Sentenza n. 184 del 1988

SENTENZA N.184

ANNO 1988

 

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

 

 

SENTENZA

 

Nei giudizi di legittimità costituzionale degli artt. 1 comma 2 l. 9 gennaio 1963 n. 9 ("Elevazione dei trattamenti minimi di pensione e riordinamento delle norme in materia di previdenza dei coltivatori diretti e dei coloni mezzadri"), 2 l. 12 agosto 1962 n. 1338 ("Disposizioni per il miglioramento dei trattamenti di pensione dell'assicurazione obbligatoria per l'invalidità, la vecchiaia e i superstiti"), 1 l. 12 agosto n. 1339 ("Disposizioni per il miglioramento dei trattamenti di pensione corrisposti dalla Gestione speciale per l'assicurazione obbligatoria invalidità, vecchiaia e superstiti degli artigiani e loro familiari"), 19 comma 2 l. 22 luglio 1966 n. 613 ("Estensione dell'assicurazione obbligatoria per l'invalidità, la vecchiaia ed i superstiti agli esercenti attività commerciali ed ai loro familiari coadiutori e coordinamento degli ordinamento pensionistici per i lavoratori autonomi"), 23 l. 30 aprile 1969 n. 153 )"Revisione degli ordinamenti pensionistici e norme in materia di sicurezza sociale") e 6 comma 3 d.l. 12 settembre 1983 n. 463 ("Misure urgenti in materia previdenziale e sanitaria per il contenimento della spesa pubblica, disposizioni per vari settori della pubblica amministrazione e proroga di taluni termini"), convertito, con modificazioni, nella l. 11 novembre 1983 n. 638, promossi con ordinanze emesse il 10 maggio 1983 dal Pretore di Palermo il 7 ottobre 1983 dal Pretore di Udine, il 9 maggio 1984 dal Pretore di Palermo, il 23 marzo 1984 dal Pretore di Ancona, il 22 marzo 1984 dal Pretore di Firenze, il 14 settembre 1984 dal Pretore di Udine, il 17 ottobre 1984 dal Pretore di Messina (n. 2 ordinanze), il 17 ottobre 1984 dal Pretore di Aosta, il 3 dicembre 1984 dal Pretore di Alessandria, il 28 marzo 1985 dal Tribunale di Messina, il 7 novembre 1985 dal Pretore di Mantova, il 2 aprile 1985 dal Pretore di Trani, l'11 luglio 1985 dalla Corte di cassazione, il 17 maggio 1984 dal Pretore di Brescia e il 27 gennaio 1987 dal Pretore di Larino, iscritte rispettivamente ai nn. 640 e 1095 del registro ordinanze 1984, nn. 29 e 131 e 396 del registro ordinanze 1985, nn. 11, 144, 425 e 785 del registro ordinanze 1986 e n. 202 del registro ordinanze 1987 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 18 e 109 dell'anno 1984, nn. 7-bis, 13-bis, 80-bis, 74-bis, 65-bis, 125-bis, 143-bis, 267-bis dell'anno 1985, nn. 21, 30 e 43, 1° s.s., dell'anno 1986 e nn. 3 e 23 1° s.s. dell'anno 1987.

Visti gli atti di costituzione di Bongioni Valentino e dell'INPS;

udito nell'udienza pubblica del 12 gennaio 1988 il Giudice relatore Francesco Paolo CASAVOLA;

udito l'avvocato Fabrizio Ausenda per l'INPS.

 

Considerato in diritto

 

1. - Poiché le questioni prospettate sono identiche o sostanzialmente analoghe, i relativi giudizi possono essere riuniti e definiti con unica sentenza.

2. - Questa Corte ha già avuto occasione di richiamare la genesi e l'evoluzione dell'istituto della prestazione pensionistica minima dei lavoratori, allo scopo di inquadrare la natura nell'ambito dell'art. 38 Cost. (sent. 23 gennaio 1986 n. 31). Tale opera non è stata resa certamente più agevole del progressivo variare dei presupposti ai quali la legge ha via via condizionato l'erogazione del trattamento: di una logica "subordinata al verificarsi di particolari condizioni soggettivo-negative" - ha rilevato la Corte nella citata pronuncia - il trattamento "è stato riguardato sotto un profilo oggettivo, quale garanzia, cioè, a che la prestazione pensionistica abbia comunque un determinato livello minimo".

