Sentenza n.408 del 1988

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SENTENZA N.408

 

ANNO 1988

 

REPUBBLICA ITALIANA

 

In nome del Popolo Italiano

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori Giudici:

 

Dott. Francesco SAJA Presidente

 

Prof. Giovanni CONSO

 

Prof. Ettore GALLO

 

Prof. Giuseppe BORZELLINO

 

Dott. Francesco GRECO

 

Prof. Renato DELL'ANDRO

 

Prof. Gabriele PESCATORE

 

Avv. Ugo SPAGNOLI

 

Prof. Francesco Paolo CASAVOLA

 

Prof. Antonio BALDASSARRE

 

Prof. Vincenzo CAIANIELLO

 

Avv. Mauro FERRI

 

Prof. Luigi MENGONI

 

Prof. Enzo CHELI

 

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nei giudizi riuniti di legittimità costituzionale degli artt. 1224 del codice civile, 429, terzo comma, del codice di procedura civile, 150 delle disposizioni di attuazione del codice di procedura civile e dell'art. i, terzo comma, lett. b, della legge 27 maggio 1959, n. 324 (), come sostituito dall'art. 1 della legge 3 marzo 1960, n. 185 (), promossi con le seguenti ordinanze:

 

1) ordinanza emessa il 17 ottobre 1984 dal Tribunale di Firenze nel procedimento civile vertente tra l'I.N.A.D.E.L. e Raddi Luciano ed altri, iscritta al n. 1342 del registro ordinanze 1984 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 91 bis dell'anno 1985;

 

2) ordinanza emessa il 4 luglio 1985 dal Tribunale amministrativo regionale della Liguria sul ricorso proposto da Mazzotta Cesare ed altro contro l'E.N.P.A.S., iscritta al n. 804 del registro ordinanze 1985 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 17/1a s.s. dell'anno 1986;

 

3) ordinanza emessa il 13 giugno 1985 dal Tribunale amministrativo regionale della Liguria sul ricorso proposto da Chiesa Angelo contro l'E.N.P.A.S., iscritta al n. 8 del registro ordinanze 1986 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 17/1a s.s. dell'anno 1986;

 

4) ordinanza emessa il 28 marzo 1985 dal Tribunale amministrativo regionale della Liguria sul ricorso proposto da Biso Alessandra contro il Ministero della Pubblica Istruzione ed altri, iscritta al n. 340 del registro ordinanze 1986 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 30/1a s.s. dell'anno 1986.

 

Visto l'atto di costituzione di Biso Alessandra nonchè gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

 

udito nell'udienza pubblica del 12 gennaio 1988 il Giudice relatore Gabriele Pescatore;

 

uditi l'avv. Carlo Rienzi per Biso Alessandra e l'Avvocato dello Stato Gaetano Zotta per il Presidente del Consiglio dei ministri.

 

Considerato in diritto

 

10. - Con l'ordinanza in data 13 giugno 1985 (R.O. n. 804/85), il Tribunale amministrativo regionale per la Liguria ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 36, primo comma, 38, secondo comma, e 97 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell'art. 1, terzo comma, lett. b), della legge 27 maggio 1959, n. 324, come sostituito dall'art. 1 della legge 3 marzo 1960, n. 185, nella parte in cui esclude la computabilità dell'indennità integrativa speciale agli effetti dell'indennità di buonuscita E.N.P.A.S.

 

La questione, pur riguardando articoli di legge diversi, e in tutto analoga a quella dichiarata inammissibile con la sentenza 25 febbraio 1988, n. 220 in relazione agli artt. 3, 36 e 38 della Costituzione- sotto il profilo che detta esclusione rientra nell'esercizio di discrezionalità legislativa non censurabile da questa Corte. Ricorrendo l'eadem ratio decidendi, non sussistono motivi per discostarsi da tale decisione, del tutto inconferente essendo il richiamo all'art. 97 della Costituzione, che non può riguardare in alcuna maniera la misura delle prestazioni previdenziali dei pubblici dipendenti.

 

Nello stesso giudizio, il Tribunale amministrativo regionale per la Liguria ha sollevato altresì, subordinatamente all'accoglimento della precedente e in riferimento agli artt. 3, 36, primo comma, 38, secondo comma, 97, 24 e 113 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale degli artt. 1224 cod. civ., 429, terzo comma, cod. proc. civ. e 150 disp. attuaz. cod. proc. civ., nella parte in cui escludono la rivalutazione automatica del credito relativo alla indennità di buonuscita E.N.P.A.S.

