Sentenza n. 998 del 1988

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SENTENZA N.998

ANNO 1988

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori Giudici:

Dott. Francesco SAJA, Presidente

Prof. Giovanni CONSO

Dott. Aldo CORASANITI

Prof. Giuseppe BORZELLINO

Dott. Francesco GRECO

Prof. Renato DELL'ANDRO

Prof. Francesco Paolo CASAVOLA

Prof. Antonio BALDASSARRE

Prof. Vincenzo CAIANIELLO

Avv. Mauro FERRI

Prof. Luigi MENGONI

Prof. Enzo CHELI

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale della legge statale 16 maggio 1984, n. 138, intitolata: <Mobilita e sistemazione definitiva del personale risultato idoneo agli esami di cui al l'art. 26 del d.l. 30 dicembre 1979, n. 663, convertito in legge, con modificazioni, dalla legge 29 febbraio 1980, n. 33>, promosso con ricorso della Regione Sardegna, notificato il 15 giugno 1984, depositato in cancelleria il 19 successivo ed iscritto al n. 16 del registro ricorsi 1984.

Visto l'atto di costituzione del Presidente del Consiglio dei Ministri;

udito nell'udienza pubblica del 22 marzo 1988 il Giudice relatore Antonio Baldassarre;

uditi l'Avvocato Paolo Mercuri per la Regione Sardegna e l'Avvocato dello Stato Franco Favara per il Presidente del Consiglio dei Ministri.

 

Considerato in diritto

 

1. - La Regione Sardegna ha impugnato la legge 16 maggio 1984, n. 138, intitolata <Mobilita e sistemazione definitiva del personale risultato idoneo agli esami di cui all'art. 26 del d.l. 30 dicembre 1979, n. 633, convertito in legge, con modificazioni, dalla legge 29 febbraio 1980, n. 33>, sospettando d'incostituzionalità il suo intero testo e, in particolare, l'art. 5, primo e ultimo comma, per contrasto con l'art. 3, lett. a), dello Statuto speciale della Regione Sardegna, che attribuisce alla predetta Regione competenza legislativa esclusiva in materia di <ordinamento degli uffici e degli enti amministrativi della Regione e stato giuridico ed economico del personale>.

2. - Va preliminarmente dichiarata l'inammissibilità della questione di costituzionalità sollevata dalla ricorrente avverso la legge n. 138 del 1984 nella sua globalità.

Secondo la costante giurisprudenza di questa Corte (v., ad esempio, sent. n. 517 del 1987), l'assoluta carenza di motivazione comporta di per sé un vizio formale di validità, che rende inammissibile la questione così proposta, in quanto impedisce al giudice della legittimità delle leggi sia la completa verifica della sussistenza in concreto dell'interesse a ricorrere o della prospettazione di dubbi di costituzionalità del tutto arbitrari, pretestuosi o astratti, sia l'inequivoca determinazione dell'oggetto sottoposto al proprio giudizio. Pertanto, poiché la Regione ricorrente non ha addotto alcun motivo a sostegno dell'impugnazione dell'intero testo della legge n. 138 del 1984, avendo svolto le sue censure unicamente in relazione all'art. 5 della suddetta legge, la relativa questione deve ritenersi inammissibile.

3. - Secondo la Regione ricorrente, l'art. 5 della legge n. 138 del 1984 prevede obblighi e divieti attinenti tanto all'assunzione di personale negli uffici e negli enti regionali, quanto all'organizzazione degli stessi e allo stato giuridico dei dipendenti della Regione stessa. In tal modo tale articolo, sempre ad avviso della ricorrente, si porrebbe in contrasto con l'art. 3, lett. a, St. Sa., che affida alla competenza esclusiva della Regione la materia dell'ordinamento degli uffici e degli enti regionali, oltreché dello stato giuridico ed economico del personale. Tale contrasto, secondo la Regione, sarebbe evidenziato sia dal rilievo che gli obblighi previsti non rientrerebbero in nessuno dei limiti propri della competenza legislativa esclusiva, sia dalle disposizioni contenute nell'ultimo comma del ricordato art. 5, il quale, nel disporre che le norme previste dalla legge in questione abbiano valore di principio e di indirizzo per le regioni a statuto speciale, mostrerebbe di degradare la competenza posseduta in proposito dalla Regione in una concorrente.

