Sentenza n. 167 del 1989

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SENTENZA N.167

ANNO 1989

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori Giudici:

Dott. Francesco SAJA, Presidente

Prof. Giovanni CONSO

Prof. Ettore GALLO

Prof. Aldo CORASANITI

Prof. Giuseppe BORZELLINO

Dott. Francesco GRECO

Prof. Renato DELL'ANDRO

Prof. Gabriele PESCATORE

Avv. Ugo SPAGNOLI

Prof. Francesco Paolo CASAVOLA

Prof. Antonio BALDASSARRE

Prof. Vincenzo CAIANIELLO

Avv. Mauro FERRI

Prof. Luigi MENGONI

Prof. Enzo CHELI

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nei giudizi di legittimità costituzionale degli artt. 13 e 22 della legge 28 febbraio 1985, n. 47 (Norme in materia di controllo dell'attività urbanistico - edilizia, sanzioni, recupero e sanatoria opere edilizie), e dell'art. 8-quater del decreto legge 23 aprile 1985, n. 146, convertito nella legge 21 giugno 1985, n. 298 (Proroga di taluni termini di cui alla legge 28 febbraio 1985, n. 47), promossi con le seguenti ordinanze:

1) ordinanza emessa il 6 ottobre 1988 dal Pretore di Molfetta nel procedimento penale a carico di Gadaleta Luigi ed altra, iscritta al n. 771 del registro ordinanze 1988 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 1, prima serie speciale, dell'anno 1989;

2) ordinanza emessa il 14 giugno 1988 dal Pretore di Sorrento nel procedimento penale a carico di Cascone Alfonso ed altro, iscritta al n. 772 del registro ordinanze 1988 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 1, prima serie speciale, dell'anno 1989.

Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 22 febbraio 1989 il Giudice relatore Ettore Gallo.

 

Considerato in diritto

 

1. - Poiché le ordinanze sollevano identica questione, riferita allo stesso parametro, i giudizi possono essere riuniti e decisi con unica sentenza.

2.-Questa Corte, con sentenza n. 369 del 1988, ha risolto analoga situazione, anche se la denunzia riguardava gli artt. 35, 38 e 43 della stessa legge qui impugnata: e ciò perché le opere abusive, cui quella denunzia si riferiva, erano state costruite entro la data dell'1 ottobre 1983 (vedi paragrafo 13 della motivazione in diritto della citata sentenza).

Nella detta sentenza, però, la Corte, discutendo la non applicabilità dell'art. 8-quater del decreto-legge 23 aprile 1985, n. 146, esprimeva l'avviso che, se le opere erano state costruite dopo il 10 ottobre 1983 e demolite dopo il termine di cui all'art. 8-quater citato, a parità degli altri presupposti erano applicabili le disposizioni di cui al Capo I della legge n. 47 del 1985: e quindi proprio gli art.li 13 e 22 impugnati con le ordinanze in esame.

In realtà, la sentenza, sia pure a proposito degli artt. 35, 38 e 43 della legge, prendendo in considerazione la motivazione dell'ordinanza secondo cui, ove l'opera fosse stata demolita, non esisteva più la possibilità di ottenere sanatoria e quindi la conseguente estinzione del reato, espressamente decideva che, nonostante di regola sanatoria e contributo di concessione attengano alla costruzione realizzata, <ciò, peraltro, non esclude che possa estinguersi il reato edilizio anche a demolizione avvenuta>. E si é già detto più sopra che il principio affermato viene esteso anche alle costruzioni ultimate dopo il 10 ottobre 1983, con il rinvio al Capo I della legge.

3. -Prima di affrontare, però, il problema proposto in ordine agli art.li 13 e 22 della legge n. 47 del 1985, e opportuno sgomberare il terreno della discussione dalla questione sollevata in relazione all'art. 8-quater del citato decreto-legge. E ciò perché se - come adombrano le ordinanze - si dovesse rendere applicabile quest'ultima disposizione (fosse pure a seguito dell'intervento di questa Corte) anche dopo il termine indicato dall'art. 8-quater, la questione degli art.li 13 e 22 resterebbe assorbita, in quanto diventerebbe irrilevante a causa della non perseguibilità degli autori degli abusi.

Ma non sembra che l'irrazionalità denunciata a questo proposito dalle ordinanze di rimessione abbia consistenza.

