SENTENZA N.30
ANNO 1990
REPUBBLICA ITALIANA
In nome del Popolo Italiano
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai
signori Giudici:
Prof. Francesco
SAJA Presidente
Prof. Giovanni
CONSO
Prof. Ettore
GALLO
Dott. Aldo
CORASANITI
Prof. Giuseppe
BORZELLINO
Dott. Francesco
GRECO
Prof. Renato
DELL'ANDRO
Prof. Gabriele
PESCATORE
Avv. Ugo
SPAGNOLI
Prof. Francesco
Paolo CASAVOLA
Prof. Antonio
BALDASSARRE
Prof. Vincenzo
CAIANIELLO
Avv. Mauro
FERRI
Prof. Luigi
MENGONI
Prof. Enzo
CHELI
ha pronunciato
la seguente
SENTENZA
nei giudizi
riuniti di legittimità costituzionale dell'art. 19 e combinato disposto
degli artt. 17 e 23 della legge 20 maggio 1970, n. 300 (Norme sulla tutela
della libertà e dignità dei lavoratori, della libertà
sindacale e dell'attività sindacale nei luoghi di lavoro e norme sul
collocamento) promossi con le seguenti ordinanze:
1) ordinanza
emessa il 19 dicembre 1986 dal Tribunale di Como nel procedimento civile
vertente tra la S.p.A. Riunione Adriatica di Sicurtà e Maestri Dario,
iscritta al n. 284 del registro ordinanze 1989 e pubblicata nella Gazzetta
Ufficiale della Repubblica n. 24, prima serie speciale, dell'anno 1989;
2) ordinanza
emessa il 19 dicembre 1986 dal Tribunale di Como nel procedimento civile
vertente tra la S.p.A. Lavoro e Sicurtà e Portigliotti
Giampiero, iscritta al n. 285 del registro ordinanze 1989 e pubblicata nella
Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 24, prima serie speciale, dell'anno
1989.
Visti gli atti
di costituzione di Maestri Dario e Portigliotti
Giampiero nonchè gli atti di intervento del
Presidente del Consiglio dei ministri;
udito
nell'udienza pubblica del 15 novembre 1989 il Giudice relatore Ugo Spagnoli;
uditi
l'avvocato Luciano Crugnola per Maestri Dario e Portigliotti Giampiero e l'Avvocato dello Stato Gaetano Zotta per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto in fatto
1.- Con due
ordinanze di identico tenore emesse il 19 dicembre 1986, pervenute alla Corte
costituzionale il 24 maggio 1989, il Tribunale di Como ha sollevato, in
riferimento agli artt. 3 e 39 Cost., una questione di legittimità
costituzionale degli artt. 17, 19 e 23 della legge 20 maggio 1970, n. 300
(Statuto dei diritti dei lavoratori), "se interpretati nel senso di
imporre il divieto per le rappresentanze aziendali dei lavoratori costituite al
di fuori di quelle legittimate ex art. 19 Statuto, in quanto espressione sempre
e comunque di sindacati di comodo, di accedere pattiziamente
a forme più o meno estese di tutela, ed in particolare alla
possibilità di fruire per i loro dirigenti di permessi retribuiti allo
scopo di svolgere attività sindacale".
Nei casi di
specie, il diritto a tali permessi era stato riconosciuto sia dal Pretore che -
in sede di appello - dal Tribunale di Milano a Maestri Dario e Portigliotti Giampiero, dirigenti della rappresentanza
aziendale costituita presso la R.A.S. S.p.A. dal sindacato ASSI RAS, in quanto
costoro, prima del diniego da parte della società, ne avevano fruito in
virtù di accordo tacito o comunque di uniforme e generalizzata prassi
aziendale.
