SENTENZA N.505
ANNO 1988
REPUBBLICA ITALIANA
In nome del Popolo Italiano
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori
Giudici:
Prof. Francesco SAJA
Presidente,
Prof. Giovanni CONSO
Prof. Ettore GALLO
Dott. Aldo CORASANITI
Prof. Giuseppe BORZELLINO
Dott. Francesco GRECO
Prof. Renato DELL'ANDRO
Prof. Gabriele PESCATORE
Avv. Ugo SPAGNOLI
Prof. Francesco Paolo
CASAVOLA
Prof. Antonio BALDASSARRE
Prof. Vincenzo CAIANIELLO
Avv. Mauro FERRI
Prof. Luigi MENGONI
Prof. Enzo CHELI
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di
legittimità costituzionale dell'art. 29 del testo unico approvato con
decreto del Presidente della Giunta provinciale di Bolzano 28 dicembre 1978, n.
32 (Approvazione del testo unificato delle leggi provinciali sull'ordinamento
dei masi chiusi); dell'art. 30 del testo unico approvato con decreto del
Presidente della Giunta provinciale di Bolzano 7 febbraio 1962, n. 8
(Approvazione del testo unico delle leggi provinciali sull'ordinamento dei masi
chiusi nella Provincia di Bolzano) e dell'art. 30 della legge provinciale di
Bolzano 29 marzo 1954, n. 1, modificato dalla legge provinciale di Bolzano 25
dicembre 1959, n. 10 (Norme modificatrici, interpretative ed integrative delle
leggi provinciali 29 marzo 1954 n. 1 e 2 settembre 1954 n. 2 contenenti le
norme fondamentali sull'ordinamento dei masi chiusi), promosso con ordinanza
emessa il 21 marzo 1980 dal Tribunale di Bolzano nei procedimenti civili
riuniti vertenti tra Pircher Paul, Pircher Theresia ed altri e Pircher Franz, iscritta al n. 520 del registro ordinanze
1980 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 277 dell'anno
1980.
Visto l'atto di
costituzione di Pircher Theresia
ed altri;
udito nell'udienza pubblica
del 9 marzo 1988 il Giudice relatore Luigi Mengoni;
udito l'avv. Giovanni Rotunno per Pircher Theresia ed altri.
Considerato in diritto
1. -La norma sottoposta a
scrutinio di costituzionalità e l'art. 30 della legge della Provincia di
Bolzano 29 marzo 1954 n. 1, ordinato come art. 29 nel testo unificato dalle
leggi provinciali sull'ordinamento dei masi chiusi, approvato con decreto del
Presidente della Giunta provinciale 28 dicembre 1978 n. 32. Non vengono in
considerazione, in quanto non applicabili nel caso di specie, ne il testo
dell'art. 29, primo comma, ne l'art. 29/a, successivamente introdotti nel
citato testo unico dagli artt. 7 e 9 della legge provinciale 26 marzo 1982 n.
10.
2. - La questione é
fondata.
La norma denunziata attribuisce
ai coeredi dell'assuntore il diritto a un supplemento di divisione (recte: a una seconda divisione)-previo conferimento alla
massa ereditaria della differenza tra il prezzo di assunzione e il prezzo
ricavato dalla vendita del maso intervenuta entro dieci anni dall'assunzione,
<decurtata del valore di eventuali miglioramenti da lui eseguiti, da
stimarsi da esperti>-solo nel caso di vendita <volontaria>, non anche
nel caso di vendita o assegnazione in un procedimento di esecuzione forzata. Il
limite risponde a una ratio legis
orientata a coniugare una misura di equità con una misura sanzionatoria
del comportamento dell'assuntore, che ha alienato il maso, appropriandosi del
suo valore commerciale, prima di avere soddisfatto, coltivando il fondo per un
periodo di tempo ragionevole (valutato dalla legge in dieci anni
dall'assunzione, ossia dall'apertura della successione), le finalità di
utilità sociale in vista delle quali gli era stato concesso di assumere
il maso a un prezzo agevolato, commisurato al valore di reddito anzichè al valore venale. Alla radice della norma
sta la concezione della proprietà- sviluppata dalla cultura religioso-
giuridica germanica-come dotazione o attrezzatura
dell'<ufficio> al quale Dio ha chiamato il proprietario, costituendolo
amministratore fiduciario del fondo al servizio del bene comune.
