo cui in virtù di essa le Regioni potrebbero determinare, come si afferma nel ricorso, solo criteri applicativi <allorquando lo Stato esercita la sua competenza-che è rimasta generale-in tema di agevolazioni dell'accesso al credito>. Invece, sia da detta disposizione che dalla rimanente parte dell'art. 109 cit. (di cui si è già fatto cenno in precedenza) risulta che le Regioni, <nei limiti massimi stabiliti in base a legge dello Stato>, possano esse stesse adottare provvedimenti di carattere agevolativo e che, quando li adottino, possano anche determinare i loro criteri applicativi.

Difatti, come si è rilevato, per l'art. 109, quarto comma, cit., <il trasferimento di funzioni ... comprende le funzioni di determinazione dei criteri applicativi dei provvedimenti regionali> destinati alla agevolazione dell'accesso al credito nelle materie di competenza regionale, il che suppone che non siano solo i criteri applicativi ad essere contemplati nella disposizione interposta, ma anche le misure innovative adottate nel rispetto dei principi statali.

3.2.-Quanto alla censura (indicata sub c), con la quale si denuncia una asserita violazione dei principi della legislazione statale in materia, espressi dall'art. 13 della legge 22 dicembre 1484, n. 887, va rilevato che da detta disposizione non può ricavarsi, come si assume, un impedimento per le regioni ad adottare, per i prestiti con provvista dall'estero, misure agevolative sul rischio di cambio anche per crediti agrari di conduzione.

La circostanza che il citato art. 13 si occupi solo dei crediti agrari di miglioramento non esclude che le regioni, ove ritengano di intervenire, possano adottare provvedimenti agevolativi per i crediti di conduzione, perchè dalla citata disposizione, rivolta a dettare principi e limiti per i crediti agrari di miglioramento, non può certo desumersi il divieto per le regioni di intervenire con crediti di conduzione.

Come ha chiarito questa Corte (sent. n. 441 del 1988), se dalla legislazione statale in tema di agevolazioni creditizie può desumersi un principio che esclude facilitazioni a carico delle finanze pubbliche per crediti di mero esercizio, questo principio generale è derogato per il credito agrario dall'art. 1, lett. Q) della legge 1° luglio 1977, n. 403, data la peculiarità della materia, il che conferma che all'art. 13 della legge n. 887 del 1984 non può attribuirsi l'effetto impeditivo affermato dalla ricorrente.

3.3. - Chiarita nei sensi anzidetti la portata dell'art. 13 citato, i principi ed i limiti ivi dettati per i prestiti di miglioramento, non sono applicabili a quelli di conduzione aventi caratteristiche diverse. Così è, in particolare, per il limite degli interventi agevolativi previsti solo per i prestiti aventi durata ultraquinquennale, dal momento che una durata del genere, concepibile per i crediti di miglioramento, non può riguardare i prestiti di esercizio necessariamente legati a periodi più brevi.

Così, ancora, è per l'altra previsione dell'art. 13 cit. che, relativamente ai prestiti di miglioramento, limita il contributo per il rischio di cambio solo alle variazioni superiori al 2%: è di tutta evidenza come la diversa previsione della legge regionale, che contempla invece il contributo della regione solo per le variazioni inferiori al 2%, discenda proprio dalla peculiarita del credito di conduzione, legato a periodi breve e ad oscillazioni presumibilmente inferiori perchè appunto riferite alla annata agraria, per cui appare giustificata la scelta legislativa della regione diretta a coprire, in funzione agevolativa, le perdite più probabili.

Quanto infine alla mancata indicazione di un controvalore delle operazioni complessivamente compiute che, nella citata normativa statale, concernente i crediti di miglioramento, è determinato in una misura massima in linea capitale che costituisce il limite globale degli incentivi, va rilevato che nella legge regionale impugnata gli interventi non sono previsti senza limiti. Questi sono difatti rinvenibili nella copertura finanziaria indicata dall'art. 4 della legge, disposizione che non è stata peraltro impugnata per quanto attiene alle modalità di previsione della copertura stessa.

 

4. - Anche la censura che riguarda in particolare l'art. 1, quarto comma, deve essere disattesa perchè, come risulta dalla sua stessa formulazione, fatta in modo dubitativo, essa muove da una lettura non con sentita dal testo della norma impugnata.

La Presidenza del Consiglio accenna, difatti, alla possibilità che il termine <beneficiario>, ivi adoperato nell'addossare il rischio delle variazioni superiori al 2%, possa intendersi riferito all'Istituto di credito anzichè al destinatario del prestito, per cui la norma inciderebbe sui rapporti interprivati.

Non può invece dubitarsi che, adoperando il suddetto termine, la legge regionale si sia riferita al destinatario del prestito, il che esclude che si sia voluta addossare all'ente creditizio l'eventuale perdita, eccedente tale variazione, per cui la perdita stessa rimane, invece, in capo a colui nei cui confronti dovrebbe comunque incidere la variazione, anche indipendentemente dalle misure agevolative.

5. -Per quel che riguarda infine la censura relativa all'art. 2 della legge impugnata, la circostanza che, in base a quanto previsto da tale norma, la regione che si accolla l'onere dell'intervento si premunisca con la stipula di convenzioni con gli enti di credito, costituisce una elementare misura per garantire che i risultati siano conformi agli scopi perseguiti dalla legge. Che poi la scelta degli Istituti possa in tal modo essere condizionata da valutazioni arbitrarie è un rischio che attiene ad ogni scelta di carattere discrezionale, la cui conformità alle regole dell'imparzialità rimane pur sempre affidata al meccanismo dei controlli amministrativi e della responsabilità politica, connessi all'esercizio dei pubblici poteri da parte degli organi regionali.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale della legge della Regione Emilia-Romagna, approvata l'8 giugno 1989 e riapprovata il 9 novembre 1989 concernente il <Credito agrario di conduzione con provvista in valuta estera>, sollevata dal Presidente del Consiglio dei ministri con ricorso 29 novembre 1989, in riferimento agli artt. 117 della Costituzione e 109 del d.P.R. n. 616 del 1977.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 23/05/90.

Francesco SAJA, PRESIDENTE

Vincenzo CAIANIELLO, REDATTORE

Depositata in cancelleria il 25/05/90.