La Corte di
cassazione, con sentenze 7 febbraio 1986, n. 783 e 19 marzo 1986, n. 1913,
aveva viceversa ritenuto che il diritto di costituire rappresentanze aziendali
é riservato dal citato art. 19 alle associazioni "maggiormente
rappresentative" sul piano nazionale, e quindi precluso a quelle
sprovviste di tali requisiti; che, conseguentemente, solo ai dirigenti delle
rappresentanze delle prime, e non anche a quelli delle organizzazioni extra
art. 19, spetta il diritto ai permessi retribuiti; e che un'eventuale deroga pattizia a tale regola, risolvendosi per i beneficiari in
un trattamento di favore, verrebbe a porsi, oltrechè
contro il principio di ordine pubblico cui le indicate norme si informano,
contro l'espresso divieto fatto ai datori di lavoro dall'art. 17 dello Statuto
"di... sostenere, con mezzi finanziari o altrimenti, associazioni
sindacali di lavoratori".
Il Tribunale di
Como, giudice di rinvio chiamato ad applicare la disciplina risultante da tale
principio di diritto, ne contesta la legittimità costituzionale.
L'art. 19 dello
Statuto - osserva il Tribunale - é norma speciale rispetto altari. 14,
che, in conformità all'art. 39 Cost., garantisce a tutti i lavoratori il
diritto di costituire associazioni sindacali, di aderirvi e di svolgere attività
sindacale all'interno dei luoghi di lavoro. Esso é, inoltre, norma a
carattere definitorio, nel senso che individua le
caratteristiche - di rappresentatività extra-aziendale
- che devono avere le rappresentanze sindacali aziendali per poter accedere alla
cd. legislazione di sostegno di cui alle norme del titolo III dello Statuto. Ne
risulta così circoscritto - onde evitare un'eccessiva atomizzazione
sindacale - l'ambito delle aggregazioni che possono ex lege
pretendere l'applicazione di tali norme; ma ciò non significa che le
medesime prerogative non possano essere, in tutto o in parte, pattiziamente estese a rappresentanze aziendali costituite
al di fuori dei moduli dell'art. 19.
L'opposta
opinione della Cassa2ione, fondata sulla tesi (assolutamente minoritaria in
dottrina e giurisprudenza) della natura "permissiva" dell'art. 19 -
che cioé solo i sindacati aventi i requisiti
ivi indicati sarebbero legittimati a costituire rappresentanze sindacali
aziendali - confligge, secondo il giudice a quo, con
la garanzia della libertà sindacale di cui all'art. 39 Cost. Essa,
infatti, comporta che ai sindacati sprovvisti dei requisiti di cui all'art. 19
viene di fatto preclusa la possibilità di pervenire ai livelli di
rappresentatività che consentirebbero l'accesso ex lege
alla legislazione di sostegno. Se, invero, essi sono privati dal potere di
costituire propri organismi in azienda e destinati a vedersi sempre annullato
qualsiasi riconoscimento o spazio già ottenuto in virtù di
accordo o prassi uniforme, si da luogo ad una sorta di "Pietrificazione
dello status quo" e, ignorando le mutevoli realtà aziendali, si
preclude l'accesso alla legislazione di sostegno ad organizzazioni che siano
magari presenti in azienda in forme maggioritarie e non necessariamente di
comodo, che tali dovrebbero però essere sempre ritenute,
indipendentemente dalla prova della volontà di sostegno antisindacale
dell'imprenditore.
Ad avviso del
Tribunale sarebbe, inoltre, violato l'art. 3, secondo comma, Cost., in quanto
"se é legittimo riconoscere per legge particolari prerogative a chi
ha raggiunto effettivi livelli di rappresentatività alla stregua dei
requisiti di cui all'art. 19, non possono tollerarsi discriminazioni tra
organizzazioni sindacali quanto all'esistenza e all'esercizio della propria
attività".
