Sentenza n. 1029 del 1988

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SENTENZA N.1029

ANNO 1988

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori Giudici:

Prof. Francesco SAJA, Presidente

Prof. Giovanni CONSO

Prof. Ettore GALLO

Dott. Aldo CORASANITI

Prof. Giuseppe BORZELLINO

Dott. Francesco GRECO

Prof. Renato DELL'ANDRO

Prof. Gabriele PESCATORE

Avv. Ugo SPAGNOLI

Prof. Francesco Paolo CASAVOLA

Prof. Antonio BALDASSARRE

Prof. Vincenzo CAIANIELLO

Avv. Mauro FERRI

Prof. Luigi MENGONI

Prof. Enzo CHELI

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale della legge della Regione Valle d'Aosta 15 luglio 1980 riapprovata il 17 ottobre 1980 dal Consiglio Regionale Valdostano, avente per oggetto: <Application des competences legislatives primaires de la Region autonome Vallee d'Aosta, sur la partie de son territoire incluse dans le Parc National du Grand Paradis> promosso con ricorso del Presidente del Consiglio dei Ministri, notificato il 5 novembre 1980, depositato in cancelleria il 15 successivo ed iscritto al n. 27 del registro ricorsi 1980.

Visto l'atto di costituzione della Regione Valle d'Aosta;

udito nell'udienza pubblica dell'8 marzo 1988 il Giudice relatore Antonio Baldassarre;

uditi l'Avvocato dello Stato Giorgio Azzariti, per il ricorrente, e l'Avvocato Gustavo Romanelli per la Regione Valle d'Aosta.

 

Considerato in diritto

 

1. - Oggetto del presente giudizio di legittimità costituzionale é, innanzitutto, l'intera legge della Regione Valle d'Aosta intitolata <Application des competences legislatives primaires de la Region autonome Vallee d'Aosta, sur la partie de son territoire incluse dans le Parc National du Grand Paradis>, riapprovata dal Consiglio regionale valdostano il 17 ottobre 1980.

Tale legge viene impugnata dal Presidente del Consiglio dei Ministri sul presupposto che la disciplina in essa contenuta concernerebbe una materia, quella dei parchi nazionali, che non sarebbe ricompresa fra quelle attribuite dall'art. 2 St. V.A. alla competenza legislativa primaria della Regione. A giudizio del ricorrente, l'art. 4 lett. g (rectius: lett. s) del d.P.R. 15 gennaio 1972, n. 11-il quale sarebbe stato esteso alla Regione Valle d'Aosta dalle norme di attuazione dello Statuto contenute nella legge 16 maggio 1978, n. 196 - configurerebbe i parchi nazionali come materia a sè stante, riservandone la disciplina allo Stato. Tale configurazione, sempre a giudizio del ricorrente, risulterebbe confermata dall'art. 83, comma secondo, del d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616, il quale, rinviando ad un'apposita legge statale per la relativa disciplina, supporrebbe la medesima ripartizione di competenze.

In via subordinata, lo stesso ricorrente prospetta un secondo motivo d'illegittimità ove si assumesse, come fa la legge impugnata sin dal suo titolo, che nella materia dei parchi nazionali la Regione Valle d'Aosta possa esercitare competenze legislative primarie, in quanto la legge impugnata, essendo necessariamente limitata alla parte del Parco del Gran Paradiso ricompresa nel territorio valdostano, violerebbe il principio generale di unitarietà della disciplina dei parchi nazionali, già riconosciuto da questa Corte con la decisione n. 142 del 1972 e attualmente fissato dall'art. 83, secondo comma, del d.P.R. n. 616 del 1977.

2. - Anche se per ragioni diverse da quelle prospettate dal Governo, il ricorso principale va accolto.

In sei dei suoi nove articoli, e cioè negli artt. 2, 3, 4, 5, 6 e 7, la legge impugnata contiene norme dirette a disciplinare, per la parte afferente al territorio valdostano, aspetti relativi ad attività e potestà attinenti al Parco nazionale del Gran Paradiso. Più precisamente, tali articoli contengono: a) la previsione, l'istituzione e la composizione del <Consiglio del territorio del Gran Paradiso>, avente il compito di rilasciare il permesso speciale occorrente per l'edificazione di costruzioni private e pubbliche insistenti sul territorio del Parco (permesso che, per l'intera area protetta, e previsto dall'art. 10 del decreto-legge istitutivo del Parco), nonché di esercitare le altre funzioni indicate da un futuro regolamento del Consiglio regionale (artt. 5, 6 e 7); b) la determinazione, seppure ai soli fini dell'applicazione delle norme ivi previste, dei confini dell'area del Parco compresa nel territorio della regione sulla base di una cartina annessa alla legge impugnata (art. 2); c) la riformulazione del divieto di caccia e pesca e del relativo regime sanzionatorio, con l'inserimento di alcune modifiche sostanziali rispetto alle norme poste dal decreto istitutivo del Parco del Gran Paradiso (artt. 8 e 12 del R.D. 3 dicembre 1922 n. 1584, convertito dalla legge 17 aprile 1925, n. 473), norme che sono variamente dichiarate dalla legge impugnata non più applicabili alla parte del territorio regionale compresa nel perimetro del Parco (art. 3, commi 2, 3 e 4; art. 4); d) l'attribuzione della fauna vivente nel territorio ora menzionato al patrimonio indisponibile dei comuni valdostani (art. 3, primo comma).

