Ordinanza n.388 del 1987

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ORDINANZA N. 388

ANNO 1987

 

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici

Dott. Francesco SAJA , Presidente

Prof. Giovanni CONSO

Prof. Ettore GALLO

Prof. Aldo CORASANITI

Prof. Giuseppe BORZELLINO

Dott. Francesco GRECO

Prof. Renato DELL'ANDRO

Prof. Gabriele PESCATORE

Avv. Ugo SPAGNOLI

Prof. Francesco P. CASAVOLA

Prof. Antonio BALDASSARRE

Prof. Vincenzo CAIANIELLO

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 596 del Codice di procedura penale, promosso con ordinanza emessa il 16 giugno 1981 dalla Corte di Cassazione, iscritta al n. 26 del registro ordinanze 1982 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 129 dell'anno 1982;

udito nella camera di consiglio del 30 settembre 1987 il Giudice relatore Ettore Gallo.

Ritenuto, in fatto, che, con ordinanza 16 giugno 1981, la Corte di Cassazione sollevava questione di legittimità costituzionale dell'art. 596 cod. proc. pen. con riferimento agli art.li 3 e 25 Cost.,

- che lamentava la Corte nell'ordinanza la irrazionale disparità di trattamento verificabile ogniqualvolta la grazia condizionata é subordinata al pagamento di una somma di denaro alla Cassa delle ammende, giacché in tal caso l'esecuzione o meno della pena viene, in definitiva, a dipendere dalle disponibilità economico-finanziarie del condannato, e per di più a seguito di un provvedimento amministrativo che viene emanato senza alcuna verifica preventiva delle possibilità del condannato di adempiere all'obbligo di pagamento, e ciò in contrasto con la sent. n. 131 del 1979 di questa Corte,

- che, peraltro, sussisterebbe, in tal caso, anche violazione del principio di riserva di legge in materia penale in quanto "la comminazione della pena" troverebbe il suo titolo nel provvedimento amministrativo del Presidente della Repubblica, non essendo determinate dalla legge le condizioni risolutive apponibili al decreto di grazia,

- che nessuno si é costituito o é intervenuto nel giudizio innanzi alla Corte.

Considerato, in diritto, che - come questa Corte ha già precisato (cfr. sent. n. 134 del 1976) - la somma da versare alla Cassa delle ammende, per effetto del decreto condizionato di grazia, non ha carattere sanzionatorio nemmeno di natura amministrativa, ma é soltanto un onere patrimoniale imposto quale contributo a favore di un ente che sovvenziona opere di solidarietà nell'ambito dell'amministrazione della giustizia penale. Tale onere é in armonia con l'ordinamento costituzionale, e particolarmente con il principio di cui all'art. 27 Cost., in quanto tende a favorire la risocializzazione del condannato evitando di fare della grazia un atto di pura e gratuita clemenza,

- che in questa sua natura la Corte ha già ravvisato "validi motivi di politica legislativa penale", sufficienti ad escludere qualunque censura d'irragionevolezza,

- che, peraltro, non é esatto che il provvedimento di grazia, condizionato nel senso in esame, non abbia alla base alcuna preventiva verifica delle possibilità del condannato di adempiere l'onere. Il provvedimento di grazia é l'effetto della collaborazione fra il potere del Capo dello Stato e quello del competente Ministro della Giustizia che controfirma l'atto e ne assume la responsabilità: e difatti prevede l'ordinamento (art. 595 cod. proc. pen.) che, quantunque indirizzata al Capo dello Stato, la domanda dev'essere presentata al Ministro e, se a questi trasmessa dal Procuratore Generale della Repubblica del distretto cui appartiene la competenza esecutiva, questi deve accompagnarla con le opportune informazioni ed osservazioni, che ovviamente coinvolgono anche la detta verifica,

- che, d'altra parte, in tema di rilevanza, sul punto l'ordinanza non ha motivato, né ha segnalato elementi dai quali si possa desumere che la verifica é stata omessa,

- che, infine, se un mutamento impeditivo delle condizioni economiche del condannato fosse sopravvenuto al decreto condizionato di grazia, esiste pur sempre la possibilità di sottoporre la nuova situazione al Capo dello Stato per ottenere un nuovo decreto,

- che tanto meno, poi, é proponibile una questione di "riserva di legge", dato che la "comminazione" della pena non trova il suo titolo nel provvedimento amministrativo del Presidente della Repubblica, come sostiene l'ordinanza, ma bensì soltanto nella perpetrazione del reato, in relazione al quale la pena viene comminata dalla legge penale quale conseguenza sanzionatoria. La revoca della grazia, infatti, non fa che caducare il beneficio concesso ripristinando la originaria situazione "esecutiva", e perciò non la "comminazione" ma l'esecuzione della pena già "irrogata",

- che, peraltro, é ben vero che singolarmente, nel caso di specie, il condannato, revocata la grazia, dovrebbe oggi sottostare ad una grave pena detentiva, a seguito di conversione di pena pecuniaria disposta prima della sentenza n. 131 del 1979 di questa Corte nonché della l. 24 novembre 1981 n. 689: legge quest'ultima che, giusto quanto rilevato nella sentenza di questa Corte n. 108 del 1987, ha attuato, mediante la nuova disciplina della conversione, un bilanciamento dei valori dell'eguaglianza e dell'effettività della pena,

- che, però, mentre una siffatta particolarissima situazione non può mettere in discussione la legittimità costituzionale della revoca della grazia quando gli oneri imposti nel provvedimento non siano stati osservati, essendo ineccepibile, sul piano generale, che l'inosservanza comporti la revoca, tuttavia ben può la situazione essere prospettata, mediante incidente, in sede di esecuzione (che é la sede propria dei provvedimenti di conversione), affinché il giudice competente tenga conto del novum normativo nel momento in cui la pena dev'essere eseguita.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

Dichiara manifestamente inammissibile, la questione di legittimità costituzionale dell'art. 596 cod. proc. pen. sollevata dalla Corte di Cassazione con ordinanza 16 giugno 1981;

Dichiara manifestamente infondata la stessa questione sollevata dalla stessa ordinanza, nei confronti dell'art. 3 Cost.

Così deciso in Roma, in Camera di Consiglio, nella sede della Corte costituzionale, palazzo della Consulta il 29 ottobre 1987.

 

Il Presidente: SAJA

Il Redattore: GALLO

Depositata in cancelleria il 12 novembre 1987.

Il direttore della cancelleria: MINELLI