Sentenza n. 204 del 1989

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SENTENZA N.204

ANNO 1989

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

 

composta dai signori Giudici:

Prof. Giovanni CONSO, Presidente

Prof. Ettore GALLO

Prof. Aldo CORASANITI

Prof. Giuseppe BORZELLINO

Prof. Renato DELL'ANDRO

Prof. Gabriele PESCATORE

Avv. Ugo SPAGNOLI

Prof. Francesco Paolo CASAVOLA

Prof. Antonio BALDASSARRE

Prof. Vincenzo CAIANIELLO

Avv. Mauro FERRI

Prof. Luigi MENGONI

Prof. Enzo CHELI

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nei giudizi di legittimità costituzionale degli artt. 54, 55 e 59 del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267 (Disciplina del fallimento, del concordato preventivo, dell'amministrazione controllata e della liquidazione coatta amministrativa), e combinato disposto degli artt. 59 stesso regio decreto e 429, comma terzo, del codice di procedura civile, promossi con le seguenti ordinanze:

1) ordinanza emessa il 25 gennaio 1988 dal Tribunale di Frosinone nel procedimento civile vertente tra Belli Luciana e il Fallimento <Lesa Sport>, iscritta al n. 188 del registro ordinanze 1988 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 21/1a serie speciale dell'anno 1988;

2) ordinanza emessa l'8 febbraio 1988 dal Tribunale di Savona nel procedimento civile vertente tra Viano Adriano e il Fallimento Valente Adriano, iscritta al n. 22 del registro ordinanze 1988 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 23/1a serie speciale dell'anno 1988;

3) ordinanza emessa il 5 maggio 1988 dal Tribunale di Savona nella procedura fallimentare nei confronti del Fallimento S.n.c. Edilferro di Bergamini Wolmer e Ragazzi Walter, iscritta al n. 550 del registro ordinanze 1988 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 43/1a serie speciale dell'anno 1988.

Visto l'atto di costituzione di Belli Luciana, nonché gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica del 10 gennaio 1989 il Giudice relatore Aldo Corasaniti;

udito l'Avvocato dello Stato Giorgio D'Amato per il Presidente del Consiglio dei ministri.

 

Considerato in diritto

 

1. -Con le ordinanze in epigrafe e messa in dubbio la legittimità costituzionale, in riferimento agli artt. 3 e 36 della Costituzione:

a) dell'art. 59 del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267 (Disciplina del fallimento, del concordato preventivo, della amministrazione controllata e della liquidazione coatta amministrativa)-da considerare nella combinazione del suo precetto con quello dell'art. 429, terzo comma, c.p.c. secondo uno dei giudici a quibus-nella parte in cui, nell'ambito del procedimento fallimentare, non consente la rivalutazione dei crediti da lavoro riguardo al periodo successivo alla dichiarazione di fallimento (ordinanza del Tribunale di Frosinone e del giudice delegato, presso il Tribunale di Savona, al fallimento di Adriano Valente);

b) degli artt. 54, terzo comma, e 55, primo comma, dello stesso regio decreto 267 del 1942, nella parte in cui, sempre nell'ambito del procedimento fallimentare, non estende agli interessi la prelazione che assiste i crediti da lavoro dipendente (ordinanze suindicate e ordinanza del giudice delegato, presso il Tribunale di Savona, al fallimento della S.n.c. Edilferro di Bergamini Wolmer e Ragazzi Walter).

Stante la sostanziale identità delle questioni che ne sono oggetto, può essere disposta la riunione dei giudizi.

2.-Va disattesa l'eccezione di inammissibilità opposta dalla Avvocatura dello Stato circa la legittimazione del giudice delegato, presso il Tribunale di Savona, al fallimento di Adriano Valente, investito dell'esame di una domanda tardiva di ammissione. Invero non difettava il potere di decidere positivamente sull'ammissione del credito, anche se, ovviamente, il giudice ne ha subordinato l'esercizio alla pronuncia sulla questione di legittimità sollevata.

3. - La legittimità costituzionale della norma che non consente la rivalutazione dei crediti da lavoro maturati anteriormente alla dichiarazione di fallimento con riguardo al tempo successivo e messa in discussione deducendosi che la norma, da un lato, restringe ingiustificatamente l'attuazione del precetto costituzionale di cui all'art. 36 della Costituzione, attuazione alla quale e preordinato l'art. 429, terzo comma, c.p.c., dall'altro determina un’ingiustificata discriminazione sfavorevole dei portatori di crediti da lavoro fatti valere nel fallimento rispetto ai portatori di crediti da lavoro fatti valere in altre procedure.

