Sentenza n.1141 del 1988

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SENTENZA N.1141

ANNO 1988

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

Prof. Francesco SAJA Presidente

Prof. Giovanni CONSO

Prof. Ettore GALLO

Prof. Giuseppe BORZELLINO

Dott. Francesco GRECO

Prof. Renato DELL'ANDRO

Prof. Gabriele PESCATORE

Avv. Ugo SPAGNOLI

Prof. Francesco Paolo CASAVOLA

Prof. Antonio BALDASSARRE

Prof. Vincenzo CAIANIELLO

Avv. Mauro FERRI

Prof. Luigi MENGONI

Prof. Enzo CHELI

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 2, primo comma, lett. a); 3, primo comma; 4, primo comma; 6, secondo comma e 7, secondo comma della legge approvata dall'Assemblea Regionale Siciliana il 22 ottobre 1987, avente per oggetto: <Recepimento della direttiva comunitaria n. 77/780, in materia creditizia> promosso con ricorso del Commissario dello Stato per la Regione siciliana, notificato il 29 ottobre 1987, depositato in cancelleria il 7 novembre successivo ed iscritto al n. 21 del registro ricorsi 1987.

Visto l'atto di costituzione della Regione Sicilia;

udito nell'udienza pubblica del 5 luglio 1988 il Giudice relatore Antonio Baldassarre;

uditi l'Avvocato dello Stato Ivo Braguglia, per il ricorrente, e gli Avvocati Guido Corso e Valerio Onida per la Regione.

Considerato in diritto

1. - Le questioni di legittimità costituzionale sollevate dal Commissario dello Stato per la Regione siciliana contro la legge dal titolo <Recepimento della direttiva comunitaria n. 77/780 in materia creditizia>, approvata dall'Assemblea Regionale Siciliana il 22 ottobre 1987, possono distinguersi in tre gruppi: a) questione relativa all'art. 2, primo comma, lett. a, che attribuisce al Comitato Regionale per il Credito e il Risparmio (C.R.C.R.) il potere di determinare l'ammontare minimo del capitale o del fondo di dotazione cui subordinare il rilascio dell'autorizzazione allo svolgimento dell'attività creditizia, per violazione dell'art. 17, lett. e, St. Sic. (r.d. lgs. 15 maggio 1946, n. 403), che riconosce alla Regione siciliana la competenza legislativa concorrente in materia di disciplina del credito e del risparmio, come attuato dagli artt. 1, 2 e 10 del d.P.R. 27 giugno 1952, n. 1133 (<Norme di attuazione dello Statuto siciliano in materia di credito e risparmio>), nonché dall'art. 1, comma secondo, lett. a, del d.P.R. 27 giugno 1985, n. 350, attuativo della direttiva comunitaria n. 77/780; b) questioni relative agli artt. 3, primo comma, 4, primo comma, e 6, secondo comma, i quali prevedono l'intesa dell'Assessore regionale per il bilancio e le finanze con le autorità creditizie centrali ovvero il nulla osta dell'Amministrazione regionale in ordine ad attività di competenza statale concernenti gli enti creditizi aventi sede centrale in Sicilia che operano anche fuori del territorio della regione, per violazione del predetto art. 17, lett. e, St. Sic., come attuato dall'art. 2 del già ricordato d.P.R. n. 1133 del 1952; c) questione relativa all'art. 7, secondo comma, che prevede la formazione del silenzio-rigetto sulla domanda di autorizzazione all'esercizio dell'attività creditizia nel termine di diciotto mesi dal ricevimento della domanda stessa, per violazione del limite dei principi fondamentali della materia, stabilito dall'art. 17, St. Sic., con riferimento al paragrafo 3, punto 6, della direttiva comunitaria n. 77/780, come attuata dall'articolo unico della legge delega 5 marzo 1975, n. 74 e dagli artt. 9, secondo comma, e 14 del d.P.R. n. 350 del 1985, che pongono il termine di dodici mesi per la formazione del silenzio-rifiuto sulla richiesta di autorizzazione in questione.