2.- Nei giudizi
dinanzi alla Corte si sono costituiti, a mezzo dell'avv. Crugnola,
gli attori nei procedimenti a quibus Maestri Dario e Portigliotti Giampiero, i quali, nell'atto di costituzione
e in una memoria aggiunta, hanno svolto argomentazioni sostanzialmente analoghe
a quelle contenute nell'ordinanza di rimessione. La difesa insiste, in
particolare, sul carattere definitorio e non
permissivo dell'art. 19 St. e sottolinea che il riconoscimento di determinati
spazi di agibilità sindacale, quali i permessi, era già avvenuto
in alcuni casi prima dello Statuto, si é realizzato in via di fatto
anche dopo ed ha fonte autonoma rispetto allo Statuto medesimo, in quanto
discende da accordi generali o particolari originati dal concreto operare dell'organizzazione
sindacale. Se si nega validità ai riconoscimenti e spazi già
ottenuti dalle organizzazioni non rientranti nel modello dell'art. 19, esse non
solo non godono del trattamento privilegiato di quelle che vi rientrano, ma
sono specificamente contrastate e si nega di fatto il loro diritto
all'esistenza ed allo svolgimento della propria attività. Altro infatti
é sancire una disuguaglianza delle posizioni di partenza, attribuendo un
privilegio alle organizzazioni ivi contemplate e con ciò alterando la
libera concorrenza tra sindacati; altro é argomentarne il totale
"blocco" di tale concorrenza, mediante l'immobilizzazione, e quindi
l'esclusione, proprio di quei sindacati che, pur partendo da posizioni
svantaggiate, riescano ad emergere costringendo il datore al riconoscimento
contrattuale.
Quanto, poi,
all'art. 17 St., la difesa sottolinea che elemento costitutivo della
fattispecie ivi vietata é la prova della volontà di sostegno
antisindacale dell'imprenditore, che non può perciò essere
presunta. A ritenere altrimenti, si giungerebbe al paradosso "per cui il
coronamento contrattuale della lotta di un sindacato per l'equiparazione ai
sindacati privilegiati dalla legge dovrebbe essere considerato come indice
sicuro della sua funzione "di comodo" ".
La difesa nega
inoltre che vi fossero nella specie elementi idonei a qualificare come "di
comodo" il sindacato in questione, e sostiene che se l'art. 17 St. fosse
interpretato nel senso di imporre al datore di lavoro di negare spazi di
agibilità sindacale a soggetti diversi da quelli di cui all'art. 19 esso
si porrebbe in contrasto con l'art. 39 Cost.
La difesa
richiama infine alcune convenzioni internazionali in tema di libertà
sindacale (Convenzioni O.I.L. nn. 87 e 98, recepite
con legge 23 marzo 1958, n. 367; Convenzione europea dei diritti dell'uomo,
art. 11; Carta sociale europea, ratificata con legge 3 luglio 1965, n. 929,
arti. 5 e 6; Patto internazionale dei diritti economici, sociali e culturali
dell'O.N.U., ratificato con legge 25 ottobre 1977, n. 881, art. 8) per
desumerne che il divieto per alcune organizzazioni sindacali di ottenere spazi
e riconoscimenti si porrebbe in contrasto con tali fonti normative
internazionali, con conseguente possibile violazione anche degli arti. 10 e 35
Cost.
3.- L'Avvocatura
dello Stato, intervenuta in rappresentanza del Presidente del Consiglio dei
ministri in entrambi i giudizi con memorie identiche, sostiene innanzitutto che
la questione sarebbe inammissibile, in quanto sollevata rispetto ad una regola
- quella risultante dal principio di diritto enunciato dalla Cassazione - cui
il giudice di rinvio é tenuto ad uniformarsi. Pur dando atto del
contrario orientamento di questa Corte (sent. n. 138 del
1977), l'Avvocatura ne sollecita una revisione, argomentando dal fatto che
il principio di diritto non può essere messo in discussione dal giudice
di rinvio, neanche per dubitare della sua validità costituzionale, in
quanto rispetto al rapporto in causa si é su di esso formato il
giudicato.
La questione,
secondo l'Avvocatura, é comunque infondata nel merito. Da un lato,
infatti, la preclusione alla costituzione di rappresentanze sindacali aziendali
da parte delle associazioni non rispondenti ai requisiti in cui all'art. 19 St.
sarebbe già stata ritenuta legittima da questa Corte (sent. n. 54 del
1974); dall'altro, l'inibizione per queste a giovarsi delle misure di
sostegno specificate nel titolo III dello Statuto, anche se ottenute pattiziamente, non menomerebbe la loro libertà di
azione sindacale. La possibilità di accesso al livello di
rappresentatività voluto dall'art. 19 dipenderebbe infatti non dalla
fruizione di tali misure, ma dalla capacità dell'organizzazione di
rendersi interprete, in modo serio e credibile, degli interessi della categoria
rappresentata e di accrescere così le adesioni, fino a risultare un
valido interlocutore nella contrattazione collettiva.
