Sentenza n. 118 del 1990

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SENTENZA N.118

 

ANNO 1990

 

 

REPUBBLICA ITALIANA

 

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori Giudici:

 

Prof. Francesco SAJA, Presidente

 

Prof. Giovanni CONSO

 

Prof. Ettore GALLO

 

Prof. Giuseppe BORZELLINO

 

Dott. Francesco GRECO

 

Prof. Renato DELL'ANDRO

 

Prof. Gabriele PESCATORE

 

Avv. Ugo SPAGNOLI

 

Prof. Francesco Paolo CASAVOLA

 

Prof. Antonio BALDASSARRE

 

Prof. Vincenzo CAIANIELLO

 

Avv. Mauro FERRI

 

Prof. Luigi MENGONI

 

Prof. Enzo CHELI

 

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nei giudizi di legittimità costituzionale degli artt. 1 e 2 della legge 1° giugno 1939, n. 1089 (Tutela delle cose di interesse artistico e storico), promossi con le seguenti ordinanze:

 

1) ordinanza emessa l'8 giugno 1989 dal T.A.R. del Lazio sul ricorso proposto da Canepa Pietro ed altro contro il Ministero per i beni culturali ed ambientali, iscritta al n. 469 del registro ordinanze 1989 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 43, prima serie speciale, dell'anno 1989;

 

2) ordinanza emessa il 13 aprile 1989 dal T.A.R. del Lazio sul ricorso proposto da Perugia Alessandro ed altri contro il Ministero per i beni culturali ed ambientali ed altro, iscritta al n. 493 del registro ordinanze 1989 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 44, prima serie speciale, dell'anno 1989.

 

Visto l'atto di costituzione di Perugia Alessandro ed altri nonchè gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

 

udito nell'udienza pubblica del 17 gennaio 1990 il Giudice relatore Francesco Greco;

 

uditi gli avv.ti Giovanni Vanin e Renato Di Castro per Perugia Alessandro ed altri e l'Avvocato dello Stato Pier Giorgio Ferri per il Presidente del Consiglio dei ministri.

 

Ritenuto in fatto

 

1.- Con D.M. del 4 aprile 1987, il Ministro per i beni culturali e ambientali sottoponeva a vincolo, ai sensi della legge 10 giugno 1939, n. 1089, l'"Antico Caffé Genovese" di Cagliari, dichiarato di interesse particolarmente importante.

 

Avverso tale provvedimento ricorrevano al T.A.R. Lazio Canepa Pietro e Canepa Francesco, proprietari del predetto locale, deducendo la violazione degli artt. 1, 2 e 3 della legge n. 1089 del 1939, ed eccesso di potere.

 

L'adito Tribunale, con ordinanza emessa l'8 giugno 1989 (R.0. n. 469 del 1989), ha sollevato questione di legittimità costituzionale, in riferimento all'art. 9 della Costituzione, degli artt. 1 e 2 della citata legge. nella parte in cui non prevedono la possibilità di tutelare attività tradizionali caratterizzanti una parte del territorio cittadino ed, in particolare, i centri storici.

 

Ha osservato che dal contenuto del D.M. impugnato si evince che esso non ha inteso tanto tutelare l'arredo e i decori dei locale, quanto, soprattutto, assicurare la continuità dell'attività commerciale ivi esercitata, in quanto tradizionalmente connessa al centro storico di Cagliari.

 

Ma tale finalità é estranea alla Previsione della legge n. 1089 del 1939, la quale tutela cose materiali, sia che presentino particolare interesse storico, artistico, archeologico o etnografico (art. 1), sia che tale carattere abbiano acquistato per il loro riferimento ad accadimenti della storia politica, militare della letteratura, dell'arte e della cultura in genere (art. 2).

 

La previsione di limiti alla destinazione delle cose di interesse storico e artistico, operata dall'art. 11 cpv., che consente all'Amministrazione di vietare usi non compatibili con il carattere delle cose predette o tali da arrecare pregiudizio alla loro conservazione ed integrità, secondo il giudice a quo, avrebbe solo portata strumentale e non autonomo rilievo.

 

Ad avviso del Collegio, le stesse norme, però, proprio nella parte in cui non prevedono la possibilità di tutelare attività culturalmente rilevanti e caratterizzanti l'assetto di una via, di un quartiere di una zona. contrasterebbero con il precetto dell'art. 9 della Costituzione in base al quale il bene "cultura" costituisce un valore fondamentale per cui devono tutelarsi tutti gli interessi che riguardano il modo di essere della comunità.

