Sentenza n. 472 del 1989

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SENTENZA N.472

ANNO 1989

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori Giudici:

Dott. Francesco SAJA, Presidente

Prof. Giovanni CONSO

Prof. Ettore GALLO

Dott. Aldo CORASANITI

Prof. Giuseppe BORZELLINO

Dott. Francesco GRECO

Prof. Renato DELL'ANDRO

Prof. Gabriele PESCATORE

Avv. Ugo SPAGNOLI

Prof. Francesco Paolo CASAVOLA

Prof. Antonio BALDASSARRE

Prof. Vincenzo CAIANIELLO

Avv. Mauro FERRI

Prof. Luigi MENGONI

Prof. Enzo CHELI

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 12-sexies della legge 1° dicembre 1970, n. 898 (Disciplina dei casi di scioglimento del matrimonio), aggiunto dall'art. 21 della legge 6 marzo 1987, n. 74 (Nuove norme sulla disciplina dei casi di scioglimento del matrimonio), promosso con ordinanza emessa il 12 luglio 1988 dal Pretore di Napoli nel procedimento penale a carico di Cocchis Gianfranco, iscritta al n. 763 del registro ordinanze 1988 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 52, prima serie speciale, dell'anno 1988.

Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 12 aprile 1989 il Giudice relatore Giovanni Conso.

 

Considerato in diritto

 

1. - Il Pretore di Napoli sottopone al vaglio di questa Corte l'art. 12-sexies della legge 1° dicembre 1970, n. 898, recante <Disciplina dei casi di scioglimento del matrimonio>. Introdotta nel contesto di tale legge dall'art. 21 della legge 6 marzo 1987, n. 74, a sua volta recante <Nuove norme sulla disciplina dei casi di scioglimento del matrimonio>, la norma impugnata dispone che <Al coniuge che si sottrae all'obbligo di corresponsione dell'assegno dovuto a norma degli artt. 5 e 6 della presente legge si applicano le pene previste dall'articolo 570 del codice penale>.

I dubbi sollevati dal giudice a quo si caratterizzano variamente non soltanto per la pluralità dei parametri e dei profili invocati (gli artt. 3 e 25, primo e secondo comma, della Costituzione), ma anche per il duplice contenuto del disposto impugnato, concernente, al di la dell'impiego al singolare del termine <assegno>, due tipi di assegno a carico del coniuge divorziato: quello, normalmente definito <assegno di divorzio>, dovuto a norma dell'art. 5 della stessa legge n. 898 del 1970, nel testo in più parti novellato ad opera degli artt. 9 e 10 della legge n. 74 del 1987, e quello, normalmente definito <assegno di mantenimento relativo ai figli>, dovuto a norma dell'art. 6 della legge n. 898 del 1970, nel testo in toto novellato ad opera dell'art. 11 della legge n. 74 del 1987.

Si é, perciò, in presenza di una molteplicità di questioni, da esaminare distintamente, non appena ricostruita la genesi della nuova disposizione.

2.- Mossa dall'intento di adeguare a criteri di giustizia sostanziale, sulla base dell'esperienza maturata nel corso di tre lustri, una disciplina priva di ogni precedente come quella nata dalla scelta divorzista, la legge 6 marzo 1987, n. 74, ha dedicato attenzione particolare agli aspetti patrimoniali del divorzio, anche in vista di una maggior tutela del soggetto debole, rielaborando gli artt. 5 e 6 della legge 1° dicembre 1970, n. 898, ed introducendo in essa con l'art. 12-sexies la fattispecie delittuosa, del tutto nuova, consistente nel sottrarsi all'obbligo di corrispondere quanto dovuto a norma degli artt. 5 e 6 (assegno di divorzio ed assegno di mantenimento relativo ai figli), rinviando, per la sanzione, <alle pene previste dall'art. 570 del codice penale>.