2. - La prima questione riguarda l'art. 2, comma primo, lett. a, della legge regionale impugnata, che, attribuendo al C.R.C.R. il potere di determinare l'ammontare minimo del capitale o del fondo di dotazione per le società o gli enti che intendano esercitare il credito in Sicilia, al fine di ottenere la relativa autorizzazione da parte dell'Assessore regionale per il bilancio e le finanze, attribuirebbe al predetto Comitato una competenza non ricompresa fra quelle ad esso spettanti ai sensi degli artt. 1 e 2 delle norme di attuazione contenute nel d.P.R. n. 1133 del 1952.

Secondo il ricorrente, poiché gli articoli da ultimo menzionati hanno demandato al C.R.C.R., per quanto si riferisce alle attività creditizie svolte nell'isola, le attribuzioni spettanti al Comitato Interministeriale per il Credito e il Risparmio (C.I.C.R.) a norma del decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato 17 luglio 1947, n. 691, e poiché il potere in contestazione e affidato alla Banca d'Italia in base all'art. 28, secondo comma6 del R.D.L. 12 marzo 1936, n. 375 (convertito nella legge 7 marzo 1938, n. 141), come modificato dall'art. 2, primo comma, del predetto decreto n. 691 del 1947, la disposizione impugnata, nell'affidare al C.R.C.R. un potere proprio della Banca d'Italia, si porrebbe in contrasto con le ricordate norme di attuazione.

La questione è fondata.

Nel precisare i poteri spettanti al C.R.C.R. nella materia del credito e del risparmio, attribuita alla competenza legislativa concorrente della Regione siciliana ai sensi dell'art. 17, lett. e, St. Sic., le norme di attuazione contenute negli artt. 1 e 2 del d.P.R. n. 1133 del 1952 ricorrono a un duplice criterio di definizione, uno soggettivo e l'altro oggettivo. Mentre sotto l'ultimo dei profili accennati, tali norme determinano l'ambito materiale delle competenze trasferite, precisando, per quanto qui interessa, che queste vanno limitate all'ordinamento degli istituti e delle aziende operanti nel settore, sotto il profilo soggettivo, invece, stabiliscono che, per ciò che attiene alle attività creditizie svolte in Sicilia, sono trasferite al C.R.C.R. le attribuzioni spettanti al C.I.C.R. a norma del decreto legislativo n. 691 del 1947, così come sono trasferite all'assessore per le finanze le attribuzioni spettanti al Ministro del Tesoro e al Governatore della Banca d'Italia a norma del medesimo decreto legislativo.

Non v'è dubbio che la particolare formazione storica del l'ordinamento bancario, avvenuta per aggregazioni legislative successive rispetto all'iniziale disciplina del 1936, ha contribuito a complicare l'esatta individuazione delle competenze trasferite soprattutto sotto il profilo soggettivo. L'art. 28, secondo comma, del R.D.L. 12 marzo 1936, n. 375, aveva infatti attribuito all'<Ispettorato per la difesa del risparmio e per l'esercizio del credito> il potere di determinare l'ammontare del capitale o del fondo di dotazione minimo cui subordinare la costituzione di aziende esercenti il credito. Ma la soppressione dell'Ispettorato ha indotto il legislatore a devolvere alla Banca d'Italia le funzioni che ad esso spettavano e a conferire al Governatore della Banca d'Italia le attribuzioni che gli venivano precedentemente riconosciute in quanto Capo dell'Ispettorato (artt. 12, secondo comma, r.d.l. n. 375 del 1936 e 2, d.lgs. n. 691 del 1947). In tal modo, anche il potere di determinazione dell'ammontare minimo del capitale o del fondo di dotazione necessario alle aziende di credito per ottenere l'autorizzazione a svolgere attività creditizia veniva demandato alla Banca d'Italia, se pure sotto le direttive del C.I.C.R..

