Sentenza n.280 del 1987

 CONSULTA ONLINE 

SENTENZA N. 280

ANNO 1987

 

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici

Prof. Virgilio ANDRIOLI , Presidente

Dott. Francesco SAJA

Prof. Giovanni CONSO

Prof. Ettore GALLO

Prof. Aldo CORASANITI

Prof. Giuseppe BORZELLINO

Dott. Francesco GRECO

Prof. Gabriele PESCATORE

Avv. Ugo SPAGNOLI

Prof. Francesco P. CASAVOLA

Prof. Antonio BALDASSARRE

Prof. Vincenzo CAIANIELLO

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi di legittimità costituzionale dell'art. 170 del codice penale militare di pace e degli artt. 53, 54, 77 e 79 della legge 24 novembre 1981, n. 689 (Modifiche al sistema penale), promossi con le seguenti ordinanze:

1) ordinanza emessa il 7 maggio 1986 dal Tribunale militare di Padova nel procedimento penale a carico di Tabanelli David, iscritta al n. 636 del registro ordinanze 1986 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 53, 1a serie speciale, dell'anno 1986;

2) ordinanza emessa il 18 giugno 1986 dal Tribunale Militare di Padova nei procedimenti penali riuniti a carico di Giustacchini Carlo ed altro, iscritta al n. 664 del registro ordinanze 1986 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 56, 1a serie speciale, dell'anno 1986;

Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

Udito nell'udienza pubblica del 3 giugno 1987 il Giudice relatore Giovanni Conso;

Udito l'Avvocato dello Stato Aldo Linguiti per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

Con due ordinanze di contenuto sostanzialmente identico emesse rispettivamente il 7 maggio 1986 e il 18 giugno 1986, il Tribunale militare di Padova ha denunciato, in riferimento agli artt. 2, 3, 13 e 52 della Costituzione, l'illegittimità dell'art. 170 del codice penale militare di pace, in relazione agli artt. 168 e 169 dello stesso codice, che commina una pena detentiva per il reato di danneggiamento colposo di edifici militari e per il danneggiamento colposo di cose mobili militari, anche se di lieve entità.

Il giudice a quo ha anche denunciato, in riferimento agli artt. 3 e 27 della Costituzione, con la prima ordinanza gli artt. 53, 54, 77 e 79 della legge 24 novembre 1981, n. 689, e con la seconda ordinanza gli artt. 53, 54 della stessa legge n. 689 del 1981, nella parte in cui escludono che le sanzioni sostitutive delle pene detentive brevi siano applicabili anche nei confronti dei militari maggiorenni che commettano reati militari compresi nell'astratta competenza del pretore.

Con riguardo alla prima questione, le ordinanze rilevano che gli artt. 2 e 13 della Costituzione sarebbero violati perché con la norma censurata viene limitata la libertà personale "per punire fatti colposi che compromettono, anche nel modo più lieve, la perfetta funzionalità economica di un qualsiasi oggetto appartenente all'amministrazione militare e perciò destinato al servizio militare".

Sarebbe altresì violato l'art. 52, terzo comma, della Costituzione, ove é affermato che l'ordinamento delle Forze armate deve uniformarsi ai princìpi - base della Repubblica.

Sussisterebbe, infine, violazione del principio di eguaglianza, per il fatto che nell'ordinamento penale comune sono previste come reato ipotesi di danneggiamento colposo solo se abbiano ad oggetto materiale cose di particolare interesse (v. art. 773 del codice penale ed art. unico delle legge 20 marzo 1968, n. 304, fattispecie, quest'ultima trasformata, peraltro, in illecito amministrativo).

Le ordinanze, ritualmente notificate e comunicate, sono state pubblicate nella Gazzetta Ufficiale n. 53, 1a serie speciale, e n. 56, 1a serie speciale, dell'anno 1987.

In entrambi i giudizi é intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, la quale ha chiesto che le due questioni siano dichiarate non fondate.

Quanto alla questione concernente la legittimità dell'art. 170 del codice penale militare, premesso che (v. sentenze n. 16 del 1973 e n. 31 del 1982) "l'interesse costituzionale di assicurare il regolare svolgimento del servizio militare e di tutelare l'ordinamento giudiziario militare in funzione della previsione di cui all'art. 52 della Costituzione, consente al legislatore non soltanto di introdurre limitazioni ma anche di sanzionare penalmente i fatti colposi ex art. 170 C.p.m.p.", l'Avvocatura deduce, da un lato, che, in via generale, stando alla giurisprudenza costituzionale (v. sentenza n. 126 del 1983), stabilire se e come una condotta debba essere sanzionata costituisce il risultato di una scelta legislativa sindacabile dalla Corte nell'esclusiva ipotesi di palese irrazionalità (una irrazionalità non configurabile nella previsione della norma censurata, la quale tende non soltanto a tutelare in modo particolarmente rigoroso il patrimonio dell'amministrazione militare nei confronti dei danneggiamenti colposi, ma anche ad assicurare la migliore efficienza delle Forze armate e ad evitare comportamenti colposi che incidano sulla disciplina militare e possano menomare il prestigio e la dignità delle Forze armate stesse), e, dall'altro, che l'affermazione contenuta nelle ordinanze di rimessione, secondo cui non può essere consentito al legislatore sanzionare con una pena detentiva comportamenti lesivi di interessi di trascurabile importanza, non tiene conto che tale valutazione spetta esclusivamente al legislatore e che essa deve riguardare la norma nella sua previsione generale ed astratta e non anche il singolo caso in cui il danno patrimoniale sia di particolare tenuità, con conseguente applicabilità della specifica attenuante.