La logica sanzionatoria
spiega l'esclusione della pretesa dei coeredi nei casi di trasferimento
coattivo del maso. Ma, almeno nel caso di vendita o assegnazione forzata per
debiti, essa non e più integrata in una giustificazione sostanziale che
valga a legittimare la disparità di trattamento dei coeredi al cospetto
del principio di eguaglianza sancito dall'art. 3 Cost
. L'idea che la vendita forzata del maso non possa normalmente intervenire se
non a causa di una sfortunata gestione dell'impresa agricola, cioé per una causa non imputabile a cattiva
volontà o a negligenza dell'assuntore, presuppone un contesto
sociologico inattuale, incentrato sul maso chiuso come supporto economico di
una <grande famiglia>, nella quale <il diritto di comandare discendeva
di generazione in generazione insieme con la proprietà dei fondi
ereditari>. Allora la successione a causa di morte, regolata dal diritto di
primogenitura, non era soltanto una vicenda patrimoniale di mutamento del
soggetto proprietario, ma aveva preminentemente il significato socio-politico
di investitura nella qualità di capo del gruppo parentale. In siffatto
contesto i membri del gruppo, pur in posizione subalterna, esercitavano, in
virtù del rapporto di parentela, un controllo sulle decisioni del
titolare, e in particolare sulle decisioni che comportassero assunzione di
debiti, vigilando che esse fossero giustificate dai bisogni della conduzione
del maso.
Oggi il declino della
grande famiglia e dei costumi che ne salvaguardavano la compattezza distorce la
funzione originariamente assegnata alla norma in esame: piuttosto che
sollecitare l'interesse dell'assuntore a perseverare nella fedele e diligente
coltivazione del fondo e a resistere a tentazioni speculative, il limite della
<volontarietà> della vendita, non più radicato nell'intimo
legame un tempo esistente tra lo spirito della famiglia e la conservazione
della terra, può trasformarsi in incentivo a una conduzione poco oculata
o addirittura a comportamenti fraudolenti intenzionati a creare le premesse di
una vendita forzata pilotata dall'assuntore allo scopo di lucrare un
consistente residuo attivo sottratto a pretese dei coeredi.
In questo diverso contesto
viene meno il supporto fattuale della logica sanzionatoria sopra enucleata e
invece si propaga anche al caso di vendita o assegnazione forzata l'esigenza di
equità che impone all'assuntore l'obbligazione restitutoria verso i
coeredi prevista dall'art. 30 della legge prov. n. 1 del 1954.
2.-Lo stesso legislatore
provinciale ha riconosciuto che la detta condizione non é più
giustificata. Tuttavia non ha cancellato la differenza di trattamento dei
coeredi dell'assuntore nei due casi di vendita volontaria e di vendita forzata
del maso, ma soltanto l'ha attenuata. La legge prov. 26 marzo 1982 n. 10 ha
inserito (art. 9) nel testo unico del 1978 cit. il seguente art. 29/a: <(1)
Se il maso, in tutto o in parte, viene venduto o assegnato in esecuzione
forzata entro il termine previsto dal precedente articolo, l'assuntore e tenuto
a versare alla massa ereditaria per la divisione suppletoria l'eccedenza del
ricavo dalla vendita o del valore di assegnazione sul prezzo di assunzione. (2)
In tal caso si applicano il secondo, quinto e sesto comma (quest'ultimo
aggiunto dall'art. 8 della medesima legge) dell'art. 29. Il diritto dei coeredi
può esercitarsi sul ricavato dell'esecuzione forzata solo nei limiti del
residuo finale spettante al debitore esecutato, previa deduzione di eventuali
spese inerenti all'assunzione e al miglioramento del maso>.
Questa norma, non essendo
retroattiva, non é applicabile al caso di specie.
Ma nemmeno può
fornire un modello alla pronuncia di illegittimità costituzionale
modificativa della norma applicabile, cioé
dell'art. 30 della legge n. 1 del 1954. La soluzione adottata dalla legge del
1982 restringe l'obbligo di restituzione dell'assuntore verso i coeredi nella
misura del solo arricchimento, consentendogli di dedurre dal prezzo ricavato
dalla vendita forzata, oltre al prezzo di assunzione e alle eventuali spese ad
essa inerenti, non soltanto il valore delle migliorie apportate al maso, ma
anche le passività contratte per altri scopi, non esclusi gli scopi
voluttuari.
Pur nella misura ridotta
dal nuovo art. 29/a del testo unico, la disparità di trattamento dei
coeredi a seconda del carattere volontario o coatto della vendita non appare
giustificata, ne dal punto di vista dei principi dogmatici del nostro
ordinamento, ne dal punto di vista di una razionale politica legislativa. La
limitazione al mero arricchimento della responsabilità di chi ha
alienato senza dolo un bene spettante alla massa ereditaria e una direttiva
estranea al nostro ordinamento, come attestano l'art. 535 cod. civ., che ha
abbandonato la regola romana della responsabilità dell'erede apparente
di buona fede verso l'erede vero, e più puntualmente, con riguardo alla
questione in oggetto, l'art. 748, che indica le deduzioni con sentite al
coerede donatario tenuto a conferire per imputazione il bene donato.
