Sentenza n. 72 del 1990

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SENTENZA N.72

 

ANNO 1990

 

 

REPUBBLICA ITALIANA

 

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori Giudici:

 

Prof. Francesco SAJA, Presidente

 

Prof. Giovanni CONSO

 

Prof. Ettore GALLO

 

Dott. Aldo CORASANITI

 

Prof. Giuseppe BORZELLINO

 

Dott. Francesco GRECO

 

Prof. Renato DELL'ANDRO

 

Prof. Gabriele PESCATORE

 

Avv. Ugo SPAGNOLI

 

Prof. Francesco Paolo CASAVOLA

 

Prof. Antonio BALDASSARRE

 

Prof. Vincenzo CAIANIELLO

 

Avv. Mauro FERRI

 

Prof. Luigi MENGONI

 

Prof. Enzo CHELI

 

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nei giudizi di legittimità costituzionale dell'art. 21, sesto comma, della legge 11 marzo 1988, n. 67 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 1988), dell'art. 3, comma secondo bis, del decreto- legge 21 marzo 1988, n. 86 (Norme in materia previdenziale, di occupazione giovanile e di mercato del lavoro, nonchè per il potenziamento del sistema informatico del Ministero del lavoro e della previdenza sociale), convertito, con modificazioni, nella legge 20 maggio 1988, n. 160, promossi con le seguenti ordinanze:

 

1) ordinanza emessa l'8 giugno 1989 dal Pretore di Pistoia nel procedimento civile vertente tra Cappelli Osmano e l'I.N.P.S., iscritta al n. 429 del registro ordinanze 1989 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 39, prima serie speciale, dell'anno 1989;

 

2) ordinanza emessa il 2 giugno 1989 dal Pretore di Viterbo nel procedimento civile vertente tra Biaggioli Guido ed altro e l'I.N.P.S., iscritta al n. 430 del registro ordinanze 1989 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 39, prima serie speciale, dell'anno 1989.

 

Visti gli atti di costituzione di Cappelli Osmano, di Biaggioli Guido ed altro e dell'I.N.P.S. nonchè l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

 

udito nell'udienza pubblica del 12 dicembre 1989 il Giudice relatore Ugo Spagnoli;

 

uditi gli avv.ti Francesco Paolo Rossi per Cappelli Osmano, Parisio Ravajoli per Biaggioli Guido ed altro e Pasquale Vario per l'I.N.P.S. e l'Avvocato dello Stato Luigi Siconolfi per il Presidente del Consiglio dei ministri.

 

Ritenuto in fatto

 

1.- Con ordinanza emessa il 2 giugno 1989 nel corso di un procedimento civile promosso da Biaggioli Guido e Meschini Mario contro l'I.N.P.S., il Pretore di Viterbo ha sollevato, in riferimento all'art. 3 Cost., una questione di legittimità costituzionale degli artt. 21, comma sesto, della legge 11 marzo 1988, n. 67 (legge finanziaria 1998) e 3, comma 2-bis della legge 20 maggio 1988, n. 160, di conversione del decreto-legge 21 marzo 1988, n. 86.

 

La prima di tali disposizioni prevede il computo ai fini della determinazione delle pensioni del regime generale, "a decorrere dal 1° gennaio 1988", della retribuzione imponibile eccedente il limite massimo della retribuzione annua pensionabile, secondo aliquote decrescenti indicate in apposita tabella; la quota di pensione così calcolata si somma alla pensione determinata in base al suddetto limite massimo e diviene parte integrante di essa a tutti gli effetti.

 

