Sentenza n.370 del 1988

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SENTENZA N.370

ANNO 1988

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

Prof. Francesco SAJA Presidente

Prof. Giovanni CONSO

Dott. Aldo CORASANITI

Prof. Giuseppe BORZELLINO

Dott. Francesco GRECO

Prof. Renato DELL'ANDRO

Prof. Gabriele PESCATORE

Avv. Ugo SPAGNOLI

Prof. Francesco Paolo CASAVOLA

Prof. Antonio BALDASSARRE

Prof. Vincenzo CAIANIELLO

Avv. Mauro FERRI

Prof. Luigi MENGONI

Prof. Enzo CHELI

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi di legittimità costituzionale dell'art. 22 della legge 28 febbraio 1985, n. 47 e successive modifiche ed integrazioni (Norme in materia di controllo dell'attività urbanistico-edilizia, sanzioni, recupero e sanatoria delle opere edilizie) promossi con le seguenti ordinanze:

1) ordinanza emessa il 23 ottobre 1985 dal Pretore di Pizzo nel procedimento penale a carico di Vavala Basilio ed altro, iscritta al n. 845 del registro ordinanze 1985 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 11/1a s.s. dell'anno 1986;

2) ordinanza emessa il 10 giugno 1986 dal Pretore di Mascalucia nel procedimento penale a carico di Marletta Giovanni, iscritta al n. 692 del registro ordinanze 1986 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 57/1a s.s. dell'anno 1986;

3) ordinanza emessa il 9 febbraio 1987 dal Pretore di Catania nel procedimento penale a carico di Di Fede Antonino, iscritta al n. 150 del registro ordinanze 1987 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. l9/1a s.s. dell'anno 1987;

4) ordinanza emessa il 19 dicembre 1986 dal Pretore di Avola nel procedimento penale a carico di Tarascio Sebastiano ed altri, iscritta al n. 151 del registro ordinanze 1987 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. l9/1a s.s. dell'anno 1987.

Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica del 27 ottobre 1987 il Giudice relatore Renato Dell'Andro;

udito l'Avvocato dello Stato Antonio Tallarida per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Considerato in diritto

l.-Le ordinanze in epigrafe propongono questioni identiche od analoghe: le stesse questioni possono, pertanto, essere decise con unica sentenza.

2.-Il primo problema che le citate ordinanze pongono, in riferimento all'art. 112 Cost., e quello relativo alla sospensione dell'azione penale di cui all'art. 22 della legge n. 47 del 1985.

Le predette ordinanze ritengono, sulla base del collegamento tra il primo ed il secondo comma del citato articolo 22, che la predetta sospensione debba protrarsi almeno fino alla decisione del Tribunale amministrativo regionale.

A dire il vero, la <lettera> del primo comma dell'art. 22 e tale da non poter far dubitare della limitazione dell'ivi prevista sospensione del procedimento penale al solo tempo necessario allo svolgimento del procedimento amministrativo (non giurisdizionale) in sanatoria . Anzitutto, una sospensione dell'azione penale tanto ampia da protrarsi per lo svolgimento di tutti o di alcuni procedimenti giurisdizionali amministrativi sarebbe stata espressamente specificata già nel primo comma; e non ci si sarebbe <rifugiati>, linguisticamente, nell'indicazione del <genere> procedimenti amministrativi ove si fosse voluto fare specifico riferimento anche ad alcuni od a tutti i procedimenti giurisdizionali amministrativi.

Ma, di più, nello stesso primo comma si precisa che <l'azione penale rimane sospesa finchè non siano stati esauriti i procedimenti amministrativi di sanatoria di cui al presente capo>.

