Sentenza n.195 del 1987

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SENTENZA N. 195

ANNO 1987

 

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici

Prof. Antonio LA PERGOLA, Presidente

Prof. Virgilio ANDRIOLI

Prof. Giuseppe FERRARI

Dott. Francesco SAJA

Prof. Giovanni CONSO

Prof. Ettore GALLO

Prof. Aldo CORASANITI

Prof. Giuseppe BORZELLINO

Dott. Francesco GRECO

Prof. Renato DELL'ANDRO

Prof. Gabriele PESCATORE

Avv. Ugo SPAGNOLI

Prof. Francesco P. CASAVOLA

Prof. Antonio BALDASSARRE

Prof. Vincenzo CAIANIELLO

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi promossi con ricorsi della Regione Lombardia contro il Presidente del Consiglio dei ministri, notificati il 20 ottobre e il 18 novembre 1983, il 22 ottobre 1984, l'11 gennaio e il 5 dicembre 1985 e il 22 aprile 1986, depositati in Cancelleria il 5 novembre e il 6 dicembre 1983, il 10 novembre 1984, il 28 gennaio e il 13 dicembre 1985 e il 9 maggio 1986, iscritti rispettivamente ai nn. 29 e 31 del Registro ricorsi 1983, n. 49 del Registro ricorsi 1984, nn. 8 e 53 del Registro ricorsi 1985 e 22 del Registro ricorsi 1986, per conflitti di attribuzione sorti a seguito: a) dei provvedimenti nn. 9544/10288 - 9545/10287 - 9546/10289 - 9548/10290 della Commissione di controllo con i quali sono state annullate le deliberazioni della giunta regionale nn. 28434 del 18 maggio 1983, 28269 dell'11 maggio 1983, 28427 del 18 maggio 1983 e 29233 del 15 giugno 1983; b) dei seguenti provvedimenti della Commissione di controllo: n. 9554/10485 del 14 settembre 1983; 9553/10483 del 14 settembre 1983; 9547/10495 del 14 settembre 1983; 10529/11787 del 5 ottobre 1983; 10531/11784 del 5 ottobre 1983; 10526/11792 del 5 ottobre 1983; 10530/11785 del 5 ottobre 1983; 10532/11783 del 5 ottobre 1983; 10528/11787 del 5 ottobre 1983; 10527/11791 del 5 ottobre 1983; 10507/11793 del 5 ottobre 1983; 10506/11790 del 5 ottobre 1983; 10504/11788 del 5 ottobre 1983; 10932/12084 del 19 ottobre 1983; 10905/12077 del 19 ottobre 1983; 10906/12076 del 19 ottobre 1983; 10505/11789 del 5 ottobre 1983; c) dei decreti 27 luglio 1984 del Prefetto di Milano e del Prefetto di Como concernenti la nomina di componenti del Consiglio di Amministrazione della fondazione "Alessandro Durini"; d) del provvedimento emesso dal Provveditore degli Studi di Bergamo in data 9 marzo 1984, concernente la nomina del prof. Alberto Cattaneo a componente del Consiglio di Amministrazione dell'Opera Pia "Claudio Zilioli" di Bergamo; e) del provvedimento emesso dal Prefetto di Milano in data 30 settembre 1985, relativo alla nomina dell'Ing. Gian Vittorio Casolo a componente del Consiglio di Amministrazione della "Fondazione Attilio e Teresa Cassoni" operante nella provincia di Milano; f) del provvedimento del Prefetto di Milano in data 14 febbraio 1986, relativo alla nomina del dott. Francesco Carlo Massari a Presidente del Consiglio di Amministrazione dell'Opera Pia "Monsignor Pietro Milani e Ing. Paolo Milani", operante nella provincia di Milano per il quadriennio 1986-1990;

Visti gli atti di costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri;

Udito nell'udienza pubblica del 24 marzo 1987 il Giudice relatore Vincenzo Caianiello;

Uditi l'Avv. Maurizio Steccanella per la Regione Lombardia e l'Avvocato dello Stato Giorgio Azzariti per il Presidente del Consiglio dei ministri;

Ritenuto in fatto

1. - Con ricorsi notificati rispettivamente il 20 ottobre 1983 e il 18 novembre 1983, la regione Lombardia ha sollevato conflitto di attribuzione in relazione a ventuno provvedimenti di annullamento della Commissione statale di controllo adottati con identica motivazione nei confronti di altrettante deliberazioni della giunta regionale con cui si disponeva la nomina di alcuni componenti dei consigli di amministrazione di istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza operanti nel territorio regionale.