Soprattutto la tutela penale in tal modo assicurata all'assegno di divorzio (art. 5) ha rappresentato la risposta (certo non l'unica possibile, né la più lineare tra le varie ipotizzate) ad un'esigenza fattasi particolarmente avvertire dopo che le Sezioni unite della Corte di cassazione-smentendo la precedente giurisprudenza, che aveva ritenuto di poter estendere in via interpretativa, sia pur a determinate condizioni, la fattispecie delittuosa dell'art. 570, secondo comma, n. 2, del codice penale, consistente nel far mancare i mezzi di sussistenza al coniuge legalmente separato non per sua colpa (ora, senza addebito), dalle <situazioni nelle quali il rapporto di coniugio sia ancora invita> alle <situazioni nelle quali lo stesso era definitivamente estinto> -avevano lasciato queste ultime prive di copertura penale.

Anche se la stessa cosa non poteva dirsi nei riguardi dell'assegno di mantenimento relativo ai figli, data la sicura riconducibilità del figlio minorenne di genitore divorziato nell'ambito dei possibili soggetti passivi del reato previsto dall'art. 570, secondo comma, n. 2, del codice penale, consistente nel far mancare i mezzi di sussistenza ai discendenti minori, il legislatore del 1987 ha formulato l'art. 12-sexies in termini tali da ricomprendere nella nuova previsione incriminatrice, accanto all'assegno di divorzio, anche l'assegno di mantenimento relativo ai figli, quasi conglobandolo in un tutt'uno con l'altro, così da assicurargli un'ulteriore tutela rispetto a quella già esistente.

3.- Delle varie differenze di trattamento venutesi così a determinare fra la tutela penale dei crediti spettanti in caso di divorzio e la tutela penale dei crediti spettanti in caso di separazione, l'ordinanza di rimessione si duole, anzitutto, di quelle riscontrabili per quanto concerne più direttamente il coniuge debole.

Partendo dal presupposto che la situazione del coniuge divorziato a carico del quale sia stato posto l'assegno in favore dell'altro coniuge sia <fondamentalmente, sostanzialmente uguale a quella del coniuge separato cui incombe l'obbligo di mantenimento>, in quanto chiamati ciascuno a sostenere la persona, già scelta come compagna di vita, venutasi a trovare in una situazione di disagio economico, il giudice a quo ritiene tanto <irragionevolmente diversa nelle due ipotesi> la descrizione della condotta penalmente sanzionata da cogliere un primo motivo di contrasto dell'art. 12-sexies con l'art. 3 della Costituzione nel fatto che, mentre per il separato <il reato e, ai sensi dell'art. 570 c.p., integrato solo laddove vengano fatti mancare i mezzi di sussistenza al coniuge (debole) cui la separazione non sia stata addebitata, nel caso del divorziato, invece, basta l'inadempimento dell'obbligo statuito dal giudice civile>. Dovendo la somma oggetto di tale obbligo commisurarsi alla funzione, ormai soltanto assistenziale, ma pur sempre non strettamente alimentare, dell'assegno di divorzio, in modo di assicurare a quest'ultimo una consistenza superiore a quanto necessario per il soddisfacimento delle essenziali condizioni di vita cui sono preordinati i mezzi di sussistenza, sarebbe stato indispensabile, ad evitare irrazionali disparità in presenza di situazioni identiche, o incriminare l'omessa corresponsione dell'assegno di divorzio solamente se tradottasi nell'omessa somministrazione dei mezzi di sussistenza od estendere l'incriminabilità del coniuge separato a tutti i casi di omessa corresponsione dell'assegno di mantenimento stabilito dal giudice civile ai sensi dell'art. 156 del codice civile.

La questione non é fondata.

Pur essendo innegabile che con la riforma del 1987 il legislatore ha inteso avvicinare, in linea generale, il trattamento economico del divorziato a quello del separato, é la stessa ordinanza di rimessione ad ammettere, nel contesto del medesimo discorso, che il separato <é ancora in qualche misura giuridicamente legato al coniuge>; trovandosi in un periodo <nel quale la legge gli consente di riflettere sulla possibilità di riprendere o far cessare definitivamente il coniugio>, mentre il divorziato <ha già scelto di "liberarsi" da un rapporto coniugale fallito>.

