Sentenza n. 1001 del 1988

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SENTENZA N.1001

ANNO 1988

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori Giudici:

Prof. Francesco SAJA, Presidente

Prof. Giovanni CONSO

Dott. Aldo CORASANITI

Prof. Giuseppe BORZELLINO

Dott. Francesco GRECO

Prof. Renato DELL'ANDRO

Prof. Francesco Paolo CASAVOLA

Prof. Antonio BALDASSARRE

Prof. Vincenzo CAIANIELLO

Avv. Mauro FERRI

Prof. Luigi MENGONI

Prof. Enzo CHELI

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

 

nel giudizio promosso con ricorso della Regione Lombardia notificato il 19 maggio 1986, depositato in Cancelleria il 9 giugno 1986 ed iscritto al n. 26 del registro ricorsi 1986, per conflitto di attribuzione sorto a seguito del d.P.R. 5 marzo 1986 n. 68, pubblicato nella C.U n.66 del 20 marzo 1986, concernente <Determinazione e composizione dei comparti di contrattazione collettiva, di cui all'art. 5 della legge-quadro sul pubblico impiego 29 marzo 1983, n. 93>.

Visto l'atto di costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica del 22 marzo 1988 il Giudice relatore Enzo Cheli;

udito l'avv. Valerio Onida per la Regione Lombardia e l'Avvocato dello Stato Franco Favara per il Presidente del Consiglio dei ministri.

 

Considerato in diritto

 

1. - La Regione Lombardia lamenta l'invasione della propria sfera di attribuzioni che sarebbe stata operata dagli artt. 1 n. 3, 4 e 10 del d.P.R. 5 marzo 1986 n. 68 concernente <Determinazione e composizione dei comparti di contrattazione collettiva, di cui all'art. 5 della legge quadro sul pubblico impiego 29 marzo 1983 n. 93>. Tali norme - per il fatto di aver incluso il personale delle Regioni a statuto ordinario e degli enti pubblici non economici da esse dipendenti in un unico comparto comprendente il personale di altre categorie di enti locali e funzionali (Comuni, Province, Comunità montane, Consorzi tra enti locali, ex IPAB, Camere di commercio, ecc.)-non avrebbero rispettato l'autonomia costituzionalmente garantita alla Regione in tema di ordinamento dei propri uffici e del proprio personale, incorrendo, sotto vari profili, nella violazione degli artt. 5, 115, 117, 118 e 119 della Costituzione e degli artt. 5, 7, 8 e 10 della legge 29 marzo 1983 n. 93 (legge quadro sul pubblico impiego).

La Regione chiede, pertanto, in sede di conflitto di attribuzione, l'annullamento delle disposizioni impugnate, previa dichiarazione che <non spetta allo Stato determinare un comparto di contrattazione collettiva per il pubblico impiego comprendente il personale delle Regioni e degli enti pubblici non economici da esse dipendenti insieme a quello dei Comuni, delle Province, delle Comunità montane, loro consorzi e associazioni, e degli altri enti indicati nell'art. 4, primo comma, del d.P.R. n. 68 del 1986>.

2. - Va preliminarmente rilevata l'insussistenza in fatto del quinto motivo del ricorso, mediante il quale si contesta la violazione dell'art. 5, secondo comma, della legge n. 93 del 1983, per non essere stata la Regione Lombardia consultata in ordine all'accordo integrativo raggiunto tra Governo e sindacati in data 11 febbraio 1986. A parte la considerazione che l'accordo in questione si presentava estraneo all'oggetto della presente controversia in quanto attinente soltanto al diverso comparto del servizio sanitario nazionale, risulta, infatti, accertato, alla luce della documentazione prodotta dall'Avvocatura dello Stato, che il parere regionale venne richiesto nelle forme dovute, con nota della Presidenza del Consiglio indirizzata, in data 12 febbraio 1986 n. 40823, a tutti i Presidenti delle Giunte regionali.

3. - Con riferimento agli altri motivi il ricorso é inammissibile.

A questo proposito, occorre innanzitutto richiamare la tipicità della disciplina concernente la determinazione dei comparti di contrattazione collettiva così come delineata nella legge quadro sul pubblico impiego: disciplina attraverso cui si é inteso regolare la prima fase del procedimento destinato a concludersi con la stipulazione dei diversi accordi sindacali di comparto o intercompartimentali.

Va infatti ricordato come, ai sensi dell'art. 5 della legge n. 93 del 1983, il numero dei comparti e la composizione degli stessi siano determinati mediante una procedura complessa comprensiva di varie fasi, attraverso le quali: a) il Presidente del Consiglio definisce con le confederazioni sindacali maggiormente rappresentative gli accordi relativi alla definizione dei comparti; b) su tali accordi viene sentito il parere delle Regioni; c) gli stessi vengono comunicati al Parlamento; d) gli accordi sono, quindi, assunti come base per la proposta di delibera che il Presidente del Consiglio avanza al Consiglio dei ministri; d) il Consiglio dei ministri adotta la delibera definitiva, che viene successivamente emanata con decreto del Presidente della Repubblica.

Tale procedura presenta alcuni elementi di analogia con quella prevista per la stipulazione dei successivi accordi sindacali relativi ai vari comparti, ma se ne differenzia, tra l'altro, per la più limitata presenza consentita , in sede di definizione dei comparti, alle Regioni ordinarie. Queste, infatti, nella procedura delineata dall'art. 5, non assumono la posizione di parti contraenti, bensì quella di soggetti investiti di una semplice funzione consultiva relativa ad accordi <inter alios acti>, in quanto definiti tra il Presidente del Consiglio ed i sindacati.