A questa Corte si pone, pertanto, il problema di valutare se la Regione Valle d'Aosta, nel disciplinare nel modo ricordato attività e potestà attinenti al Parco nazionale del Gran Paradiso per la parte che si riferisce al proprio territorio, abbia esercitato, o meno, competenze legislative ad essa spettanti.

E a tal fine, poiché nella materia in contestazione i soggetti in causa prospettano una diversa ricostruzione del diritto vigente, appare necessario stabilire previamente quale sia, allo stato attuale della legislazione, la ripartizione fra Stato e regioni delle competenze legislative relative ai parchi nazionali.

3. - Contrariamente a quanto mostra di ritenere il Governo nel suo ricorso, l'evoluzione della legislazione relativa alla ripartizione delle competenze fra Stato e regioni in ordine ai parchi naturali non può certo dirsi caratterizzata, sotto il profilo del regime delle attribuzioni, da una sostanziale continuità e, men che meno, da una perfetta identità. Ad esser più precisi, anzi, l'art. 4 del d.P.R. 15 gennaio 1972, n. 11 - che il ricorrente, in nome di una presunta similitudine o coerenza con il vigente art. 83 del d.P.R. n. 616 del 1977, pretende erroneamente di porre a base della sua domanda-prevedeva una disciplina che, sotto il profilo del regime delle attribuzioni, era contraria a quella attualmente in vigore, contenuta, per l'appunto, nell'art. 83.

3.1. - Nel trasferire alle regioni ordinarie le sub-materie ricomprese nell'agricoltura e nella caccia e pesca, il d.P.R. n. 11 del 1972 aveva ritenuto che sia la <protezione della natura> (art. 4, lett. h), sia i <parchi nazionali> (art. 4, lett. s), dovessero rimanere estranei a quel trasferimento, in quanto considerati allora come materie la cui disciplina comportava ponderazioni di interessi di più ampia portata o, comunque, di diversa natura rispetto a quelle inerenti alla disciplina dell'agricoltura e della caccia e pesca, così come a quella dell'urbanistica, delle cave e torbiere, della viabilità, dei lavori pubblici e, persino, delle bellezze naturali e della tutela (estetico - culturale) del paesaggio. Sulla base di tali considerazioni, l'art. 4, lett. h, del d.P.R. n. 11 del 1972 manteneva ferma la riserva allo Stato degli <interventi per la protezione della natura>, salvi quelli regionali che non si fossero posti in contrasto con la disciplina statale, e faceva coerentemente seguire a tale scelta di principio la totale riserva allo Stato dei <parchi nazionali> (lett. s dello stesso art. 4).

Nel giudicare non contraria a Costituzione tale ripartizione di competenze, che lasciava alle regioni soltanto un potere di intervento conforme e residuale volto all'attuazione o al l'integrazione degli interventi statali, questa Corte ha più volte sottolineato la specificità della <protezione della natura> (e con essa quella dei parchi naturali) rispetto alle materie di competenza regionale con essa interferenti (come l'agricoltura, l'urbanistica, etc.), enfatizzando, insieme alla complessità de gli interessi e dei valori coinvolti nella stessa (ecologici, estetico - culturali, scientifici), l'esigenza di una loro considerazione unitaria, la quale postulava una programmazione nazionale o, comunque, sovraregionale dei relativi interventi (cfr. spec. sent. n. 142 del 1972, anche in confronto con la n. 141 dello stesso anno, nonché sentt. nn. 203 del 1974, 175 del 1976 e 72 del 1977). Sulla base dell'interesse unitario così individuato, la stessa Corte, mentre ha giustificato la riserva delle corrispondenti funzioni allo Stato, ha posto in luce gli inevitabili intrecci intercorrenti fra l'esercizio delle competenze statali in ordine alla <protezione della natura> (e ai parchi nazionali) e quello relativo alle competenze regionali attinenti ai vari settori interferenti con quella materia (agricoltura, urbanistica, etc), esigendo sin d'allora adeguate forme di coordinamento, di collaborazione e d'intesa fra lo Stato e le regioni nell'esercizio dei rispettivi poteri (cfr. spec. sent. n. 175 del 1976).

3.2. - Pur partendo dalla stessa esigenza di stabilire nel settore della difesa della natura un bilanciamento e un contemperamento fra le istanze statali di programmazione e di coordinamento e le istanze regionali di governo locale dell'ambiente naturale (v. sent. n. 223 del 1984 di questa Corte), il d.P.R. n. 616 del 1977, avendo posto a base della ripartizione delle competenze fra Stato e regioni il criterio dei <settori organici di materie> nella sua accezione più sviluppata, ha modificato radicalmente il regime delle attribuzioni relativo alla materia qui in considerazione.