Con il progressivo venir meno dei diversi requisiti soggettivi che non consentivano la percezione dell'integrazione al minimo, l'ipotesi residuale di esclusione di tale diritto finì per essere quella del cumulo di pensioni; in questo caso l'integrazione de qua era ammessa soltanto allorché l'importo delle pensioni cumulate fosse inferiore al minimo garantito. Ma tale regola, dettata dall'art. 2 lett. a l. 12 agosto 1962 n. 1338, subì una prima deroga attraverso l'art. 23 comma 1 l. 30 aprile 1969 n. 153, norma che consentì di integrare in ogni caso al minimo la pensione diretta a favore del titolare di pensione di reversibilità, allorché i due trattamenti fossero entrambi erogati dall'INPS. Prese di qui l'avvio una serie di decisioni di questa Corte intese a razionalizzare in senso espansivo il diritto all'integrazione al minimo in alcune tra le molteplici ipotesi possibili di contitolarità di più trattamenti.

Tale indirizzo giurisprudenziale ha inizio con la sent. 9 luglio 1974 n. 230, che ha dichiarato illegittimo il già citato art. 2 nella parte in cui escludeva che fosse dovuto il trattamento minimo della pensione diretta per l'assicurazione obbligatoria INPS ai titolari di pensione di reversibilità a carico di altri fondi o gestioni speciali di previdenza oppure a carico delle amministrazione dello Stato. Una ulteriore declaratoria d'illegittimità colpì la norma sopra ricordata nella parte in cui precludeva il trattamento minimo della pensione diretta per l'invalidità a carico dell'INPS ai titolari di pensione diretta a carico di amministrazioni dello Stato (sent. 21 dicembre 1976 n. 263).

Con la sent. 12 febbraio 1981 n. 34 la Corte, sulla premessa dell'identità di rapporto che tutti gli aspiranti all'integrazione al minimo hanno condotto con l'INPS, ritenne ingiustificata "la discriminazione del diritto all'integrazione sulla base di differenze relative alla seconda pensione cumulabile, di cui gli aspiranti sono titolari, quando tali differenze non comportino una diversità sostanziale di condizioni economiche e sociali". Pertanto venne reso inapplicabile l'art. 2 nella parte in cui non consentiva l'integrazione della pensione diretta INPS - sia d'invalidità che di vecchiaia - per chi fosse già titolare di pensione diretta dello Stato, dell'Istituto post-telegrafonici e della Cassa di previdenza dipendenti enti locali, precludendo altresì che la pensione di riversibilità INPS fosse calcolata in proporzione alla pensione diretta INPS, integrata al minimo, che il titolare defunto avrebbe avuto diritto di percepire.

La medesima pronuncia sancì l'illegittimità dell'art. 1 comma 2 l. n. agosto 1962 n. 1339 (concernente il diritto d'integrazione in caso di cumulo tra pensione d'invalidità e vecchiaia erogata dalla Gestione speciale lavoratori autonomi e pensione a carico dello Stato), mentre la successiva sent. 20 maggio 1982 n. 102, prevenne alle medesime conclusioni caducando l'art. 1 comma 2 l. 9 gennaio 1963 n. 9 (concernente il cumulo tra pensione diretta dello Stato e pensione d'invalidità erogata dal Fondo speciale per coltivatori diretti, mezzadri e coloni), nonché l'art. 19 comma 2 l. 22 luglio 1966 n. 613 (che riguarda la contemporanea titolarità di pensione diretta statale e di pensione d'invalidità erogata dalla Gestione speciale commercianti).

Ultima in ordina di tempo, la sent. 3 dicembre 1985 n. 314 dichiarò l'illegittimità costituzionale sotto tutti i profili residuali dei più volte citati arrt. 2 l. n. 1338 del 1962 e 23 l. n. 153 del 1969.