Le censure prospettate dalla ricorrente si rivelano infondate sia nelle premesse che nelle conclusioni.

La Regione Sardegna basa il suo ricorso sulla supposizione che l'accesso agli uffici regionali - che, secondo un costante orientamento giurisprudenziale, é una sub-materia rientrante nell'ordinamento degli uffici (v., ad esempio, sentt. nn. 101 del 1986; 563 e 726 del 1988) - coincida, seppure pro parte, con la materia della <occupazione>.

Questa premessa, tuttavia, non é corretta, poiché, come questa Corte ha già precisato (sent. n. 190 del 1987), la disciplina dell'occupazione (nel caso si trattava di quella giovanile, regolata dalla legge n. 285 del 1977) coinvolge più materie, molte delle quali sono di spettanza dello Stato e alcune di competenza regionale. Non si può negare, infatti, che l'obiettivo dell'inserimento di persone nel mondo del lavoro può essere perseguito soltanto attraverso la disciplina di diversi settori-quali, ad esempio, l'istruzione scolastica, il mercato del lavoro e il collocamento, il pensionamento, la politica del mercato, dei prezzi e dei vari comparti produttivi (industria, servizi, etc.) -i quali rientrano sicuramente nell'ambito delle competenze statali. In pari tempo e innegabile che il perseguimento del medesimo obiettivo coinvolga materie d'indubbia spettanza regionale, quali, ad esempio, la formazione professionale, l'organizzazione degli uffici regionali e la regolazione dell'accesso ai medesimi uffici e, inoltre, le politiche locali riguardanti i vari settori materiali affidati alle regioni (agricoltura, artigianato, sanità, turismo, etc.).

Da ciò deriva chiaramente che l'occupazione e qualcosa che trascende le singole materie sopra elencate e che una legislazione che ne persegua le relative finalità può coinvolgere vari settori, anche di competenza regionale, orientandone o, in determinati casi, vincolandone gli indirizzi verso gli obiettivi superiori, propri di una politica occupazionale.

4. - Non é senza significato che a questo tipo di ripartizione delle competenze corrisponde, al livello dei principi costituzionali, un sistema di valori orientato nel medesimo senso.

L'art. 4 della Costituzione, nel riconoscere a tutti i cittadini il <diritto al lavoro>, affida il compito di promuovere le condizioni che ne rendano effettivo il godimento alla Repubblica, vale a dire al complesso dei poteri pubblici operanti nell'ambito dell'ordinamento costituzionale. Analoga imputazione e operata dall'art. 31, comma secondo, Cost., che affida il compito di proteggere la gioventù, anche con discipline giuridiche speciali, al solidale impegno di tutti i poteri pubblici.

E non v'é dubbio che a queste due norme di principio si colleghi direttamente una legge, come quella impugnata, che ha come unico obiettivo quello di favorire l'occupazione giovanile.

L'attuazione di tali valori e la determinazione delle specifiche modalità e dei tipi di intervento é indubbiamente rimessa alla discrezionalità del legislatore, il quale, pur nel rispetto dei comuni canoni di ragionevolezza, può liberamente scegliere sia i settori sui quali far leva ai fini del perseguimento, nelle particolari circostanze del momento, degli obiettivi occupazionali, sia le forme di raccordo o di unione fra le varie istanze pubbliche mobilitate per il raggiungimento dei ricordati obiettivi.

