Ordinanza n. 900 del 1988

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ORDINANZA N.900

ANNO 1988

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori Giudici:

Prof. Francesco SAJA, Presidente

Prof. Giovanni CONSO

Prof. Ettore GALLO

Dott. Aldo CORASANITI

Prof. Giuseppe BORZELLINO

Dott. Francesco GRECO

Prof. Renato DELL'ANDRO

Prof. Gabriele PESCATORE

Avv. Ugo SPAGNOLI

Prof. Francesco Paolo CASAVOLA

Prof. Antonio BALDASSARRE

Prof. Vincenzo CAIANIELLO

Avv. Mauro FERRI

Prof. Luigi MENGONI

Prof. Enzo CHELI

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 153 e 618, primo comma, cod. proc. civ., promosso con ordinanza emessa il 22 novembre 1986 dal Pretore di Agrigento nel procedimento civile vertente tra Assessorato Regionale del lavoro e SO.GE.SI - E.N.I.P.M.I., iscritta al n. 91 del registro ordinanze 1987 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 14/I ss. dell'anno 1988;

Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio dell'11 maggio 1988 il Giudice relatore Francesco Greco.

Ritenuto che il Pretore di Agrigento, con ordinanza in data 22 novembre 1986 ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 24 Cost., questione incidentale di legittimità costituzionale degli artt. 153 e 618, primo comma, del codice di procedura civile, nella parte in cui non prevedono la possibilità di concedere un nuovo termine per la notificazione in presenza di una causa di forza maggiore o di caso fortuito;

che la questione é stata sollevata nel corso del procedimento civile vertente tra Assessorato Regionale del Lavoro e SO.GE.SI - E.N.I.P.M.I.;

che, invero, proposto ricorso per opposizione agli atti esecutivi, il predetto Assessorato lo aveva notificato, unitamente al decreto di comparizione delle parti, oltre il termine perentorio all'uopo assegnato dal pretore a norma dell'art. 618, primo comma, c.p.c., e, deducendo, all'udienza di comparizione, che la tardività della notificazione era da ascrivere a causa di forza maggiore, aveva chiesto di essere rimesso in termini;

che il giudice a quo, premesso che é giurisprudenza consolidata che la mancata o tardiva notificazione del ricorso e del decreto, in tema di opposizione agli atti esecutivi, si traduce nel difetto di un presupposto necessario per la costituzione del rapporto processuale, rimanendo esclusa, in tale ipotesi, ogni possibilità di concedere un nuovo termine per la notificazione stessa, osserva

che la mancata previsione, sia nell'art. 618, primo comma, sia nell'art. 153 c.p.c., di tale possibilità in presenza di una causa di forza maggiore o di caso fortuito sembra contrastare con gli artt. 3 e 24 Cost.;

che al riguardo, lo stesso giudice rileva che l'ordinamento giuridico prevede altre ipotesi in cui la forza maggiore assume, invece, rilevanza, quali quelle di cui agli artt. 650 e 668 c.p.c.;

che nel giudizio ha spiegato intervento il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocato Generale dello Stato, che ha concluso per la inammissibilità della questione e, comunque, nel merito, per la infondatezza della stessa;

considerato che va rigettata l'eccezione di inammissibilità sollevata dall'autorità intervenuta, emergendo dal contesto dell'ordinanza adeguata motivazione sulla rilevanza della questione;

che, peraltro, questa appare manifestamente infondata;

che, invero, come questa Corte ha già avuto occasione di precisare, la garanzia del diritto di difesa non può implicare che sia illegittimo imporre all'esercizio di facoltà o poteri processuali limitazioni temporali, al fine di accelerazione del corso della giustizia;

che inerisce alla natura stessa dei termini perentori la loro improrogabilità con la connessa impossibilita di provvedimenti di sanatoria in caso di loro inutile decorso, per motivi di certezza e di uniformità la cui ragionevolezza non può revocarsi in dubbio;

che, in particolare, nel processo civile, l'immutabilità dei termini perentori, sia legali che giudiziali, tende a garantire una effettiva parità di diritti delle parti in causa, contemperando nell'esercizio con le esigenze della difesa (v. Corte cost. n. 106 del 1973);

che é inconferente il richiamo agli artt. 650 (opposizione tardiva a decreto ingiuntivo) e 668 (opposizione ad intimazione di licenza o di sfratto dopo la convalida) cod. proc. civ., che prevedono la rilevanza della forza maggiore ai fini dello svolgimento di un'attività difensiva oltre il suo normale termine di legge;

che, invero, le disposizioni di cui alle teste citate norme attuano il principio per il quale, allorché incombe alla parte un termine per il compimento di determinate attività processuali, é necessario, per la salvaguardia del diritto di difesa, che non sussistano cause ad essa imputabili, preclusive della conoscenza dell'evento dal quale il termine stesso comincia a decorrere (v. sentt. nn. 139 del 1967 e 34 del 1974);

che, pertanto, dette disposizioni disciplinano ipotesi del tutto diverse da quella esaminata dal giudice a quo, sicché risulta ingiustificato il riferimento all'art. 3 Cost.;

che per non dissimili considerazioni va ritenuto ultroneo il rilievo attribuito nell'ordinanza di rimessione al caso fortuito;

Visti gli artt. 26, secondo comma, legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle Norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale degli artt. 153 e 618, primo comma, del cod. proc. civ., sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 24 Cost., dal Pretore di Agrigento con l'ordinanza in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 07/07/88.

 

Francesco SAJA - Francesco GRECO

 

Depositata in cancelleria il 26/07/88.