Basta ciò a rendere non palesemente arbitraria la differenza oggetto della censura in esame, tanto più che il mancato accoglimento della proposta legislativa, pur ripetutamente avanzata, di ricomprendere nel testo dell'art. 570, secondo comma, del codice penale anche la situazione del divorziato, trova spiegazione nell'intento di mantenere collegato l'art. 570 alle situazioni fondate sulla persistenza del vincolo coniugale, negando posto alla tesi propensa a ravvisare un sostanziale protrarsi, anche al di la del divorzio, della rilevanza del rapporto matrimoniale preesistente.

Del resto, pur ravvicinati, i due istituti a base del raffronto (assegno di divorzio, assegno di separazione) trovano regolamentazioni non coincidenti, disponendo per il secondo l'art. 156 del codice civile e per il primo l'art. 5 della legge n. 898 del 1970, ampiamente modificato, ma comunque non livellato all'altro, dalla legge n. 74 del 1987.

Ad escludere la completa equiparabilità del trattamento economico del divorziato a quello del separato basterebbe rilevare che per il divorziato l'assegno di mantenimento non e correlato al tenore di vita matrimoniale.

Non meno rimarchevole appare la differenza alla stregua della quale, in luogo dell'assegno periodico di divorzio, e possibile <la corresponsione in unica soluzione> ai sensi dell'ottavo comma dell'art. 5 della legge n. 898 del 1970, così da garantire patrimonialmente e definitivamente l'ex- coniuge, prescindendo da ogni esigenza assistenziale, di natura solidaristica, risalente al dissolto vincolo matrimoniale. Ma, al di là di tutto questo, resta il fatto che, mentre il divorziato riacquista comunque lo stato libero, il separato continua ad essere vincolato allo stato coniugale, con la conseguenza, fra l'altro, di non venire privato delle sue aspettative successorie.

In conclusione, la differenza riscontrabile fra i modelli di tutela penale a raffronto corrisponde alla differenza riscontrabile fra le situazioni rispettivamente tutelate: l'art. 12-sexies garantisce un rapporto di credito che esaurisce in se, successivamente al divorzio, ogni collegamento tra le sfere degli ex-coniugi, mentre l'art. 570 del codice penale tutela un rapporto personale tuttora in atto. Si tratta, quindi, di situazioni non omogenee, le cui tutele diversificate rendono ultronea ogni valutazione in termini di maggiore o minore intensità dell'una rispetto all'altra, trovando le differenze tra esse sufficiente giustificazione in tale non omogeneità.

4.- Sempre con riguardo alla tutela penale che l'art. 12-sexies assicura al coniuge divorziato riconosciuto dal giudice civile meritevole dell'assegno ex art. 5, l'ordinanza di rimessione ravvisa un <ulteriore discrimine> non giustificabile nell'<aver sottratto alla libera disponibilità del coniuge divorziato, cui non venga corrisposto l'assegno, la possibilità di scegliere se chiedere o meno la punizione del debitore mentre tale scelta e stata attribuita al separato che versi nella identica situazione>: ed infatti, in mancanza di un’espressa disposizione sulla procedibilità, <il reato previsto dall'art. 12-sexies va inteso procedibile d'ufficio>, mentre l'art. 570, terzo comma, del codice penale richiede di regola la querela della persona offesa.

Poiché la stessa ordinanza da atto che, nella specie, la vicenda processuale aveva preso le mosse da una querela presentata dalla beneficiaria dell'assegno contro l'inadempiente, nel chiaro intento di perseguirne la punizione rimuovendo ogni eventuale ostacolo processuale, e che la stessa persona offesa si era poi costituita parte civile, cosi ribadendo l'iniziale scelta persecutoria, la questione, come proposta, e da ritenersi irrilevante in quanto inattuale o comunque prematura. Solo in presenza di un'eventuale propensione del querelante a rimettere la querela, verrebbe a concretizzarsi la rilevanza della questione, che qui va, pertanto, dichiarata inammissibile.