Questa disposizione, formulata in via generale dal ricordato art. 2, commi primo e secondo, del decreto n. 691 del 1947, è stata più di recente confermata da una puntuale previsione contenuta nell'art. 1, primo comma, lett. a, del d.P.R. 27 giugno 1985, n. 350.

Dal quadro normativo ora tracciato appare evidente che il potere in contestazione, non essendo ricompreso fra quelli spettanti, in sede nazionale, al C.I.C.R. (come neppure fra quelli attribuiti al Ministro del Tesoro o al Governatore della Banca d'Italia, come tale), non può rientrare fra le competenze demandate al C.R.C.R., ai sensi dell'art. 1 del d.P.R. 27 giugno 1952, n. 1133. In altre parole, pur se il potere di determinare l'ammontare del capitale minimo per costituire aziende esercenti il credito attiene alla materia <ordinamento di istituti ed aziende di credito>, trattandosi di una condizione cui e subordinata la costituzione di tali istituti o aziende, ciò non basta al fine di considerarlo trasferito alle competenze della Regione siciliana in quanto, sotto il profilo soggettivo, non può essere classificato tra quelli precedentemente spettanti al C.I.C.R., vale a dire fra quelli che le norme di attuazione dello Statuto contenute nell'art. 1 del d.P.R. n. 1133 del 1952 considerano come le uniche attribuzioni trasferite al C.R.C.R.. Questa conclusione e ulteriormente rafforzata dalla presenza nel decreto appena citato di una norma di chiusura, in base alla quale <per tutto quanto non previsto nel presente provvedimento o con esso non in contrasto si applicano nella Regione le disposizioni dello Stato in materia di difesa del risparmio e di disciplina della funzione creditizia e sono competenti gli organi previsti da dette disposizioni> (art. 10, primo comma, d.P.R. n. 1133 del 1952).

Per tale ragione, dunque, l'art. 2, primo comma, lett. a, della legge impugnata va dichiarato costituzionalmente illegittimo nella parte in cui riconosce al Comitato regionale per il credito e il risparmio il potere di determinare in via generale l'ammontare minimo del capitale o del fondo di dotazione cui subordinare il rilascio dell'autorizzazione allo svolgimento della raccolta del risparmio e dell'esercizio del credito nel territorio della Regione siciliana.

3. - Il Commissario dello Stato per la Regione siciliana ha individuato ulteriori possibili violazioni dell'art. 17, lett. e, St. Sic., come attuato dall'art. 2 del d.P.R. n. 1133 del 1952, in altre disposizioni della legge impugnata, che prevedono vari poteri dell'Assessore regionale per il bilancio e le finanze o dell'Amministrazione regionale nei confronti di enti creditizi che, pur avendo sede centrale in Sicilia, non operano esclusivamente nel territorio della Regione. Sotto tale profilo sono impugnati: a) l'art. 3, primo comma, il quale dispone che <gli enti creditizi aventi sede centrale in Sicilia non possono procedere alla fusione, alla cessione di sportelli bancari, all'aumento di capitale ed alle modifiche dello statuto sociale senza il preventivo nulla-osta dell'Amministrazione regionale>; b) l'art. 4, primo comma, il quale prescrive che <le nomine di organi di amministrazione, di controllo o di direzione di istituti o di aziende di credito aventi la sede centrale in Sicilia, attribuite dal vigente ordinamento alla competenza delle autorità creditizie centrali, sono da queste effettuate previa intesa con l'Assessore regionale per il bilancio e le finanze>; c) l'art. 6, secondo comma, il quale stabilisce che <l'apertura di sportelli bancari fuori del territorio regionale da parte di enti creditizi aventi la sede centrale in Sicilia e autorizzata dalla Banca d'Italia previa intesa con l'Assessore regionale per il bilancio e le finanze.