D'altra parte, la soluzione
accolta dall'art. 29/a, in quanto limita il diritto di riparto dei coeredi al
residuo attivo dell'esecuzione forzata, non é adeguata all 'esigenza, individuata dall'ordinanza di rimessione,
<che la divisione suppletoria scoraggi l'assuntore dal lasciare, senza
troppo preoccuparsene, che si creino le premesse di una vendita forzata per
debiti>.
3. - In conseguenza
dell'accoglimento della questione in relazione all'art. 3 Cost., restano
assorbiti gli incidenti di costituzionalità sollevati in riferimento
agli artt. 42 e 44 Cost.
4. - Subordinatamente
all'accoglimento della questione di costituzionalità esaminata nei
precedenti nn. 2 e 3, il Tribunale di Bolzano
solleva, sempre in relazione ai medesimi parametri, un'altra questione di
legittimità dell'art. 30 della legge prov. n. 1 del 1954, questa volta
in favore dell'assuntore: la norma impugnata e reputata illegittima anche nella
parte in cui prevede che la differenza tra il prezzo di assunzione e il prezzo
ricavato dalla vendita del maso sia calcolata senza applicare alla somma
già corrisposta ai coeredi coefficienti di rivalutazione riferiti agli
indici statistici di diminuzione del potere di acquisto della moneta.
La questione é
ammissibile, essendo il giudice a quo chiamato a decidere non solo sull'an della divisione suppletoria, ma anche, in caso
affermativo, sul quantum dell'oggetto della nuova divisione. Peraltro, essa
é infondata.
Occorre considerare che, a
norma dell'art. 35/a del testo unico, il maso chiuso si trasmette recta via dal de cuius
all'assuntore: la legge lo separa dall'eredità e lo fa oggetto di una
successione (anomala) a titolo particolare (c.d. assunzione del maso).
Corrispondentemente si produce un effetto di surrogazione reale, per cui in
luogo del maso entra nella massa dividenda, sotto
forma di un'obbligazione pecuniaria dell'assuntore, il prezzo di assunzione
fissato ai sensi dell'art. 25. ciò significa che, in ordine al maso, la
divisione ereditaria non e una divisione per equivalente nel senso tecnico
dell'art. 720 cod. civ. (cioé una divisione
avente per oggetto l'immobile, attuata mediante assegnazione per intero del
bene alla porzione di uno dei coeredi e costituzione in favore degli altri di
un diritto di conguaglio), bensì é una divisione avente per
oggetto il valore di reddito del maso, tradotto in una obbligazione di somma
determinata <posta a carico dell'assuntore> (art. 26 t.u. cit.).
Ne consegue che, ove si
proceda al supplemento di divisione previsto dall'art. 30 della legge n. 1 del
1954 (e ora dagli artt. 29 e 29/a del t.u. del 1978 modificato dalla legge
prov. n. 10 del 1982), previo conferimento alla massa del prezzo ricavato dalla
vendita del maso, l'obbligazione di restituzione alla massa mediante
imputazione alle rispettive quote, alla quale sono tenuti a loro volta i
coeredi dell'assuntore in ragione di ciò che sul valore di reddito del
maso hanno ricevuto nella prima divisione, e un'obbligazione di valuta,
soggetta al principio nominalistico. L'applicazione di tale principio alla
collazione di denaro donato, e quindi anche all'imputazione di debiti di somme
di denaro insorti tra coeredi, é stata riconosciuta costituzionalmente
legittima dalla sentenza 25 giugno 1981 n.
107 di questa Corte, in relazione agli artt. 747, 750 e 751 cod. civ.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara
l'illegittimità costituzionale dell'art. 30 della legge della Provincia
Autonoma di Bolzano 29 marzo 1954 n. 1 (Ordinamento dei masi chiusi nella
Provincia di Bolzano) nella parte in cui non prevede che pure in caso di
trasferimento coattivo del maso chiuso, in un procedimento di esecuzione
forzata instaurato entro il termine ivi contemplato, l'assuntore e tenuto a
versare alla massa ereditaria, per la divisione suppletoria, l'eccedenza del
ricavo dalla vendita o del valore di assegnazione sul prezzo di assunzione,
previa deduzione di eventuali spese inerenti all'assunzione e del valore delle
migliorie apportate al maso;
dichiara non fondata la
questione di legittimità costituzionale dell'art. 30 della citata legge
provinciale n. 1 del 1954 nella parte in cui non prevede la rivalutazione
monetaria del prezzo di assunzione del maso ai fini del calcolo dell'eccedenza
del ricavo dall'alienazione, sollevata, con riferimento agii artt. 3, 42 e 44
Cost., dall'ordinanza indicata in epigrafe.
Così deciso in Roma,
nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 21/04/88.
Francesco SAJA, PRESIDENTE
Luigi MENGONI, REDATTORE
Depositata in cancelleria
il 05 Maggio 1988.