5.- <Anche più immediato> che non nel caso di mancata corresponsione dell'assegno al coniuge divorziato sarebbe per il giudice a quo il <conflitto con l'art. 3 della Costituzione, laddove sia messa a confronto con l'art. 570> del codice penale l'altra ipotesi contemplata dall'art. 12-sexies: cioè, la violazione dell'obbligo di corrispondere l'assegno dovuto a norma dell'art. 6 della stessa legge 10 dicembre 1970, n. 898, in favore della prole dei coniugi divorziati.

L'ordinanza prende anzitutto in considerazione la parte di tale articolo nella quale e prevista la possibilità di stabilire un assegno pure in favore del figlio maggiorenne non ancora giunto all'indipendenza economica, lamentando che la tutela penalistica del relativo obbligo non trovi riscontro alcuno per quanto riguarda i figli maggiorenni di genitori separati. Ma la questione così posta risulta priva di ogni rilevanza, figurando presente nel caso di specie soltanto una figlia minorenne, e ne va, quindi, dichiarata l'inammissibilità.

Per tale ragione appare, invece, senz'altro rilevante la questione avente ad oggetto la parte dell'art. 12-sexies che incrimina la mancata corresponsione dell'assegno dovuto dal coniuge divorziato a favore dei figli minorenni.

Premesso che l'art. 12-sexies punisce comunque la mancata corresponsione dell'assegno, mentre l'art. 570, secondo comma, n. 2, del codice penale, senza distinguere tra genitori separati e genitori non separati, punisce solo chi fa mancare al figlio minore i mezzi di sussistenza, l'ordinanza di rimessione ritiene che la <diversificazione del trattamento riservato al figlio di genitori divorziati rispetto a quello previsto per il figlio di genitori separati o ancora regolarmente coniugati non trova alcuna giustificazione essendo sicuramente identico nei vari casi lo status di figlio e identici dovendo essere nei confronti di tale soggetto i doveri di coloro che rimangono suoi genitori, pur nella patologica evoluzione del rapporto coniugale>.

La questione non é fondata.

Si deve, anzitutto, ulteriormente precisare in che cosa consista la lamentata <diversificazione del trattamento riservato al figlio di genitori divorziati>, dal momento che l'art. 570, secondo comma, n. 2, del codice penale non distingue né tra figli minori di genitori separati e figli minori di genitori non separati, né tra figli minori di genitori divorziati e figli minori di genitori non divorziati, tant'é vero che, prima dell'introduzione dell'art. 12-sexies, mai era stato posto in dubbio che l'art. 570, secondo comma, del codice penale fosse applicabile anche a tutela dei figli minori di genitori divorziati.

L'attuale differenza di trattamento conseguente all'introduzione dell'art. 12-sexies sta, dunque, tutta nel fatto che, appunto in forza di questa nuova disposizione e, più precisamente, della parte di essa che si richiama all'art. 6 della legge n. 898 del 1970, viene a risultare sanzionato a tutela dei figli minori di genitori divorziati il sottrarsi all'obbligo di corrispondere l'assegno dovuto in seguito ad un provvedimento del giudice civile, mentre in forza dell'art. 570, secondo comma, n. 2, del codice penale - il solo dei due articoli applicabile anche a tutela dei figli minori di genitori separati-continua a rimanere sanzionato unicamente il far mancare quel minimo indispensabile rappresentato dai cosiddetti mezzi di sussistenza, intesi come i mezzi necessari di sostentamento secondo le valutazioni demandate dal legislatore al giudice penale. Ne discende che il comportamento del divorziato sottrattosi alla corresponsione dell'assegno dovuto a norma dell'art. 6 rientrerà di per sé nella previsione dell'art. 12-sexies, mentre ricadrà nell'ambito dell'art. 570, secondo comma, n. 2, se sarà risultato tale da far addirittura mancare i mezzi di sussistenza.