In altre parole, tutti gli articoli appena citati prevedono poteri regionali di nulla-osta (art. 3) o d'intesa (artt. 4 e 6) in ordine all'esercizio di competenze statali che hanno ad oggetto attività di enti creditizi aventi la loro sede centrale in Sicilia, le quali si svolgono-ora per esplicita affermazione della disposizione impugnata (art. 6), ora per implicita ammissione della stessa (artt. 3 e 4), avente un riscontro nell'interpretazione che ne da la Regione negli scritti difensivi - anche al di fuori del territorio siciliano. Ad avviso del Commissario dello Stato, tali disposizioni si pongono in contrasto con l'art. 17, lett. e, St. Sic., come interpretato dalle norme di attuazione contenute nell'art. 2 del d.P.R. n. 1133 del 1952.

Le questioni sono fondate.

Nel dare attuazione alla norma statutaria che conferisce alla Regione siciliana la competenza legislativa concorrente in materia di credito, il d.P.R. n. 1133 del 1952, mentre ha individuato alcune competenze particolarmente ampie e significative in relazione agli enti creditizi aventi la loro sede centrale in Sicilia e operanti esclusivamente nel territorio regionale, ha invece definito competenze molto più limitate in ordine agli enti creditizi con sede centrale nell'isola ma operanti anche al di fuori del territorio della stessa (oltreché in ordine all'apertura di sportelli nell'isola da parte di enti aventi la sede centrale fuori del territorio regionale). Più precisamente, mentre, in relazione ai primi, ha trasferito all'Assessore per le finanze e al C.R.C.R. le competenze spettanti al Ministro del tesoro, al Governatore della Banca d'Italia e al C.I.C.R. in materia di ordinamento degli istituti e delle aziende di credito, di autorizzazione alla costituzione e alla fusione degli stessi, nonché di autorizzazione all'apertura, al trasferimento, alla sostituzione e alla chiusura degli enti medesimi (art. 2, lett. a, b, c), al contrario, in relazione agli istituti e alle aziende di credito con sede centrale in Sicilia, ma operanti anche al di fuori dell'isola, oltre a prevedere la competenza ad autorizzare l'apertura, il trasferimento, la sostituzione e la chiusura di sportelli limitatamente al territorio regionale (art. 2, lett. d), stabilisce soltanto poteri d'intesa (art. 4) ovvero poteri di controllo e di registrazione (art. 7) o di informazione (art. 8).

Alla previsione di questo distinto regime per gli enti di credito dell'uno e dell'altro tipo e sottesa una chiarissima ratio.

Infatti, mentre la competenza in materia di credito della Regione siciliana si esercita nella pienezza della sua consistenza costituzionale soltanto nei confronti degli istituti creditizi aventi sede centrale nell'isola e operanti esclusivamente nel l'ambito del territorio della stessa, al contrario, rispetto agli enti con sede centrale in Sicilia ma operanti anche al di fuori del territorio dell'isola, le competenze regionali si esprimono essenzialmente in atti di collaborazione in relazione all'esercizio di attribuzioni nelle quali domina l'interesse nazionale.

Tale ratio è solo apparentemente contraddetta dall'art. 2, lett. d, del d.P.R. n. 1133 del 1952, che affida alla Regione l'autorizzazione all'apertura, al trasferimento, alla sostituzione e alla chiusura degli sportelli all'interno del territorio isolano in relazione agli istituti di credito, con sede in Sicilia, operanti anche al di fuori della Regione. A ben vedere, invece, la norma contenuta nell'art. 2, lett. d, costituisce un'ulteriore conferma della ratio indicata, per il fatto che, astraendo dalla complessiva attività dei predetti istituti le attività di interesse eminentemente regionale (apertura di sportelli entro i confini dell'isola, etc.) e assoggettandoli alla competenza della Regione, ribadisce a contrario il principio che, rispetto a tali istituti creditizi, considerati nell'insieme delle loro attività, non si estendono le competenze di cui ordinariamente gode la Regione in materia di credito.