 

2.- Nel giudizio é intervenuta l'Avvocatura generale dello Stato, in rappresentanza del Presidente del Consiglio dei ministri, che ha concluso per la inammissibilità, e, comunque, per la infondatezza della questione. Ha sostanzialmente condiviso l'esigenza di proteggere beni culturali., ma ha prospettato la possibilità che la tutela sia assicurata dalle norme denunciate mediante una interpretazione più adeguata all'evoluzione dei tempi, secondo cui i vari tipi di interessi culturali da esse considerati possano avere la loro matrice in un'attività che si trasfonda in una caratterizzazione culturale della cosa.

 

Ha rilevato che l'esigenza di protezione culturale in relazione all'uso può anche esprimersi in effetti corrispondenti ad un vincolo di destinazione che, agendo sulla proprietà e non sul diritto di iniziativa economica, ha carattere reale e non personale, non potendosi confondere con l'obbligo di esercitare 1,attività, che si porrebbe in contrasto con altri principi di rango costituzionale.

 

3.- Identica questione é stata sollevata dallo stesso T.A.R. Lazio con ordinanza emessa il 13 aprile 1989 (R.0. n. 493 del 1989), sul ricorso proposto da Perugia Alessandro ed altri, per l'annullamento del D.M. del 12 novembre 1984, con il quale il Ministero per i beni culturali e ambientali, nel sottoporre a vincolo, ai sensi dell'art. 3 della legge n. 1089 del 1939, il "Palazzo Fiano", sito in Roma, ha dichiarato d'interesse particolarmente importante, ai sensi degli artt. 1 e 2 della predetta legge la "Gioielleria Masenza", ubicata nello stesso palazzo.

 

Il giudice a quo ha svolto argomentazioni identiche a quelle poste a base dell'ordinanza precedente

 

4.- Nel giudizio si é costituita la parte privata che ha concluso per la manifesta infondatezza della questione.

 

Nella memoria ha poi precisato che il titolare della licenza di esercizio della gioielleria in questione si é definitivamente ritirato dal commercio dei preziosi, e che i locali, pur nella disponibilità dei legittimi proprietari, sono chiusi da tempo, ed ha osservato che, in sostanza, estendendo il vincolo dell'attività commerciale, se ne imporrebbe agli interessati la ripresa, in contrasto con il principio della libertà di iniziativa economica privata, tutelato dall'art. 41 della Costituzione.

 

Il vincolo, inoltre, violerebbe anche l'art. 42 della Costituzione, il quale prevede che la proprietà privata possa essere sottoposta a limiti solo per assicurare la funzione sociale, mentre, nel caso di specie, il preteso interesse generale perseguito non potrebbe essere attuato poichè il bene che si intende tutelare non é un valore culturale attuale.

 

5.- É intervenuta l'Avvocatura generale dello Stato, in rappresentanza del Presidente del Consiglio dei ministri, rassegnando identiche conclusioni che nel precedente giudizio con le stesse argomentazioni.

 

6.- Nell'imminenza dell'udienza la difesa della parte privata ha depositato memoria, ma fuori termine.

 

Considerato in diritto

 

1.- I due giudizi, siccome prospettano identica questione, per evidenti ragioni di connessione possono essere riuniti e decisi con un unico provvedimento.

 

2.-Il T.A.R. Lazio dubita della legittimità costituzionale degli artt. 1 e 2 della legge 1° giugno 1939, n. 1089, nella parte in cui non prevedono la possibilità di tutelare attività tradizionali caratterizzanti una parte del territorio cittadino ed, in particolare, i centri storici, in quanto risulterebbe violato l'art. 9 della Costituzione, non risultando tutelato il bene < cultura> assunto, per effetto del precetto costituzionale, a principio fondamentale dell'ordinamento.

 

3. - La questione non è fondata.

 

Gli artt. 1 e 2 della legge n. 1089 prevedono la tutela rispettivamente dei beni (cose mobili o immobili) di interesse storico, artistico, archeologico, etnografico (art. 1) e di beni di interesse particolarmente importante per il loro riferimento alla storia politica, militare, della letteratura, dell'arte e della cultura in genere (art. 2).