La regione aveva esercitato il potere di nomina ritenendolo di sua competenza in virtù dell'art. 1 lett. a) del d.P.R. 15 gennaio 1972 n. 9 che contempla espressamente le funzioni amministrative, concernenti le IPAB, esercitate dagli organi centrali e periferici dello Stato, nonché della legge regionale 14 luglio 1972 n. 20 che, recependo e disciplinando il contenuto del trasferimento, individua nella Giunta l'organo competente a provvedere "alle nomine già spettanti all'Amministrazione statale in ordine agli organi di amministrazione delle istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza ai sensi degli statuti e delle tavole di fondazione" (art.3).

Nella motivazione degli atti di annullamento, la Commissione di controllo sostiene che se si considera la natura extrastatuale della fonte attributiva del potere (gli statuti degli enti), garantita in quanto espressione delle autonomie locali anche dall'art. 5 della Costituzione, nonché l'esigenza che gli organi pubblici siano investiti dei relativi poteri soltanto dalle leggi dello Stato, si deve ritenere che l'effettuazione delle nomine non integri una funzione di natura statale e non sia, pertanto, suscettibile di trasferimento alle regioni.

D'altra parte il potere in questione, costituendo un'attività strumentale al funzionamento dell'organo collegiale, ma estranea alla materia nella quale quest'ultimo esercita le sue funzioni, non rientrerebbe neanche nella materia della beneficenza pubblica essendo ad essa riferibile soltanto per "esterna connessione".

2. - La ricorrente, nel chiedere l'annullamento dei predetti provvedimenti in quanto lesivi della sfera di competenze trasferitele dal d.P.R. n. 9 del 1972 in materia di pubblica beneficenza, ha rilevato che la funzione oggetto del conflitto risulterebbe di sua spettanza sia in base all'art. 1 lett. a) del citato decreto delegato (che prevede espressamente il passaggio alle regioni delle funzioni amministrative concernenti le istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza) sia in ragione dell'ulteriore norma di chiusura (lett. i) dello stesso articolo) che sancisce il trasferimento di ogni altra funzione amministrativa esercitata dai prefetti o altri organi centrali e periferici dello Stato ad eccezione di quelle espressamente riservate a quest'ultimo.

Per quanto concerne la tesi sostenuta dalla Commissione di controllo secondo la quale nelle nomine in questione non sarebbe ravvisabile una funzione statale, la ricorrente osserva che il potere di nominare gli amministratori delle IPAB costituisce una forma di controllo atipico e va pertanto assimilato ai controlli previsti ed attribuiti agli organi dello Stato dalla legge 17 luglio 1890 n. 6972.

La regione sostiene inoltre che la fonte primaria di tale potere va rinvenuta nella legge ed il suo esercizio attiene alle funzioni che l'art. 22 del d.P.R. n. 616 del 1977 comprende nella materia della beneficenza pubblica trasferita alle regioni, come si evince anche dalla sentenza n. 173 del 1981 di questa Corte che confermerebbe il trasferimento per tutti i poteri statali, concernenti le IPAB, previsti dalla legge del 1890.

3. - Con identiche argomentazioni contenute in quattro successivi ricorsi notificati rispettivamente in data 22 ottobre 1984, 11 gennaio 1985, 5 dicembre 1985, 22 aprile 1986 la stessa regione Lombardia ha sollevato conflitto di attribuzione nei confronti di cinque provvedimenti emanati da organi periferici dello Stato (tre dal Prefetto di Milano, uno dal Prefetto di Como, ed uno dal Provveditore agli studi di Bergamo) con cui si disponeva la nomina di altrettanti componenti dei consigli di amministrazione di alcune IPAB.