Dalle considerazioni svolte deriva una conclusione, che porta a respingere l'assunto della Regione siciliana relativamente a una tendenziale equiparazione del regime giuridico di tutti gli enti di credito aventi sede centrale in Sicilia, tanto se operanti soltanto all'interno del territorio regionale, quanto se operanti anche all'esterno. L'analisi svolta dimostra, anzi, che, in base alle norme di attuazione, le competenze statutarie della Regione siciliana in materia di credito si dispiegano, in generale, soltanto nei confronti dei primi, in quanto soltanto rispetto ad essi appare dominante l'interesse regionale che giustifica quelle competenze. Sulla base di tali principi generali, le disposizioni oggetto della presente impugnazione appaiono costituzionalmente illegittime, per il fatto che tendono a estendere le competenze regionali in materia di credito ad attività imputabili agli enti creditizi aventi sede centrale in Sicilia, ma operanti anche fuori del territorio della Regione, che, come tali, sono di regola assoggettati alle competenze statali.

3.1. - Contrario all'art. 17, lett. e, St. Sic., come interpretato dalle norme di attuazione, e, infatti, l'art. 3, comma primo, che stabilisce: <Fermi restando i provvedimenti di competenza della Banca d'Italia, gli enti creditizi aventi sede centrale in Sicilia non possono procedere alla fusione, alla cessione di sportelli bancari, all'aumento di capitale ed alle modifiche dello statuto sociale, senza il preventivo nulla osta dell'Amministrazione regionale>.

Come si deduce chiaramente dal suo tenore letterale, tale norma ha ad oggetto le competenze delle autorità creditizie centrali in ordine a una serie di attività di istituii di credito aventi sede centrale in Sicilia e che, pertanto, si identificano con quelli, fra tali istituti, che operano anche fuori del territorio regionale. Rispetto a tali attività, l'art. 3, primo comma, prevede un nulla osta preventivo della Regione, che finisce per conferire a questa un inammissibile potere di veto in relazione all'esercizio di competenze indubbiamente statali, che la stessa norma impugnata riconosce come tali.

3.2. - Del pari contrastante con i medesimi parametri costituzionali e l'art. 4, primo comma, che subordina alla previa intesa con l'Assessore regionale per il bilancio e le finanze le nomine di organi di amministrazione, di controllo o di direzione di istituti ed aziende di credito aventi la sede centrale in Sicilia, attribuite dall'ordinamento vigente alla competenza delle autorità creditizie centrali.

Anche tale norma si riferisce, evidentemente, alle nomine dei dirigenti e dei sindaci degli enti creditizi che, pur avendo la sede centrale in Sicilia, operano anche fuori del territorio regionale, dal momento che, per le corrispondenti nomine relative agli enti con sede centrale in Sicilia, che non estendono le loro attività al di la dei confini dell'isola, l'art. 2, lett. e, del d.P.R. n. 1133 del 1952 prevede la competenza regionale.

Scopo della disposizione impugnata e quello di stabilire, in relazione a competenze attribuite alle autorità creditizie centrali, un potere regionale di co-decisione, derivante dalla prescrizione della previa intesa tra tali autorità e l'Assessore regionale al bilancio in ordine alle anzidette nomine.

A dire il vero, l'intesa e prevista, nei rapporti tra Stato e regioni, come strumento o soluzione istituzionale della interferenza o dell'intreccio fra le competenze dell'uno e quello delle altre riguardo a determinate materie nelle quali gli interessi statali e gli interessi regionali sono indistricabilmente congiunti (v., ad esempio, sentt. nn. 175 del 1976, 94 del 1985, 1029 del 1988). Questo, tuttavia, non è il caso in questione, là dove sussistono soltanto competenze e interessi di carattere nazionale. E, del resto, ammesso pure che in ipotesi ricorrano le condizioni costituzionali per prevedere un'intesa fra Stato e Regione, questa non può certo essere stabilita da una legge regionale senza porsi in contrasto con i limiti statutariamente previsti all'esercizio della competenza legislativa concorrente che la Regione possiede in materia di credito, tenuto anche conto che l'art. 10 del d.P.R. n. 1133 del 1952 rinvia, per tutto quanto non previsto dalle norme di attuazione, alla disciplina delle attività creditizie disposta dalle leggi dello Stato.

