Sentenza n.267 del 1987

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SENTENZA N. 267

ANNO 1987

 

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici

Prof. Virgilio ANDRIOLI , Presidente

Dott. Francesco SAJA

Prof. Giovanni CONSO

Prof. Ettore GALLO

Prof. Aldo CORASANITI

Prof. Giuseppe BORZELLINO

Dott. Francesco GRECO

Prof. Renato DELL'ANDRO

Prof. Gabriele PESCATORE

Avv. Ugo SPAGNOLI

Prof. Francesco P. CASAVOLA

Prof. Antonio BALDASSARRE

Prof. Vincenzo CAIANIELLO

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi di legittimità costituzionale degli artt. 53 e 80 della legge 24 novembre 1981, n. 689 (Modifiche al sistema penale), promossi con le seguenti ordinanze:

1) ordinanza emessa l'8 giugno 1983 dal Pretore di Lecce nel procedimento penale a carico di Picciarelli Salvatore, iscritta al n. 850 del registro ordinanze 1983 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 60 dell'anno 1984;

2) ordinanza emessa il 23 novembre 1984 dal Pretore di Montagnana nei procedimenti penali riuniti a carico di Colpo Ivana ed altro, iscritta al n. 196 del registro ordinanze 1985 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 167-bis dell'anno 1985;

3) ordinanza emessa il 28 giugno 1984 dal Pretore di Tione di Trento nei procedimenti penali riuniti a carico di Cassago Giacomo, iscritta al n. 360 del registro ordinanze 1985 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 250-bis dell'anno 1985;

udito nella camera di consiglio del 4 giugno 1987 il Giudice relatore Giovanni Conso.

Ritenuto in fatto

1. - Nel corso del procedimento penale iniziato dinanzi al Pretore di Lecce a carico di Picciarelli Salvatore, per il delitto di cui all'art. 116 n. 2 del regio decreto 21 dicembre 1933, n. 1736, l'imputato, rinviato a giudizio, chiedeva che gli venisse applicata la sanzione sostitutiva della pena pecuniaria ai sensi dell'art. 77 della legge 24 novembre 1981, n. 689, precisando che il fatto era legato dal vincolo della continuazione con altri, per i quali tale provvedimento gli era già stato concesso con sentenza del 10 dicembre 1982 del Pretore di Martina Franca.

Per l'ipotesi che si ritenesse ostativo alla emissione del provvedimento richiesto il disposto dell'art. 80 della legge n. 689 del 1981 citata, secondo cui "Il provvedimento di cui all'art. 77 non può essere emesso nei confronti di chi ne ha già beneficiato", il Picciarelli sollevava eccezione di illegittimità costituzionale di tale disposizione per contrasto con il principio di eguaglianza.

Il Pretore di Lecce, constatata la sussistenza del vincolo della continuazione allegata dall'imputato, ha ritenuto rilevante e non manifestamente infondata l'eccezione proposta, rimettendo gli atti alla Corte costituzionale con ordinanza in data 8 giugno 1983 (reg. ord. n. 850 del 1983, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 60 del 29 febbraio 1984).

Osserva il giudice a quo che "Il caso dei fatti legati da nesso di continuità con altri per i quali é intervenuta sentenza pronunciata a norma dell'art. 77 della legge 24 novembre 1981, n. 689, non può essere trattato diversamente da quello in cui la continuazione é accertata con unica sentenza".

L'art. 80 della legge citata - impedendo l'applicazione dell'art. 77 agli imputati che abbiano già beneficiato dell'applicazione della sanzione sostitutiva - si porrebbe in contrasto con l'art. 3 Cost., poiché farebbe dipendere la disparità di trattamento fra ipotesi sostanzialmente eguali da circostanze occasionali, quali, ad esempio, la non contestualità delle denunce, la competenza territoriale di distinte autorità giudiziarie, l'omessa riunione dei procedimenti.

Si fa anche rilevare che la Corte costituzionale, con la sentenza n. 108 del 1973 in materia di perdono giudiziale, si sarebbe già espressa nel senso dell'illegittimità del divieto di reiterazione del beneficio nel caso di fatti commessi con vincolo di continuazione.

2. - Identica questione é stata sollevata dal Pretore di Montagnana con ordinanza emessa il 23 novembre 1984 (reg. ord. n. 196 del 1985, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 167-bis del 17 luglio 1985), nel corso dei procedimenti penali riuniti a carico di Colpo Ivana e Greggio Adriano, e dal Pretore di Tione di Trento, con ordinanza emessa il 28 giugno 1984 (reg. ord. n. 360 del 1985, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 250-bis del 23 ottobre 1985), nel corso dei procedimenti penali riuniti a carico di Cassago Giacomo. Quest'ultimo giudice ha ricompreso nella questione di legittimità costituzionale anche l'art. 53 della legge 24 novembre 1981, n. 689, per violazione dell'art. 3 Cost..

Considerato in diritto

1. Le tre ordinanze in epigrafe sollevano questioni di legittimità costituzionale sostanzialmente identiche: i rispettivi giudizi vanno, quindi, riuniti per essere decisi con un'unica sentenza.