Per un verso, infatti, gli artt. 66 e 83 del decreto n. 616, nel configurare la <protezione della natura> come materia organicamente connessa sia all'agricoltura che all'urbanistica, hanno provveduto ad eliminare la riserva allo Stato della stessa materia e a trasferire quest'ultima (e, con essa, i parchi e le riserve naturali) alle competenze regionali (v. spec. sentt. nn. 223 del 1984 e 183 del 1987). Per altro verso, l'art. 83, secondo comma, dello stesso decreto, nell'evidenziare la soppressione della riserva statale anche in relazione ai parchi nazionali, ha stabilito che a proposito di tali istituzioni dovesse intervenire, entro il 31 dicembre 1979, una legge nazionale diretta a porre la relativa disciplina generale e a provvedere alla specifica ripartizione dei compiti fra lo Stato, le regioni e le comunità montane, tenendo presente, in ogni caso, il principio di unitarietà della disciplina dei parchi e delle riserve.

Più in particolare, da una parte, lo spostamento della materia <protezione della natura> dalla competenza statale a quella regionale e la configurazione dei parchi, non già come materia a sé stante, ma come istituzioni giuridiche tipizzate e preordinate alla stessa <protezione della natura> (v. sent. n. 223 del 1984), hanno indotto il legislatore del 1977 a comprendere fra gli oggetti della relativa competenza regionale anche i parchi nazionali, tanto se già esistenti (poiché a questi si riferisce espressamente l'art. 83, cpv.), quanto se di futura istituzione (poiché non si può supporre una diversità di regime per parchi o riserve che, pur se formati in tempi diversi, sono comunque sorretti da un medesimo interesse e da identiche finalità).

D'altra parte, l'esigenza di una disciplina unitaria delle medesime istituzioni, già messa in luce da questa Corte in precedenti sentenze, ha portato lo stesso legislatore a prevedere espressamente una legge-quadro sulle riserve e sui parchi nazionali e, più in generale, a prefigurare su tutta la materia una funzione statale di indirizzo e coordinamento particolarmente efficace.

3.3. - L'evoluzione legislativa relativa all'attuazione della Costituzione sul riparto delle competenze fra Stato e regioni in ordine ai parchi nazionali dimostra chiaramente l'erroneità della pretesa governativa di considerare gli stessi parchi come una materia a se stante, tuttora integralmente riservata allo Stato in forza dell'art. 4, lett. s, del d.P.R. n. 11 del 1972.

Quest'ultima disposizione, infatti, risulta abrogata e sostituita con efficacia precettiva dagli artt. 66 e 83 del d.P.R. n. 616 del 1977, che hanno provveduto a sopprimere la predetta riserva statale, trasferendo alle regioni le competenze relative alla materia della <protezione della natura>, nella quale, come questa Corte ha avuto modo di precisare (v. sent. 223 del 1984), vanno ricompresi anche i parchi e le riserve naturali, tanto se già esistenti quanto se di futura istituzione.

Né si può sostenere in senso contrario, come lo stesso ricorrente sembra supporre, che la previsione da parte dell'art. 83, secondo comma, del d.P.R. n. 616 del 1977, di una legge speciale (peraltro non ancora adottata) a proposito dei parchi nazionali esistenti possa indurre a considerare questi ultimi come materia a se stante, tuttora riservata alla competenza statale proprio in virtù di quel rinvio a una <legge della Repubblica>.

In realtà la suddetta previsione va, innanzitutto, raccordata logicamente con il primo comma dello stesso art. 83, che, nel definire le materie trasferite alle regioni nel campo degli <interventi a protezione della natura>, fa espresso riferimento a tutti i parchi e le riserve naturali senza distinzioni di sorta.

La stessa previsione, inoltre, mostra senza alcun dubbio di alludere a una legge-quadro dello Stato, diretta, com'é espressamente detto, a porre i principi fondamentali in relazione alla disciplina dei parchi nazionali esistenti e a provvedere, conseguentemente, alla specifica determinazione delle competenze spettanti in materia allo Stato, alle regioni e agli enti locali sub-regionali. Ed é chiaro che, nello stabilire una disposizione del genere, l'art. 83, secondo comma, suppone evidentemente che la materia considerata sia affidata alla competenza concorrente delle regioni, per essere disciplinata nei suoi profili più particolari da queste ultime, seppure, com'é richiesto dallo stesso art. 83, entro la cornice delle norme generali, degli indirizzi e dei criteri posti dalla predetta legge-quadro.

D'altra parte, con pari vigore va pure respinta l'opposta pretesa formulata negli atti difensivi dalla Regione resistente, secondo la quale, nella perdurante assenza della ricordata legge-quadro ben oltre il termine previsto per la sua adozione, si dovrebbe ritenere che si sia prodotto un azzeramento della pur riconosciuta titolarità dello Stato in relazione al potere di stabilire una disciplina generale sui parchi nazionali esistenti, con la conseguenza di una piena espansione della competenza regionale, quale risulta stabilita in via ordinaria dal primo comma dell'art. 83.