 

La questione, essendo proposta in via sub ordinata rispetto all'accoglimento di quella relativa alla computabilità della indennità integrativa speciale agli effetti della indennità di buonuscita E.N.P.A.S., che per le ragioni già esposte va ritenuta inammissibile, deve a sua volta essere dichiarata inammissibile.

 

11. - Il Tribunale di Firenze impugna gli artt. 1224, secondo comma, cod. civ. e 429, terzo comma, cod. proc. civ. e censura, in riferimento all 'art . 3 della Costituzione, la mancata previsione di un criterio automatico per il risarcimento del danno da svalutazione in caso di tardivo pagamento di crediti previdenziali (nella specie, si verteva in tema di indennità premio di servizio dovuta dall'I.N.A.D.E.L.).

 

Il Tribunale amministrativo regionale per la Liguria con le ordinanze 28 marzo 1985 (R.O. n. 8/86) e 4 luglio 1985 (R.O. n. 340/86) impugna, oltre agli artt. 1224 cod. civ. e 429, terzo comma, cod. proc. civ., anche l'art. 150 disp. attuaz. cod. proc. civ. e censura, in riferimento agli artt. 3, 36, primo comma, 38, secondo comma, 97, 24 e 113 della Costituzione, l'esclusione della rivalutazione automatica del credito relativo alla indennità di buonuscita E.N.P.A.S.

 

Pur tenuto conto delle rispettive peculiarità, le questioni risultano analoghe e possono essere congiuntamente decise.

 

12.-Il Tribunale amministrativo regionale per la Liguria invoca vari parametri costituzionali, ma il fulcro dell'argomentazione, riferita specificamente alla indennità di buonuscita E.N.P.A.S., sta nella discriminazione, che si assume ingiustificata, in danno del dipendente statale.

 

Nell'ambito del rapporto di lavoro privato, le indennità di fine rapporto, avendo natura retributiva, ricadono nella previsione dell'art. 429, terzo comma, cod. proc. civ. e fruiscono quindi, in caso di tardivo pagamento, della rivalutazione automatica.

 

Altrettanto avviene - osserva il giudice a quo - per alcune categorie di pubblici dipendenti, le cui indennità di anzianità fanno capo direttamente all'ente datore di lavoro, senza l'intermediazione di alcun fondo ne di altra struttura a carattere previdenziale.

 

In tale situazione, risultano irrazionalmente discriminati crediti che sono tra loro omogenei, pur quando si diversifichino per la qualità del soggetto debitore e per le modalità di erogazione.

 

La disparità risulta particolarmente evidente e grave - si osserva ancora - ove si consideri per un verso che da anni si assiste alla progressiva assimilazione della indennità di buonuscita a quelle aventi natura retributiva e per l'altro che é ormai per jus receptum riconosciuta la rivalutabilità del credito di lavoro del pubblico dipendente.

 

La prospettazione del Tribunale amministrativo regionale per la Liguria, pur riferendosi a dati di fatto reali e pur cogliendo aspetti di indubbio rilievo, non può essere condivisa.

 

La Corte ha già affermato che la previsione della rivalutazione automatica del credito si lega a specifiche finalità riconosciute caso per caso dalla legge e non può quindi considerarsi espressione di un principio generale dell'ordinamento (v., in tema di crediti di lavoro, la sentenza 21 luglio 1981, n. 139).

 

Quanto poi al diverso regime dei crediti di lavoro e di quelli di natura previdenziale, la Corte non ravvisa motivi per discostarsi dalla propria precedente giurisprudenza e segnatamente dalla sentenza 22 dicembre 1977, n. 162. Come poneva in luce tale decisione, sono infatti innegabili le diversità tra le due categorie di credito e non può sotto questo aspetto censurarsi che il legislatore abbia distintamente disciplinato le conseguenze derivanti dal ritardo nell'adempimento.

 

Altrettanto deve dirsi circa la addotta discriminazione tra alcune categorie di pubblici dipendenti: la Corte ha già deciso nel senso della non comparabilità tra loro di singole previsioni previdenziali appartenenti a differenti sistemi normativi (sentt. 11 febbraio 1988, n. 220

; 10 marzo 1983, n. 46 e 13 marzo 1980, n. 26).