Non é esatto, intanto, che la demolizione dell'opera abusiva elimini l'antigiuridicità del fatto, come sostengono i Giudici rimettenti. In realtà, l'eliminazione del manufatto illiceamente costruito fa soltanto cessare la permanenza del reato, ma la violazione della legge si é già perpetrata con il solo fatto della costruzione senza concessione, e con la violazione si è realizzata necessariamente quell'antigiuridicità del fatto che la demolizione non può più eliminare. Non senza ragione, del resto, la legge non parla nemmeno di <non punibilità> (nella quale ipotesi rientrano tanto le vere e proprie situazioni scriminanti quanto quelle di mera esenzione da pena per ragioni di opportunità), ma usa addirittura una formula atecnica a carattere processuale quale quella della <non perseguibilità>: e ciò proprio perché resti ben chiaro che l'effetto che la demolizione dell'opera abusiva produce é soltanto l'esenzione dall'azione penale, ferma restando l'illiceità del fatto compiuto.

Ovviamente, si tratta di un'indicazione da assumersi in senso improprio, dato che non potrebbe il legislatore ordinario, senza violare l'art. 112 della Costituzione, esonerare dall'obbligo dell'azione penale.

E, perciò, si tratta di <non perseguibilità> come conseguenza della <non punibilità>.

Tuttavia, una tale impropria definizione, che coglie soltanto la conseguenza esteriore del fenomeno giuridico, sta a testimoniare appunto che si tratta di esenzione da pena per ragioni di politica criminale, e non certo come effetto della caduta di antigiuridicità per cause intrinseche attinenti al nucleo sostanziale dell'illecito.

Ciò chiarito, va ricordato che, per costante giurisprudenza di questa Corte, lo stabilire limiti temporali a taluni effetti di estinzione del reato o della pena, o di non procedibilità, riguarda i poteri discrezionali del legislatore e non può dar luogo a censura d'irrazionalità per trattamento differenziato.

Pertanto, la questione sollevata in ordine all'art. 8-quater del decreto-legge citato non é fondata.

4. - Si deve ora tornare al problema concernente gli artt. 13 e 22 della legge n. 47 del 1985, con riguardo appunto alle opere abusive demolite (e, per verità, non importa se spontaneamente od in esecuzione di ordine dell'Autorità).

Deve riconoscersi che la sentenza n. 369 del 1988 di questa Corte, pur dichiarando applicabili, per i manufatti costruiti dopo il 10 ottobre 1983 e demoliti dopo il termine fissato dall'art. 8-quater del decreto-legge, le disposizioni di cui al Capo I della legge n. 47 del 1985, non ha spiegato in qual modo possa concretamente darsi applicazione agli artt. 13 e 22 della legge (vedi anche le ordinanze nn. 704912 e 1098 del 1988). Le ordinanze di rimessione, infatti, avevano in allora avanzato quelle stesse difficoltà procedurali che vengono puntualmente ora risollevate dalle ordinanze qui in esame: ma sul punto non c'era stata altra risposta che l'affermazione dell'applicabilità, <esistendone tutti gli altri presupposti>.

Orbene, é necessario innanzitutto uscire da un equivoco nel quale le ordinanze sembrano incorrere. Non é esatto che la demolizione dell'opera contra legem, in quanto ripristinerebbe la conformità a priori agli strumenti urbanistici, sarebbe di per se stessa meritevole di quei benefici che la legge ingiustamente riserverebbe soltanto alle opere non demolite, una volta accertata dall'Amministrazione la loro conformità ai detti strumenti (art. 13). Poiché evidentemente il legislatore si preoccupa di sanare soltanto le situazioni non incompatibili con gli strumenti urbanistici, vale a dire quelle che avrebbero potuto ottenere regolare concessione, se fosse stata a suo tempo richiesta, non basterebbe constatare che un manufatto abusivamente costruito non é più esistente per ritenere automaticamente integrata un'analoga situazione meritevole del beneficio.

Proprio per quanto più sopra s'é detto a proposito della demolizione contemplata nell'art. 8-quater del decreto-legge (dove si è rilevato che essa non elimina l'antigiuridicità del fatto illecito compiuto ma fa soltanto cessare la permanenza del reato), affinché in ipotesi il manufatto demolito possa godere dello stesso trattamento di favore riservato a quello conservato, occorre pur sempre accertare che si era trattato di un illecito, in quanto non incompatibile con gli strumenti urbanistici.

Altrimenti si introdurrebbe il principio secondo cui la semplice eliminazione delle conseguenze del reato, o addirittura la condotta che ne fa cessare la permanenza, elimina l'illecito.