V'é anzitutto da sottolineare che, nell'ambito della tesi alla quale si riportano le ordinanze di rimessione, davvero ben pochi sostengono, di fronte agli ovvi inconvenienti pratici che ne deriverebbero, che l'azione penale rimanga sospesa fino all'esaurimento anche di tutte le fasi e gradi dei procedimenti giurisdizionali instaurati a seguito del diniego di sanatoria; generalmente ci si limita ad affermare che la sospensione dell'azione penale debba protrarsi almeno fino alla decisione del T.A.R. Ma, ove s'acceda all'interpretazione qui contrastata, e appunto questa limitazione che non risulta certamente ne dalla lettera ne dalla ratio dell'articolo 22, tenuto conto che la disposizione relativa alla fissazione d'ufficio dell'udienza dinanzi al T.A.R. non e certo ne esplicita ne univoca determinazione dell'allargamento dei termini di sospensione del processo penale fino all'esito di tutto intero o di alcune <fasi> del procedimento amministrativo giurisdizionale eventualmente instaurato. Ma (e si tratta di decisiva considerazione in ordine alla <lettera> del primo comma dell'art. 22) nello stesso comma si chiarisce, come s'é ora accennato, che i procedimenti amministrativi in sanatoria sono quelli previsti <nel capo I della legge>: or non v'é chi non riesca a controllare che nello stesso capo I si tratta solo e soltanto del provvedimento (non giurisdizionale) amministrativo in sanatoria (oltre, s'intende, alle norme sostanziali di disciplina ed alle sanzioni per la loro violazione) e mai (se non nel secondo comma dell'art. 22, che é stato <aggiunto>, fra l'altro, dal Senato) di procedimenti giurisdizionali amministrativi.

Senonchè, nelle ordinanze di rimessione si afferma che la <lettera> del secondo comma dell'art. 22 sia in contrasto con l'interpretazione qui sostenuta: é doveroso pertanto almeno accennare alla natura della sanatoria che, ai sensi del terzo comma dell'art. 22 della legge in esame, estingue i reati contravvenzionali previsti dalle norme urbanistiche vigenti e, conseguentemente, alle ragioni della sospensione dell'azione penale di cui al primo comma dello stesso articolo.

Va, intanto, premesso che la fattispecie penale estintiva di cui al capo I della legge in discussione é nettamente diversa dalla fattispecie estintiva di cui al capo quarto: mentre quest'ultima, ai sensi del secondo comma dell'art. 38, non necessariamente contiene il rilascio della concessione in sanatoria, la prima, al contrario, non può non includere la concessione di cui all'art. 13 della legge in esame. La fattispecie estintiva prevista dal capo quarto contiene, per sintetizzare, la domanda di concessione in sanatoria, il procedimento relativo, di cui agli artt. 31 e 35 ed infine il versamento dell'integrale oblazione prevista dal secondo comma dell'art. 38. La fattispecie prevista dal capo I della legge e che, ai sensi del terzo comma dell'art. 22, estingue i reati contravvenzionali urbanistici, deve, invece, necessariamente contenere, oltre alla richiesta ed oltre al procedimento in sanatoria (che non a caso é, nella rubrica dell'art. 13, definita <Accertamento in conformità>) ed oltre alla dimostrazione dell'avvenuto versamento dell'oblazione, anche l'effetto, già amministrativamente conseguito, del rilascio della concessione in sanatoria. Mentre una stessa fattispecie, secondo le disposizioni di cui al capo IV, risulta estintiva di reati e, di regola (escluse le ipotesi d'insanabilità delle opere) contemporaneamente costitutiva del rilascio della concessione <amministrativa> in sanatoria, nel capo I della legge in esame é prevista una fattispecie costitutiva della concessione in sanatoria (di cui all'art. 13) ed altra, diversa fattispecie estintiva (condizionata dalla perfezione della prima) e contenente tutti gli elementi della prima oltre all'effetto, già verificatosi, della medesima: insomma, l'effetto estintivo dei reati di cui al terzo comma dell'art. 22 si produce solo e soltanto allorchè é già stata rilasciata la concessione in sanatoria ai sensi dell'art. 13 della legge in esame.

Tutto ciò discende dalla natura dell'<accertamento in conformità> (e della relativa sanatoria) ex art. 13, diversa da quella del procedimento in sanatoria di cui all'art. 35: il primo, infatti, e non quest'ultimo, si conclude positivamente soltanto allorchè si accerti che, già nel momento in cui sono state realizzate, e, tuttora, nel momento della domanda di cui allo stesso art. 13, le opere non si rivelano contrastanti con gli strumenti urbanistici generali e di attuazione, pur essendo state costruite nella mancanza od in difformità dalla concessione od autorizzazione: la concessione in sanatoria di cui all'art. 13 accerta, pertanto, la natura solo <formale> e non <sostanziale> dell'abuso edilizio.