4. - Costituendosi in giudizio, in tutti i citati conflitti, il presidente del consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'avvocatura generale dello Stato, ha sostenuto che la fonte del potere in contestazione va rinvenuta non tanto nella legge quanto nei singoli statuti, così come dispongono gli artt. 4 e 9 della l. n. 6972 del 1890 che, per l'istituzione degli organi di amministrazione e per la nomina e la rinnovazione dei singoli componenti, espressamente rinviano alle norme contenute nelle tavole di fondazione e negli statuti.

Tale rinvio (ribadito negli artt. 10 e 14) costituirebbe, poi, l'espressione di un fondamentale principio della riforma contenuta nella legge del 1890: si sarebbe infatti voluto, ad avviso di tutti i commentatori della legge Crispi, da un lato, assoggettare a controlli dell'autorità amministrativa le attività delle IPAB, e dall'altro, affermare la necessità del rispetto della volontà del fondatore per quanto riguarda il fine assegnato all'istituzione, nonché il modo della sua organizzazione ed amministrazione, strumentalmente essenziali, nella mente dell'istitutore, al raggiungimento del fine desiderato.

É dunque nell'autonomia privata che andrebbe ricercata la fonte del potere di nomina, e ciò anche se gli statuti delle IPAB, dai quali (oltre che dalle tavole di fondazione) vanno desunte le regole che disciplinano la formazione del consiglio di amministrazione, sono soggetti ad approvazione dell'autorità amministrativa. A tale provvedimento verrebbe infatti generalmente riconosciuto il valore di mero controllo che non gli consentirebbe di trasformare lo statuto in atto dello Stato.

L'avvocatura eccepisce poi l'inammissibilità del conflitto avendo esso ad oggetto una competenza non attribuita o comunque garantita dalla Costituzione. Il potere contestato troverebbe infatti la sua fonte esclusiva nella libera volontà del fondatore il quale non é tenuto ad osservare la distribuzione delle competenze amministrative delineata nella costituzione.

Il ricorso risulterebbe poi, comunque, infondato: il rispetto della volontà dei fondatori costituisce infatti un principio fondamentale in materia di ipab e si deve pertanto ritenere che, in occasione dell'attuazione dell'ordinamento regionale, le norme di trasferimento abbiano rispettato il campo riservato, per principio fondamentale e per lunga e mai smentita tradizione, all'autonomia privata, limitando i loro effetti unicamente al campo riservato alla disciplina pubblicistica.

L'avvocatura conclude infine osservando che anche quando si vogliano ritenere inattuali o comunque non più coerenti con il nuovo ordinamento regionale le scelte a suo tempo operate dal fondatore, ciò potrebbe, in ipotesi, giustificare soltanto una riforma statuaria (ammessa dalla giurisprudenza quando sussistono ragioni di pubblico interesse) nelle forme previste dall'art. 62 della legge del 1890, e non anche l'automatica sostituzione degli organi regionali a quelli statali.

Considerato in diritto

1. - Come risulta dalla narrativa in fatto, la Regione Lombardia ha sollevato, con vari ricorsi, conflitto di attribuzione in relazione a provvedimenti di annullamento della Commissione statale di controllo adottati nei confronti di deliberazioni della giunta regionale con le quali era stata disposta la nomina di alcuni componenti dei consigli di amministrazione di istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza operanti nel territorio regionale. Analogo conflitto la stessa ricorrente ha sollevato nei confronti di una serie di provvedimenti con i quali il Prefetto di Milano, quello di Como ed il Provveditore agli studi di Bergamo hanno disposto la nomina di altri componenti delle predette istituzioni avvalendosi del potere loro conferito dagli statuti delle stesse.

2. - Poiché con i ricorsi proposti vengono sollevati conflitti di attribuzione che riguardano tutti la medesima questione, i relativi procedimenti vanno riuniti per essere decisi con unica sentenza.

3. - La regione ricorrente rivendica il potere di nomina dei componenti dei consigli di amministrazione delle istituzioni di assistenza e beneficenza pubblica, non solo in virtù dell'art. 1 lett. a) del d.P.R. 15 gennaio 1972, n. 9 - che trasferisce alle regioni, tra le altre, le funzioni amministrative esercitate dagli organi centrali e periferici dello Stato concernenti le istituzioni di assistenza e beneficenza previste dalla legge 17 luglio 1890, n. 6972 che operano nel territorio regionale - ma altresì in base allo stesso art. 1, lett. i) il quale prevede, come norma di chiusura, anche il trasferimento di ogni altra funzione amministrativa esercitata dai prefetti e dagli altri organi centrali e periferici dello Stato in materia di beneficenza pubblica.