L'innegabile differenza cosi insorta fra il trattamento stabilito nei confronti del genitore divorziato ed il trattamento stabilito nei confronti del genitore separato per quanto riguarda i figli minori non può, peraltro, dirsi priva di ogni giustificazione, come vorrebbe il giudice a quo. Anche qui valgono le considerazioni già svolte in ordine alla mancata corresponsione dell'assegno di divorzio al coniuge più debole, soprattutto perché la destinazione dell'assegno di mantenimento ai figli minori (v. art. 6, undicesimo comma, della legge n. 898 del 1970, nel testo novellato ad opera dell'art. 11 della legge n. 74 del 1987) non sta a significare che sono essi i creditori della relativa prestazione. Creditore di quest'ultima e da intendersi pur sempre - allo stesso modo di quanto avviene nei casi di separazione, peraltro regolati in proposito dall'art. 155 del codice civile - il coniuge affidatario.

Nel sanzionare il comportamento di chi si sottrae all'obbligo di corrispondere l'assegno dovuto a norma dell'art. 6, l'art. 12- sexies tutela, dunque, un'ulteriore posizione creditoria dell'altro coniuge, che, sia pur destinata al preciso scopo di contribuire al mantenimento dei figli e, quindi, finalizzata a soddisfare le loro esigenze, si aggiunge alla posizione creditoria sottostante all'assegno dovuto a norma dell'art. 5: il che vale pure a spiegare l'impiego del singolare nella formula <assegno dovuto a norma degli artt. 5 e 6>, come se si trattasse di un tutt'uno, conformemente, del resto, alla riconosciuta prassi di liquidare in un unico ammontare complessivo i contributi disposti dal giudice civile a favore del coniuge e della prole, salva, beninteso, la diversità dei rispettivi presupposti e dei relativi criteri di determinazione, anche, se non soprattutto, a fini fiscali.

Una volta riportato il discorso relativo alle differenze di trattamento in ordine ai figli minori nell'ottica del credito di cui é titolare il coniuge affidatario, tali differenze si sottraggono alla censura di irragionevolezza in forza degli stessi argomenti adottati a proposito delle differenze di trattamento concernenti l'assegno per il coniuge.

6.-Restano da esaminare i dubbi di legittimità costituzionale sollevati nella parte conclusiva dell'ordinanza di rimessione, con riferimento all'art. 25, primo comma, della Costituzione. La nuova fattispecie delittuosa, imperniata dall'art. 12-sexies della legge 1° dicembre 1970, n. 898, sulla mancata corresponsione dell'assegno dovuto all'ex-coniuge, violerebbe il principio di legalità, data l'indeterminatezza sia del precetto sia della sanzione.

Entrambe le questioni sono inammissibili.

Quanto al precetto, l'indeterminatezza deriverebbe dal fatto che, pur essendo fuori di ogni discussione l'irrilevanza penale delle condotte omissive poste in essere prima dell'entrata in vigore della legge 6 marzo 1987, n. 74 (cioè, prima del 26 marzo 1987), non sarebbe altrettanto chiaro <se la norma dell'art. 12-sexies possa essere applicata solo a colui che risulti debitore inadempiente di un assegno stabilito a favore ex-coniuge dopo l'entrata in vigore della legge>, e, quindi, sulla base dei nuovi criteri fissati dal testo novellato dell'art. 5, sesto comma, per la determinazione dell'assegno, ovvero <anche a colui che ometta di versare> dopo il 26 marzo 1987 <quanto stabilito dal giudice civile prima> di tale data, sulla base dei diversi criteri fissati dal testo originario dell'art. 5, quarto comma.

Si tratta, all'evidenza, di un'alternativa piuttosto netta, ben lontana da quell'indeterminatezza che, per dar luogo ad una violazione del principio di stretta legalità, dovrebbe risultare assoluta, non eliminabile in sede interpretativa. Qui l'indeterminatezza lamentata si riduce alla prospettazione di due interpretazioni, la scelta tra le quali sarebbe, anzi é, compito tipico ed esclusivo del giudice ordinario. Con l'aggiungere che, <se si volesse poi interpretare la norma nel senso che comunque la stessa penalizza chiunque sia inadempiente all'obbligo di corresponsione di un assegno di divorzio nei confronti del coniuge tout court stabilito>-e, quindi, anche di un assegno stabilito ai sensi dell'art. 5 vecchio testo-<potrebbe la norma trovarsi in contrasto con l'altro principio costituzionale dell'irretroattività della legge penale> (art. 25, secondo comma, della Costituzione), il giudice a quo, oltre a ribadire la sua rinuncia ad operare la necessaria scelta interpretativa, non solo non evita l'inammissibilità della questione, ma anzi l'aggrava. Come questa Corte ha già avuto modo di precisare, <non é consentito ai giudici di ipotizzare, collocandole sul medesimo piano, interpretazioni alternative delle norme (in ipotesi anche più di due)> (cfr. la sentenza n. 225 del 1983), nemmeno per denunciare il contrasto con la Costituzione di una o di ciascuna fra esse.