3. - Le questioni sollevate dai Pretori di Brescia, Firenze e Trani hanno ad oggetto gli artt. 2 comma 2 lett. a), l. n. 1338 del 1962 e 23 l. n. 153 del 1969. L'ultimo dei giudici denunzia invero anche l'art. 9 della richiamata l. n. 1338 del 1962: tale norma è peraltro censurata sotto il profilo della mancata previsione di una deroga al generale divieto d'integrazione posto dall'art. 2 per l'ipotesi di cumulo di due pensioni di riversibilità. Il dubbio di costituzionalità è perciò logicamente conseguente alla denunzia della preclusione contenuta nel più volte citato art. 2. Quest'ultima norma, unitamente all'art. 23 l. n. 153 del 1969, è stata però oggetto dell'annullamento sancito con riguardo ad ogni possibile profilo della sent. n. 314 del 1985.

Le questioni in argomento concernono quindi disposizioni già dichiarate costituzionalmente illegittime ed il relativo giudizio costituzionale non può essere ammesso.

4. - Le altre ordinanze a quibus denunciano altre norme non fatte espressamente oggetto delle precedenti declaratorie, che continuavano a precludere l'integrazione al minimo in determinate ipotesi: precisamente (e con specifico riferimento alle ordinanze di rinvio), esse sono: a) l'art. 19 comma 2 l. 22 luglio 1966 n. 613, nella parte in cui non consente la predetta integrazione per la pensione di vecchiaia erogata dalla Gestione commerciale dell'INPS - allorché sia superato il minimo garantito - in caso di cumulo con una pensione diretta a carico: 1) dello Stato (R.O. nn. 1095 del 1983 e 1287 del 1984 del Pretore di Udine e 952 del 1984 del Pretore di Ancona); 2) delle Ferrovie dello Stato (R.O. n. 425 del 1986 della Corte di cassazione); 3) della Cassa di previdenza degli enti locali - CPDEL - (R.O. n. 29 del 1985 del Pretore di Aosta); 4) in generale di qualsiasi trattamento a carico dell'assicurazione generale obbligatoria (R.O. nn. 1380 e 1381 del 1984 del Pretore di Messina); b) l'art. 1 comma 2 l. 9 gennaio 1963 n. 9 nella parte in cui, sempre allorché venga superato il minimo garantito, pone il divieto d'integrazione al minimo della pensione di vecchiaia a carico del Fondo speciale per i coltivatori diretti, mezzadri e coloni in caso di cumulo: 1) con pensione diretta dello Stato (R.O. NN. 131 DEL 1985 DEL Pretore di Alessandria e 202 del 1987 del Pretore di Livorno); 2) con assegno vitalizio diretto INADEL (R.O. n. 11 del 1986 del Pretore di Mantova); 3) con pensione a carico della Regione siciliana (R.O. nn. 640 del 1983 e 876 del 1984 del Pretore di Palermo); c) l'art. 1 comma 2 l. 12 agosto 1962 n. 1339, nella parte in cui non consente l'integrazione al minimo della pensione di riversibilità erogata dalla Gestione artigiani dell'INPS nei confronti dei titolari di pensione diretta dello Stato (R.O. n. 396 del 1985 del Tribunale di Messina).

Le questioni sono fondate: le norme citate hanno infatti un'identica portata rispetto a quelle a suo tempo dichiarate illegittime. Le molteplici decisioni della Corte hanno perseguito l'intento di far venir meno sino al 1° ottobre 1983 ogni ostacolo all'integrazione al minimo delle pensioni a carico dell'assicurazione generale obbligatoria dei lavoratori dipendenti in presenza si altra pensione, così rendendo possibile la titolarità di più integrazioni al minimo sino alla data d'entrata in vigore dell'art. 6 d.l. 12 settembre 1983 n. 463, convertito, con modificazioni, nella l. 11 novembre 1983 n. 638, di cui si dirà in seguito.