Al riguardo sostiene la ricorrente che la legge del 1890 n. 6972 assoggettò tutte le istituzioni in parola (dette IPAB), a regime pubblicistico consistente oltre che nell'imporre una serie di controlli anche nella sottoposizione dei relativi statuti ad approvazione governativa. Per effetto di questa normativa tutte le funzioni esercitabili sulle IPAB sarebbero divenute statuali in quanto inquadrate nel sistema di vigilanza e tutela dello Stato in materia di beneficenza pubblica: tra tali funzioni rientrerebbe anche la nomina dei componenti degli organi di amministrazione.

Inoltre, poiché soltanto la legge sarebbe in grado di conferire potestà o facoltà ad organi dello Stato non potrebbe avere fondamento la tesi, sostenuta dalla Commissione statale di controllo sugli atti di annullamento, per cui il potere di nomina troverebbe la sua fonte nell'autonomia statutaria degli enti, non senza considerare che, talvolta, l' affidamento del potere di nomina ad organi dello Stato é stato imposto alle IPAB con gli atti statali di riconoscimento della personalità.

Quanto all'altra tesi, sostenuta dall'organo di controllo, secondo cui il potere di nomina in parola non potrebbe ricomprendersi nella materia della assistenza e beneficenza pubblica se non per "esterna connessione", la regione rileva che invece proprio l'esistenza di una autonomia statutaria consentirebbe di assimilare la funzione "per così dire costituente" degli organi di amministrazione dell'ente alle funzioni da esso esercitate.

Non avrebbe poi alcun fondamento sostenere che il potere di nomina sarebbe stato attribuito dagli statuti degli enti non all'organo dello Stato in sé ma alla persona fisica titolare dell'ufficio. Difatti, il soggetto titolare di un ufficio non avendo nella sua qualità di persona fisica alcuna giuridica rilevanza, non potrebbe ricevere ed esercitare potestà o funzioni che non siano quelle pubbliche proprie dell'organo o dell'ufficio.

Ritiene infine la ricorrente che anche dalla sentenza n. 173 del 1981 di questa Corte, si desumerebbe l'avvenuto trasferimento alle regioni di tutti i poteri che la legge del 1890 prevede sugli enti di assistenza e beneficenza pubblica.

4. - L'avvocatura generale dello Stato, nel contrastare in nome del presidente del consiglio dei ministri le tesi della regione, sostiene che la fonte del potere di nomina in contestazione va rinvenuta non tanto nella legge, ma negli statuti e quindi nell'autonomia privata, (anche se i primi sono soggetti ad approvazione dell'autorità amministrativa che essendo atto di mero controllo non trasforma lo statuto in atto dello Stato). Inoltre la sentenza n. 173 del 1981 di questa Corte avrebbe ribadito il principio del rispetto della volontà dei fondatori e quindi, fino a quando non intervenga una legge che riformi il sistema assistenziale, si deve escludere che la legislazione fin ad ora emanata, ed in particolare il d.P.R. n. 9 del 1972 abbia potuto incidere sulle disposizioni dettate dai fondatori. Da ciò l'inammissibilità dei ricorsi, avendo essi ad oggetto una competenza non attribuita alle regioni o comunque loro garantita dalla Costituzione.

In alternativa, tali argomentazioni condurrebbero, a detta del resistente, all'infondatezza dei ricorsi, perché i provvedimenti legislativi di trasferimento non avrebbero potuto incidere sull'assetto degli enti quale determinato dagli statuti.

Escluso poi che il potere di nomina possa essere inquadrato nella materia dei controlli, l'avvocatura conclude rilevando che qualora l'attribuzione di tale potere ad organi dello Stato dovesse apparire non più coerente con l'ordinamento regionale, ciò potrebbe al massimo giustificare una riforma statutaria e non anche l'automatica sostituzione nel potere stesso degli organi regionali a quelli statali.