Considerato in diritto
1.-I
procedimenti hanno ad oggetto la medesima questione di legittimità
costituzionale degli artt. 17, 19 e 23 della legge 20 maggio 1970, n. 300
(Norme sulla tutela della libertà e dignità dei lavoratori, della
libertà sindacale e dell'attività sindacale nei luoghi di lavoro
e norme sul collocamento), sollevata in riferimento agli artt. 39 e 3, secondo
comma Cost. dal Tribunale di Como con due ordinanze distinte ma di identico
tenore. t perciò evidente l'opportunità della loro riunione.
2.-L'Avvocatura
dello Stato ha preliminarmente eccepito l'inammissibilità della
questione, in quanto sollevata dal predetto Tribunale, quale giudice di rinvio,
nei confronti della norma risultante dal principio di diritto enunciato dalla
Corte di cassazione. A suo avviso, dal fatto che questi è tenuto ad
uniformarsi a detto principio (art. 384 c.p.c.)
discende che, rispetto al rapporto in causa, si formi sul punto il giudicato e
che perciò esso non possa essere messo in discussione neanche per
dubitare della sua validità costituzionale.
Tale eccezione
va disattesa, in quanto contrasta col consolidato indirizzo di questa Corte -
più volte manifestato sia esplicitamente che in modo implicito (cfr. ad
es. le sentt. nn.
138 del 1977, 11
del 1981, 21
del 1982, 2
e 345 del 1987)-rispetto
al quale l'Avvocatura non adduce argomenti nuovi. Essa, in effetti, suppone una
confusione tra i distinti profili dell'interpretazione della norma-rispetto
alla quale il giudice di rinvio è vincolato - e della sua
legittimità costituzionale.
Il giudizio in
proposito è riservato a questa Corte e non può ritenersi
assorbito nella valutazione compiuta sul piano ermeneutico dal giudice della nomofilachia. E poichè la
norma-così come interpretata-deve ancora ricevere applicazione nella
fase di rinvio, il precludere che su di essa vengano prospettate questioni di
legittimità costituzionale comporterebbe un'indubbia violazione delle
disposizioni regolanti la materia (artt. 1 della legge costituzionale n. 1 del
1948 e 23 della legge n. 87 del 1953), dato che queste non contengono al
riguardo alcuna specifica limitazione.
3. -Con le due
sentenze, di tenore identico (Sez. lav., nn. 783 e 1913 del 1986) dalle quali i giudizi di rinvio
traggono origine, la Corte di cassazione ha statuito la nullità, per
illiceità dell'oggetto, delle pattuizioni
concernenti la concessione di permessi retribuiti a dirigenti di rappresentanze
sindacali aziendali non rientranti tra quelle definite nell'art. 19 St. lav., e cioé costituite al
di fuori dell'ambito delle associazioni aderenti alle confederazioni
maggiormente rappresentative sul piano nazionale o delle associazioni comunque
firmatarie di contratti collettivi nazionali o provinciali di lavoro applicati
nell'unità produttiva.