 

13.-Il Tribunale di Firenze ricorda anzitutto che nella giurisprudenza della Corte di cassazione e saldamente acquisito il principio che vuole sottoposto alla disciplina dell'art. 1224, secondo comma, cod. civ. il danno da svalutazione per crediti previdenziali adempiuti tardivamente. Tale consolidato indirizzo implica la possibilità di ricorrere a presunzioni siffatte che consentano al giudice di pervenire, caso per caso e con esclusione di ogni automatismo, ad una determinazione che rispecchi le conseguenze dell'adempimento sul patrimonio del singolo creditore.

 

Per il modesto consumatore ciò avviene con riferimento alle normali e personali necessita di impiegare il denaro per gli ordinari bisogni della vita e quindi con riferimento agli indici ufficiali dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e di impiegati.

 

Il riferimento agli ordinari bisogni del modesto consumatore (e l'affermata connessa esclusione di ogni automatismo risarcitorio) implica del pari - prosegue il giudice a quo -l'escludere che si sia inteso far consistere lo specifico pregiudizio nel minore potere di acquisto di beni di consumo che la somma dovuta possiede al momento del tardivo pagamento. Occorre dunque allegare un diverso pregiudizio particolare, come quello di aver dovuto, per i propri bisogni di vita, far ricorso al credito a condizioni onerose, di essere stato costretto, per sostenersi, ad alienare beni idonei a salvaguardare dalla svalutazione, di non aver potuto investire le somme spettanti in modo tale da assicurare questo stesso risultato, e così via.

 

La conseguenza che ne deduce il Tribunale di Firenze e che verrebbe danneggiato irrimediabilmente proprio colui al quale, per effetto del ritardo nella erogazione previdenziale, non resta che comprimere la soddisfazione delle proprie esigenze di vita. Si realizzerebbe una disparità di trattamento fra creditori che non potrebbe trovare giustificazione alla luce del principio di uguaglianza.

 

14. -Se lo stato della giurisprudenza fosse esattamente quello che il Tribunale di Firenze assume a base della propria ordinanza, sarebbe difficile non convenire sulla esistenza di una irrazionale disparità di trattamento.

 

Vi sono tuttavia elementi per giungere a conclusioni diverse.

 

La stessa sentenza, cui fa richiamo il giudice a quo (Cass., Sezioni unite civili, 4 luglio 1979, n. 3776) ha ritenuto di poter assicurare in via generale una maggiore tutela rispetto al danno normalmente causato dalla svalutazione monetaria, attenuando l'onere della prova imposto dall'art. 1224, secondo comma, cod. civ. con il ricorso a presunzioni correlate alla qualita del creditore. E' infatti notorio-come testualmente rileva la sentenza-.

 

Fermo dunque l'onere della corrispondente allegazione- prosegue la Corte di cassazione-e in mancanza di allegazioni e prove di diverso contenuto, relative ad eventuali investimenti particolari specificamente programmati, il maggior danno che in generale deriva al creditore dal fatto che la somma dovuta abbia, al momento del tardivo pagamento, un potere di acquisto minore di quello che essa aveva alla scadenza della relativa obbligazione può essere desunto da presunzioni siffatte che consentano al giudice di pervenire, caso per caso, e con esclusione di ogni automatismo, ad una determinazione che, secondo il suo prudente apprezzamento (formato eventualmente anche con valutazioni equitative, ai sensi dell'art. 1226 cod. civ.) rispecchi l'effettiva incidenza dell'inadempimento-nel cui corso intervenga la svalutazione monetaria-sul patrimonio del singolo creditore.

 

Da queste premesse la Corte di cassazione fa discendere una differenziata casistica, indicando per ciascuna categoria di creditori i possibili criteri di determinazione presuntiva del danno.

 

Per stare a ciò che specificamente rileva in ordine alla questione di legittimità costituzionale in esame, circa la categoria del modesto consumatore la Corte di cassazione pone in luce e quindi il .

 

Tornando, poi, sulla questione, la stessa Corte di cassazione (sent. 5 aprile 1986, n. 2368) ha precisato che la condizione di mero consumatore e, dunque, di soggetto che nè risparmia nè fa investimenti di alcun genere, consente di presumere l'esistenza di un danno inerente all'impiego del denaro per il consumo e perciò verosimilmente corrispondente al maggior costo (in espressione monetaria) dei beni di consumo, il cui acquisto al tempo di scadenza dell'obbligazione ugualmente avrebbe sottratto la somma agli effetti dell'inflazione.