Tale prospettazione non può essere accolta, poiché l'art. 83 del d.P.R. n. 616 del 1977, come non subordina a una legge futura il trasferimento alle regioni della materia della <protezione della natura> (compresi i parchi nazionali esistenti), così non comporta in alcun modo che il mancato esercizio da parte dello Stato, entro il termine prefissato, del potere di porre con legge le norme di principio, gli indirizzi e le misure di coordinamento sui parchi nazionali già esistenti possa implicare una perdita della titolarità del medesimo potere o una decadenza dallo stesso. A ciò conduce l'impossibilita di considerare il termine fissato nell'art. 83, comma secondo, come perentorio sia in ragione del fatto che la sua inottemperanza non é seguita da alcuna sanzione, sia in considerazione della natura del potere statale ivi previsto, che, fra l'altro, non può certo esser definito come eccezionale o derogatorio rispetto all'ordine normale delle competenze.

3.4. - Le considerazioni sin qui svolte conducono alla conclusione che il grave ritardo nell'emanazione della legge-quadro sui parchi nazionali, più volte deprecato da questa Corte anche con specifico riferimento al Parco del Gran Paradiso (v. sentt. nn. 223 del 1984, 344 del 1987), non può impedire di verificare se i particolari poteri esercitati dalla Regione Valle d'Aosta con la legge impugnata rientrino o no nell'ambito delle competenze che l'art. 83 del d.P.R. n. 616 del 1977 ha inteso devolvere alle regioni in relazione ai parchi nazionali.

Del resto, in tal senso é il costante orientamento di questa Corte, che in più occasioni si é pronunziata, alla luce del predetto art. 83, sulla spettanza allo Stato o alle regioni di vari poteri attinenti ai parchi o alle riserve nazionali, come quelli relativi all'istituzione delle zone protette o all'individuazione delle aree da disciplinare come parchi e alle relative misure di salvaguardia delle medesime aree o, ancora, al ripristino dei confini del parco stesso (cfr. sentt. nn. 123 del 1980, 223 del 1984, 344 e 617 del 1987). E ciò é avvenuto anche in riferimento a regioni a statuto speciale, poiché, come già precisato da questa Corte (sent. n. 223 del 1984), l'art. 83 del d.P.R. n. 616 del 1977 trova applicazione anche per le regioni ad autonomia differenziata, essendo inaccettabile che tali regioni, allorché manchino apposite norme di attuazione sui parchi naturali e, nel medesimo tempo, non vi ostino precise norme o ragioni in senso contrario, com'é nel caso della Valle d'Aosta, restino prive di attribuzioni riconosciute alle regioni a statuto ordinario.

A smentire tale conclusione non vale sostenere, come fa il ricorrente, ne che l'art. 83 sarebbe inapplicabile, in quanto l'art. 4 del d.P.R. n. 11 del 1972 é stato esteso alla Valle d'Aosta con una legge dello Stato successiva al d.P.R. n. 616 del 1977, vale a dire con le norme di attuazione contenute nella legge 16 maggio 1978, n. 196, ne che il principio di unitarietà dei parchi nazionali, sancito nello stesso art. 83, comma secondo, vieterebbe comunque alle regioni di adottare qualsiasi legge incidente sulla disciplina dei parchi medesimi, negando, quindi, in radice la possibilità di esercizio di qualsiasi attribuzione da parte delle regioni nella predetta materia prima che sia stata posta in essere la normativa-quadro statale.

Per quanto riguarda il primo profilo, il generale e generico rinvio al d.P.R. n. 11 del 1972 contenuto nelle norme di attuazione appena ricordate deve ovviamente intendersi come diretto a estendere alla Valle d'Aosta tutte le disposizioni previste nel citato decreto allora in vigore, visto che lo scopo della legge e quello di conferire anche a tale regione a statuto speciale le attribuzioni più ampie allora effettivamente godute dalle regioni comuni in base a quel decreto. Ma, poiché, come s'é detto, l'art. 4, lett. h ed s, del d.P.R. n. 11 del 1972 doveva considerarsi già abrogato alla data di adozione della legge n. 196 del 1978, il rinvio al d.P.R. n. 11 del 1972 contenuto in quest'ultima legge (art. 1) non può avere minimamente il significato di far rivivere quelle disposizioni per la sola Regione Valle d'Aosta.

Del pari inconferente appare il richiamo operato dal ricorrente al principio di unitarietà dei parchi nazionali, al fine di desumere, da quel principio e dalla comune esigenza che la disciplina dei parchi medesimi non si basi su visioni particolaristiche locali, una preclusione assoluta, per le regioni il cui territorio sia ricompreso nell'area del parco (tanto più nei casi, come quello di specie, in cui il parco insiste sul territorio di più regioni), di disciplinare unilateralmente attività incidenti sulla struttura e/o sul funzionamento del parco medesimo. Il principio di unitarietà, infatti, lungi dal comportare un divieto così drastico, che, tra l'altro, avrebbe l'effetto di paralizzare molteplici competenze regionali (urbanistica, agricoltura, etc.) il cui esercizio interferisce indubbiamente con il funzionamento del parco, non esclude che le regioni possano adottare, beninteso nel rispetto dei principi vigenti, proprie leggi relative a singole parti o a singoli settori del parco, pur se indiscutibilmente vieta loro di porre una disciplina coinvolgente interessi o istanze riguardanti il parco nazionale nella sua unitarietà o, più semplicemente, una disciplina che abbia l'effetto pratico di pregiudicare l'unitarietà di struttura o di gestione del parco stessa.