3.3. - Per le stesse ragioni illustrate al punto precedente, va dichiarata l'illegittimità costituzionale dell'art. 6, comma secondo, della legge impugnata, che prevede la previa intesa della Banca d'Italia con l'Assessore regionale per il bilancio e le finanze in relazione all'apertura di sportelli bancari fuori del territorio regionale da parte di enti creditizi aventi la sede centrale in Sicilia.

Anche in tal caso si è sicuramente in un campo di competenza delle autorità centrali, dal momento che l'art. 2, lett. d, del d.P.R. n. 1133 del 1952 limita espressamente le attribuzioni regionali relative all'autorizzazione all'apertura di sportelli bancari da parte di enti creditizi con sede centrale in Sicilia, anche se operanti pur al di fuori della Regione, ai soli sportelli ubicati nel territorio siciliano. Pertanto, per le ragioni enunciate al punto precedente, non può riconoscersi al legislatore siciliano alcun potere di condizionamento dello svolgimento di competenze delle autorità centrali, e tantomeno uno, come quello contestato, che comporta una funzione di co-decisione, qual è l'intesa.

3.4. - Per le ragioni espresse precedentemente, segnatamente nel punto 3 della parte in diritto, va respinta, in quanto manifestamente infondata, l'eccezione sollevata nella memoria dibattimentale prodotta dalla difesa della Regione siciliana affinché questa Corte sollevi di fronte a se stessa la questione di legittimità costituzionale dell'art. 2, lett. a, b, c, ed e del d.P.R. n. 1133 del 1952 per contrasto con l'art. 17, lett. e, St. Sic. e con gli artt. 3 e 116 della Costituzione.

Come questa Corte ha più volte sottolineato, la mancanza di qualsiasi limitazione espressa nella disposizione statutaria che attribuisce alla Regione siciliana la competenza legislativa concorrente in materia di credito (art. 17, lett. e), non può certo avere il significato dell'illimitatezza della relativa attribuzione, essendo qualsiasi competenza regionale intrinsecamente limitata dall'interesse della Regione interessata.

E poiché, come si è precedentemente mostrato, le norme di attuazione, sulla base di un'interpretazione tutt'altro che irragionevole, hanno ritenuto che nelle attività creditizie che si estendono oltre il territorio regionale e negli istituti di credito operanti anche al di fuori dei confini siciliani sia dominante un interesse nazionale, non può sussistere dubbio alcuno sulla costituzionalità delle disposizioni del d.P.R. n. 1133 del 1952 per il profilo sollevato dalla difesa regionale.

4. - L'ultima questione relativa alla legge impugnata riguarda l'art. 7, secondo comma, il quale, nel disporre che la comunicazione del diniego dell'autorizzazione all'esercizio dell'attività degli enti creditizi dev'esser data entro dodici mesi dal ricevimento delle domande o dal richiesto completamento della documentazione da accludere alla istanza medesima , ma in ogni caso nel termine di diciotto mesi dal ricevimento delle domande, stabilisce che le istanze si intendono respinte ove non si sia provveduto nei termini suindicati. Secondo il Commissario dello Stato per la Regione siciliana, la disposizione impugnata si porrebbe in contrasto con l'art. 17, lett. e, Stat. Sic., in relazione agli artt. 9, secondo comma, e 14 del d.P.R. 27 giugno 1985, n. 350.

La questione non è fondata.