La seconda, interpretando la prima, stabilisce che la retribuzione pensionabile va calcolata sulla media delle retribuzioni imponibili e pensionabili, rivalutate a norma dell'undicesimo comma dell'art. 3 della legge n. 297 del 1982 e relativa alle ultime duecentosessanta settimane di contribuzione. Premesso che ai ricorrenti le pensioni erano state liquidate, rispettivamente, il 1° settembre 1987 ed il 1° aprile 1986 e che il mancato computo di tale quota aggiuntiva comportava una differenza in meno, rispetto alle pensioni liquidate il 1° gennaio 1988 (a parità di anzianità contributiva e di retribuzione imponibile), rispettivamente del 57 e del 93%, il giudice a quo esclude, innanzitutto, che le suddette disposizioni possono essere intese come riferite anche alle pensioni liquidate anteriormente a quest'ultima data, dato che esse non contengono alcuna esplicita previsione in tal senso. Esclude, inoltre, che nella specie possano dirsi violati gli artt. 36 e 38 Cost. - come preteso dai ricorrenti - dato che tali censure dovrebbero appuntarsi sulla disposizione che ha stabilito il "tetto" pensionabile (art. 3, comma quarto, d.P.R. n. 488 del 1968), peraltro giudicata legittima da questa Corte (sentenza n. 173 del 1986). Ritiene, invece, che trattamenti pensionistici così macroscopicamente differenziati non possano essere giustificati in base alla sola data del collocamento a riposo. Lo sconfinamento dal ragionevole uso della discrezionalità legislativa - argomenta il Pretore - é stato escluso dalla Corte laddove i trattamenti non ricompresi in una data disciplina per ragioni temporali restino però assoggettati ad altro (meno utile) sistema perequativo (sentenze nn. 12 e 173 del 1986). Ma nel caso di specie non si tratta di sostituzione di un sistema perequativo od un altro, o di adeguamento del massimale pensionabile, bensì di soppressione del massimale e di una nuova e diversa strutturazione della pensione. sicchè dovrebbero essere qui applicati i criteri perequativi che la Corte ha ritenuto doverosi laddove macroscopiche differenze nei trattamenti pensionistici in ragione della data del collocamento a riposo derivano da una nuova strutturazione delle retribuzioni cui tali trattamenti vanno commisurati (sentenza n. 501 del 1988).

 

2.- Le parti private C. Biaggioli e M. Meschini, costituitesi a mezzo dell'avv. P. Ravajoli, dopo aver sottolineato le inique conseguenze della normativa sul "tetto" pensionabile, prospettano una soluzione interpretativa della questione, sostenendo che il riferimento alla data del 1° gennaio 1988 concerne non la decorrenza della pensione ma la decorrenza del computo della retribuzione imponibile eccedente il limite massimo di retribuzione annua pensionabile: computo il cui risultato si sommerebbe alla pensione determinata, o da determinarsi, senza limiti temporali.

 

Nello stesso senso deporrebbero sia il fatto che l'impugnato art. 21 comprende anche ipotesi in cui il diritto alla liquidazione era già maturato - quelle cioé decorrenti tra il 1° gennaio ed il 13 marzo 1988 - senza prevedere al riguardo alcuna riliquidazione; sia la ratio della norma, che sarebbe volta a rendere giustizia a chi già aveva subito la compressione del trattamento pensionistico conseguente al "tetto": ciò che dovrebbe comunque indurre ad un'interpretazione estensiva. In una memoria aggiunta la difesa prospetta, poi, l'ipotesi che un'interpretazione estensiva possa essere avvalorata dall'ordinanza n. 120 del 1989 di questa Corte.

 

In subordine, le parti private aderiscono alla prospettazione del giudice a quo, negando che nel caso di specie possa ricorrersi al criterio di necessaria gradualità nell'attuazione dei precetti costituzionali e sottolineando che le differenziazioni basate sul fattore temporale si giustificano solo se mantenute in limiti ragionevoli ed ancorate ad una necessaria gradualità di attuazione del principio di proporzionalità tra retribuzione e pensione e di adeguatezza di questa alle esigenze di vita. Nella specie, invece, trattasi di differenziazioni macroscopiche, che avrebbero potuto essere evitate senza eccessivi oneri finanziari per lo Stato e comportano che contributi versati nel medesimo periodo (tra il 1983 ed il 1987) siano utili per alcuni e non per altri: ciò che dà luogo ad un inammissibile privilegio a favore di chi gode già di pensioni più elevate in quanto commisurate a retribuzioni incrementate per effetto della dinamica salariale.

 

Ad avviso della difesa, inoltre, sarebbero violati anche gli artt. 36 e 38 Cost., costituenti logica proiezione del principio di uguaglianza, dato che l'intervento riequilibratore realizzato con le disposizioni impugnate assicura la proporzionalità della pensione e la sua adeguatezza per un'esistenza dignitosa soltanto ai pensionati post 1987.