Quanto alla questione concernente gli artt. 53, 54, 77 e 79 della legge 24 novembre 1981, n. 689, l'Avvocatura sostiene che, "attese le palesi e rilevanti diversità delle situazioni messe a confronto e per evidenti incompatibilità tra sanzioni sostitutive e stato militare", la norma denunciata non comporta, comunque, violazione degli artt. 3 e 27 della Costituzione.

Considerato in diritto

1. - Le due ordinanze in epigrafe sottopongono al vaglio della Corte questioni di legittimità costituzionale pressoché coincidenti: i relativi giudizi vanno, quindi, riuniti per essere decisi con un'unica sentenza.

2. - In entrambi i casi due sono le questioni sollevate dal Tribunale militare di Padova, comune giudice a quo.

Con la prima questione viene coinvolto, in riferimento agli artt. 2, 3, 13 e 52, terzo comma, della Costituzione, l'art. 170 del codice penale militare di pace, in forza del quale "Se alcuno dei fatti preveduti dagli artt. 168 e 169 é commesso per colpa, si applica la reclusione militare fino a sei mesi". Con la seconda questione vengono coinvolti, in riferimento agli artt. 3 e 27 della Costituzione, dall'una ordinanza gli artt. 53, 54, 77 e 79 della legge 24 novembre 1981, n. 689, e dall'altra i soli artt. 53 e 54 di tale legge, "nella parte in cui escludono che le sanzioni sostitutive siano applicabili, oltre che agli estranei alle Forze armate e ai militari minorenni che commettono reati militari compresi nella competenza del Pretore, anche nei confronti dei militari maggiorenni che si rendono colpevoli dei medesimi reati".

Peraltro, la seconda questione, essendo tra quelle già dichiarate inammissibili da questa Corte con la sentenza in pari data n. 279 del 1987, deve dirsi manifestamente inammissibile, data l'identità di termini e di situazioni.

3. - A loro volta, le ragioni che hanno indotto il Tribunale militare di Padova a prospettare l'illegittimità costituzionale dell'art. 170 del codice penale militare di pace, in relazione agli artt. 168 e 169 dello stesso codice, non sembrano emergere con univoca chiarezza dalla motivazione delle due ordinanze.

Il giudice a quo comincia, infatti, con il manifestare "dubbi circa la legittimità costituzionale di (due) norme incriminatrici che puniscono danneggiamenti colposi", e cioè in un caso l'art. 170 in relazione all'art. 168 (danneggiamento colposo di edificio militare, per avere infranto un vetro di una caserma) e nell'altro l'art. 170 in relazione all'art. 169 (deterioramento di cosa mobile militare, per avere determinato il ribaltamento e conseguente danneggiamento di un automezzo militare).

Ma, subito dopo, con l'invocare la specifica tutela apprestata alla libertà personale dagli artt. 2 e 13 della Costituzione, la doglianza pare concentrarsi sulla specie di pena comminata (reclusione militare fino a sei mesi), facendo carico all'art. 170 non tanto di incriminare, quanto di "sanzionare con pena limitativa della libertà personale qualsiasi comportamento lesivo di un interesse di trascurabile importanza".

A dissolvere ogni ambiguità non basterebbe l'argomento, peraltro sottaciuto, dell'assenza di ogni previsione di pene pecuniarie nel codice penale militare di pace. Tale argomento, invero, non risulterebbe decisivo, dato che questa specie di pena risulta comminata in leggi speciali anche per reati demandati alla cognizione dei tribunali militari (v. artt. 150 e 152, primo comma, del d.P.R. 14 febbraio 1964, n. 237; nonché art. 3 della legge 9 dicembre 1941, n. 1383): previsioni certamente isolate, ma non per ciò meno significative, dal momento che, come ricordano le due ordinanze di rimessione, le ipotesi di danneggiamento colposo eccezionalmente previste dall'ordinamento penale comune sono sanzionate o con una pena pecuniaria (v. articolo unico della legge 20 marzo 1968, n. 304, sia pur oggetto di sopravvenuta depenalizzazione) o con una pena detentiva alternativamente ad una pena pecuniaria (v. art. 733 del codice penale).