4. - In definitiva, anche se la concreta attuazione del bilanciamento di interessi posto dall'art. 83 del d.P.R. n. 616 del 1977 spetta essenzialmente al legislatore nazionale (al quale si deve indubbiamente riconoscere un'ampia discrezionalità nel delineare, nella futura legge-quadro sulle riserve e sui parchi nazionali, il particolare riparto di competenze fra Stato e regioni), appare evidente che tanto i principi espressi dal citato art. 83, quanto il fatto che la giurisprudenza di questa Corte ha già sufficientemente chiarito alcuni punti-chiave del riparto fra Stato e regioni delle competenze relative ai parchi nazionali, rendono possibile individuare fin da ora sia il nucleo minimo dei poteri spettanti allo Stato, sia lo spazio incomprimibile delle competenze regionali.

Su tali basi, appare chiaro che nell'ordine di attribuzioni delineato dall'art. 83 del d.P.R. n. 616 del 1977 le competenze afferenti alla protezione della natura mediante l'istituzione <parco nazionale> si collocano su tre distinti livelli.

4.1. - Benché, come precedentemente dimostrato, l'art. 83 abbia trasferito alle regioni la materia <protezione della natura>, e con essa anche i parchi nazionali, quali istituzioni finalizzate alla difesa dell'ambiente naturale, l'importanza dell'interesse che la comunità generale annette alla loro tutela é positivamente considerato così rilevante da aver indotto il legislatore del 1977 a prefigurare un riparto di competenze tale da assicurare allo Stato poteri idonei a garantire l'unitarietà di struttura e di funzionamento dei parchi nazionali.

Questa esigenza ha un duplice e puntuale riscontro nel medesimo art. 83, sia là dove la futura legge-quadro, destinata a porre la disciplina generale sui parchi e a specificare il relativo riparto di competenze fra Stato, regioni e comunità montane, é vincolata a mantener ferma l'unitarietà dei parchi e delle riserve nazionali esistenti (comma secondo), sia là dove si riconosce allo Stato stesso il potere di individuare le aree da destinare a parchi localizzati sul territorio di più regioni (comma quarto) e, a fortiori, a parchi d'interesse nazionale (essendo l'interesse che sorregge i primi un minus rispetto a quello proprio dei secondi). Con tale disciplina si mostra chiaramente di voler attribuire allo Stato un ampio potere programmatorio, comprensivo tanto della posizione di direttive in ordine alla struttura e al funzionamento dei parchi, quanto della localizzazione e del dimensionamento dei parchi stessi nel territorio nazionale.

4.2. - A un livello intermedio fra le attribuzioni dello Stato e quelle delle regioni si collocano le competenze dell'ente-parco.

Nel richiamarsi espressamente a tale figura giuridica, l'art. 83 ha chiaramente inteso inserire nel sistema dei poteri volto alla protezione della natura il parco come istituzione tipica preordinata alla difesa di uno o più ecosistemi, avente già nel diritto positivo preesistente una caratterizzazione sua propria sia sotto il profilo organizzativo sia sotto quello delle funzioni.

In particolare, il parco é un'istituzione volta ad assicurare un regime speciale dei beni immobili e delle attività sociali insistenti nell'area protetta, dotata, a tal fine, tanto di poteri amministrativi (di divieto, di autorizzazione, etc.) diretti a impedire o a prevenire che la cura di ogni altro interesse pubblico (in materia di urbanistica, agricoltura, turismo, etc.) si svolga in contrasto o comunque in modo incompatibile con le finalità di conservazione e di valorizzazione dell'ambiente proprie del parco, quanto di poteri pianificatori diretti a favorire lo sviluppo dell'area protetta nella sua evoluzione storico-naturale e in raccordo con il divenire del territorio circostante. Sotto quest'ultimo profilo, il raccordo dovrà realizzarsi attraverso forme di cooperazione adeguate, attinenti sia alla composizione degli organi del parco, sia al coordinamento dell'esercizio delle competenze di questi ultimi con quelle degli organi regionali.

Allorché il parco sia d'interesse nazionale, questo complesso di poteri, beninteso nel suo contenuto minimo o nella sua struttura- tipo, non può esser determinato che da una legge statale o sulla base di essa.

4.3. - A un livello ulteriore si collocano, poi, le competenze nel cui svolgimento consta l'effettiva disciplina delle attività e dei beni che insistono nell'area protetta, quali le molteplici forme di difesa ambientale, la determinazione di un certo assetto urbanistico, la fissazione di un certo regime per le attività agricole, la definizione di una certa politica per il turismo, e così via. Si tratta di competenze che, per lo più, sono attribuite alle regioni e che, nel caso della Valle d'Aosta, sono in gran parte assegnate alla sua competenza legislativa primaria in base all 'art. 2 dello Statuto di autonomia. A questa, infatti, sono affidate sia l'urbanistica, l'agricoltura e foreste, la caccia e la pesca, il turismo, i lavori pubblici e l'artigianato, sia, soprattutto, la <tutela del paesaggio>, la quale appare contrassegnata da una strettissima contiguità con la <protezione della natura>, in quanto caratterizzata da interessi estetico - culturali (v. sentt. nn. 239 del 1982, 359 del 1985, 151 del 1986) che, ancorché presenti nella materia disciplinata dall'art. 83, sono in quest'ultimo caso trascesi in una visione più ampia, basata primariamente sugli interessi ecologici e, quindi, sulla difesa dell'ambiente come bene unitario, pur se composto da molteplici aspetti rilevanti per la vita naturale e umana (v. in tal senso sent. n. 617 del 1987).