Con la sentenza n. 139 del 1981, questa Corte ha dichiarato non fondata una questione di legittimità costituzionale in tutto analoga a quella ora proposta.

Ha infatti ritenuto non contrastante con gli artt. 3 e 36 della Costituzione la non rivalutabilità dei crediti da lavoro dipendente nella procedura fallimentare sia che tale non rivalutabilità si faccia discendere dal coordinato disposto dell'art. 429, terzo comma, c.p.c. (che prevede la rivalutabilità nel caso di sentenza di condanna al pagamento dei crediti stessi) e dell'art. 59 della legge fallimentare (che fissa nella data della dichiarazione di fallimento il momento al quale si deve avere riguardo nella quantificazione dei crediti aventi per oggetto una prestazione pecuniaria determinata con riferimento ad altri valori o una prestazione non pecuniaria), sia che si propenda a ricavare la non rivalutabilità suddetta, in riferimento all'art. 429 c.p.c. ora richiamato, dagli artt. 42, 52, 92 e seguenti della legge fallimentare (che esprimono in vario modo l'esigenza di aver riguardo, per ogni valutazione attinente alla procedura fallimentare, alla data di dichiarazione di fallimento). Ha considerato in proposito che sue precedenti sentenze (nn. 13 e 43 del 1977), sebbene avessero ravvisato il presidio e la garanzia dell'art. 36 (oltre che di altri precetti) della Costituzione sullo sfondo dell'art. 429, terzo comma, c.p.c., avevano individuato il ruolo di tale ultima norma nella <remora> da essa posta al mancato soddisfacimento dei crediti da lavoro da parte dell'imprenditore, <remora> che non avrebbe ragion d'essere la dove il soddisfacimento non é più consentito dopo la dichiarazione di fallimento se non attraverso l'espletamento della procedura fallimentare.

Ma con la successiva sentenza n. 300 del 1986, questa Corte ha dichiarato l'illegittimità costituzionale del combinato disposto degli artt. 59 della legge fallimentare e 429, terzo comma, c.p.c. nella parte in cui esclude la rivalutazione dei crediti da lavoro per il periodo successivo alla domanda di concordato preventivo.

E ciò in quanto ha ritenuto che, in tale ultimo procedimento, alla rivalutabili non si opponga la regola della par conidio creditore, considerando cosi tale regola per un verso essenziale al procedimento fallimentare e per altro verso idonea ad impedire la rivalutazione dei crediti da lavoro nel procedimento medesimo.

Argomentando variamente in ordine alle statuizioni adottate ed alle motivazioni svolte da questa Corte con le sentenze dianzi richiamate, i giudici a quibus negano in particolare che la par condicio creditorum sia valido ostacolo alla rivalutabilità dei crediti da lavoro nel fallimento, una volta che questa é giustificata dall'attuazione dell'art. 36 della Costituzione (precetto per se stesso implicante discriminazione favorevole dei lavoratori) e non costituisce una mera <remora> all'inadempimento da parte del datore di lavoro.

4.-Pur discutendosene il fondamento, é comunemente riconosciuto che la par condicio creditorum é la regola del procedimento fallimentare.

Ma anche a ravvisarne il fondamento nel principio costituzionale di eguaglianza-in quanto mira a garantire ad ogni creditore la possibilità di soddisfacimento del credito in proporzione al suo ammontare-non per questo essa può vantare una assoluta inderogabilità. Il principio costituzionale di eguaglianza, infatti, tollera disparità di trattamento se queste siano giustificate da ragioni apprezzabili, e tanto più se lo siano dall'attuazione di un valore costituzionale. E quest'ultima ipotesi deve ritenersi qui ricorrente, non essendovi dubbio che la rivalutazione dei crediti da lavoro dipendente costituisca forma di attuazione dell'art. 36 della Costituzione.

Non può dunque in nessun caso ritenersi assolutamente preclusa, in nome della par condicio creditorum, la rivalutazione dei crediti da lavoro nel procedimento fallimentare, tenuto conto fra l'altro che essa opera non tanto come <remora> posta all'inadempimento da parte dell'imprenditore, quanto come strumento destinato ad assicurare l'effettività della garanzia apprestata dall'art. 36 della Costituzione tramite l'adeguamento del loro ammontare secondo dati criteri.

D'altra parte l'assoluta preclusione della rivalutazione dei detti crediti nel fallimento determinerebbe realmente ingiustificata disparità di trattamento dei portatori degli stessi rispetto ai portatori di crediti da lavoro fatti valere in altri procedimenti.

