Sentenza n. 571 del 1989

 CONSULTA ONLINE 

 

 

SENTENZA N.571

ANNO 1989

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori Giudici:

Dott. Francesco SAJA, Presidente

Prof. Giovanni CONSO

Prof. Ettore GALLO

Prof. Aldo CORASANITI

Prof. Giuseppe BORZELLINO

Dott. Francesco GRECO

Prof. Gabriele PESCATORE

Avv. Ugo SPAGNOLI

Prof. Francesco Paolo CASAVOLA

Prof. Antonio BALDASSARRE

Prof. Vincenzo CAIANIELLO

Avv. Mauro FERRI

Prof. Luigi MENGONI

Prof. Enzo CHELI

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nei giudizi di legittimità costituzionale dell'art. 5, n. 3, del d.P.R.S. 20 agosto 1960, n. 3 (Approvazione del Testo unico delle leggi per l'elezione dei Consigli comunali nella Regione Siciliana), promossi con ordinanze emesse il 7 febbraio 1986 (n. 3 ordd.) e il 7 giugno 1986 dal Tribunale di Catania e rispettivamente iscritte ai nn. 361, 362, 363 e 364 del registro ordinanze 1989 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 35, prima serie speciale, dell'anno 1989.

Udito nella camera di consiglio del 16 novembre 1989 il Giudice relatore Mauro Ferri

 

Considerato in diritto

 

1.-Le quattro ordinanze del Tribunale di Catania di cui in epigrafe sollevano alcune questioni di legittimità costituzionale dell'art. 5 n. 3 del Testo unico delle leggi per l'elezione dei Consigli comunali nella Regione Siciliana (approvato con D.P.R.S. 20 agosto 1960, n. 3) in riferimento agli artt. 3 e 51 della Costituzione.

L'identità o la stretta analogia ratione materiae delle questioni proposte consente che i giudizi siano riuniti e decisi con unica sentenza.

2.1.-Con la prima ordinanza (r.o. n. 361) il giudice a quo dubita, in riferimento ai suddetti parametri costituzionali, della legittimità dell'art. 5 n. 3 del Testo unico citato, nella parte in cui sancisce l’ineleggibilità a consigliere comunale di tutti gli stipendiati o salariati da enti, istituti o aziende dipendenti o sottoposti a vigilanza o sovvenzionati dal Comune, a differenza di quanto dispone la legge nazionale, e precisamente la legge 23 aprile 1981, n. 154, la quale all'art. 2 n. 11 sancisce l’ineleggibilità soltanto per i dipendenti con funzioni di rappresentanza o con poteri di organizzazione o coordinamento del personale delle aziende dipendenti dal comune.

Sostanzialmente identica questione é posta con la seconda ordinanza (r.o. n. 362), nella quale, concernendo la fattispecie un dipendente di una U.S.L., il tertium comparationis é costituito dall'art. 2 n. 8 della citata legge statale, il quale sancisce l'ineleggibilità soltanto per i dipendenti della U.S.L. <facenti parte dell'ufficio di direzione> e per i <coordinatori dello stesso>.

2.2. - Le questioni sono fondate.

E' giurisprudenza consolidata di questa Corte (cfr. sentenze nn. 108/69, 45/77, 171/84, 162/85, 130/87, 432/87, 235/88, 1062/88) che in tema di elettorato passivo, diritto politico fondamentale riconosciuto e garantito a tutti i cittadini in condizioni di uguaglianza dall'art. 51 della Costituzione e riconducibile nell'ambito dei diritti inviolabili di cui all'art. 2 della Costituzione stessa, la Regione Siciliana - che gode in materia di potestà legislativa primaria - può introdurre deroghe alla normativa vigente in tutto il territorio dello Stato soltanto in relazione a situazioni peculiari della Regione, e in ogni caso per motivi adeguati e ragionevoli finalizzati alla tutela di un interesse generale.

Nulla consente di ritenere che una siffatta ipotesi si verifichi nei casi in esame: non si vede infatti per quali particolari ragioni i dipendenti di enti, istituti o aziende che dipendono o sono sottoposti a vigilanza o sono sovvenzionati dal Comune debbano soltanto in Sicilia essere ineleggibili a consiglieri comunali anche quando non abbiano funzioni di rappresentanza o poteri di organizzazione o coordinamento del personale, ovvero, se dipendenti di una U.S.L., non facciano parte o non coordinino l'ufficio di direzione di cui all'art. 15 della legge n. 833 del 1978.

D'altra parte non può non rilevarsi che la successiva legge regionale 24 giugno 1986, n. 31 si é perfettamente adeguata (v. art. 9) alla legge statale anche sui punti qui in discussione.

La limitazione dell'elettorato passivo che deriva dalla norma impugnata, non prevista dalla legislazione statale, concreta pertanto indubbiamente una violazione degli artt. 3 e 51 della Costituzione.

2.3.-Accertata la fondatezza della questione relativa all'ineleggibilità, resta assorbito il secondo profilo prospettato dai giudici remittenti con riguardo alla mancata previsione nella legge regionale, a differenza di quella statale, della inefficacia della causa di ineleggibilità per il dipendente che sia collocato in aspettativa non oltre il giorno di presentazione delle candidature.