 

La difesa nega, infine, che la discriminazione denunciata possa ritenersi transitoriamente tollerabile in considerazione dei miglioramenti pensionistici previsti dall'art. 3, secondo comma, della legge 29 dicembre 1988, n. 544: sia perchè i promessi interventi sarebbero "non vincolanti" e comunque quantitativamente irrisori (300 miliardi annui per circa 3 milioni di pensioni superiori al minimo); sia perchè essi, riguardando solo l'incremento della parte di pensione contenuta nei limiti del tetto pensionabile, concernerebbero un aspetto diverso e non incompatibile rispetto al computo delle retribuzioni eccedenti il tetto medesimo.

 

3.- L'I.N.P.S., costituitosi, sostiene che la differenziazione denunciata si giustifica in base al principio di gradualità nell'ampliamento o nell'ottimizzazione del sistema delle pensioni presidenziali, correlato all'esigenza di reperimento di nuove ed adeguate risorse; gradualità che nella specie andrebbe considerata nel quadro della vistosa integrazione finanziaria sostenuta dallo Stato ai fini del ripiano delle gestioni assicurative affidate all'I.N.P.S., ed in particolare degli oneri occorrenti per la separazione tra previdenza e assistenza (art. 21, terzo comma, legge n. 67 del 1988) e per la ristrutturazione dell'I.N.P.S. e dell'I.N.A.I.L. (art. 36 legge n. 88 del 1989).

 

4.- Il Presidente del Consiglio dei ministri, intervenuto tramite l'Avvocatura dello Stato, esprime innanzitutto "perplessità" circa la rispondenza al testo normativo della ritenuta esclusione, dall'ambito di operatività dell'art. 21, sesto comma, delle pensioni liquidate anteriormente al 10 gennaio 1988.

 

Ritiene, peraltro, che la questione sia infondata, e ciò sulla base di motivazioni analoghe a quelle addotte dall'I.N.P.S.

 

5.- Una questione analoga a quella sopra illustrata - ma riferita al solo art. 21, sesto comma, della legge n. 67 dei 1988 - é stata sollevata dal Pretore di Pistoia con ordinanza dell'8 giugno 1989, emessa nel corso di un procedimento civile vertente tra Cappelli Osmano e l'I.N.P.S. Anche detto Pretore esclude la possibilità di una soluzione interpretativa, rilevando che un ostacolo ad essa é dato anche dall'art. 3, secondo comma, legge n. 544 del 1988, con cui sono stati disposti miglioramenti pensionistici al fine di avviare, tra l'altra, "la rivalutazione ... delle pensioni limitate dal massimale di retribuzione pensionabile in vigore anteriormente al 1° gennaio 1988".

 

Ciò posto, il giudice a quo sostiene che le situazioni poste a raffronto sono in tutto identiche, e che perciò non si giustifica l'applicazione del "principio di produttività" dei contributi previdenziali, anche eccedenti il tetto pensionabile, ai soli lavoratori posti in quiescenza a partire dalla predetta data.

 

6.- la parte privata Cappelli Osmano, costituitasi a mezzo degli avv.ti F.P. Rossi e M. Scorza, osserva innanzitutto che la questione non concerne la riliquidazione della pensione nè coinvolge il cd. tetto pensionabile - rimasto inalterato - ma concerne il diritto autonomo alla quota aggiuntiva corrispondente alle retribuzioni eccedenti il tetto, reso esigibile attraverso la predeterminazione di appositi criteri di calcolo: diritto che dovrebbe spettare a tutti i pensionati che, alla data del lo gennaio 1988, possono far valere una retribuzione imponibile eccedente il tetto medesimo. Dato che la norma conferma tale diritto con effetto retroattivo, non vi sarebbero elementi idonei a differenziare le posizioni dei pensionati ante 1988 da quelle di chi sia andato in pensione tra il 1° gennaio ed il 13 marzo 1988; Anzi proprio ai primi dovrebbe applicarsi il principio di solidarietà sociale addotto a giustificazione del tetto medesimo.