Il giudice a
quo dubita che tale norma-che la Corte di cassazione ricava dagli artt. 17, 19
e 23 dello Statuto - contrasti con gli artt. 39 e 3, secondo comma, Cost.,
assumendo che essa-in quanto preclude a tali organizzazioni la
possibilità di accedere di fatto ai livelli di rappresentatività
che, ai sensi del citato art. 19, consentono di fruire della c.d. legislazione
di sostegno-ne limiterebbe la libertà sindacale e comporterebbe nei loro
confronti ingiustificate discriminazioni quanto all'esercizio delle loro
attività. Ai fimi della risoluzione di tale questione-che è
l'unica rilevante per la definizione dei giudizi principali-non è
decisivo stabilire se la costituzione di rappresentanze sindacali aziendali sia
consentita solo nell'ambito delle associazioni di cui all'art. 19. Confutando
l'opinione in tal senso espressa nelle citate sentenze, il giudice a quo
ricorda che è ormai largamente prevalente, in dottrina e giurisprudenza,
la tesi della natura definitoria, e non permissiva,
di questa disposizione. Ciò però indurrebbe solo a ritenere che
è legittima la costituzione di rappresentanze che, non fruendo delle
posizioni attive di cui al titolo III dello Statuto, operano nondimeno
nell'ambito dell'art. 14 del medesimo; ma non comporta come necessaria
conseguenza la possibilità di accesso in via pattizia
alle suddette posizioni attive.
Parimenti non
decisivo, ai fini in discorso, è stabilire se il divieto di concessione pattizia di permessi retribuiti discenda direttamente da
quello, imposto all'imprenditore dall'art. 17, di <sostenere, con mezzi
finanziari o altrimenti, associazioni sindacali di lavoratori>. Il giudice a
quo intende in tal senso la concisa enunciazione contenuta al riguardo nelle
sentenze di rinvio; e giustamente oppone che dalla pattuizione
in qualunque modo intervenuta tra l'imprenditore ed una determinata
associazione sindacale non può senz'altro inferirsi, per presunzione
assoluta, la natura <di comodo>, e quindi la non genuinità di
quest'ultima. Le agevolazioni concesse ben possono infatti essere giustificate
dalla particolare forza contrattuale raggiunta da tale associazione, a seguito
di un'autentica controversia collettiva.
Per pervenire
alla qualificazione di un sindacato come <di comodo> non può in
effetti prescindersi-secondo l'opinione prevalente in
dottrina e giurisprudenza-dall'indagine concreta
sull'intento antisindacale dell'imprenditore e sulla finalizzazione del
sostegno all'assoggettamento alle proprie strategie dell'organizzazione
beneficiaria: e conseguentemente l'illiceità della concessione pattizia di permessi retribuiti non può essere
affermata sulla base del solo disposto dell'art. 17.
A ben vedere,
però, non sembra essere questa l'opinione della Corte di cassazione:
che, altrimenti, si sarebbe logicamente limitata a questo solo argomento, in
quanto decisivo ed assorbente. A1 di là delle espressioni testuali,
appare perciò più corretto intendere il riferimento all'art. 17
come espressione di quel <principio di ordine pubblico> ostativo a tali pattuizioni che essa ritiene di dover desumere dal
complesso delle disposizioni statutarie richiamate (artt. 17, 19 e 23): sicchè l'indagine demandata alla Corte concerne la
conformità di detto principio alle disposizioni costituzionali di cui si
lamenta la violazione.
4.-La
protezione accordata dallo Statuto dei diritti dei lavoratori alle organizzazioni
sindacali si articola su due livelli. Ad un primo livello, comune a tutte,
viene assicurata la libertà di associazione e di azione sindacale, che
comprende altre importanti garanzie, quali la tutela contro atti
discriminatori, anche sotto forma di trattamenti economici collettivi, la
libertà di proselitismo e collettaggio (artt.
15, 16, 26), l'accesso ad altri importanti diritti di esercizio collettivo,
come quelli sanciti dagli artt. 9 e 11. A garanzia del libero sviluppo di una
normale dialettica sindacale stanno poi il divieto di sindacati di comodo (art.
17) e la tutela -per le organizzazioni a dimensione nazionale-contro
la condotta antisindacale del datore di lavoro (art. 28).