In altre parole, al livello della gestione diretta delle attività rilevanti per la protezione della natura e dell'ambiente attuata mediante un parco nazionale, la regione vanta una competenza ad hoc di tipo concorrente (v. spec. sentt. nn. 223 del 1984, 183 del 1987), che si affianca a numerose altre competenze su materie confinanti (urbanistica, agricoltura, etc.), esercitate, nel caso della Valle d'Aosta, sulla base di una potestà di tipo esclusivo.

Tuttavia, poiché tali competenze convivono e interferiscono con interessi nazionali di cui é portatore lo Stato, e poiché lo stesso art. 83 del d.P.R. n. 616 del 1977 prevede espressamente il particolare vincolo dell'unitarietà di struttura e di funzionamento dei parchi, giustificando così una particolare funzione dell'ente-parco nell'assicurare la compatibilità delle competenze regionali con le finalità istituzionali del parco, non si può prescindere in materia dall'esigenza, più volte sottolineata da questa Corte, (v. sentt. nn. 219 del 1984, 344 del 1987), secondo la quale il riparto delle rispettive competenze e i rapporti fra Stato e regioni nell'esercizio delle stesse devono essere ispirati a un <modello di cooperazione e integrazione nel segno dei grandi interessi unitari della Nazione>.

Ciò non esclude, ovviamente, che questa Corte debba verificare di volta in volta se i poteri attribuiti allo Stato siano giustificati da reali esigenze connesse al soddisfacimento di interessi nazionali (v. sentt. nn. 223 del 1984, 49 del 1987, 177 del 1988) e all'unitarietà del parco, di modo che dalla disciplina statale e dai poteri attribuiti all'ente-parco non derivino vincoli o condizionamenti tali da produrre un pratico svuotamento delle varie competenze che le regioni possiedono in materia. E, allo stesso modo, questa Corte non può esimersi dal controllare se gli elastici confini che caratterizzano la <protezione della natura> non costituiscano un pretesto per dare a questa materia un significato troppo estensivo, tale da stravolgere il significato degli interessi sottesi alle altre competenze con quelle interferenti (urbanistica, agricoltura, etc.) o - nel caso che queste ultime siano attribuite a potestà regionali di tipo esclusivo, come nella specie-tale da produrre un loro surrettizio appiattimento su standard propri delle potestà concorrenti.

5. - Sulla distinzione e sulla dialettica dei tre menzionati livelli di competenze-che, in ogni caso, come si é prima ricordato, vanno esercitati sulla base dell'idea di cooperazione che sorregge il sistema - poggia il delicato equilibrio di poteri che, in attuazione della Costituzione, il legislatore del 1977 ha inteso porre in materia di protezione della natura mediante parchi nazionali. Ma proprio questo equilibrio e direttamente contraddetto da due gruppi di norme contenuti nella legge impugnata: a) quello relativo alla previsione, istituzione e composizione del <Consiglio del territorio del Gran Paradiso>, nonché alla dotazione dei relativi poteri (artt. 5, 6 e 7); b) quello relativo alla determinazione dei confini del Parco, se pure ai soli fini dell'applicazione della legge stessa (art. 2).

La previsione da parte della Regione di un organo, come il <Consiglio del territorio del Gran Paradiso>, che ha come unico potere espressamente attribuito dalla legge impugnata quello di rilasciare il permesso speciale di edificazione spettante all'autorità investita dei poteri di salvaguardia delle finalità proprie del parco nazionale, si pone in contrasto con i principi sopra menzionati sotto un duplice profilo.

Innanzitutto, in base all'ordine delle competenze stabilito dall'art. 83 e al principio di unitarietà che deve presiedere alla disciplina dei parchi nazionali, spetta unicamente alla legge statale stabilire la struttura-tipo dell'organizzazione preposta alla tutela del parco e i principali poteri spettanti agli organi previsti, compresi i tipi di vincoli adottabili per la salvaguardia delle finalità del parco e le eventuali ipotesi di indennizzo o di contribuzione da corrispondere ai soggetti sottoposti ai vincoli stessi.

Ebbene, l'attuale legislazione nazionale operante nei confronti del Parco del Gran Paradiso, anche se non e riconducibile alla normativa-quadro prevista dall'art. 83, vincola, per i punti appena detti, il legislatore regionale, il quale, nella specie, non può dunque prevedere un organo regionale che si sovrappone, se pure parzialmente, all'ente-parco previsto dalla legge nazionale.