 

Per questa categoria di creditori e del tutto appropriato, nella determinazione forfettaria del danno, il riferimento agli indici ISTAT, riguardanti appunto le variazioni dei prezzi in relazione al consumo delle famiglie di operai e impiegati.

 

I principi enunciati hanno trovato importanti applicazioni, sempre ad opera della Corte di cassazione (cfr. sent. 3 maggio 1986, n. 3004), proprio in tema di prestazioni previdenziali.

 

Il creditore previdenziale - si e infatti affermato - si inquadra, almeno di regola, nella figura del cosiddetto e fruisce quindi di una presunzione peculiare rispetto a quelle che assistono le altre figure di creditori: fondandosi proprio sul fatto che il spende tutto il denaro disponibile per le esigenze di vita (e cioé per procurarsi beni di consumo e servizi) e costituendo tali spese una utilizzazione del denaro sottratta agli effetti della svalutazione monetaria, la presunzione porta a ritenere che questo più utile impiego per effetto dell'inadempimento del debitore rimanga precluso al creditore, il quale dovrà ricorrere ad una maggior quantità di moneta per procurarsi i necessari beni di consumo e servizi.

 

Se ne deduce che per tale categoria di creditori . La presunzione di danno e dunque <senz'altro giustificata quando abbia ad oggetto ratei di pensione o, comunque, prestazioni di non notevole importo (es.: importi differenziali di indennità)>; non lo e altrettanto solo quando .

 

15. - Sebbene la giurisprudenza continui a riferirsi a , appare evidente come in tema di crediti previdenziali le conclusioni raggiunte vadano alquanto oltre e creino un tessuto interpretativo, in presenza del quale questa Corte ritiene che si possa sfuggire, nel nuovo quadro complessivo determinato dalle decisioni dei giudici ordinari e amministrativi, a censure di illegittimità, in riferimento così all'art. 3 come all'art. 38 della Costituzione.

 

In altri termini, le enunciazioni riportate inducono alla conclusione che le somme percepite a titolo di prestazione previdenziale sono per loro natura, più che per le particolari qualità personali del singolo creditore considerato, normalmente destinate alle comuni esigenze di vita ed in quanto tali sensibili al danno conseguente alla svalutazione monetaria.

 

In caso di tardivo pagamento deve dunque provvedersi ad eliminare tale danno, pur quando sia impossibile allegare la prova di uno specifico pregiudizio.

 

Sfuggono a tale regime le somme di rilevante importo corrisposte in unica soluzione; nel qual caso trovano applicazione - secondo quanto ha espressamente statuito la già richiamata sentenza 3 maggio 1986, n. 3004-regole e criteri concernenti il creditore occasionale.

 

Tenuto conto della obbiettiva destinazione presuntivamente riconosciuta alla prestazione previdenziale, le qualità personali del singolo creditore possono al più valere in senso opposto rispetto a quanto finora si e sovente enunciato; e cioé non a corroborare la presunzione ma solo a farla cadere, ove risulti la presenza di condizioni economiche tali da rendere indifferente la prestazione previdenziale rispetto al soddisfacimento degli ordinari bisogni di vita.

 

Tale constatazione si fonda anch'essa su un elemento obbiettivo, costituito dalla concezione della moneta come bene fungibile e strumento di scambio, dotata, dunque, di valore nella misura in cui sia reso possibile al creditore di adoperarla utilmente a tale scopo. L'asserito conseguente costo sociale della stabilita monetaria non e necessariamente destinato a passare attraverso la soluzione che sacrifichi il creditore, cui il tempestivo adempimento appresta soltanto .