5. - Sulla base di quanto risulta degli atti é pacifico che, in tutti i casi presi in considerazione nei provvedimenti impugnati, l'attribuzione ad organi dello Stato del potere di nomina di qualcuno dei componenti del consiglio di amministrazione delle istituzioni di beneficenza, interessate dai provvedimenti impugnati, discende direttamente da una norma dei rispettivi statuti.

Questa circostanza, a detta della regione ricorrente, non escluderebbe tuttavia che il potere di nomina degli amministratori trovi pur sempre la sua fonte nella legge.

Al riguardo osserva però la Corte che, secondo quanto risulta da una secolare elaborazione giurisprudenziale e come anche la dottrina più recente ha chiarito, caratteristica del regime giuridico delle IPAB é l'intrecciarsi di una intensa disciplina pubblicistica con una notevole permanenza di elementi privatistici, il che conferisce ad esse una impronta assai peculiare rispetto ad altre istituzioni pubbliche. Da una parte, dunque, una supervisione statale e, dall'altra una larga autonomia funzionale, specie per quelle istituzioni non amministrate dagli ECA, incentrata sul rispetto della volontà dei fondatori, sul valore giuridico delle tavole di fondazione e sulla capacità statutaria riconosciuta alle istituzioni in parola. É stato così posto in risalto come questa autonomia funzionale sia estremamente incisiva nel campo della composizione degli organi e faccia assumere notevole rilievo ai caratteri originari delle istituzioni in parola.

6. - É seguendo tale ordine di idee che, ad esempio, la legge di riforma dell'assistenza ospedaliera n. 132 del 1968, nell'imprimere un nuovo e diverso assetto alle strutture ad essa relative, istituendo in modo uniforme la figura degli "Enti ospedalieri" nei quali trasfuse strutture e compiti delle analoghe precedenti istituzioni di beneficenza, tenne ben presente l'esigenza di preservare le finalità perseguite dai fondatori, riservando appunto una quota dei componenti dei consigli di amministrazione "agli originari interessi dell'ente" (art. 9 n. 3).

Analogamente la commistione tra autonomia privata e disciplina pubblicistica é tenuta ben presente dalla sentenza di questa Corte n. 173 del 1981, che, allo scopo di dichiarare l'illegittimità costituzionale, per eccesso di delega, di alcune norme del d.P.R. n. 616 del 1977 che intendevano sopprimere tutte le istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza pubblica infraregionale, trasferendone i compiti ed i beni ai comuni, ha affermato testualmente che la realizzazione "di un simile intento avrebbe richiesto un esame sia pure sommario dei criteri di superamento del regime contenuto nella l. 17 luglio 1890 n. 6972". Soggiunge la sentenza che "non poteva essere ignorato lo spessore storico delle istituzioni disciplinate da questa legge organica, né si poteva omettere una riconsiderazione dei principi fondamentali che la ispirarono (rispetto della volontà dei fondatori, controlli giustificati dal fine pubblico dell'attività svolta in situazioni di autonomia). Inoltre, sarebbe stato motivo di riflessione la pluralità di forme e di modi in cui l'attività assistenziale viene prestata, differenze non prese come tali in considerazione della legge Crispi, preoccupata di unificare sul piano delle figure soggettive (al fine di sottoporle al controllo dell'autorità civile) i vari tipi di opere pie formatesi nel corso di una vicenda di durata ultrasecolare. Ma dopo l'entrata in vigore della Costituzione repubblicana, intraprendere una riforma del sistema, come é configurato dalla legge Crispi, comporta che si faccia debito conto dei precetti contenuti negli artt. 18, 19, 33 e 38 Cost. e che sia affrontato, alla luce dell'art. 38, ultimo comma, il tema del pluralismo delle istituzioni in relazione alle possibilità di pluralismo nelle istituzioni".

7. - Dai principi già affermati dalla Corte e testé riferiti deve dunque arguirsi che, fino a quando il legislatore statale non avrà provveduto ad una riforma organica dell'intero sistema, l'assetto delle istituzioni sopravvissute per effetto della richiamata sentenza n. 173 del 1981 é quello risultante dalla normativa preesistente la quale attribuisce rilievo determinante con specifico riferimento alla composizione degli organi di amministrazione - alla volontà dei fondatori come é espressa nelle tavole di fondazione e negli statuti.