In secondo luogo, l'attribuzione di un potere come quello di rilasciare il ricordato permesso di edificazione (art. 5 della legge impugnata) non può avvenire a favore di un'istituzione, qual'é il <Consiglio del territorio del Gran Paradiso>, che, comunque la si voglia definire giuridicamente, e senz'alcun dubbio emanazione della sola Regione Valle d'Aosta e della sua realtà politico-istituzionale (v. spec. art. 6 della legge impugnata): per sua natura, infatti, un potere del genere deve essere espressivo di un'istanza dialetticamente contrapposta a quelle che la regione vanta nelle materie di propria competenza (urbanistica, tutela del paesaggio, etc.), in quanto diretto alla tutela degli interessi unitari che devono esser curati in concreto dall'istituzione <parco nazionale>. Sotto tale aspetto, dunque, l'articolo impugnato si pone in contrasto con il principio di unitarietà dei parchi, poiché anche se non si può negare alla Regione il potere di stabilire sulla parte del parco insistente sul proprio territorio un organo di coordinamento delle istanze regionali con quelle sub-regionali (comuni, comunità montane) in relazione alla gestione (regionale) del parco stesso, va comunque escluso, come si é prima precisato (v. punti 4.1 e 4.2 della parte in diritto), che si possano conferire ad esso poteri espressivi degli interessi unitari del parco.

Per ragioni analoghe va considerato illegittimo anche l'art. 2 della legge impugnata, che, nel definire l'ambito territoriale di applicazione della stessa legge, rinvia, per la precisa definizione del perimetro del parco che insiste nel territorio della regione, a una cartina allegata alla deliberazione legislativa impugnata. A parte che ci si troverebbe di fronte ad una questione già risolta da questa Corte (sent. n. 344 del 1987), sta di fatto che, come affermato nella decisione appena ricordata, il potere di definire i confini del Parco del Gran Paradiso, essendo uno degli aspetti essenziali attinenti all'istituzione di un parco nazionale, non può non spettare allo Stato, se pure nell'ambito delle procedure cooperative prima ricordate, dal momento che e nella determinazione dei confini che assume definitivamente rilevanza l'interesse nazionale che ha precedentemente portato lo stesso Stato a individuare l'area protetta, a norma dell'art. 83 del d.P.R. n. 616 del 1977.

6. - Il ricorso va accolto anche in relazione all'art. 3, commi 2, 3 e 4 e all'art. 4 della legge impugnata, che riformulano il divieto di caccia e di pesca contenuto nella legislazione statale, manipolandone, nel caso della caccia, sia la configurazione del reato che il regime delle sanzioni, e, nel caso della pesca, la consistenza del divieto.

Più precisamente, l'art. 3, nel rendere inapplicabili alla parte del Parco del Gran Paradiso compresa nel territorio della Regione l'art. 8 e l'art. 12 del decreto-legge istitutivo del parco, per quanto si riferiscono alla caccia (comma terzo), provvede nello stesso tempo a riformulare il divieto di caccia (comma secondo) e a modificarne le relative sanzioni, sostituendo al complesso di multe, previsto nell'art. 12 del decreto istitutivo, la sola applicazione degli artt. 624 e segg. c.p., relativi al reato di furto (comma quarto). L'art. 4, poi, nel rendere inapplicabile alla porzione del Parco del Gran Paradiso insistente nel territorio valdostano l'art. 8 del decreto istitutivo anche per quanto si riferisce alla pesca, riformula il divieto di quest'ultima, espungendo dalla figura di reato, quale prevista nello stesso art. 8, la semplice introduzione nell'area protetta di armi o di ordigni utilizzabili a scopo di pesca.

Stando così le cose, non si può negare fondamento alla censura governativa relativa alla violazione del principio di unitarietà dei parchi nazionali, posto dall'art. 83, comma secondo, del d.P.R. n. 616 del 1977. Tale principio comporta, fra l'altro, che la disciplina di profili relativi alla vita di un parco nazionale, la quale rientri nelle competenze regionali, non può spingersi fino al punto di rendere difforme, da zona a zona del medesimo parco, la tutela di beni la cui conservazione rappresenta un aspetto essenziale delle finalità istituzionali del parco. E, poiché il divieto di caccia e pesca all'interno delle riserve naturali e dei parchi d'interesse nazionale costituisce un profilo essenziale delle finalità di protezione della natura e dell'ambiente proprie di quelle istituzioni, si deve dire che gli artt. 3, commi 2-4, e 4 della legge impugnata costituiscono esercizio illegittimo di una competenza (quella sulla caccia e pesca), che, anche se di tipo esclusivo (art. 2, lett. 1, St. V.A.), non può svolgersi in modo da produrre una lesione indiretta dei limiti posti a carico di un'altra competenza regionale, quella relativa alla protezione della natura mediante parchi nazionali (art. 83, comma secondo, d.P.R. n. 616 del 1977), atteso che da tali limiti non deriva uno svuotamento sostanziale della competenza regionale sulla caccia e pesca.