 

7.- Nel suddetto giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri non é intervenuto e l'I.N.P.S. si é costituito tardivamente.

 

Considerato in diritto

 

1. -La riunione dei procedimenti consegue alla identità di materia oggetto delle ordinanze di rimessione.

 

Le questioni di legittimità costituzionale sollevate da queste ultime investono il sesto comma dell'art. 21 della legge 11 marzo 1988, n. 67 (Legge finanziaria 1988) nonchè il comma secondo bis dell'art. 3 del decreto-legge 21 marzo 1988, n. 86, convertito, con modificazioni, nella legge 20 maggio 1988, n. 160, impugnato dal solo Pretore di Viterbo.

 

La prima norma stabilisce che < a decorrere dal 1° gennaio 1988 ai fini della determinazione della misura delle pensioni a carico dell'assicurazione generale obbligatoria per l'invalidità, la vecchiaia e i superstiti dei lavoratori dipendenti, la retribuzione imponibile eccedente il limite massimo di retribuzione annua pensionabile previsto per l'assicurazione predetta è computata secondo le aliquote di cui alla allegata tabella. La quota di pensione così calcolata si somma alla pensione determinata in base al limite massimo suddetto e diviene, a tutti gli effetti, parte integrante di essa>. Il comma 2-bis dell'art. 3 del decreto-legge 21 marzo 1988, n. 86, convertito nella legge 20 maggio 1988, n. 160, ha poi disposto che la suddetta disposizione < si interpreta nel senso che la retribuzione pensionabile va calcolata sulla media delle retribuzioni imponibili e pensionabili, rivalutate a norma dell'undicesimo comma dell'art. 3 della legge 29 maggio 1982, n. 297, e relative alle ultime duecentosessanta settimane di contribuzione>.

 

Entrambi i giudici a quibus muovono dal presupposto che dalla corresponsione di tale quota integrativa di pensione siano esclusi i soggetti che, pur avendo fruito di una retribuzione imponibile eccedente il limite massimo di retribuzione annua pensionabile, siano titolari di pensione liquidata anteriormente al 1° gennaio 1988. E perciò sostengono che la prima (o entrambe) le suddette disposizioni contrasterebbero con l'art. 3 Cost., assumendo che non possa trovare razionale giustificazione nel solo elemento temporale la sperequazione, quantitativamente rilevante, che in tal modo si determina rispetto ai titolari di pensioni con decorrenza posteriore.

 

2.-La questione va preliminarmente esaminata sotto il profilo del l'interpretazione delle norme impugnate presupposta dai giudici a quibus, dato che la sua esattezza è non solo avversata dalle parti private, ma contraddetta dal diffuso orientamento della giurisprudenza di merito finora pronunciatasi sul punto. La stessa Avvocatura dello Stato, del resto, avanza in proposito esplicite < perplessità>.

 

Con l'impugnato art. 21, sesto comma, il legislatore ha mantenuto fermo il massimale di retribuzione pensionabile, fruente di un tasso di rendimento del 2 per cento annuo; ma ha disposto che anche la parte di retribuzione assoggettata a contribuzione eccedente detto massimale sia computata ai fini pensionistici e dia titolo ad una quota integrativa di pensione, peraltro con tassi di rendimento inferiori e via via decrescenti (1,50, 1,25 e 1 per cento).

 

Questa Corte, con la sentenza n. 173 del 1986, ha respinto i sospetti di incostituzionalità del sistema del c.d. tetto pensionabile, sottolineando tra l'altro la permanente validità degli intenti solidaristici che ne hanno ispirato l'introduzione, e quindi della necessità di richiedere < un più forte aiuto alle categorie più ricche> a fini di < solidarietà intersettoriale>; validità che va qui ribadita, così come va richiamata l'esigenza di evitare gli effetti distorsivi che sul vigente sistema .retributivo> di calcolo delle pensioni possono essere indotti da accentuate dinamiche retributive che per talune categorie intervengano nella fase terminale della vita lavorativa.

 

La Corte non ha però negato - a fronte delle molteplici censure prospettatele-che la disciplina della materia richiedesse sostanziali correzioni; e non ha perciò mancato di formulare < l'auspicio di una sollecita elaborazione di norme adeguate in materia di proporzione tra contributi, retribuzioni e pensione> (par. 10).

