Sentenza n. 1063 del 1988

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SENTENZA N.1063

 

ANNO 1988

 

 

REPUBBLICA ITALIANA

 

IIN NOME DEL POPOLO ITALIANO

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

 

composta dai signori Giudici:

 

Prof. Giovanni CONSO, Presidente

 

Prof. Ettore GALLO

 

Dott. Aldo CORASANITI

 

Prof. Giuseppe BORZELLINO

 

Dott. Francesco GRECO

 

Prof. Renato DELL'ANDRO

 

Prof. Gabriele PESCATORE

 

Avv. Ugo SPAGNOLI

 

Prof. Francesco Paolo CASAVOLA

 

Prof. Antonio BALDASSARRE

 

Prof. Vincenzo CAIANIELLO

 

Avv. Mauro FERRI

 

Prof. Luigi MENGONI

 

Prof. Enzo CHELI

 

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

 

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 528 del codice penale, come integrato dall'articolo unico della legge 17 luglio 1975, n. 355 (Esclusione dei rivenditori professionali della stampa periodica e dei librai dalla responsabilità derivante dagli art.li 528 e 725 cod. pen. e dagli art.li 14 e 15 l. 8 febbraio 1948 n. 47), promosso con ordinanza emessa l'11 novembre 1987 dal Pretore di Trieste nei procedimenti penali riuniti a carico di Ferrarese Giorgio ed altri, iscritta al n. 35 del registro ordinanze 1988 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 7 prima serie speciale dell'anno 1988.

 

visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

 

udito nella camera di consiglio del 28 settembre 1988 il Giudice relatore Ettore Gallo.

 

 

Considerato in diritto

 

 

1. -L'ordinanza definisce contraddittoriamente la situazione contemplata dalla legge n. 93 del 1972 talvolta < causa di giustificazione> e talaltra < causa di non punibilità>. Sarà bene, perciò, precisare subito, per gli effetti diversi che ne possono derivare, anche sul piano interpretativo, che le cause di giustificazione operano all'interno del reato, escludendone l'antigiuridicità, talché la punibilità non sorge perché e il fatto stesso a non rappresentare un illecito penale. Al contrario, le cosiddette < circostanze di esclusione della pena> operano all'esterno, nell'ambito delle conseguenze giuridiche del reato e non in quello degli elementi costitutivi, sicché l'illecito penale resta idealmente fermo anche se la sua punibilità viene esclusa dal legislatore per soli motivi di opportunità.

 

E' vero che il codice, in una prospettiva empirica, non caratterizza le due categorie, limitandosi a sottolineare per entrambe il tratto comune della < non punibilità>, ma è pure vero che da tempo ormai dottrina e giurisprudenza le hanno ben identificate, precisando la ben diversa loro natura e gli effetti diversi che ne possono derivare.

Proprio uno di tali effetti diversi ha indotto il Pretore a sollevare la questione di legittimità costituzionale, nell'opinione che della situazione prevista non sia consentita applicazione analogica. Poiché, però, le cause di giustificazione la consentono sicuramente, trattandosi di applicazione < in bonam partem>, deve ritenersi che, in definitiva, il Pretore stesso, nonostante le incertezze terminologiche, propenda in realtà per ritenere esattamente che si tratti di mera causa di non punibilità. Ma la ratio che l'ordinanza pone a fondamento della statuita non punibilità non può essere condivisa.

 

2. -Afferma il Pretore che - come risulterebbe anche dai lavori del Senato - si sarebbe voluto evitare di imporre ai rivenditori < ...l'esercizio di un'inammissibile attività censoria preventiva, vietata espressamente dall'art. 21 Cost.>. Si tratterebbe, perciò, ad avviso del Pretore, di un < interesse... di rango costituzionale alla eliminazione di ogni profilo preventivo alla libera comunicazione del pensiero>.

 

Dal che egli trae la facile conseguenza che identica tutela deve trovare tale interesse nell'ipotesi per la quale egli solleva la questione.

 

Senonché, se è vero che, durante i lavori preparatori, qualche parlamentare ha effettivamente accennato a tale possibile ratio, nel contesto di sequenze argomentative dirette a porre in luce l'impossibilita da parte degli edicolanti ad esaminare quotidianamente tutto ciò che, per contratto nazionale, sono obbligati a ricevere dai distributori, è vero anche che la tesi è stata da altri contestata. Si è, infatti, con maggiore esattezza rilevato che l'obbligo giuridico che incombe sull'edicolante non è diverso da quello di ogni altro cittadino: l'obbedienza alla legge penale, vale a dire a quell'art. 528 cod. pen. che oggi assume valenza esecutiva del dovere costituzionale contenuto nell'ultima parte dell'art. 21 Cost.

 

Il che, lungi dal rappresentare una pretesa censura preventiva privata, riguarda la personale responsabilità penale di chi, detenendo per vendere, distribuire od esporre scritti, disegni, immagini, od altri oggetti, ha l'obbligo giuridico di assicurarsi che non abbiano carattere di oscenità, se non vuole incorrere nelle sanzioni comminate dall'art. 528 cod. pen.