2. - Oggetto comune di censura, in costante riferimento all'art. 3 della Costituzione, é l'art. 80 della legge 24 novembre 1981, n. 689 ("Il provvedimento di cui all'art. 77 non può essere emesso nei confronti di chi in precedenza ne ha già beneficiato o nei confronti di chi ha riportato condanna a pena detentiva"), nella parte in cui non consente di reiterare il provvedimento di applicazione di una sanzione sostitutiva su richiesta dell'imputato, previsto dall'art. 77 della stessa legge, "relativamente ad altri reati che si legano con il vincolo della continuazione a quelli per i quali il medesimo imputato ne ha già beneficiato" (così le ordinanze del Pretore di Lecce e del Pretore di Montagnana). O, più propriamente, trattandosi di esclusioni soggettive, nella parte in cui il legislatore non prevede l'applicazione del beneficio della sostituzione della pena "per una seconda volta per chi sia giudicato per fatti legati col vincolo della continuazione ad altri per i quali sia già stato concesso il beneficio medesimo" (così l'ordinanza del Pretore di Tione di Trento).

Quest'ultima ordinanza menziona nel dispositivo, accanto all'art. 80, l'art. 53, ma non già per coinvolgerlo nella ventilata declaratoria di illegittimità costituzionale, bensì, più semplicemente, perché tale articolo può assurgere a dato di partenza per qualunque discorso concernente l'applicazione di sanzioni sostitutive, anche su richiesta dell'imputato.

3. - La violazione del principio di eguaglianza lamentata dai giudici a quibus viene concordemente ravvisata nella disparità che l'art. 80 della legge 24 novembre 1981, n. 689 - con il vietare, sempre e comunque, "la concessione del beneficio di cui all'art. 77 per più di una volta" - inevitabilmente determina tra "chi avendo commesso più reati legati fra loro dal vincolo della continuazione venga giudicato in un unico processo e chi, invece, per i medesimi reati, venga sottoposto a più giudizi". Una disparità che le ordinanze di rimessione definiscono "irragionevole" per il fatto di coinvolgere "situazioni identiche", trattate diversamente soltanto a causa di "un dato processuale del tutto casuale, quale la riunione o meno dei procedimenti a carico della stessa persona", che, proprio perché originato da "circostanze occasionali, quali, ad esempio, la non contestualità delle denunce o la competenza territoriale di distinte autorità giudiziarie", non é assolutamente idoneo a giustificare discipline differenziate.

La questione é fondata.

4. - Per dimostrare l'illegittimità della norma denunciata, due dei giudici a quibus (Pretore di Lecce e Pretore di Montagnana) richiamano la sentenza costituzionale n. 108 del 1973 in tema di perdono giudiziale, propugnando, sulla base dell'analogia riscontrabile fra la questione di oggi e la questione di allora, l'applicazione del relativo principio informatore anche al "caso in esame". Ricordato che in quell'occasione la Corte ebbe a dichiarare illegittimo, per contrasto con l'art. 3 della Costituzione, l'art. 169 del codice penale "nella parte in cui non consente che possa estendersi il perdono giudiziale ad altri reati che si legano col vincolo della continuazione a quelli per i quali é stato concesso il beneficio", le due ordinanze di rimessione ravvisano un'analogia di situazioni, oltreché nell'incidenza sostanziale del vincolo della continuazione, nel particolare effetto (estinzione del reato) che il legislatore ricollega sia alla concessione del perdono giudiziale sia all'applicazione di una sanzione sostitutiva su richiesta dell'imputato (art. 77, primo comma, ultima parte, della legge 24 novembre 1981, n. 689).

In realtà, se é pur vero che anche un'autorevole corrente dottrinaria coglie strette affinità tra perdono giudiziale ed applicazione di una sanzione sostitutiva su richiesta dell'imputato, é altrettanto vero, a riprova dell'assoluta atipicità di quest'ultimo istituto (v. sentenze n. 120 e n. 148 del 1984, ove si sottolineano le gravi incertezze sulla sua natura e sul suo inquadramento sistematico), che ulteriori ipotesi interpretative preferiscono accostarlo ad altre cause di estinzione del reato, quali l'oblazione (art. 162, secondo comma, del codice penale) e, più in particolare, l'oblazione di cui all'art. 162 bis del codice penale (sesto comma). Senza ignorare il pur eterogeneo istituto della sospensione condizionale della pena - anch'essa causa di estinzione del reato (art. 167 del codice penale), sia pur eventuale e successiva alla pronuncia della condanna (art. 163 del codice penale) - soprattutto perché l'argomentazione posta a base della sentenza n. 108 del 1973 aveva quale punto di riferimento proprio la sospensione condizionale della pena.

