Sentenza n. 573 del 1989

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SENTENZA N.573

ANNO 1989

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori Giudici:

Prof. Giovanni CONSO, Presidente

Prof. Ettore GALLO

Prof. Aldo CORASANITI

Prof. Giuseppe BORZELLINO

Dott. Francesco GRECO

Prof. Renato DELL'ANDRO

Prof. Gabriele PESCATORE

Avv. Ugo SPAGNOLI

Prof. Francesco Paolo CASAVOLA

Prof. Antonio BALDASSARRE

Prof. Vincenzo CAIANIELLO

Avv. Mauro FERRI

Prof. Luigi MENGONI

Prof. Enzo CHELI

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 4, n. 12, della legge 1° dicembre 1970, n. 898 (Disciplina dei casi di scioglimento del matrimonio), sostituito dall'art. 8 della legge 6 marzo 1987, n. 74 (Nuove norme sulla disciplina dei casi di scioglimento di matrimonio) promosso con ordinanza emessa il 3 febbraio 1989 dalla Corte d'appello di Milano nel procedimento civile vertente tra Vecchi Achille e Chiarini Anna Norma, iscritta al n. 216 del registro ordinanze 1989 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 18, prima serie speciale, dell'anno 1989.

Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 4 ottobre 1989 il Giudice relatore Vincenzo Caianiello.

 

Considerato in diritto

 

 1.-La Corte di appello di Milano dubita della legittimità costituzionale dell'art. 4, dodicesimo comma, della legge 10 dicembre 1970, n. 898, come novellato dall'art. 8 della legge 6 marzo 1987, n. 74, il quale, nel prevedere che l'appello avverso le sentenze di separazione personale dei coniugi venga deciso in camera di consiglio (in virtù del richiamo contenuto nell'art. 23 della legge da ultimo citata), contrasterebbe con l'art. 24 della Costituzione, poiché la mancanza di apposita disciplina della vocatio in ius <impone di ricorrere allo strumento del ricorso e del decreto presidenziale di fissazione dell'udienza collegiale>, per cui tale regolamentazione <non solo priva la parte di una funzione più o meno ampia dei termini previsti dalla legge processuale, non modificati dalle norme in discussione, ma può... sacrificare totalmente il diritto della stessa, allorché il decreto presidenziale intervenga dopo la scadenza del termine per l'appello>.

2. - La questione non é fondata.

Come questa Corte ha già avuto modo di affermare di recente (sent. n. 543 del 1989), lo speciale rito camerale previsto per il giudizio di appello dalla normativa invocata non é in contrasto con l'art. 24 della Costituzione, in quanto, ancorché dettato dall'esigenza di accelerare la conclusione del processo, in difetto di esplicite previsioni limitatrici e idoneo ad assicurare tutte le garanzie processuali, necessarie a rendere il sistema conforme alle esigenze del diritto di difesa.

In particolare in detta sentenza si è rilevato come, anche secondo la più recente giurisprudenza della Corte di cassazione, mancando ogni previsione in ordine ai termini per la proposizione dell'appello, non si é in presenza di alcuna deroga ai principi del rito ordinario che possa considerarsi lesiva del diritto all'impugnazione, con la conseguenza che devono osservarsi i termini propri delle impugnazioni delle sentenze. Tale giurisprudenza trova decisivo conforto nel rilievo che, nella specie, si é in presenza di una sentenza emessa in un giudizio contenzioso ordinario, mentre la circostanza che l'appello debba seguire il rito camerale attiene alla forma da seguire, senza incidere sui termini da osservare.

Il giudice a quo ritiene pero che, anche se dopo la novella del 1987 il mezzo per impugnare la sentenza di primo grado e pur sempre rimasto l'appello, tuttavia in sede di rito camerale lo strumento per proporlo sarebbe quello <del ricorso e del decreto presidenziale di fissazione dell'udienza collegiale> (rectius: della camera di consiglio), sì che, qualora tale decreto intervenga dopo la scadenza del termine per l'appello, rendendo cosi impossibile la tempestiva proposizione dello stesso, verrebbe sacrificato il diritto all'impugnazione.

Osserva la Corte che, sulla base del presupposto da cui muove il giudice a quo circa lo strumento ritenuto adatto per proporre l'appello, il termine previsto dall'art. 325 del codice di procedura civile deve essere osservato per il solo deposito del ricorso, e non anche per la notifica del pedissequo decreto presidenziale, e ciò perché il momento dell’emanazione di questo sfugge alla volontà dell'appellante. Solo in presenza di una norma che espressamente prevedesse che entro tale termine debba essere effettuata anche la notifica del decreto potrebbe ravvisarsi il contrasto con l'art. 24 della Costituzione, mentre, mancando una previsione del genere, all’ipotesi in cui il decreto presidenziale venga emanato dopo la scadenza del termine non consegue la paventata elisione del diritto ad appellare.

Sembra poi opportuno ricordare, per un’esigenza di completezza, che, dovendosi osservare il termine previsto per l'appello solo per il deposito del ricorso e non anche per la notifica di esso unitamente al pedissequo decreto presidenziale, l'onere di detta notifica non sarebbe privo di termine e quindi non verrebbe vanificata l'esigenza di celerità che il legislatore ha inteso perseguire prevedendo il rito camerale nel giudizio di appello: é difatti evidente che spetta al giudice, che appone in calce al ricorso il decreto, di indicare anche il termine entro cui la notifica dev'essere effettuata.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara non fondata, nei sensi di cui in motivazione, la questione di legittimità costituzionale dell'art. 4, dodicesimo comma, della legge 1° dicembre 1970, n. 898 (Disciplina dei casi di scioglimento del matrimonio), come novellato dall'art. 8 della legge 6 marzo 1987, n. 74 (Nuove norme sulla disciplina dei casi di scioglimento di matrimonio), sollevata, in riferimento all'art. 24 della Costituzione, dalla Corte d'appello di Milano con l'ordinanza indicata in epigrafe.

 

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 13/12/89.

 

Giovanni CONSO - Ettore GALLO - Aldo CORASANITI - Giuseppe BORZELLINO - Francesco GRECO - Renato DELL'ANDRO - Gabriele PESCATORE - Ugo SPAGNOLI - Francesco Paolo CASAVOLA - Antonio BALDASSARRE - Vincenzo CAIANIELLO - Mauro FERRI - Luigi MENGONI - Enzo CHELI.

 

Depositata in cancelleria il 22/12/89.

 

Giovanni CONSO, PRESIDENTE

Vincenzo CAIANIELLO, REDATTORE