Con riferimento a questa fase del procedimento non sembra, dunque, potersi individuare-secondo l'impianto adottato dalla legge n. 93 del 1983 (che in questa sede non viene in contestazione)-una sfera di attribuzioni regionali suscettibili di manifestarsi attraverso poteri diversi dall'esercizio di un'attività consultiva espressa attraverso pareri obbligatori, ma non vincolanti: attività che, nella specie, e stata puntualmente espletata dalla Regione Lombardia mediante il parere espresso nei confronti dell'accordo del 21 dicembre 1984 con la deliberazione del Consiglio regionale in data 27 marzo 1985 n. III/2087.

Sotto il profilo in esame si deve, dunque, escludere la possibilità di riferire al decreto impugnato una potenzialità lesiva, diretta e immediata, della sfera di attribuzioni costituzionalmente garantita alla Regione ricorrente.

4. - Resta, peraltro, da valutare - ed é questo l'oggetto proprio della controversia - se una lesione, nella specie, possa essersi determinata in via indiretta e mediata, attraverso l'esercizio concreto del potere che ha condotto alla configurazione del comparto, dal momento che questo, per non essere stato riservato esclusivamente al personale delle Regioni e degli enti pubblici non economici da esse dipendenti, potrebbe aver determinato una limitazione ed un condizionamento illegittimi nella sfera della competenza costituzionale spettante alla Regione in materia di ordinamento dei propri uffici e del proprio personale.

Questo aspetto del problema impone di tener presenti, insieme con i criteri fissati nell'ultimo comma dell'art. 5 (<il comparto comprende, nel rispetto delle autonomie costituzionalmente garantite, i dipendenti di più settori della pubblica amministrazione omogenei e affini>), i principi informatori che hanno ispirato la legge quadro sul pubblico impiego. In proposito va ricordato come nella giurisprudenza di questa Corte siano state sottolineate, con la natura di legge di riforma economico-sociale, le profonde novità introdotte dalla legge n. 93 del 1983: novità che, attraverso la definizione di un particolare meccanismo di contrattazione collettiva in materia di pubblico impiego, si sono venute a riflettere anche nel quadro costituzionale dei rapporti tra Stato e Regioni, modificando alcuni dei suoi termini di riferimento tradizionali (sent. n. 219 del 1984).

Questa giurisprudenza ha, altresì, rilevato il <delicato bilanciamento> che, attraverso la stessa legge, si é inteso realizzare tra diversi interessi costituzionali <quali il principio della contrattazione collettiva, il principio dell'autonomia legislativa regionale (e conseguente riserva di legge statale e regionale) e il principio del coordinamento nazionale delle legislazioni delle Regioni, se pure per via cooperativa> (sent. n. 217 del 1987): principi che hanno condotto a delineare nella legge una serie di garanzie e di procedure rigorose dirette a conferire agli accordi collettivi maturati tra amministrazioni pubbliche e sindacati <un particolare valore ed una specifica efficacia direttiva>, consentendo agli stessi <di assolvere alla complessa funzione politica e costituzionale loro demandata>.

Ora, se valutiamo la complessa procedura destinata a condurre - secondo il disegno tracciato nella legge n. 93 - alla formazione della disciplina concernente l'impiego regionale, possiamo rilevare come ciascuna Regione sia stata legittimata dalla stessa legge a partecipare, in piena autonomia, ad ambedue le fasi fondamentali di tale procedimento: sia alla fase contrattuale, mediante la presenza di un proprio rappresentante nella delegazione di parte pubblica costituita per la stipula degli accordi (art. 10, primo comma); sia alla fase normativa, mediante l'approvazione con provvedimento regionale degli accordi stipulati, approvazione cui la legge subordina l'operatività degli stessi accordi nell'ambito regionale (art. 10, terzo comma).

Con riferimento al caso in esame non sembra, dunque, che la contestata violazione delle regole poste dalla legge n. 93 per la procedura di definizione dei comparti possa essere, di per sé, considerata idonea e sufficiente a determinare una lesione, per quanto indiretta e mediata, della sfera costituzionalmente garantita alla Regione in materia di ordinamento del proprio personale: e questo in relazione tanto al carattere preliminare di tale procedura rispetto alla stipula dei successivi accordi sindacali, quanto all'ampiezza dei poteri riconosciuti alla Regione in sede di recepimento degli stessi accordi.

In questo quadro, l'effetto lesivo per la sfera delle competenze regionali non potrà, dunque, manifestarsi, nei suoi termini concreti, indipendentemente dai contenuti specifici di tali accordi, contenuti né definiti né pregiudicati al momento della conclusione della procedura di determinazione del comparto tracciata nell'art. 5 della legge n. 93.

Quanto precede conduce, pertanto, a negare l'attualità di una lesione concernente la sfera costituzionalmente garantita alla Regione ricorrente in materia di disciplina del proprio personale, conseguente all'eventuale illegittimità del decreto di cui é causa: dal che l'inammissibilità della doglianza in sede di conflitto di attribuzione.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara inammissibile il conflitto di attribuzione proposto con il ricorso di cui in epigrafe dalla Regione Lombardia in relazione agli artt. 1 n. 3, 4 e 10 del d.P.R. 5 marzo 1986 n. 68, concernente <Determinazione e composizione dei comparti di contrattazione collettiva, di cui all'art. 5 della legge quadro sul pubblico impiego 29 marzo 1983 n. 93>, con riferimento agli artt. 5, 115, 117, 118 e 119 Cost. ed agli artt. 5, 7, 8 e 10 della legge 29 marzo 1983 n. 93.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte Costituzionale, Palazzo della Consulta, il 12/10/88.

 

Francesco SAJA - Enzo CHELI

 

Depositata in cancelleria il 27/10/88.