 

16. - Autonomo rispetto al tema della svalutazione e quello relativo agli interessi dovuti in caso di ritardo nell'adempimento della prestazione previdenziale. Nei presenti giudizi, in sede di discussione orale, si e fatto ampio riferimento al problema, sul quale pare opportuno rilevare soltanto che, secondo l'orientamento della giurisprudenza, la decorrenza dei termini fissati dalla legge determina automaticamente la mora, con la corresponsione degli interessi legali; si viene così a derogare ai principi circa l'emissione del titolo di spesa come elemento per la piena ed incondizionata operatività del credito verso lo Stato. La giurisprudenza, riferendosi proprio alle indennità di buonuscita e di fine servizio, erogate rispettivamente dall'E.N.P.A.S. e dall'I.N.A.D.E.L., ha statuito che la decorrenza dei termini posti dall'art. 26 d.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1032 (modificato dall'art. 7, ultimo comma, l. 20 marzo 1980, n. 75) legittima la pretesa dei dipendenti dello Stato degli interessi legali; mentre al premio di servizio (dovuto ai dipendenti locali) ha ritenuto applicabile l'art. 7 della l. 11 agosto 1973, n. 533. Tale norma, incidendo direttamente proprio sui tempi del meccanismo di liquidazione della prestazione, vale a costituire automaticamente in mora l'ente (in parallelo con la previsione dell'art. 1219 n. 2 cod. civ.) allo scadere del termine previsto, decorrente dalla richiesta del dipendente, senza che l'I.N.A.D.E.L. si sia pronunciato, con l'effetto conseguente di far decorrere da tale data (anzichè da quella della domanda giudiziale) gli interessi moratori sul suo credito, pur in mancanza dell'emissione del mandato di pagamento.

 

Siffatto principio, nell'ambito suo proprio, pone in luce un altro separato profilo dell'assetto giurisprudenziale in materia di inadempimento dell'obbligazione previdenziale; in tale quadro si collocano le considerazioni, innanzi esposte, di questa Corte sul tema della svalutazione, che non sono toccate da questo ulteriore riflesso.

 

17.-Per quanto si é detto, il sistema legislativo vigente é suscettibile di una interpretazione che raggiunge proprio quegli scopi di tutela del modesto creditore previdenziale cui tendono i giudici remittenti.

 

Avuto riguardo a tale interpretazione, e non sussistendo la addotta disparità di trattamento, le questioni sollevate vanno dichiarate infondate in riferimento al principio di eguaglianza, cui si é dedicato specifico esame. L'efficacia della tutela così assicurata esime peraltro dal considerare partitamente le censure di legittimità mosse in relazione agli ulteriori parametri costituzionali invocati nelle ordinanze del Tribunale amministrativo regionale per la Liguria.

 

PER QUESTI MOTIVI

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

riuniti i giudizi,

 

a) dichiara: inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell'art. 1, terzo comma, lett. b), della legge 27 maggio 1959, n. 324 (), come sostituito dall'art. 1 della l. 3 marzo 1960, n. 185 (), sollevata dal Tribunale amministrativo regionale per la Liguria con ordinanza 13 giugno 1985 (R.O. n. 804 del 1985), in riferimento agli artt. 3, 36, primo comma, 38, secondo comma, e 97 della Costituzione;

 

b) dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale degli artt. 1224, cod. civ., 429, terzo comma, cod. proc. civ. e 150 disp. attuaz. cod. proc. civ., sollevata dal Tribunale amministrativo regionale per la Liguria con ordinanza 13 giugno 1985 (R.O. n. 804 del 1985) in riferimento agli artt. 3. 36, primo comma, 38, secondo comma, 97, 24 e 113 della Costituzione;

 

c) dichiara non fondata, nei sensi di cui in motivazione, la questione di legittimità costituzionale degli artt. 1224, secondo comma, cod. civ. e 429, terzo comma, cod. proc. civ., sollevata dal Tribunale di Firenze con ordinanza 17 ottobre 1984 (R.O. n. 1342 del 1984) in riferimento all'art. 3 della Costituzione;

 

d) dichiara non fondata, nei sensi di cui in motivazione, la questione di legittimità costituzionale degli artt. 1224, secondo comma, cod. civ., 429, terzo comma, cod. proc. civ. e 150 disp. attuaz. cod. proc. civ. sollevata dal Tribunale amministrativo regionale per la Liguria con ordinanze 28 marzo 1985 (R.O. n. 8 del 1986) e 4 luglio 1985 (R.O. n. 340 del 1986) in riferimento agli artt. 3, 36, primo comma, 38, secondo comma, 97, 24 e 113 della Costituzione.

 

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 24/03/88.

 

Francesco SAJA, PRESIDENTE

 

Gabriele PESCATORE, REDATTORE

 

Depositata in cancelleria il 07 Aprile 1988.