Va, innanzitutto, precisato che la formazione del silenzio-rifiuto in conseguenza della mancata decisione, entro il termine di dodici mesi, sulla richiesta di autorizzazione all'esercizio dell'attività creditizia non ha la sua base normativa nella direttiva comunitaria cui il d.P.R. n. 350 del 1985 da attuazione, ne in alcun altro atto normativo comunitario. La direttiva n. 77/780 si limita a disporre che la decisione sulla predetta richiesta di autorizzazione dev'essere presa entro dodici mesi dal ricevimento della domanda (v. art. 3, comma sesto). E, invece, il d.P.R. n. 350 del 1985 che, all'art. 9, secondo comma, dopo aver ripetuto la norma comunitaria, aggiunge la disposizione relativa alla formazione del silenzio-rifiuto, sulla cui base il Commissario dello Stato - alla luce dell'art. 14 dello stesso decreto, il quale vincola le regioni a statuto speciale aventi competenza in materia creditizia all'osservanza dei principi fondamentali stabiliti dal d.P.R. n. 350 del 1985 e dalla legge di delega n. 74 del 1985-ha sospettato d'incostituzionalità l'art. 7, secondo comma, della legge impugnata.

Se non vi può esser dubbio che la formazione del silenzio-rifiuto costituisca un principio fondamentale della legislazione statale in grado di vincolare l'esercizio della competenza legislativa concorrente che la Regione siciliana possiede in materia di disciplina del credito, non si può certo affermare la medesima cosa in ordine all'individuazione del termine dalla inosservanza del quale discende quell'effetto. In relazione alla determinazione del lasso di tempo necessario alla formazione del silenzio- rifiuto, la Regione, ove ravvisi ragioni fondate che la inducano a discostarsi dalla disciplina statale, può stabilire un termine diverso, ragionevolmente proporzionato alle esigenze che ne giustificano l'adozione.

E che tali fondate ragioni sussistano nel caso di specie non si può, certo, dubitare. Le deliberazioni sulle istanze di autorizzazione all'esercizio dell'attività creditizia rientrano, infatti, tra quelle che, ai sensi dell'art. 3 del d.P.R. n. 1133 del 1952, sono soggette al particolare procedimento ivi previsto, in base al quale gli schemi di provvedimenti predisposti dalla Regione vanno trasmessi alla Banca d'Italia, la quale ne da comunicazione al Ministro del Tesoro, e, su iniziativa dell'una o dell'altro, possono essere sottoposti al parere vincolante del C.I.C.R. quando ne ricorrano le condizioni previste dallo stesso articolo.

In relazione alla previsione ora ricordata, che rende possibile un procedimento comportante tempi più lunghi di quelli comunemente impiegati per l'adozione del medesimo provvedimento, non appare irragionevole che la Regione siciliana, nell'esercizio della sua competenza legislativa in materia di credito, abbia fissato in diciotto mesi, anziché in dodici (come previsto dalla legislazione statale), il termine perentorio entro il quale deve intervenire la decisione regionale sulla richiesta di autorizzazione all'esercizio di attività creditizie, pena la formazione del silenzio-rifiuto.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

- dichiara l'illegittimità costituzionale degli artt. 3, primo comma, 4, primo comma, e 6, secondo comma, della legge dal titolo <Recepimento della direttiva comunitaria n. 77/780 in materia creditizia>, approvata dall'Assemblea Regionale Siciliana il 22 ottobre 1987;

- dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 2, primo comma, lett. a, della predetta legge nella parte in cui attribuisce al Comitato Regionale per il Credito e il Risparmio (C.R.C.R.) il potere di determinare in via generale l'ammontare minimo del capitale o del fondo di dotazione cui subordinare il rilascio dell'autorizzazione allo svolgimento della raccolta del risparmio e dell'esercizio del credito nel territorio della Regione siciliana;

- dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 7, secondo comma, della predetta legge, sollevata, con il ricorso indicato in epigrafe, dal Commissario dello Stato per la Regione siciliana in riferimento all'art. 17, lett. e, dello Statuto della Regione siciliana (R.D. Lgs. 15 maggio 1946, n. 403), in relazione agli artt. 9, secondo comma, e 14 del d.P.R. 27 giugno 1985, n. 350, nonché all'articolo unico, punto quarto, della legge 5 marzo 1985, n. 74.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 15/12/88.

Francesco SAJA, PRESIDENTE

Antonio BALDASSARRE, REDATTORE

Depositata in cancelleria il 29 Dicembre 1988.