 

L'art. 11 della stessa legge vieta delle suddette cose una destinazione ed un uso non compatibile con il loro carattere e, comunque, tale da pregiudicarne la conservazione e l'integrità.

 

La tutela dei beni è determinata dal loro valore < culturale> e dal relativo interesse pubblico, da accertarsi con atto amministrativo discrezionale, soggetto al sindacato del giudice amministrativo. Nella specie lo ha esercitato il giudice remittente che, peraltro, ha ritenuto oggetto del vincolo l'attività commerciale relativa ai beni in esame piuttosto che i beni stessi (arredi, decori, mobili vari ecc.).

 

4. - Il valore culturale dei beni di cui all'art. 2 su richiamato, al cui genere appartengono quelli di cui trattasi, è dato dal collegamento del loro uso e della loro utilizzazione pregressi con accadimenti della storia, della civiltà o del costume anche locale. In altri termini, essi possono essere stati o sono luoghi di incontri e di convegni di artisti, letterati, poeti, musicisti ecc.; sedi di dibattiti e discussioni sui più vari temi di cultura, comunque di interesse storico-culturale, rilevante ed importante, da accertarsi dalla pubblica amministrazione competente. La detta utilizzazione non assume rilievo autonomo, separato e distinto dal bene ma si compenetra nelle cose che ne costituiscono il supporto materiale e, quindi, non può essere protetta separatamente dal bene, come si pretenderebbe.

 

L'esigenza di protezione culturale dei beni, determinata dalla loro utilizzazione e dal loro uso pregressi, si estrinseca in un vincolo di destinazione che agisce sulla proprietà del bene e può trovare giustificazione, per i profili costituzionali, nella funzione sociale che la proprietà privata deve svolgere (art. 42 della Costituzione).

 

Il vincolo non può assolutamente riguardare l'attività culturale in sè e per sè, cioè, considerata separatamente dal bene, la quale attività, invece, deve essere libera secondo i precetti costituzionali (artt. 2, 9 e 33).

 

La stessa iniziativa economica è libera, salvo il suo indirizzo e coordinamento a fini sociali a mezzo leggi (art. 41 della Costituzione).

 

Vi sono certamente attività culturali (c.d. beni-attività) che lo Stato tutela con incentivi vari, specie di natura finanziaria, disposti con leggi apposite, distinte da quella in esame.

 

Anche i centri storici, cui ha fatto riferimento il giudice remittente, hanno una protezione particolare e peculiare. L'art. 4 del decreto-legge n. 832 del 1986, convertito in legge n. 15 del 1987, demanda alla discrezionalità del sindaco, in occasione del rilascio delle licenze di commercio per i locali siti nelle varie zone del centro storico, la valutazione della compatibilità di alcune attività commerciali con le caratteristiche delle suddette zone.

 

5.-In tale situazione non risulta affatto violato l'art. 9 della Costituzione. Esso impegna la Repubblica ad assicurare, tra l'altro, la promozione e lo sviluppo della cultura nonchè la tutela del patrimonio storico ed artistico della Nazione, quale testimonianza materiale della civiltà e della cultura del Paese.

 

Anche per quanto si desume da altri precetti costituzionali, lo Stato deve curare la formazione culturale dei consociati alla quale concorre ogni valore idoneo a sollecitare e ad arricchire la loro sensibilità come persone, nonchè il perfezionamento della loro personalità ed il progresso anche spirituale oltre che materiale. In particolare, lo Stato, nel porsi gli obiettivi della promozione e dello sviluppo della cultura, deve provvedere alla tutela dei beni che sono testimonianza materiale di essa ed assumono rilievo strumentale per il raggiungimento dei suddetti obiettivi sia per il loro valore culturale intrinseco sia per il riferimento alla storia della civiltà e del costume anche locale; deve, inoltre, assicurare alla collettività il godimento dei valori culturali espressi da essa.

 

PER QUESTI MOTIVI

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

riunisce i giudizi;

 

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale degli artt. 1 e 2 della legge 1° giugno 1939, n. 1089 (Tutela delle cose di interesse artistico e storico) in riferimento all'art. 9 della Costituzione, sollevata dal Tribunale amministrativo regionale del Lazio con le ordinanze in epigrafe.

 

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 06/03/90.

 

Francesco SAJA, PRESIDENTE

 

Francesco GRECO, REDATTORE

 

Depositata in cancelleria il 09/03/90.