Tuttavia, pur nell'ambito di un'ampia discrezionalità di scelta e di un'altrettanto ampia possibilità di intervento ad ogni livello, non si può non riconoscere che l'occupazione, concepita come bene collettivo in sé e come finalità comprensiva di ogni suo aspetto particolare, e affidata alla responsabilità finale e globale dello Stato, il quale, proprio perché si tratta di un obiettivo tale da caratterizzare primariamente la forma di Stato propria di una <democrazia fondata sul lavoro> (art. 1 Cost.) e tale da poter essere perseguito in concreto solo attraverso il concorde o concorrente impegno di tutti i poteri pubblici, si pone, sotto tale aspetto, come il garante di ultima istanza, come l'intransigente tutore del bene <occupazione> nella sua pienezza e globalità.

5. - Se, dunque, per le ragioni appena formulate si deve riconoscere in proposito al legislatore nazionale un'ampia discrezionalità nella scelta del tipo e della dimensione dell'intervento da compiere, va in pari tempo riconosciuto a questa Corte il potere di sindacare la scelta compiuta sulla base dei parametri di legittimità comunemente applicati. Più precisamente, posto che, come ha correttamente prospettato la Regione ricorrente, l'art. 5 della legge impugnata prevede obblighi e divieti puntuali, indubbiamente ricadenti nella sfera organizzativa assegnata all'autonomia regionale - quali l'obbligo di assunzione nei posti di organico disponibili dei giovani temporaneamente impiegati ai sensi della legge n. 285 del 1977 e risultati idonei a norma dell'art. 26 septies del d.l. n. 663 del 1979; l'obbligo di individuare un contingente unico regionale costituito dai suddetti idonei e quello di collocare in soprannumero negli enti dipendenti dalle regioni gli idonei non assunti per difetto di posti negli uffici regionali; e, infine, il divieto di assunzione fino al totale riassorbimento dei soprannumerari - occorre verificare se un intervento così incisivo possa trovare giustificazione in qualcuno dei limiti posti alla competenza legislativa esclusiva della Regione ricorrente.

Considerato che, come s'é prima precisato, lo Stato é il tutore del bene collettivo <occupazione> nella sua globalità e che la tutela in questione può coinvolgere anche materie di competenza regionale, la pregnanza dell'interesse dello Stato a favorire l'occupazione (giovanile) anche in direzione delle attribuzioni regionali appare direttamente proporzionale alla distanza che separa la situazione effettuale esistente in un dato momento rispetto alla formale investitura di valore costituzionale al bene primario dell'occupazione (giovanile).

La legge oggetto del presente giudizio rappresenta il momento conclusivo di una catena normativa, iniziata con la legge 1 giugno 1977, n. 285 (<Provvedimenti per l'occupazione giovanile>), diretta a far fronte, come si sottolinea nella relazione che accompagna il testo da ultimo citato, a un grave fenomeno sociale, non privo di preoccupanti risvolti sotto il profilo dell'ordine pubblico, che si presentava in modo particolarmente drammatico, per i suoi aspetti quantitativi e qualitativi, nel nostro Paese: un fenomeno che, pur se caratterizzato da livelli notevolmente elevati nel Mezzogiorno, destava non indifferenti preoccupazioni anche nelle altre parti d'Italia. A1 pari delle leggi che l'hanno preceduta, anche quella impugnata, come risulta dalla relazione accompagnatoria e dalla amplissima maggioranza parlamentare che l'ha votata, risponde ai medesimi interessi. In particolare l'art. 5, oggetto di specifica contestazione, mira a garantire il risultato voluto dal legislatore nazionale anche in considerazione delle resistenze regionali (e degli altri enti locali), seppur con la lodevole eccezione della Sardegna (come dimostrato dalla l.r. n. 42 del l982) in relazione all'immissione nei propri ruoli dei giovani temporaneamente assunti in base alle legge n. 285 del 1977 (v. relazione alla legge n. 138 del 1984).