In tal caso verrebbe addirittura <meno la possibilità di verificare la rilevanza della questione, la quale é constatabile soltanto attraverso la precisa indicazione della norma impugnata nell’accezione che si ritiene applicabile nel giudizio a quo> (v. pure la sentenza n. 109 del 1982).

Per quanto concerne la sanzione, essendo due soltanto, e ben netta mente contrapposte, le possibilità interpretative cui da luogo il rinvio dell'art. 12-sexies alle <pene previste dall'art. 570 del codice penale>, non di indeterminatezza si tratta, ma di un normale dubbio interpretativo, come riconosce la stessa ordinanza, asserendo che <non e chiaro se il richiamo debba intendersi alle pene alternative previste dal 1° co. del 570 c.p. o a quelle congiunte del 2° co.>, senza profilare per alcuna delle due soluzioni dubbie di legittimità costituzionale. Scegliere la soluzione preferibile alla stregua del sistema, come si è preoccupata dialetticamente di fare la dottrina occupatasi del problema, e compito specifico dell'interprete e, quindi, nella specie, del giudice ordinario, in conformità a quanto accade ogni volta in cui si debbano applicare disposizioni dalla lettura non pacificamente univoca. Il sostenere, come fa l'ordinanza, che le ipotesi previste dai due commi dell'art. 570 del codice penale darebbero vita ad altrettante figure autonome di reato, cosicché nessuna di esse potrebbe assurgere a <reato-base da considerare parametro per l’individuazione della pena>, a parte che e tesi non pacifica, non basta a precludere una scelta cui possono soccorrere altri elementi di raffronto. Ad essa, pertanto, il giudice a quo non poteva abdicare. L'aver rinunciato a tale normale, anche se non agevole, operazione ermeneutica (cfr. la sentenza n. 49 del 1980) per rivolgersi a questa Corte non può che rendere inammissibile la questione proposta.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

a) dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell'art. 12-sexies della legge 1° dicembre 1970, n. 898 (Disciplina dei casi di scioglimento del matrimonio), aggiunto dall'art. 21 della legge 6 marzo 1987, n. 74 (Nuove norme sulla disciplina dei casi di scioglimento del matrimonio), sollevate, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, dal Pretore di Napoli con l'ordinanza in epigrafe;

b) dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell'art. 12-sexies della legge 1° dicembre 1970, n. 898 (Disciplina dei casi di scioglimento del matrimonio), aggiunto dall'art. 21 della legge 6 marzo l987, o. 74 (Nuove norme sulla disciplina dei casi di scioglimento del matrimonio), sollevate, in riferimento agli artt. 3 e 25, secondo comma, della Costituzione, dal Pretore di Napoli con l'ordinanza in epigrafe.

 

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 19/07/89.

 

Francesco SAJA - Giovanni CONSO - Ettore GALLO - Aldo CORASANITI - Giuseppe BORZELLINO - Francesco GRECO - Renato DELL'ANDRO - Gabriele PESCATORE - Ugo SPAGNOLI - Francesco Paolo CASAVOLA - Antonio BALDASSARRE - Vincenzo CAIANIELLO - Mauro FERRI - Luigi MENGONI - Enzo CHELI.

 

Depositata in cancelleria il 31/07/89.

 

Francesco SAJA, PRESIDENTE

Giovanni CONSO, REDATTORE