 

Evidentemente il legislatore, proprio in considerazione della gran mole di pubblicazioni che edicolanti e librai ricevono quotidianamente o periodicamente o frequentemente, ha ritenuto, in via eccezionale, di esimerli da pena se dovesse loro sfuggire il carattere osceno di qualche stampato. Ma si tratta appunto di una disposizione di mera opportunità, che cessa di essere applicabile, lasciando il campo all'operatività del generale imperativo contenuto nell'art. 528 cod. pen., ogniqualvolta più non si verifichi la situazione di eccezionalità come dimostra il terzo comma dell'articolo unico della legge impugnata.

 

Chi, infatti, deliberatamente espone al pubblico una specifica parte di una pubblicazione, non può non averla contemplata, e perciò non può non essere consapevole della sua palese oscenità: così come, vendendo una pubblicazione ad un infrasedicenne, non può non rispondere del particolare obbligo che gl'incombe di esaminare la pubblicazione stessa prima di affidarla alle mani del minore.

 

Del resto, questa Corte aveva già espressamente escluso la tesi del censore privato come ratio della legge, perché non avrebbe senso, in quanto < il divieto di cui all'art. 21, secondo comma, della Costituzione concerne la censura come istituto tipico del diritto pubblico> (sent. 10 maggio 1972 n. 93; ma confronta anche le sentenze n.i 31 e 115 del 1952, n. 44 del 1960 e 159 del 1970).

 

3. - Il problema che la Corte è chiamata a risolvere non riguarda, perciò, il confronto con l'art. 21 Cost. che, per le ragioni enunciate, non può venire in causa; così come non ha fondamento l'impugnazione dell'art. 528 cod. pen. Che - come si è rilevato - va immune da censura, in quanto conforme all'imperativo rivolto dalla Costituzione al legislatore nell'art. 21 u.p. Cost.

 

Il controllo della Corte va, perciò, limitato alla conformità della impugnata l. n. 355 del 1975, articolo unico, commi primo e secondo, all'art. 3 Cost., in relazione alla situazione dei rivenditori e noleggiatori di videocassette a contenuto osceno, ritenuta dal Pretore identica a quella che la legge impugnata contempla, almeno relativamente ai librai: identica al punto che - secondo l'ordinanza - se l'equiparazione non e già nella legge, ciò dipenderebbe esclusivamente dal fatto che in quell'epoca il commercio delle videocassette era pressoché inesistente.

 

Senonché, deve dirsi intanto che non sembra sussistere identità fra le due situazioni.

 

Mentre, infatti, il titolo della pubblicazione periodica, o non periodica, raramente e indicativo del suo contenuto, la videocassetta, proprio perché questo non può essere riconosciuto se non inserendola nell'apparecchio riproduttore, lo enuncia piuttosto chiaramente nell'intitolazione al fine di rendersi appetibile agli amatori. Inoltre, la videocassetta pornografica viene segnalata come tale da editori e fornitori, è come tale acquistata dai rivenditori, in grazia della sua notevole forza di attrazione commerciale per un certo pubblico: il caso stesso sottoposto all'esame del Pretore lo conferma attraverso la riconosciuta consapevolezza dei rivenditori.

 

Ma, indipendentemente da tutto ciò, l'impossibilita di estendere ai rivenditori di videocassette oscene la causa di non punibilità concessa dal legislatore ad edicolanti e librai, e nella natura della causa e nella sua eccezionalità.

 

Nella natura della causa perché, una volta escluso che si tratti di causa di giustificazione, e proprio il suo carattere di pura esenzione da pena dipendente da mere ragioni di politica legislativa che colloca la situazione fra quelle rigorosamente riservate al potere discrezionale del legislatore, libero di valutare come crede i criteri di opportunità che presiedono alla scelta.

 

Ma anche nella superlativa eccezionalità della causa, dato che con la norma impugnata si e esentata da pena una categoria di commercianti in relazione ad una disposizione (l'art. 528 cod. pen.) che - come si è rilevato - oggi risulta esecutiva del precetto che il Costituente rivolge al legislatore a tutela del principio di cui all'art. 21 u.p. Cost. La Corte non può far diventare regola una situazione che trova la sua origine in un uso eccezionale che il legislatore ha fatto del suo discrezionale potere.

 

E' appena il caso di avvertire, infine, che la proposta questione non ha nulla a che vedere con l'evoluzione dei costumi, colla nozione di osceno o di comune senso del pudore. Essa presuppone, infatti, che si tratti sicuramente - secondo il giudizio espresso del giudice a quo-di immagini audiovisive contrarie al buon costume, e risponde esclusivamente al quesito posto circa una possibile loro diffusione da parte dei rivenditori, nonostante il categorico divieto della Costituzione e quello stesso di cui all'art. 528 cod. pen.

 

 

PER QUESTI MOTIVI

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

 

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'arte 528 cod. pen. e dell'articolo unico della l. 17 luglio 1975 n. 355 (Esclusione dei rivenditori professionali della stampa periodica e dei librai dalla responsabilità derivante dagli art.li 528 e 725 cod. pen. e dagli art.li 14 e 15 l. 8 febbraio 1948 n. 47), sollevata dal Pretore di Trieste, con ordinanza 11 novembre 1987, in riferimento agli art.li 3, primo co., e 21, primo e secondo co. Cost.

 

Così deciso in Roma, in Camera di Consiglio, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 24/11/88.

 

 

Francesco SAJA - Ettore GALLO

 

 

Depositata in cancelleria il 06/12/88.