Il secondo
livello esprime la politica promozionale perseguita dal legislatore al precipuo
fine di favorire l'ordinato svolgimento del conflitto sociale, e comporta una
selezione dei soggetti collettivi protetti fondata sul principio della loro
effettiva rappresentatività. Ad essi sono attribuiti diritti ulteriori
idonei a sostenerne l'azione, come quelli di tenere assemblee, disporre di
locali, fruire di permessi retribuiti (artt. 20, 23, 27) ecc. Il principale
criterio selettivo adottato al riguardo è quello della <maggiore
rappresentatività> a livello pluricategoriale
(art. 19, lett. a)), finalizzato a favorire un processo di aggregazione e
coordinamento degli interessi dei vari gruppi professionali, di sintesi delle
varie istanze rivendicative e di raccordo con le esigenze dei lavoratori non
occupati. Ma accanto ad esso la tutela rafforzata è stata conferita
(lett. b)) anche al sindacalismo autonomo, semprechè
esso si dimostri capace di esprimere - attraverso la firma di contratti
collettivi nazionali o provinciali di lavoro applicati nell'unità produttiva-un grado di rappresentatività idoneo a
tradursi in effettivo potere contrattuale a livello extra-aziendale
(cfr. sent. n. 334 del 1988).
La posizione di
vantaggio che il giudice a quo vorrebbe riconosciuta alle organizzazioni
sindacali non rientranti nelle predette categorie, che ottengono permessi
sindacali (o altre misure di sostegno) per patto con l'imprenditore
costituirebbe, precisamente, una deroga a quanto disposto nella lett. b)
dell'art. 19.
Si tratta
perciò di vedere se il criterio selettivo espresso in tale disposizione
sia da considerare, nel sistema dello Statuto, come criterio inderogabile, ed
in caso positivo se tale inderogabilità sia o meno conforme a
Costituzione.
Ad entrambi
tali quesiti va data risposta positiva: e perciò la questione deve
ritenersi non fondata.
5.-La
differenza tra i due suaccennati livelli di tutela che il giudice a quo
vorrebbe colmabile attraverso pattuizioni con
l'imprenditore consiste, come si è detto, nel diverso e più
elevato grado di effettiva rappresentatività che le organizzazioni
ammesse alla tutela rafforzata di cui al titolo III dello Statuto devono
dimostrare di possedere. Al di fuori della rappresentatività generale
presupposta nella lett. a), la lett. b) dell'art. 19 appresta un congegno di
verifica empirica della rappresentatività nel singolo contesto
produttivo, misurandola sull'efficienza contrattuale dimostrata almeno a
livello locale, attraverso la partecipazione al la negoziazione ed alla stipula
di contratti collettivi provinciali. Nel fissare a tale livello -extra-aziendale-la soglia minima della
rappresentatività, il legislatore ha tra l'altro inteso evitare, o
quanto meno contenere, i pregiudizi che alla libertà ed autonomia della
dialettica sindacale, all'eguaglianza tra le varie organizzazioni ed
all'autenticità del pluralismo sindacale possono derivare dal potere di
accreditamento della controparte imprenditoriale.
Rispetto a tali
pericoli, l'accesso pattizio alle misure di sostegno
non offre alcuna garanzia oggettivamente verificabile, in quanto è
strutturalmente legato al solo potere di accreditamento dell'imprenditore.
Il patto,
infatti, non presuppone di per sè alcuna
soglia minima di rappresentatività dell'organizzazione che ne sia
beneficiaria, pur al livello meramente aziendale, sicchè
può avvantaggiare sindacati di scarsa consistenza e correlativa mente
alterare la parità di trattamento rispetto ad organizzazioni dotate di
rappresentatività anche maggiore presenti in azienda. Pur al di fuori
dell'ipotesi di sostegno al sindacato <di comodo> (art. 17), sarebbe in
tal modo consentito all'imprenditore di influire sulla libera dialettica
sindacale in azienda, favorendo quelle organizzazioni che perseguono una
politica rivendicativa a lui meno sgradita.
Questa Corte,
d'altra parte, ha già ripetutamente sottolineato (sentt.
nn. 54 del 1974 e 334 del 1988)
la razionalità di una scelta legislativa caratterizzata dal ricorso a
tecniche incentivanti idonee ad impedire un'eccessiva dispersione e
frammentazione dell'azione dell'autotutela ed a favorire una sintesi degli
interessi non circoscritta alle logiche particolaristiche di piccoli gruppi di
lavoratori.