3.1. - Con la terza e la quarta ordinanza (r.o. nn. 363 e 364), i giudici a quibus dubitano della legittimità costituzionale dell'art. 5 n. 3 del Testo unico sopra richiamato, nella parte in cui sancisce l'ineleggibilità a consigliere comunale degli amministratori di enti, istituti o aziende dipendenti o sottoposti a vigilanza o sovvenzionati dal Comune, senza che per essi sia possibile far venir meno tale ineleggibilità rimuovendone la causa prima della convalida della elezione, a differenza di quanto e invece previsto, a seguito della sentenza di questa Corte n. 45 del 1977, per coloro che ricevono uno stipendio o salario dagli enti, istituti o aziende suddetti.

3.2. - La questione non é fondata.

In effetti la violazione degli artt. 3 e 51 della Costituzione e ipotizzata dal giudice remittente in ordine alla diversa disciplina che regola la posizione dell'amministratore rispetto a quella dello stipendiato o salariato. In quest'ultimo caso, la disciplina risultante dalla sopra ricordata sentenza n. 45 del 1977 di questa Corte prevede che basti, ai fini dell'eleggibilità, la cessazione del rapporto non oltre il momento della convalida dell'elezione; in tal modo l’originaria causa di ineleggibilità é venuta sostanzialmente a trasformarsi in una causa di incompatibilità. A siffatta soluzione la Corte e pervenuta ritenendo che nei confronti dei dipendenti la ratio della norma sia quella di eliminare ogni possibile conflitto di interessi, e non già quella di ovviare al pericolo di una deformazione del risultato elettorale derivante dalla possibilità di esercitare pressioni e condizionamenti sugli elettori, in ragione delle cariche ricoperte o delle funzioni svolte dal candidato. Ma quanto é stato ritenuto nei confronti dei dipendenti degli enti previsti dalla norma censurata, pur se dotati di rappresentanza o di poteri di organizzazione o coordinamento del personale (giacche per i dipendenti che non si trovano in tali posizioni l'ineleggibilità a seguito della presente pronuncia viene esclusa in radice), non può di per se estendersi agli amministratori degli enti medesimi. Il ruolo e la funzione dell'amministratore restano infatti pur sempre distinti da quelli del dipendente, anche se quest'ultimo ricopra una posizione dirigenziale. Ne consegue che una diversità di disciplina delle due situazioni non e censurabile sotto il profilo dell'art. 3 della Costituzione.

3.3. - Alla stregua delle suesposte considerazioni, appare poi non irragionevole la preoccupazione che l'amministratore di ente dipendente dal comune possa, se candidato, influenzare in ragione della sua carica la scelta dell'elettore e determinare così un eventuale pericolo di deformazione del risultato elettorale. Non può quindi neanche ravvisarsi una violazione dell'art. 51 della Costituzione nella limitazione all'elettorato passivo imposta dal legislatore regionale nei confronti degli amministratori degli enti suddetti.

E' appena il caso di rilevare che comunque, in linea di principio, l’ineleggibilità viene meno quando l'interessato venga a cessare dalla carica prima dell'elezione, in una data che, in mancanza di una norma espressa, deve identificarsi, in base ad un criterio generale (codificato anche nell'art. 2 della legge n. 154 del 1981), nel momento della presentazione delle candidature, quando cioè inizia il confronto elettorale vero e proprio e l'elettore é posto dinanzi alle diverse opzioni possibili.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

riuniti i giudizi,

1) dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 5 n. 3 del Decreto Pres. Reg. sic. 20 agosto 1960, n. 3 (Approvazione del Testo unico delle leggi per l'elezione dei Consigli comunali nella Regione Siciliana) nella parte in cui prevede l'ineleggibilità a consiglieri comunali di coloro che ricevono uno stipendio o salario da enti, istituti o aziende dipendenti o sottoposti a vigilanza o sovvenzionati dal Comune i quali non abbiano funzioni di rappresentanza o poteri di organizzazione o coordinamento del personale; ovvero, se dipendenti di una U.S.L., non facciano parte dell'ufficio di direzione, o non siano coordinatori dello stesso;

2) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dello stesso art. 5 n. 3 del D.P.R.S. 20 agosto 1960, n. 3, nella parte concernente gli amministratori degli enti indicati sub 1), sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 51 della Costituzione, dal Tribunale di Catania con le ordinanze iscritte ai nn. 363 e 364 del reg. ord. 1989, di cui in epigrafe.

 

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 13/12/89.

 

Francesco SAJA - Giovanni CONSO - Ettore GALLO - Aldo CORASANITI - Giuseppe BORZELLINO - Francesco GRECO - Gabriele PESCATORE - Ugo SPAGNOLI - Francesco Paolo CASAVOLA - Antonio BALDASSARRE - Vincenzo CAIANIELLO - Mauro FERRI - Luigi MENGONI - Enzo CHELI.

 

Depositata in cancelleria il 22/12/89.

 

Francesco SAJA, PRESIDENTE

Mauro FERRI, REDATTORE