Ma nemmeno é esatto, d'altra parte, che la pubblica Amministrazione non potrebbe, comunque, procedere all'accertamento di conformità ex art. 13, a richiesta del soggetto che volesse conseguire l'effetto estintivo, perché la mancanza dell'opera, ormai demolita, non consentirebbe la verifica della corrispondenza alla normativa urbanistica.

Il vero é, invece, che quando la situazione descritta é giunta, come nella specie, all'esame del Giudice, la pubblica Amministrazione ha a disposizione un dossier dove sono contenuti sia il rapporto che i suoi stessi agenti, o quelli di polizia giudiziaria, hanno redatto circa l'abusiva costruzione (e, perciò, con tutti gli estremi dell'illecito), sia l'ordine di demolizione emesso dal Sindaco (e, quindi, necessariamente con le precise indicazioni, specie se si tratti - come nel caso di Sorrento - di demolizione parziale). Il che puntualmente si è verificato in ambo le specie descritte dalle ordinanze di rimessione. Il Sindaco, perciò, é in grado di conoscere tutti gli elementi (località dove la costruzione sorgeva, sue caratteristiche di altezza, superficie, volume etc.) che gli consentano di stabilire con esattezza se il manufatto demolito era o non compatibile con gli strumenti urbanistici.

Non dovendosi, peraltro, farsi luogo ad alcuna sanatoria perché la costruzione più non esiste, il Sindaco non può che limitare la sua attività alla certificazione del predetto accertamento, attestando, se del caso, che il manufatto demolito era conforme alle norme urbanistiche. Questo é appunto il significato che va attribuito alla citata espressione della sentenza n. 369 del 1988: <esistendone tutti gli altri presupposti>.

A questo punto, tuttavia, sembrerebbe opporsi, all'ulteriore corso in sede giudiziaria, l'interpretazione letterale dell'ultimo comma dell'art. 22 della legge che, ai fini dell'estinzione dei reati contravvenzionali, esige invece proprio <il rilascio in sanatoria della concessione>. E' evidente, però, che si tratta di una richiesta riferibile esclusivamente alle ipotesi in cui una costruzione da sanare esista, ed é ovvio che, in tal caso, il legislatore si preoccupi di estinguere i reati esclusivamente per quei manufatti abusivi che, proprio perché hanno ottenuto la concessione, sono sicuramente da ritenersi compatibili con gli strumenti urbanistici.

Ma, se la concessione non può venire in causa perché il fabbricato non esiste, ciò che conta, nello spirito della legge, é il presupposto su cui inderogabilmente la concessione si fonda: vale a dire, che il fabbricato demolito non fosse, comunque, in contrasto con le norme urbanistiche. Per tali casi, pertanto, l'accertamento di conformità, compiuto dal Sindaco ex art. 13, tiene necessariamente luogo della sanatoria concessa ai manufatti esistenti.

Del resto, ad analoga conclusione perviene recente ma consolidata giurisprudenza della Corte di cassazione, quando avverte che, pur non essendo ammissibile l'ottenimento della concessione in sanatoria ex artt. 13 e 22 della legge n. 47 del 1985 da parte di chi abbia ottenuto sanatoria sulla base di legge precedente, tuttavia il Giudice può ugualmente procedere all'estinzione del reato contravvenzionale, anche se questa non era prevista dalla legge precedente, dato che <una diversa soluzione determinerebbe un’inammissibile disparità di trattamento in violazione dell'art. 3 della Costituzione>.

Il che conferma che la questione può trovare la sua soluzione sul piano interpretativo.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

riuniti i giudizi,

1) dichiara non fondata, nei sensi di cui in motivazione, la questione di legittimità costituzionale degli artt. 13 e 22 della legge 28 febbraio 54 N. 167 - Sentenza 9 marzo 1989 1985, n. 47 (Norme in materia di controllo dell'attività urbanistico - edilizia, sanzioni, recupero e sanatoria opere edilizie), in riferimento all'art. 3 della Costituzione, sollevata dal Pretore di Sorrento con ordinanza 14 giugno 1988 e dal Pretore di Molfetta con ordinanza 6 ottobre 1988.

2) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 8-quater del decreto-legge 23 aprile 1985 n. 146 (Proroga di taluni termini di cui alla legge 28 febbraio 1985, n. 47) convertito, con modificazioni, nella legge 21 giugno 1985, n. 298, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, sollevata dagli stessi Pretori con le ordinanze di cui sopra.

 

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 09/03/89.

 

Depositata in cancelleria il 29/03/89.

 

Francesco SAJA, PRESIDENTE

Ettore GALLO, REDATTORE