Si noti ancora che, già prima dell'entrata in vigore della legge in discussione, in dottrina, si distingueva la sanatoria propria, da concedere alle opere, abusive, conformi agli strumenti urbanistici in vigore al momento della loro esecuzione e la sanatoria impropria, da concedere alle opere che soltanto nel momento della concessione della stessa sanatoria, per un mutamento degli strumenti urbanistici, non erano (più) in contrasto con i medesimi. Or l'art. 13, primo comma, della legge in esame accoglie la sanatoria propria, non quella impropria: <il responsabile dell'abuso può ottenere la concessione o l'autorizzazione in sanatoria quando l'opera, benchè eseguita in assenza della concessione od autorizzazione, e conforme agli strumenti urbanistici generali e di attuazione approvati e non in contrasto con quelli adottati sia al momento della realizzazione dell'opera sia al momento della presentazione della domanda>. Ciò significa che l'accertamento in sanatoria, di cui all'art. 13 della legge, riguarda anche, e soprattutto, la conformità agli strumenti urbanistici delle opere realizzate, già all'epoca della costruzione delle opere stesse. E' da sottolineare, pertanto, la particolare natura della sanatoria ex art. 13 della legge in discussione: tal sanatoria presuppone l'accertamento, a seguito di riesame <ora per allora> dell'illiceità delle opere, l'intrinseca <giustizia> sostanziale delle opere stesse (conformi agli strumenti urbanistici già nel momento della loro costruzione) e vien concessa appunto a causa dell'accertata inesistenza del danno urbanistico. La mancanza di tale danno conduce, in conseguenza, anche all'estinzione del reato urbanistico. Ad una estinzione, tuttavia, del tutto particolare; tant'é vero che, come si dirà oltre, si comunica ai compartecipi. Il terzo comma dell'art. 22 adotta la formula <usuale>: <il rilascio in sanatoria estingue i reati contravvenzionali previsti dalle norme urbanistiche vigenti>; ma l'esame della particolare natura della sanatoria ex art. 13 mostra che l'intera fattispecie estintiva degli illeciti penali ha una particolare natura, risolvendosi essa in un accertamento dell'inesistenza del danno urbanistico, e cioé dell'inesistenza ex tunc dell'antigiuridicità sostanziale del fatto di reato.

S'intende, così, la ratio della sospensione dell'azione penale di cui al primo comma dell'art. 22 della legge in discussione: poichè il rilascio della concessione in sanatoria é l'ultimo elemento della fattispecie che produce l'estinzione dei reati urbanistici, é davvero <inutile> far svolgere un'azione penale nel momento stesso in cui viene posta in discussione, con l'illiceità amministrativa, l'antigiuridicità penale (sostanziale) del reato, che dovrà, nell'ipotesi di conclusione positiva del procedimento amministrativo in sanatoria, esser dichiarato estinto. Ma s'intende anche che, rifiutata la concessione in sanatoria, vien meno ogni motivo di deroga ad uno dei principi fondamentali del sistema penalprocessualistico. Il giudice penale non ha competenza <istituzionale> per compiere l'accertamento di conformità delle opere agli strumenti urbanistici; ma, quand'anche si ritenga che lo stesso giudice abbia la dovuta competenza, sarebbe sempre opportuna l'interruzione del processo, almeno al fine di evitare difformità tra la decisione penale e quella dell'autorità amministrativa. Concessa la sanatoria, il danno (che sempre é prodotto dalle interruzioni delle vicende processuali) inerente al ritardato svolgimento del processo (ritardata acquisizione delle prove ecc.; la celerità processuale e già, per sè, un bene che ogni sospensione del giudizio necessariamente lede) risulta ben <compensato> dall'acquisizione, in sede penale, d'un atto amministrativo che, per sua natura e per essere destinato dalla legge a completare la fattispecie estintiva dei reati contravvenzionali, consente la rapida conclusione del giudizio. Ma, nell'ipotesi di rigetto della domanda di sanatoria, il bloccare ulteriormente le attività processuali penali per tempi generalmente imprevedibili (quelli dovuti allo svolgimento delle vertenze da risolversi in sede amministrativo- giurisdizionale) non solo incrementerebbe il danno al quale s'é accennato ma rischierebbe di renderlo irreversibile, senza, peraltro, alcuna garanzia sull'esito dei procedimenti giurisdizionali, instaurati, ad libitum, da privati, spesso interessati più al ritardo che all'accelerazione dei procedimenti stessi. Ma, in più, il blocco delle attività processuali penali <per lunghi tempi> non può non violare il principio di cui all'art. 112 Cost., che, invece, la breve, necessaria sospensione dell'azione penale, di cui al primo comma dell'art. 22, sicuramente non lede.