Del resto, ben più gravi perplessità sorgerebbero ove le disposizioni della cui costituzionalità ora si discute fossero esaminate sotto il profilo del divieto per le regioni di esercita re competenze in materia penale. Come questa Corte ha precisato (v. spec. sent. n. 179 del 1986), in base a tale divieto e impedito alle regioni di: a) creare nuove figure di reato; b) richiamare sanzioni penali già comminate da leggi dello Stato in relazione a violazioni di leggi regionali; c) rendere lecite attività che le leggi statali considerano illecite e passibili di sanzione penale. Ebbene, anche ad un esame sommario delle norme in discussione, appare evidente che esse contrastano direttamente con i principi appena enunciati e, in particolare, con l'ultimo.

Gli artt. 8 e 12 del decreto-legge istitutivo del Parco del Gran Paradiso - che, anche per quanto riguarda la caccia, hanno conservato pieno vigore pur dopo l'adozione della legge 27 dicembre 1977, n. 968, invirtu della regola della lex specialis - prevedono una triplice figura di divieto, ad ognuna delle quali connettono una sanzione penale, costituita da una multa di varia entità. Più in particolare, essi puniscono tanto l'esercizio in atto della caccia e della pesca all'interno del Parco e il relativo tentativo, quanto la mera introduzione nel perimetro del Parco stesso di animali, armi od ordigni che servono a cacciare o a pescare. Pertanto, gli ultimi due commi dell'art. 3 della legge impugnata, nel rendere inapplicabili alla parte del parco compresa nel territorio valdostano i predetti artt. 8 e 12, per quanto si riferiscono alla caccia, e nel riformulare l'identico divieto contenuto nell'art. 8 applicandogli tuttavia le norme del codice penale relative al furto (artt. 624 e segg.), si pongono in contrasto con il divieto per le leggi regionali di disciplinare materie penali sotto due distinti profili: per un verso, perché producono la depenalizzazione del reato di semplice accesso nel parco con cani, armi e ordigni per quanto non possa rientrare nella configurazione del tentativo di furto; e, per altro verso, perché, attraverso l'espressa previsione di una legge regionale di determinate sanzioni penali (quelle relative al furto) non espressamente collegate al divieto di caccia da alcuna norma statale, ma applicate al predetto divieto soltanto in via interpretativa (v. in proposito la sent. n. 97 del 1987 di questa Corte), finiscono per violare il limite penale, rendendo obbligatoria con legge regionale, almeno per il territorio valdostano compreso nell'area del Parco del Gran Paradiso, un'interpretazione giurisprudenziale che, per quanto condivisibile e autorevole, é pur sempre tale (v. in tal senso le sentt. nn. 13 del 1961, 68 del 1963 di questa Corte).

Analogamente l'art. 4, nel rendere inapplicabile l'art. 8 del decreto istitutivo del Parco del Gran Paradiso e nel riformulare il divieto di pesca, lasciandovi fuori l'ipotesi del semplice accesso con armi od ordigni (che, peraltro, a seguito di un coordinamento imperfetto, e mantenuta ferma nelle norme sanzionatorie contenute nell'art. 12 del suddetto decreto), finisce per depenalizzare e rendere lecita un'attività che la legislazione statale punisce penalmente.

7. - Un ultimo profilo riguarda l'art. 3, comma primo della legge impugnata, che attribuisce la fauna vivente nel territorio valdostano ricompreso nel perimetro del Parco del Gran Paradiso al patrimonio indisponibile dei comuni situati nella stessa area regionale. Anche per questo aspetto va accolta la censura governativa, secondo la quale si tratta di disciplina esorbitante dai limiti propri delle competenze legislative della Regione Valle d'Aosta.

Infatti, pur a ritenere che non costituisca un vincolo l'art. 1 della legge 27 dicembre 1977, n. 968 (legge-quadro sulla caccia), il quale assegna la fauna selvatica al <patrimonio indisponibile dello Stato>, in quanto si potrebbe ipoteticamente sostenere che la norma faccia riferimento allo Stato nel complesso delle sue articolazioni pubbliche, sta di fatto che, come non sembra escludere la stessa Regione, il regime di appartenenza dei beni e, in particolare, di quelli d'interesse pubblico, deve essere stabilito, quantomeno nei suoi principi generali, da una legge dello Stato. Tanto più ciò vale se si considera che, nel caso di specie, la fauna rientra fra i beni la cui tutela costituisce elemento essenziale di un sistema istituzionale di protezione della natura, qual é il Parco nazionale del Gran Paradiso, che e stato istituito in seguito ad una valutazione dello Stato ed alla rilevanza che questo ha riconosciuto al complesso di risorse naturali presenti in quell'area, compresa la fauna vivente.

Del resto, la qualificazione giuridica della fauna come bene d'interesse pubblico e la conseguente attribuzione di appartenenza non può farsi rientrare in nessuna delle competenze assegnate alla potestà legislativa della Valle d'Aosta, tanto che persino la materia più contigua, qual é la <caccia e pesca>, concerne attività distinte e successive alla predetta qualificazione, anche se indubbiamente condizionata da quest'ultima.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara l'illegittimità costituzionale della legge della Regione Valle d'Aosta, riapprovata il 17 ottobre 1980, dal titolo <Application des competences legislatives primaires de la Region Autonome Vallee d'Aoste, sur la partie de son territoire incluse dans le Parc National du Grand Paradis>.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 27/10/88.

 

Francesco SAJA - Antonio BALDASSARRE

 

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 15/11/1988