La persistente vigenza delle norme impugnate ostacola tale operazione di omogeneizzazione poiché esse prevedono alcune residue ipotesi di esclusione dell'integrazione al minimo del tutto prive di razionale giustificazione. In particolare, le preclusioni derivanti dall'art. 19 sopra citato sub a) per la pensione di vecchiaia erogata dalla gestione commercianti, danno luogo ad un'illegittima disparità d trattamento, se confrontate con la normativa della pensione d'invalidità a carico del medesimo Fondo la cui integrazione è consentita per effetto della richiamata sent. n. 102 del 1982 (cfr. lett. b), del dispositivo). Ha affermato a riguardo la Corte l'identità di natura e funzioni dei due trattamenti d'invalidità e vecchiaia, i quali discendono entrambi dallo stesso presupposto: "la diminuita capacità di guadagno per infermità o per età, che rende il soggetto meritevole di uguale protezione" (sent. n. 34 del 1981).

Considerazioni identiche devono svolgersi a proposito dell'art. 1 l. n. 9 del 1963, sopra citato sub b): in tale questione viene in evidenza il medesimo rapporto invalidità-vecchiaia cui s'è fatto cenno.

Quanto invece al problema prospettato, in riferimento all'art. 1 l. n. 1339 del 1962, dal Tribunale di Messina (cfr. supra, sub c), deve essere ribadito il costante orientamento di questa Corte, che esclude una differenza di tutela fra titolari di pensioni dirette e percettori di trattamenti di riversibilità, la quale non troverebbe "rispondenza in sostanziali differenze di condizioni economiche e sociali tra le due categorie di titolari, caratterizzate entrambe dal fatto che il trattamento loro dovuto è comunque corrispettivo, differito nel tempo, di una prolungata prestazione lavorativa svolta durante il cessato rapporto di lavoro" (sent. n. 34 del 1981). In particolare la Corte ha già riconosciuto, con la sentenza da ultimo citata, l'illegittimità della norma de qua in riferimento all'esclusione dell'integrazione della pensione diretta (cfr. punto 2 di quel dispositivo). Può perciò qui riproporsi il medesimo ordine argomentativo già adottato nella sent. n. 102 del 1982 con riguardo al caso di cumulo tra pensione diretta statale e di riversibilità INPS; "non si ravvisa, infatti, alcuna razionale giustificazione economica o sociale, che valga a spiegare la disparità lamentata, in quanto una volta riconosciuto al titolare di pensione diretta dello Stato il diritto ad integrare al minimo la pensione diretta INPS, non si vede come si possa negare al titolare della medesima pensione statale il diritto ad integrare al minimo la pensione di riversibilità INPS, che è strutturalmente di importo inferiore alla pensione diretta".

5. - Come ricordato nella sent. n. 314 del 1985, già nella motivazione della sent. n. 102 del 1982, questa Corte aveva < "espressamente denunciato gli squilibri determinatisi nella normativa previdenziale" a seguito delle deroghe al principio originario …. Introdotte da legislatore e dalle conseguenziali decisioni" della Corte stessa, estensive di "tali deroghe a situazioni analoghe, a tutela del principio costituzionale d'eguaglianza">, sollecitando inoltre deficit pubblico "finalizzata a restringere gli spazi dell'evasione contributiva e degli assistenzialismi ingiustificati come necessaria premessa ad una generale riforma di tutto il sistema della sicurezza sociale (secondo quanto dichiarato in sede di discussione della legge di conversione: cfr. Atti parlamentari, Senato della Repubblica, 4 novembre 1983). Nella medesima circostanza venne altresì chiarito come sugli artt. 6 e 8 vi fosse la pena e sostanziale adesione delle forze sociali, delle associazioni sindacali e delle organizzazioni imprenditoriali (derivando le norme dall'accordo del 22 gennaio: cfr. Atti parlamentari, Camera dei deputati, 18 ottobre 1983).