 

É noto, in effetti, che il divario - inizialmente trascurabile -tra la retribuzione imponibile ed il limite massimo di retribuzione annua pensionabile, è andato progressivamente crescendo per la mancata rivalutazione di tale limite pur in presenza di accentuati processi inflazionistici; e che, nonostante gli interventi di adeguamento, perequazione ed indicizzazione gradualmente introdotti a partire dal 1981, era assai diffuso negli anni più recenti il convincimento che occorresse intervenire in tale materia per correggere gli effetti di eccessiva compressione dei trattamenti pensionistici delle categorie medio-alte conseguenti alle dimensioni raggiunte da quel divario: ciò che è stato appunto realizzato con l'art. 21, sesto comma, della legge finanziaria 1988.

 

3.-Una corretta interpretazione di tale disposizione non può perciò non prendere le mosse dalla constatazione che il concreto funzionamento del sistema del c.d. tetto pensionistico comportava sacrifici che il legislatore ha considerato doveroso attenuare. Di conseguenza, in tanto è possibile ritenere che si sia inteso escludere dal beneficio proprio i soggetti che quei sacrifici avevano sopportato, in quanto consti un'univoca volontà legislativa in tal senso: tanto più se si considera che al permanere di un trattamento inadeguato si aggiungerebbe, in tal caso, l'aggravante di una sua consistente divaricazione rispetto a quello riservato a soggetti versanti nelle medesime condizioni, e ciò sulla base del mero dato temporale del collocamento a riposo.

 

Di un simile intento del legislatore non vi è traccia nel dibattito parlamentare sulla disposizione, frutto di un emendamento presentato dal Governo: ed anzi indizi in senso opposto potrebbero ricavarsi dalle valutazioni ivi espresse circa la sua idoneità a consentire < di mantenere la parità di trattamento ... nei confronti di coloro che pagano su tutta la retribuzione (e che, pertanto, vengono fortemente penalizzati)> (cfr. Atti Parlamentari della Camera dei deputati, seduta del 5 febbraio 1988).

 

Nè vale l'argomento che il Pretore di Viterbo vorrebbe trarre dall'assenza di norme sulla riliquidazione, a suo avviso necessaria ove il beneficio si intendesse esteso a soggetti cui la pensione sia già stata liquidata. Il meccanismo predisposto, in effetti, si esaurisce nell'erogazione della < quota> aggiuntiva di pensione-da sommare < alla pensione determinata in base al limite massimo> della retribuzione annua pensionabile-risultante dal computo, secondo le aliquote indicate in tabella, della retribuzione imponibile eccedente tale limite, calcolata sulla media di quelle (rivalutate) relative alle ultime duecentosessanta settimane di contribuzione (art. 3, comma 2-bis legge n. 160 del 1988). Si tratta, quindi, di un'operazione autonoma ed aggiuntiva rispetto a quella di liquidazione della pensione già effettuata in base al < tetto> pensionabile, che non comporta perciò alcuna riliquidazione di questa e si risolve in una mera sommatoria di due entità distinte, calcolate secondo aliquote diverse: sicchè essa ben può essere eseguita anche nei confronti di chi tale liquidazione abbia già ottenuto.

 

Non è persuasivo, d'altra parte, neanche l'argomento che il Pretore di Pistoia trae dall'art. 3, secondo comma, della legge 29 dicembre 1988, n. 544, con il quale sono stati stanziati 300 miliardi annui per < ulteriori miglioramenti dei trattamenti pensionistici a carico dell'assicurazione generale obbligatoria>, < al fine di avviare, tra l'altro, anche la rivalutazione ... delle pensioni limitate dal massimale di retribuzione pensionabile in vigore anteriormente al 1° gennaio 1988>.