In questo quadro non può perciò condividersi la tesi della regione ricorrente, la quale - per sostenere, a norma dell'art. 1 del d.P.R. n. 9 del 1972, l'avvenuto trasferimento agli organi regionali del potere di nomina degli amministratori che gli statuti dell'ente demandano ad organi dello Stato - riconduce alla legge del 1890 n. 6972 quel potere, con la conseguenza di considerarlo compreso nella materia della beneficenza pubblica già di spettanza dello Stato e quindi, come tale, oggetto di trasferimento alle regioni.

Le considerazioni svolte in precedenza circa la rilevanza dei riflessi dell'autonomia privata in ordine alla struttura ed al funzionamento delle IPAB, conducono perciò a conclusioni opposte rispetto a quelle sostenute dalla ricorrente. Difatti é proprio per rendere giuridicamente rilevante nell'ordinamento il momento dell'autonomia, che la legge del 1890, tuttora vigente, rinvia agli statuti, mostrando così di rimettersi - in ordine ai profili considerati - alla volontà espressa nelle tavole di fondazione e, una volta costituito l'ente, alla sua autonomia, che idealmente costituisce la proiezione della originaria volontà dei fondatori. Fonte del potere di nomina sono dunque gli statuti ed il mutamento della titolarità di questo potere non potrebbe avvenire che tramite la modifica di essi.

8. - In proposito non sembra comunque assumere rilevanza, ai fini del decidere, la legge regionale n. 20 del 1972 che, all'art. 3 - peraltro abrogato dalla successiva legge 23 gennaio 1986 n. 1 (art. 90) - attribuisce alla Giunta il potere di nomina dei componenti dei consigli d'amministrazione delle IPAB.

É noto difatti - e su ciò, sembra convenire la stessa regione ricorrente - come la legge regionale sia di per sé inidonea al trasferimento di funzioni alle regioni ed é quindi, in ogni caso, ai decreti di trasferimento che occorre riferirsi per individuare l'ambito delle materie di competenza regionale.

9. - Da quanto precede risulta perciò che la ricorrente, nel sostenere l'avvenuto trasferimento in suo favore del potere di nomina in parola fa riferimento ad una funzione la cui attribuzione ad organi dello Stato deriva dagli statuti, sia pure attraverso il rinvio operato dalla legge statale. Questo risulta in modo estremamente chiaro dall'art. 9 della legge del 1890 n. 6972 il quale stabilisce che "la nomina e la rinnovazione degli amministratori di una istituzione pubblica di assistenza e beneficenza, che non sia posta sotto l'amministrazione della congregazione di carità, si fanno a termine delle tavole di fondazione e dei rispettivi statuti".

Nel caso di specie si é perciò al di fuori dell'ipotesi del conflitto di attribuzione, rivendicandosi dalla ricorrente una funzione che la Costituzione non poteva considerare nel riparto delle materie fra Stato e regioni e che, pertanto, non poteva formare oggetto di trasferimento ad opera del d.P.R. n. 9 del 1972. Come é stato difatti chiarito da questa Corte nella più volte richiamata sentenza n. 173 del 1981, sia pure con riferimento all'art. 25 del successivo decreto di trasferimento n. 616 del 1977 che riguardava espressamente la materia delle IPAB, una diretta incidenza delle norme statali sulla struttura di tali istituzioni potrebbe conseguire soltanto ad opera di una legge organica che tenga nel debito conto le peculiarità del settore.

I proposti conflitti, perciò, concernendo funzioni che per la loro natura (individuata in base alla fonte attributiva del potere) non potevano costituire oggetto di trasferimento, devono essere dichiarati inammissibili per difetto dei relativi presupposti.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

Previa loro riunione, dichiara inammissibili i ricorsi per conflitto di attribuzione proposti dalla Regione Lombardia nei confronti dello Stato per l'annullamento dei provvedimenti indicati in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 21 maggio 1987.

 

Il Presidente: LA PERGOLA

Il Redattore: CAIANIELLO

Depositata in cancelleria il 25 maggio 1987.

Il direttore della cancelleria: VITALE