É palese
che la possibilità di estensione pattizia
delle misure di sostegno si porrebbe in contraddizione con tale logica: sia perchè favorirebbe processi di frammentazione della
rappresentanza potenzialmente pregiudizievoli alla stessa efficacia dell'azione
sindacale; sia perchè rafforzerebbe il potere
di pressione di cui ristretti gruppi professionali fruiscono in ragione della
loro particolare collocazione nel processo produttivo e potrebbe più in
generale incentivare quella segmentazione esasperata dell'azione sindacale che
la Corte, nelle citate sentenze, ha ritenuto contraria agli interessi generali
e specificamente a quelli dei lavoratori.
Il divieto
delle pattuizioni in discorso è perciò
coerente non solo alla logica ispiratrice dell'art. 19, ma anche ai motivi in
base ai quali la Corte ha ritenuto tale disposizione conforme ai principi
costituzionali qui invocati.
6. - Le ragioni
che spinsero il legislatore del 1970 a scoraggiare la proliferazione di microorganizzazioni sindacali ed a favorire, secondo
un'ottica solidaristica, la rappresentazione di interessi non confinati
nell'ambito delle singole imprese o di gruppi ristretti sono tuttora in larga
misura valide. La Corte è tuttavia ben consapevole che, anche a causa
delle incisive trasformazioni verificatesi nel sistema produttivo, si è
prodotta in anni recenti una forte divaricazione e diversificazione degli
interessi, fonte di più accentuata conflittualità; e che anche in
ragione di ciò- nonchè delle complesse
problematiche che il movimento sindacale si è perciò trovato a
dover affrontare-è andata progressivamente
attenuandosi l'idoneità del modello disegnato nell'art. 19 a
rispecchiare l'effettività della rappresentatività.
Prendere atto
di ciò non significa, però ritenere che l'idoneo correttivo al
logoramento di quel modello consista nell'espansione, attraverso lo strumento
negoziale, del potere di accreditamento della controparte imprenditoriale, che
per quanto si è detto può non offrire garanzie di espressione
della rappresentatività reale. Si tratta, invece, di dettare nuove
regole idonee ad inverare, nella mutata situazione, i principi di
libertà e di pluralismo sindacale additati dal primo comma dell'art. 39
Cost.; prevedendo, da un lato, strumenti di verifica dell'effettiva
rappresentatività delle associazioni, ivi comprese quelle di cui
all'art. 19 dello Statuto; dall'altro la possibilità che le misure di
sostegno -pur senza obliterare le già evidenziate esigenze
solidaristiche-siano attribuite anche ad associazioni estranee a quelle
richiamate in tale norma, che attraverso una concreta, genuina ed incisiva
azione sindacale pervengano a significativi livelli di reale consenso.
Non spetta a
questa Corte individuare gli indici di rappresentatività, i modi di
verifica del consenso, l'ambito in cui questa deve essere effettuata, i criteri
di proporzionalità della rappresentanza e gli strumenti di salvaguardia
degli obiettivi solidaristici ed equalitari propri
del sindacato; ma essa non può mancare di segnalare che l'apprestamento
di tali nuove regole-ispirate alla valorizzazione dell'effettivo consenso come
metro di democrazia anche nell'ambito dei rapporti tra lavoratori e sindacato
-è ormai necessario per garantire una più piena attuazione, in
materia, dei principi costituzionali.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara non
fondata, nei sensi di cui in motivazione, la questione di legittimità
costituzionale degli artt. 19, 17 e 23 della legge 20 maggio 1970, n. 300
(Norme sulla tutela della libertà e dignità dei lavoratori, della
libertà sindacale e dell'attività sindacale nei luoghi di lavoro
e norme sul collocamento) sollevata in riferimento agli artt. 3 e 39 Cost. dal
Tribunale di Como con le ordinanze indicate in epigrafe.
Così
deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta,
il 18/01/90.
Francesco SAJA,
PRESIDENTE
Ugo SPAGNOLI,
REDATTORE
Depositata in
cancelleria il 26 Gennaio 1990.