Deve, dunque, ritenersi che, ai sensi dell'art. 22 della legge in esame, esaurito il procedimento amministrativo in sanatoria, i due procedimenti giurisdizionali (ove, s'intende, venga instaurato quello amministrativo) debbano proseguire autonomamente. Sara cura dei privati e del giudice amministrativo accelerare, sulla base dell'indicazione di cui all'art. 22, secondo comma, della legge 47 del 1985, il relativo giudizio in modo che quello penale possa concludersi con la sentenza di non doversi procedere ove il contenzioso amministrativo si concluda, prima e definitivamente, con la concessione dell'inizialmente rifiutata sanatoria.

In ogni caso, neppure al legislatore é consentito vulnerare il principio costituzionale di cui all'art. 112 Cost.: pertanto, mentre la temporanea, limitata sospensione dell'azione penale per i fini <razionali>, innanzi precisati, non solleva alcun dubbio di costituzionalità, come s'é già rilevato e come questa Corte ha più volte chiarito, l'interpretazione dell'art. 22 della legge in esame proposta dai giudici a quibus, viola, certamente, il principio dell'obbligatorietà dell'esercizio dell'azione penale.

E non v'é dubbio che tra due interpretazioni d'una legge ordinaria dev'essere preferita quella che non solleva dubbi di legittimità costituzionale.

A conforto della tesi qui sostenuta valgono, ancora, due rilievi.

Il primo attiene all'impossibilità di ravvisare, nella specie, una <classica> pregiudiziale, quale configurata dalla tradizione dottrinale od una pregiudiziale amministrativa (facoltativa) al giudizio penale ex art. 20 c.p.p. Sarebbe ravvisabile la <tipica> relazione di pregiudizialità allorchè l'inizio del procedimento penale fosse subordinato all'accertamento negativo di corrispondenza delle opere realizzate alla normativa urbanistica, da parte dell'autorità amministrativa. Ciò non avviene nella specie. Nè in questa sono ravvisabili i presupposti per l'applicabilità dell'art. 20 c.p.p.

Il secondo rilievo, connesso al primo: se il legislatore avesse inteso disporre una pregiudiziale interamente devolutiva circa l'abusività delle opere realizzate avrebbe certamente protratto (ed esplicitamente) i termini di sospensione dell'azione penale fino all'esito definitivo del giudizio amministrativo. E, si badi, la questione in esame non può non essere stata considerata, dal legislatore, tenuto conto che il testo approvato dalla Camera dei deputati faceva riferimento ai soli procedimenti di sanatoria e che, appunto perchè interpretati come quelli pendenti esclusivamente dinanzi all'autorità amministrativa non giurisdizionale, ha provocato l'inserimento del secondo comma dell'art. 22 da parte del Senato.

Restano, dunque, la lettera del primo comma e la ratio di tutto l'art. 22 a definitivamente confermare l'interpretazione <restrittiva> in ordine alla sospensione dell'azione penale di cui al primo comma dell'art. 22 della legge in esame ed a far ritenere che, appunto per l'ipotesi d'instaurazione di procedimenti giurisdizionali amministrativi sulla negata sanatoria, si sia inteso, con il secondo comma dello stesso articolo, tenuto conto dell'autonoma prosecuzione del procedimento penale, accelerare il primo procedimento, affinchè l'eventuale provvedimento giurisdizionale amministrativo di concessione della sanatoria non trovi già concluso il procedimento penale.