5.-E' da ritenere tuttavia che la rivalutazione con riguardo al tempo successivo alla data della dichiarazione di fallimento non possa aver luogo, almeno in sede fallimentare, senza alcun limite, ma che essa debba essere disposta, sempre in tale sede, con riguardo al tempo fino al momento in cui lo stato passivo diviene definitivo.

Oltre tale limite, infatti, la rivalutazione sacrificherebbe ingiustificatamente l'interesse degli altri creditori nel fallimento (par condicio), mentre urterebbe contro esigenze proprie del procedimento in discorso, vale a dire tanto contro quella, rilevante per tutti i creditori (ivi compresi gli stessi portatori di crediti da lavoro), che la realizzazione dei crediti avvenga con la maggiore speditezza possibile, quanto contro quella che l'esecuzione qui si svolga, come ogni forma di esecuzione di crediti, secondo l'accertamento e/o la liquidazione che ne sono la base, accertamento e liquidazione contenuti appunto nello stato passivo.

La rivalutabilità entro il limite suindicato, invece, oltre a non determinare ingiustificato sacrificio degli altri creditori nel fallimento, risponde alle dette esigenze. Inoltre essa non importa intollerabile discriminazione fra i crediti da lavoro fatti valere nel fallimento e quelli fatti valere in altra sede (particolarmente, in assenza di fallimento o nel caso che il debitore sia ritornato in bonis, nella sequenza: cognizione-esecuzione individuale).

Va dunque dichiarata l'illegittimità costituzionale della norma impugnata nella parte in cui non prevede la rivalutazione dei crediti da lavoro nel fallimento entro il limite ora indicato.

6.-La legittimità costituzionale della norma risultante dal coordinamento degli artt. 55 e 54 I.f., che, pur sancendo la produzione di interessi sulle somme oggetto di crediti assistiti da privilegio, non estende (in quanto l'art. 54, ultimo comma, I.f. non richiama in proposito gli artt. 2749 c.c. e 2751 bis n. 1) la prelazione a tali interessi come invece fa per quelli sulle somme oggetto di crediti assistiti da pegno o da ipoteca, e anche essa messa in dubbio in riferimento congiunto agli artt. 3 e 36 della Costituzione.

Premesso che gli obbiettivi di garanzia costituzionale per il lavoratore subordinato dianzi richiamati vengono in considerazione non soltanto per le somme oggetto dei crediti da lavoro (la cui disponibilità e direttamente connessa agli obbiettivi in parola), ma anche per gli interessi sulle somme stesse (destinati al ristoro della mancanza della detta disponibilità), non sembra dubbio che sia ingiustificatamente lesiva dell'art. 36 della Costituzione la disparità di trattamento determinata dalla denunciata omessa previsione della prelazione (cfr., in tal senso, la sentenza n. 300 del 1986 resa da questa Corte in riferimento all'ipotesi del concordato preventivo).

E' dunque necessario dichiarare illegittima tale omissione, cosi che rimanga adeguatamente integrata, anche in relazione al fallimento, la tutela, sotto tale aspetto, dei crediti da lavoro sub ordinato.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

riuniti i giudizi,

a) dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 59 del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267 (Disciplina del fallimento, del concordato preventivo, dell'amministrazione controllata e della liquidazione coatta amministrativa), anche in relazione all'art. 429 terzo comma c.p.c., nella parte in cui non prevede la rivalutazione dei crediti da lavoro con riguardo al periodo successivo all'apertura del fallimento fino al momento in cui lo stato passivo diviene definitivo;

b) dichiara l'illegittimità costituzionale degli artt. 54, comma terzo, e 55, comma primo, del regio decreto n. 267 del 1942, nella parte in cui non estendono la prelazione agli interessi dovuti sui crediti privilegiati da lavoro nella procedura di fallimento del datore di lavoro.

 

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 12/04/89.

 

Giovanni CONSO - Ettore GALLO - Aldo CORASANITI - Giuseppe BORZELLINO - Renato DELL'ANDRO - Gabriele PESCATORE - Ugo SPAGNOLI - Francesco Paolo CASAVOLA - Antonio BALDASSARRE - Vincenzo CAIANIELLO - Mauro FERRI - Luigi MENGONI - Enzo CHELI.

 

Depositata in cancelleria il 20/04/89.

 

Giovanni CONSO, PRESIDENTE

Aldo CORASANITI, REDATTORE