In ogni caso, il dolersi che venga sanzionato "con pena limitativa della libertà personale qualunque comportamento lesivo di un interesse di trascurabile importanza" dà adito ad un ulteriore motivo di incertezza: se, cioè, la pena limitativa della libertà personale sia da ritenere "eccessiva" nei riguardi di tutti i danneggiamenti colposi di cose militari o soltanto nei riguardi di danneggiamenti colposi di cose militari aventi trascurabile valore.

Né il prosieguo della motivazione dissipa le perplessità di cui si é detto. Ribadito che "a questo giudice appare eccessiva la condanna penale e la pena detentiva sia pure di breve durata, a sanzione del danneggiamento colposo, anche di modesta entità", le due ordinanze continuano ad oscillare tra le varie prospettive indicate.

Dapprima, il giudice a quo insiste sulla lesione del diritto di libertà personale, insita nella norma che "ne dispone una limitazione per punire fatti colposi che compromettono, anche nel modo più lieve, la perfetta funzionalità economica di un qualsiasi oggetto appartenente all'amministrazione militare" e, in base altresì all'art. 52, terzo comma, della Costituzione, qualifica "eccessiva" la limitazione della libertà personale del militare prevista dall'art. 170 del codice penale militare di pace, senza, però, lasciar comprendere se l'eccesso lamentato riguardi pure i fatti colposi che compromettano la funzionalità economica dell'oggetto in modo non lieve.

Successivamente, ponendosi nell'ottica dell'art. 3 della Costituzione, lo stesso giudice a quo reputa "sicuramente non giustificabile" che - a differenza di quanto avviene nella legislazione penale ordinaria, dove normalmente i danneggiamenti colposi non sono presi in considerazione - "nella legislazione penale militare viene, invece, penalmente sanzionato il danneggiamento colposo di qualsiasi cosa appartenente all'amministrazione militare" e ritiene, a sua volta, "chiaramente insostenibile" che "qualsiasi oggetto, dal più comune al più specialistico e sofisticato, assuma... per il solo fatto di entrare nel patrimonio dell'amministrazione militare" quella particolare importanza o quel non trascurabile interesse che può rendere accettabile l'incriminazione del danneggiamento colposo. Ma neppure questa volta risulta chiaro se all'eccesso lamentato si debba porre riparo facendo venir meno l'incriminabilità di tutti i danneggiamenti militari colposi o soltanto l'incriminabilità di quelli che abbiano avuto effetti più lievi. Le due ordinanze di rimessione preferiscono, piuttosto, adombrare un'ultima ipotesi di "coerente" soluzione, quella di configurare i reati militari di danneggiamento colposo "come perpetrabili da chiunque, e non già dal solo militare".

4. - La questione é inammissibile.

La non omogeneità delle argomentazioni addotte e la conseguente diversificazione dei risultati cui i rispettivi sviluppi potrebbero condurre non permettono a questa Corte di individuare con certezza i veri termini del petitum e, quindi, di pervenire ad una risposta di sicura aderenza a quanto effettivamente dal giudice a quo. L'univocità formale dei due dispositivi, diretti ad una declaratoria di illegittimità dell'art. 170 del codice penale militare di pace, non può ovviare da sola alla non univocità della motivazione, non foss'altro perché il raggiungimento dei più circoscritti obiettivi in essa alternativamente ravvisabili risulterebbe compromesso da un epilogo drasticamente conforme a quanto in apparenza richiesto nel dispositivo.

Si aggiunga che alcune delle soluzioni insite nella motivazione sembrerebbero richiedere l'esercizio di poteri discrezionali esclusivi del legislatore, donde l'esigenza, anche sotto questo profilo, di una più lineare delimitazione. Senza dimenticare che la problematica relativa ad un'eventuale distinzione tra danneggiamenti di lieve e danneggiamenti di meno lieve entità non può prescindere da un sia pur breve cenno (l'art. 170 non vi é menzionato, ma gli artt. 168 e 169 sì) all'art. 171 del codice penale militare di pace, il cui n. 1 prevede una circostanza aggravante specifica "se dal fatto é derivato un danno di rilevante entità" e il cui n. 2 prevede una altrettanto specifica circostanza attenuante "se, per la particolare tenuità del danno, il fatto risulta di lieve entità", sempre, peraltro, nell'ottica della pena detentiva.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

1) dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell'art. 170 del codice penale militare di pace, in relazione agli artt. 168 e 169 dello stesso codice, sollevata, in riferimento agli artt. 2, 3, 13 e 52, terzo comma, della Costituzione, dal Tribunale militare di Padova con le due ordinanze in epigrafe;

2) dichiara la manifesta inammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale degli artt. 53, 54, 77 e 79 della legge 24 novembre 1981, n. 689 (Modifiche al sistema penale), sollevate, in riferimento agli artt. 3 e 27 della Costituzione, dal Tribunale militare di Padova con le due ordinanze in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 7 luglio 1987.

 

Il Presidente: ANDRIOLI

Il Redattore: CONSO

Depositata in cancelleria il 23 luglio 1987.

Il direttore della cancelleria: MINELLI