In base a quanto sopra precisato, la sospensione del corso della prescrizione indubbiamente opera, ai sensi dell'art. 59 c.p. (essendo la sospensione del procedimento penale imposta da una particolare disposizione di legge) ma, ovviamente, per il solo tempo della predetta sospensione e cioé fino al termine del procedimento amministrativo (non giurisdizionale) in sanatoria previsto dal capo I della legge in esame.

3.-La seconda questione sollevata dalla citata ordinanza del Pretore di Pizzo attiene all'assunta violazione dell'art. 101, secondo comma, Cost.: si sostiene dal giudice a quo che, vincolando il giudice penale all'esito d'un procedimento amministrativo, l'art. 22, terzo comma, subordini il giudice penale ad altro giudice e non alla legge.

La questione va dichiarata ammissibile, essendo stata invocata, nel procedimento a quo, l'applicazione del citato articolo 22 ed essendo stata chiesta la sospensione del procedimento penale ai sensi dello stesso articolo.

Già l'enunciazione dell'assunto di merito rivela la <fragilità> della proposta questione: a voler seguire lo stesso assunto si dovrebbe giungere a sostenere che tutte le volte in cui la legge impone al giudice penale d'attenersi ad accertamenti extragiudiziali lo subordini non alla legge ma ad altre autorità o ad altri giudici.

Nella specie, va in ogni caso rilevato, non si tratta dell'accertamento dell'esistenza d'un reato, che un giudice diverso da quello penale <svolgerebbe> ma dell'accertamento d'una speciale causa d'estinzione.

Chi, peraltro, sostenesse che l'accertamento della conformità delle opere agli strumenti urbanistici vada demandata al giudice penale spoglierebbe l'autorità amministrativa delle proprie istituzionali competenze.

D'altro canto, l'art. 22 della legge in esame non può certamente essere letto, come é stato efficacemente sottolineato, nel senso che l'autorità amministrativa costituisca una specie di <filtro> di ciò che deve assumere rilevanza nel procedimento penale: il giudice penale, oltre all'accertamento sull'esistenza, in concreto, dell'intera fattispecie estintiva prevista dal capo I della legge in discussione, conserva tutti i poteri che l'ordinamento normalmente gli conferisce in ordine alla valutazione della legittimità dell'atto amministrativo. E non si può dubitare che la sanatoria ex art. 13 sia un atto amministrativo.

4.-Poiche, come si e chiarito, la sospensione del processo penale ex art. 22, primo comma, della legge in discussione non può prolungarsi <a tempo indeterminato>, come teme il Pretore di Pizzo, va dichiarata non fondata la sollevata questione di costituzionalità del precitato art. 22, in riferimento agli artt. 32 e 2 Cost. Non potendosi la predetta sospensione protrarre <per lungo tempo>, non può neppure compromettere i beni costituzionalmente tutelati dell'incolumità pubblica e della salute pubblica, nelle ipotesi in cui si proceda per reati violativi delle norme urbanistiche previsti da leggi (come la legge antisismica n. 64 del 1974 od il Testo unico delle leggi sanitarie n. 1265 del 1934) diverse da quelle specificatamente <urbanistiche>.

5.-Ammissibile, ma infondata nel merito, é la questione di costituzionalità dell'art. 22 della legge 28 febbraio 1985, n. 47, sollevata dal Pretore di Pizzo, in riferimento all'art. 3 Cost., secondo la quale il predetto art. 22 creerebbe un'ingiustificata disparità di trattamento tra chi ottiene la concessione e chi, trovandosi nelle stesse condizioni (ex art. 13) non riesce a fruirne per una differente valutazione della Pubblica Amministrazione.

Poichè il Pretore di Pizzo riferisce che gli imputati nel procedimento a quo hanno presentato regolare domanda di sanatoria, ex art. 13 della legge n. 47 del 1985, al competente Comune ed hanno invocato l'applicazione dell'art. 22 della stesse legge, chiedendo la sospensione del procedimento penale, la proposta questione deve ritenersi ammissibile.

