Sentenza n. 326 del 1989

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SENTENZA N.326

ANNO 1989

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori Giudici:

Dott. Francesco SAJA, Presidente

Prof. Giovanni CONSO

Prof. Ettore GALLO

Prof. Aldo CORASANITI

Prof. Giuseppe BORZELLINO

Dott. Francesco GRECO

Prof. Renato DELL'ANDRO

Prof. Gabriele PESCATORE

Avv. Ugo SPAGNOLI

Prof. Francesco Paolo CASAVOLA

Prof. Antonio BALDASSARRE

Prof. Vincenzo CAIANIELLO

Avv. Mauro FERRI

Prof. Luigi MENGONI

Prof. Enzo CHELI

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nel giudizio promosso con ricorso della Regione Valle d'Aosta notificato il 3 marzo 1989, depositato in cancelleria il 15 marzo 1989 ed iscritto al n. 5 del registro ricorsi 1989, per conflitto di attribuzione sorto a seguito delle note dell'Intendenza di Finanza di Aosta, protocollo n. 23659 in data 5 gennaio 1989 (Sorgente acque minerali <La Saxe> in Comune di Courmayeur), protocollo n. 14711 in data 30 gennaio 1989 (Demanio - Sorgente acque minerali <La Regina> in Comune di Courmayeur), protocollo n. 14712 in data 30 gennaio 1989 (Demanio - Sorgente acque minerali <La Vittoria> in Comune di Courmayeur).

Visto l'atto di costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica del 16 maggio 1989 il Giudice relatore Francesco Paolo Casavola;

uditi l'avvocato Gustavo Romanelli per la Regione Valle d'Aosta e l'Avvocato dello Stato Sergio Laporta per il Presidente del Consiglio dei ministri.

 

Considerato in diritto

 

1. - La Regione autonoma Valle d'Aosta ha sollevato conflitto di attribuzione in riferimento alle note dell'Intendenza di Finanza di Aosta n. 23659 del 5 gennaio 1989, n. 14711 e n. 14712 del 30 gennaio 1989 con cui e stato sollecitato, in favore dell'Ufficio del Registro di Aosta, il versamento dei canoni relativi a tre diverse concessioni di acque minerali.

A parere della ricorrente le acque minerali e termali farebbero tutte indistintamente parte del patrimonio indisponibile della Regione, sia per effetto delle disposizioni statutarie, sia alla stregua della sopravvenuta normativa cui si è fatto cenno in narrativa.

L'Amministrazione finanziaria muove dall'opposta premessa, fatta propria dall'Avvocatura dello Stato, dell'appartenenza a quest'ultimo dei beni in argomento e del conseguente diritto ai canoni, sul non contestato presupposto che si tratti di concessioni anteriori al 7 settembre 1945 e come tali escluse, per riserva espressa dello Statuto, dal novero di quelle previste come gratuite in favore della Regione per la durata di novantanove anni.

2.-L'esame della normativa statutaria, e della legislazione successiva porta ad escludere che le acque minerali e termali siano state trasferite alla Regione.

L'art. 2, lettera i), sancisce la potestà legislativa primaria in tema di acque minerali e termali, mentre l'art. 3, lettera e), riconosce alla Regione una potestà integrativa per la disciplina dell’utilizzazione delle miniere. Entrambe le norme accordano gli anzidetti poteri <indipendentemente da ogni presupposto di carattere patrimoniale> come ha affermato questa Corte nella sentenza n. 8 del 1958.

D'altronde, come meglio si preciserà, l'attribuzione di potestà differenziate non consente affatto di scindere ad altri fini due elementi tradizionalmente soggetti ad una disciplina unitaria quali le miniere e le acque minerali e termali.

Sotto il titolo Finanze, Demanio e Patrimonio lo Statuto dispone nel modo seguente: con l'art. 5 vengono trasferiti al demanio regionale i beni del demanio dello Stato, eccettuati quelli che interessano la difesa dello Stato o servizi di carattere nazionale, subito dopo precisandosi: <Sono altresì trasferite al demanio della Regione le acque pubbliche in uso di irrigazione e potabile>. Il successivo art. 6 sancisce il trasferimento dei beni immobili patrimoniali dello Stato al patrimonio della Regione, aggiungendo immediatamente che del patrimonio indisponibile di questa fanno parte le foreste, le cave, gli edifici destinati ad uffici e servizi.

L'art. 7 dispone che le acque pubbliche, ad eccezione di quelle indicate sub art. 5, formano oggetto di concessione gratuita e rinnovabile per novantanove anni alla Regione, salvo quelle che avessero già formato oggetto di concessione alla data del 7 settembre 1945. Una previsione del tutto analoga e contenuta, per quanto riguarda le miniere, nell'art. 11. In entrambi i casi si prevede la possibilità per la Regione di promuovere a proprio beneficio la decadenza dalla concessione nell'ipotesi di mancata utilizzazione o sfruttamento.