Le allegazioni ora citate, peraltro confermate nella loro peculiare drammaticità dai dati ufficiali dell'ISTAT, mostrano come, nel caso, ricorrano tutti i presupposti che, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte (v., da ultimo, le sentt. nn. 49 del 1987, 177 e 217 del 1988), giustificano l'apposizione di limiti alle competenze regionali in nome dell'interesse nazionale. In ipotesi, infatti, non solo appare non irragionevolmente valutata la rilevanza dell'interesse da tutelare (occupazione giovanile), ma quest'ultimo, tenuto conto del valore costituzionale di cui e investito, si presenta così imperativo e stringente in ogni parte del territorio nazionale da esigere un'urgente e uniforme soddisfazione, tale da non poter essere adeguatamente perseguita dal semplice intervento legislativo delle singole regioni.

Pertanto, data la peculiare rilevanza dell'interesse nazionale avuto di mira dalla legge impugnata, appare del tutto giustificato l'intervento del legislatore nazionale con norme di dettaglio in ambiti astrattamente ricadenti nell'elenco delle materie attribuite dall'art. 3 dello Statuto della Sardegna alla competenza legislativa esclusiva della Regione ricorrente. Né si potrebbe dire, in senso contrario, che gli obblighi e i divieti concretamente imposti alle regioni attraverso l'art. 5 della legge n. 138 del 1984 non appaiano commisurati all'interesse nazionale che si intende perseguire. In realtà, che essi siano contenuti nei limiti segnati dalla reale esigenza di soddisfare l'interesse rappresentato dall'occupazione giovanile appare tanto provato che la stessa Regione ricorrente, provvedendo all'assunzione dei giovani risultati idonei in base all'art . 26 septies del d.l. n. 663 del 1979, ha riprodotto in una propria legge (n. 35 del 1985) le stesse misure previste dalle disposizioni impugnate.

Né, diversamente da quanto suppone la ricorrente, si può dare soverchia importanza, in senso contrario, all'art. 5, u.c., della legge n. 138 del 1984, il quale stabilisce che <le disposizioni di cui alla presente legge hanno valore di norme di principio e di indirizzo per le regioni a statuto speciale>. La formula usata, infatti, e perfettamente identica a quella che l'art. 26 septies del d.l. n. 663 del 1979 - il quale costituisce l'antecedente diretto della norma qui impugnata -utilizza in riferimento a tutte le regioni, tanto se ad autonomia comune, quanto se ad autonomia differenziata. Al di là delle visibili improprietà e oscurità, é, pertanto, ragionevole ritenere che le prescrizioni in questione intendano esplicitare, anche nei confronti delle regioni a statuto speciale, il vincolo costituito da tutte le disposizioni della legge n. 138 del 1984 a carico del legislatore regionale, in ragione del fatto che quest'ultimo e chiamato, come s'é prima precisato, ad esercitare in materia una potestà di tipo attuativo. Sotto tale aspetto, anzi, la norma in contestazione costituisce un'ulteriore conferma del fatto che la materia regolata dalla legge n. 138 del 1984 rientra fra le competenze statali in forza di un valore, l'interesse nazionale, che opera indifferentemente tanto verso le regioni ad autonomia comune quanto verso quelle ad autonomia differenziata.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale della intera legge 16 maggio 1984 n. 138 (<Modalità e sistemazione definitiva del personale risultato idoneo agli esami di cui all'art. 26 del d.l. 30 dicembre 1979 n. 663, convertito in legge, con modificazioni, dalla L. 29 febbraio 1980 n. 33), in riferimento all'art. 3, lettera a) dello Statuto speciale della Sardegna, sollevata dalla medesima Regione con il ricorso indicato in epigrafe;

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 5, primo ed ultimo comma, della legge 16 maggio 1984 n. 138, in riferimento all'art. 3, lettera a) dello Statuto speciale della Sardegna, sollevata dalla medesima Regione con il ricorso indicato in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 12/10/88.

 

Francesco SAJA - Antonio BALDASSARRE

 

Depositata in cancelleria il 27/10/88.