La stessa questione va dichiarata infondata nel merito, giacchè, a parte il rilievo che sempre é data l'<astratta> possibilità d'esser diversamente trattati da diverse autorità amministrative o giurisdizionali, le decisioni amministrative in sanatoria, ed in particolare il diniego di sanatoria ex art. 13, rimangono pur sempre soggette alle revisioni, ossia ai giurisdizionali (e non) <rimedi> legislativamente previsti.

6. -Data la particolare natura, innanzi precisata, della sanatoria ex art. 13 della legge n. 47 del 1985, deve ritenersi che la sospensione del processo penale e l'estinzione del reato, chiesta da uno dei concorrenti giovi anche agli altri. Poichè la predetta sanatoria e concessa a seguito dell'accertamento che mai si é prodotto un danno urbanistico e poichè l'estinzione del reato, conseguentemente, é dovuta alla <constatazione> dell'inesistenza dell'antigiuridicità sostanziale del fatto imputato, a prescindere, pertanto, del tutto da valutazioni personali, sarebbe <irrazionale> che un'estinzione determinata da tale <constatazione>, e cioé da un dato che attiene all'oggettività lesiva del fatto, giovi ad uno e non ad altro concorrente. Come la dottrina ha sottolineato, quel che viene in rilievo, nella causa estintiva di cui all'art. 22 della legge in esame, non e la posizione dei singoli ma la mancanza d'un disvalore oggettivo del fatto. Una ragione in più, deve qui aggiungersi, per esaminare, particolarmente, le ragioni, il fondamento ed i meccanismi operativi delle diverse cause d'estinzione (la fattispecie estintiva di cui al capo I della legge n. 47 del 1985 e, come s'é già sottolineato, diversa da quella di cui al capo IV della stessa legge) e per non includere (senza i dovuti approfondimenti relativi alle singole cause) nel concetto generale di causa d'estinzione del reato ipotesi tanto varie e produttive di effetti tanto diversi che la comune c.d. <estinzione del reato> non vale certo a formalisticamente unificare.

L'espressione <il responsabile dell'abuso>, di cui all'art. 13, primo comma, va, pertanto, interpretata come legittimazione di tutti i concorrenti, appunto responsabili dell'abuso, a proporre la domanda in sanatoria prevista dallo stesso articolo.

La questione di legittimità costituzionale dell'art. 22 della legge 28 febbraio 1985 n. 47, sollevata, in riferimento all'art. 3 Cost., dal Pretore di Pizzo (questione secondo la quale lo stesso articolo determinerebbe un'ingiustificata disparità di trattamento tra i diversi concorrenti nel reato) va, dunque, dichiarata non fondata nei sensi di cui in motivazione.

Tale disparità, infatti, non esiste, in quanto della norma impugnata va data l'interpretazione innanzi precisata.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

riuniti i giudizi,

dichiara non fondata, ai sensi di cui in motivazione, la questione di legittimità costituzionale dell'art. 22 della legge 28 febbraio 1985 n. 47 sollevata, in riferimento all'art. 112 Cost. dai Pretori di Pizzo, con ordinanza del 23 ottobre 1985 (Reg. Ord. n. 845/1985) Mascalucia, con ordinanza del 10 giugno 1986 (Reg. Ord. n. 692/1986) Catania, con ordinanza del 9 febbraio 1987 (Reg. Ord. n. 150/1987) ed Avola, con ordinanza del 19 dicembre 1986 (Reg. Ord. n. 151/1987);

dichiara non fondata, ai sensi di cui in motivazione, la questione di legittimità costituzionale dell'art. 22 della legge 28 febbraio 1985, n. 47 (nella parte in cui non prevede che la sospensione del giudizio e l'estinzione del reato possano applicarsi ai soggetti non legittimati a richiedere la concessione in sanatoria ex art. 13 della stessa legge) sollevata, in riferimento all'art. 3 Cost., dal Pretore di Pizzo, con la preci tata ordinanza;

dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell'art. 22 della legge 28 febbraio 198S, n. 47 sollevate, in riferimento agli artt. 101, 32, 2 e 3 Cost., dal Pretore di Pizzo con la precitata ordinanza.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 23/03/88.

Francesco SAJA, PRESIDENTE

Renato DELL'ANDRO, REDATTORE

Depositata in cancelleria il 31 Marzo 1988.