Ciò posto, é opportuno ricordare come nel nostro ordinamento le acque pubbliche da una parte e quelle minerali e termali dall'altra siano oggetto di ben distinte discipline, risultando individuate le une in ragione dell'attitudine ad usi di pubblico interesse e le altre sulla base delle loro intrinseche qualità che le rendano adatte all'utilizzazione terapeutica. Infatti l'art. 92 del regio decreto 11 dicembre 1933, n. 1775 (Testo unico delle disposizioni di legge sulle acque e impianti elettrici) esclude dal regime delle acque pubbliche le acque termo-minerali e radioattive, che debbono viceversa ritenersi assoggettate al regime delle miniere (della cui nozione giuridica rappresentano una sottospecie) ai sensi del regio decreto 29 luglio 1927, n. 1443.

Poiché nello Statuto regionale non vi è una norma che espressamente trasferisca alla Regione autonoma tali beni patrimoniali indisponibili, ed escluso che possa farsi utile riferimento al regime delle acque pubbliche, deve ritenersi che il diritto di proprietà sulle acque in argomento permanga in capo allo Stato, risultando applicabile la disciplina dettata per le miniere.

3. - Del resto é la stessa legge regionale 8 febbraio 1958, n. 1 - come anche esplicitamente riconosce la ricorrente - che, nel regolare la ricerca, coltivazione ed utilizzazione delle miniere, vi ricomprende le acque minerali e termali con il richiamo all'art. 2, lettera 1), dello Statuto.

Le norme di attuazione di quest'ultimo, poi, dettate in subiecta materia dall'art. 34 del d.P.R. 22 febbraio 1982, n. 182, si limitano ad attribuire le funzioni amministrative e di vigilanza alle quali si collega logicamente la facoltà di pronunciare la decadenza del concessionario. Analoghe attività di gestione vengono trasferite per quanto riguarda le miniere dagli artt. 9 e 10 del d.P.R. 27 dicembre 1985, n. 1142.

Il dato storico rappresentato dal decreto luogotenenziale 7 settembre 1945, n. 546, che per primo attribuì alla Valle d'Aosta la concessione di acque pubbliche e miniere resta nella sua essenza immutato se si analizza la legislazione successiva: la Regione gode, più che di una concessione, di un complesso di poteri perché li eserciti in luogo dello Stato (come sostanzialmente riconosciuto da questa Corte con la citata sentenza n. 8 del 1958), ma la gamma delle facoltà di utilizzazione, per quanto ampia e via via dilatatasi, non é comprensiva del diritto di percepire il canone, inscindibilmente connesso con il diritto dominicale sulle acque.

La necessità che il trasferimento di diritti demaniali alla Regione a statuto speciale risulti espressamente da una disposizione, nonché l'anzidetto, necessario collegamento tra tale diritto e la devoluzione del canone rappresentano due principi già affermati da questa Corte nelle sentenze n. 133 del 1986 e n. 152 del 1971, e sulla base di essi va parimenti respinta la tesi della ricorrente nel caso in esame.

4. - Per completezza devesi ancora escludere che l'art. 11, quinto comma, della legge 16 maggio 1970, n. 281, il quale trasferisce alle Regioni a statuto ordinario le acque minerali e termali, possa trovare applicazione nei confronti della Valle d'Aosta.

Anche a prescindere dall’inidoneità della fonte ad integrare lo Statuto, tale norma e volta a costituire, secondo l'indicazione di cui all'art. 119, ultimo comma, della Costituzione, quel patrimonio in disponibile in ordine al quale i singoli statuti hanno viceversa disposto per le Regioni autonome, peraltro con differenze sensibili e specificità diverse; pertanto e pure accaduto che alcune Regioni, come il Friuli-Venezia Giulia ed il Trentino-Alto Adige non siano state dotate di demanio idrico, mentre l'esclusione di cui alla presente controversia può ragionevolmente ricondursi da un lato all'interesse industriale sotteso allo sfruttamento delle acque e dall'altro al permanere di un’esclusiva titolarità dello Stato in ordine alla competenza del riconoscimento delle proprietà terapeutiche.

Né in materia di trasferimento di beni può invocarsi utilmente la sentenza n. 1029 del 1988, con la quale questa Corte ha rilevato come sia inaccettabile che le Regioni a statuto speciale restino private di attribuzioni riconosciute a quelle a statuto ordinario, riferendosi l'affermazione alle <attribuzioni> e non all’appartenenza dei beni.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara che spettano allo Stato i canoni attinenti alle concessioni delle sorgenti di acque minerali e termali denominate <La Saxe>, <La Vittoria> e <La Regina> site nel Comune di Courmayeur.

 

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 18/05/89.

 

Francesco SAJA - Giovanni CONSO - Ettore GALLO - Aldo CORASANITI - Giuseppe BORZELLINO - Francesco GRECO - Renato DELL'ANDRO - Gabriele PESCATORE - Ugo SPAGNOLI - Francesco Paolo CASAVOLA - Antonio BALDASSARRE - Vincenzo CAIANIELLO - Mauro FERRI - Luigi MENGONI - Enzo CHELI.

 

Depositata in cancelleria il 06/06/89.

 

Francesco SAJA, PRESIDENTE

Francesco Paolo CASAVOLA, REDATTORE