In particolare, come sopra ricordato, la Corte ha già affermato la rispondenza tra le indicazioni a suo tempo date al legislatore con le più volte citate sentenze e l'intento di razionalizzazione del regime dell'integrazione che è alla base dell'art. 6. La norma è perciò espressione di quella valutazione del rapporto tra esigenze di vita e predisposizione di mezzi idonei che questa Corte ha ritenuto riservata alla discrezionalità legislativa, pur avvertendo, peraltro, che tali mezzi non sono soltanto "quelli che soddisfano i bisogni elementari e vitali ma anche quelli che siano idonei a realizzare le esigenze relative al tenore di vita conseguito dallo stesso lavoratore in rapporto al reddito ed alla posizione sociale raggiunta in seno alla categoria di appartenenza per effetto dell'attività lavorativa svolta" (sent. n. 173 del 1986).

La norma denunciata sancisce una generale regola in ordine alla scelta della pensione da integrare al minimo, consentendo però la perequazione automatica del trattamento non integrato: essa va ritenuta non illegittima in quanto si colloca nel divenire di un processo che, a partire dal 1° ottobre 1983, tende a rendere uniforme l'istituto del trattamento minimo in presenza del cumulo di più pensioni.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

Riuniti i giudizi:

1.-dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 19 comma 2 l. 22 luglio 1966 n. 613 ("Estensione dell'assicurazione obbligatoria per l'invalidità, la vecchiaia ed i superstiti agli esercenti attività commerciali ed ai loro familiari coadiutori e coordinamento degli ordinamento pensionistici per i lavoratori autonomi"), nella parte in cui non consente l'integrazione al minimo della pensione di vecchiaia erogata dalla gestione speciale commercianti per i titolari di pensione diretta a carico: dello Stato, delle Ferrovie dello Stato, della Cassa di previdenza degli enti locali e di altri trattamenti a carico dell'assicurazione generale obbligatoria, allorché, per effetto del cumulo, venga superato il minimo garantito dalla legge;

2.-dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 1 comma 2 l. 9 gennaio 1963 n. 9 ("Elevazione dei trattamenti minimi di pensione e riordinamento delle norme in materia di previdenza dei coltivatori diretti e dei coloni mezzadri"), nella parte in cui non consente l'integrazione al minimo della pensione di vecchiaia erogata dal fondo speciale per i coltivatori diretti, mezzadri e coloni per i titolari di pensione diretta a carico: dello Stato, dell'INADEL, della Regione siciliana, allorché, per effetto del cumulo, venga superato il minimo garantito dalla legge;

3.-dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 1 comma 2 l. 12 agosto n. 1339 ("Disposizioni per il miglioramento dei trattamenti di pensione corrisposti dalla Gestione speciale per l'assicurazione obbligatoria invalidità, vecchiaia e superstiti degli artigiani e loro familiari"), nella parte in cui non consente l'integrazione al minimo della pensione di riversibilità erogata dalla Gestione artigiani nei confronti dei titolari di pensione diretta a carico dello Stato allorché, per effetto del cumulo, venga superato il minimo garantito dalla legge;

4.-dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell'art. 23 l. 30 aprile 1969 n. 153 ("Revisione degli ordinamenti pensionistici e norme in materia di sicurezza sociale") e dell'art. 2 comma 2 lett. a) l. 12 agosto 1962 n. 1338 ("Disposizioni per il miglioramento dei trattamenti di pensione dell'assicurazione obbligatoria per l'invalidità, la vecchiaia e i superstiti"), - norme già dichiarate illegittime - nonché dell'art. 9 l. 12 agosto 1962 n. 1338, sollevate, in riferimento agli artt. 3 e 38 Cost. dai Pretori di Brescia, Trani e Firenze con le ordinanze di cui in epigrafe;

5.-dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 6 comma 3 d.l. 12 settembre 1983 n. 463 ("Misure urgenti in materia previdenziale e sanitaria e per contenimento della spesa pubblica, disposizioni per vari settori della Pubblica Amministrazione e proroga di taluni termini"), convertito, con modificazioni, nella l. 11 novembre 1983 n. 638, sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 38 Cost., dal Pretore di Firenze con l'ordinanza di cui in epigrafe.

 

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 10/02/1988.

Francesco SAJA, PRESIDENTE

Francesco Paolo CASAVOLA, REDATTORE

Depositata in cancelleria il 18/02/1988.