La violazione dell'art. 3 della Costituzione da parte dell'art. 169 del codice penale era stata, infatti, ravvisata non, come sembra ritenere il Pretore di Montagnana, "nell'incompatibilità con il principio di eguaglianza del divieto di applicazioni ripetute di una particolare causa di estinzione del reato (il perdono giudiziale) in tutti i casi in cui venissero giudicati reati legati dal vincolo della continuazione e commessi precedentemente ad altri per i quali detta causa di estinzione fosse già stata concessa", bensì, come emerge dall'epilogo della motivazione, nel fatto "non soltanto irrazionale, ma contraddittorio" di un perdono giudiziale non estensibile, a differenza della sospensione condizionale della pena (v. il dispositivo della sentenza n. 86 del 1970), "a reati che si riportano ad unica generale ideazione". Un fatto ritenuto irrazionale e contraddittorio perché - e qui la ratio decidendi del precedente invocato dai giudici a quibus - la concessione di un "beneficio maggiore, qual é il perdono giudiziale, che implica una scelta meno severa in favore di un reo più meritevole" (v. sentenza n. 108 del 1973) non può comportare a vantaggio dell'imputato applicazioni più ristrette di quelle ricollegate ad un beneficio minore, qual é la sospensione condizionale della pena.

Ma, se dalla comparazione fra perdono giudiziale e sospensione condizionale della pena discende agevole la conclusione che il primo istituto rappresenta un beneficio senz'altro maggiore rispetto a quello insito nel secondo, lo stesso non può dirsi a proposito dell'analogo raffronto fra applicazione di una sanzione sostitutiva su richiesta dell'imputato e sospensione condizionale della pena: la complessità dei profili da prendere in considerazione, tanto più nel vario atteggiarsi delle singole fattispecie concrete, non permette di giungere a prese di posizione univoche quanto all'intensità dell'un beneficio rispetto all'altro.

Del resto, nemmeno "adattando" la ratio decidendi della sentenza n. 108 del 1973 ai rapporti tra applicazione di una sanzione sostitutiva su richiesta dell'imputato e perdono giudiziale, nel senso di elevare quest'ultimo a punto di riferimento, esisterebbero gli estremi per un'applicazione della stessa ratio alla questione in esame: il perdono giudiziale si risolve, infatti, in un beneficio di sicura maggiore intensità rispetto a quello insito nell'applicazione di una sanzione sostitutiva su richiesta dell'imputato.

5. - La difficile praticabilità della via che vorrebbe far leva sul discusso effetto estintivo così atipicamente ricollegato all'applicazione di una sanzione sostitutiva su richiesta dell'imputato induce a verificare la legittimità della norma denunciata in riferimento all'art. 3 della Costituzione, muovendo, anziché dalla natura del beneficio culminante nell'effetto estintivo del reato, dalla consolidata prospettazione del reato continuato in termini di istituto ispirato di per sé al favor rei (v., da ultimo, sentenza n. 115 del 1987).

É, del resto, la stessa ordinanza del Pretore di Montagnana a portare opportunamente l'attenzione, nell'epilogo della parte motiva, sulla "irragionevole disparità di trattamento determinata dall'art. 80 della citata legge 689/81 rispetto alla situazione di chi, versando nella medesima condizione giuridica, si trovi a beneficiare, per cause meramente accidentali ed in ogni caso esterne al reato, dell'istituto della continuazione".

Il vero precedente da richiamare é, dunque, quello costituito dalla sentenza n. 86 del 1970, dal cui principio informatore aveva preso le mosse, sia pur senza poi direttamente utilizzarlo, la sentenza n. 108 del 1973. Ed il principio informatore é, appunto, questo: il caso "riguardante più fatti legati da nesso di continuità con altri puniti con sentenza precedente non può essere trattato diversamente dal caso in cui la continuazione viene accertata con unica sentenza", ad evitare che un nesso "sostanziale", quale quello di continuità, venga fatto dipendere da circostanze meramente occasionali.

Come la Corte ha ancora di recente ribadito (v. sentenza n. 115 del 1987), a rilevare ai fini dell'unificazione é "l'esistenza del requisito soggettivo rappresentato dall'unicità del disegno criminoso", che si identifica "con l'ideazione complessiva, con il piano criminoso generale, di cui ciascun reato é un momento attuativo". Muovendo da tali premesse, é da ritenere "incoerente... che una situazione processuale (giudizio in tempi diversi) impedisca l'applicazione" delle disposizioni di favore ad uno o più dei reati così collegati. Nemmeno il giudicato può impedire di "applicare l'istituto della continuazione all'intero sviluppo esecutivo dell'intero disegno criminoso".

Pertanto, l'art. 80 della legge 24 novembre 1981, n. 689, impedendo, con il suo tassativo disposto, la reiterazione del beneficio di cui all'art. 77 anche per i fatti legati con il vincolo della continuazione a quelli che già ne hanno fruito, va dichiarato costituzionalmente illegittimo, nella parte censurata dai giudici a quibus.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 80 della legge 24 novembre 1981, n. 689 (Modifiche al sistema penale), nella parte in cui esclude la reiterabilità del provvedimento previsto dall'art. 77 della stessa legge quando l'imputato debba rispondere di reati che si legano con il vincolo della continuazione a quelli per i quali egli già ha beneficiato del provvedimento.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 3 luglio 1987.

 

Il Presidente:ANDRIOLI

Il Redattore:CONSO

Depositata in cancelleria il 16 luglio 1987