 

Dall'art. 2 del D.P.C.M. 16 dicembre 1989, di attuazione della predetta disposizione risulta invero che con essa si è inteso pervenire ad una rideterminazione dei massimali delle pensioni liquidate negli anni 1971-1984, che in base alle diverse normative succedutesi nel tempo in materia di tetto pensionabile avevano - come è noto - subìto compressioni di diversa gravità a seconda dell'anno di decorrenza della pensione. Si tratta, cioè, di una parziale perequazione tra le pensioni limitate dal tetto, operata in favore di quelle maggiormente falcidiate da questo, la quale per di più non concerne le pensioni successive al 1984 (tra cui quelle oggetto dei giudizi a quibus). Sarebbe quindi improprio considerare tale disposizione come un correttivo della sperequazione che-nell'interpretazione del Pretore - sarebbe stata determinata, tra le pensioni aventi decorrenza anteriore o posteriore al 1° gennaio 1988, dall'impugnato art. 21, sesto comma. D'altra parte, poichè questo segna - come si è detto - il discrimine tra retribuzioni fruenti di diversi tassi di rendimento, la sua applicazione anche alle pensioni ante 1988 è pienamente compatibile con l'espansione, per quelle più sfavorite, dell'area di operatività del tetto di rendimento superiore.

 

4. - Gli argomenti addotti da giudici a quibus non sono dunque idonei a far attribuire alla disposizione censurata un significato diverso da quello che emerge dalla sua struttura letterale e logica: nella quale l'inciso < a decorrere dal 1° gennaio 1988> segna solo il momento a partire dal quale va effettuato il computo della retribuzione eccedente il tetto pensionabile e va corrisposta la quota aggiuntiva di pensione così determinata.

 

Diversamente da altre disposizioni emanate nella stessa materia (cfr., ad es., l'art. 19 della legge n. 155 del 1981), in quella in esame mancano espressioni che colleghino la disposta decorrenza alla data di liquidazione della pensione. Decisivo è, al riguardo, il raffronto con la norma contenuta nella seconda parte del citato comma 2-bis dell'art. 3 del decreto-legge n. 86 del 1988, convertito nella legge n. 160 del 1988, che segue immediatamente la disposizione interpretativa dell'impugnato art. 21, sesto comma. Nell'introdurre, in riferimento ai massimali annui, un nuovo sistema di calcolo delle pensioni dei dirigenti di aziende industriali, tale norma si riferisce espressamente a quelle < liquidate dall'I.N.P.D.A.I. con decorrenza a partire dal 1° gennaio 1988>, con ciò delimitando chiaramente la sfera dei destinatari di esso. Se un'analoga, univoca locuzione non è stata adottata nè nell'art. 21, sesto comma, nè nella norma interpretativa che precede immediatamente quella sulle pensioni I.N.P.D.A.I. ora citata, è segno che altra è in tal caso la volontà del legislatore, del resto indirizzata a regolare situazioni diverse. Sarebbe invero del tutto incongruo che nel medesimo contesto normativo, o in contesti strettamente collegati, si usino locuzioni differenti per esprimere lo stesso concetto.

 

Tanto l'interpretazione letterale e logica, quanto quella desumibile dalla ratio legis e dai lavori preparatori convergono, quindi, nel far ritenere che l'impugnato art. 21, sesto comma, si riferisca anche alle pensioni liquidate anteriormente al 1° gennaio 1988. Di conseguenza le questioni sollevate, in quanto si basano su un presupposto erroneo, vanno dichiarate non fondate.

 

PER QUESTI MOTIVI

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

1) dichiara non fondate, nei sensi di cui in motivazione, le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 21, sesto comma, della legge 11 marzo 1988, n. 67 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 1988)) e 3, comma secondo bis, del decreto-legge 21 marzo 1988 n. 86 (Norme in materia previdenziale, di occupazione giovanile e di mercato del lavoro, nonchè per il potenziamento del sistema informatico del Ministero del lavoro e della previdenza sociale), convertito, con modificazioni, nella legge 20 maggio 1988, n. 160, nonchè del solo art. 21, sesto comma, sopra citato, sollevate in riferimento all'art. 3 della Costituzione, rispettivamente, dai Pretori di Viterbo e di Pistoia con le ordinanze indicate in epigrafe.

 

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 20/02/90.

 

Francesco SAJA, PRESIDENTE

 

Ugo SPAGNOLI, REDATTORE

 

Depositata in cancelleria il 22/02/90.