Sentenza n.169 del 1987

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SENTENZA N. 169

ANNO 1987

 

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici

Prof. Antonio LA PERGOLA, Presidente

Prof. Virgilio ANDRIOLI

Prof. Giuseppe FERRARI

Dott. Francesco SAJA

Prof. Giovanni CONSO

Prof. Ettore GALLO

Prof. Aldo CORASANITI

Prof. Giuseppe BORZELLINO

Dott. Francesco GRECO

Prof. Renato DELL'ANDRO

Prof. Gabriele PESCATORE

Avv. Ugo SPAGNOLI

Prof. Francesco P. CASAVOLA

Prof. Antonio BALDASSARRE

Prof. Vincenzo CAIANIELLO

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 3, comma secondo, r.d.l. 23 luglio 1925, n.1605 "Costituzione di un Istituto nazionale a favore degli impiegati degli enti locali e dei loro superstiti non aventi diritto a pensione" convertito in legge 18 marzo 1926, n. 562 "Conversione in legge, con approvazione complessiva, di decreti Luogotenenziali e Regi aventi per oggetto argomenti diversi" promosso con ordinanza emessa il 10 gennaio 1979 dalla Corte dei conti sul ricorso proposto da Barbano Guido iscritta al n. 884 del registro ordinanze 1980 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 63 dell'anno 1981;

Udito nella camera di consiglio del 26 marzo 1987 il Giudice relatore Vincenzo Caianiello.

Ritenuto in fatto

Guido Barbano, geometra già alle dipendenze del Comune di Genova, sospeso cautelarmente dal servizio a decorrere dal 27 agosto 1963 e poi, con la stessa decorrenza, destituito dall'impiego a seguito di sentenza della Corte di cassazione con cui veniva confermata la condanna a 4 anni e 4 mesi di reclusione per i reati di falso e truffa, si era visto riconoscere un assegno vitalizio di L. 500.100, con decorrenza 1ø agosto 1966, in relazione al servizio prestato dal 1ø marzo 1950 al 26 agosto 1963 (deliberazione n. 1740 del 6 novembre 1972).

Avverso tale provvedimento il Barbano aveva presentato ricorso alla Corte dei conti, sostenendo tra l'altro di aver diritto ad una diversa decorrenza iniziale del trattamento riconosciutogli, in quanto egli fin dal 27 agosto 1963, a seguito di sospensione cautelare prima e di destituzione poi, aveva cessato dal servizio.

La terza sezione giurisdizionale della Corte dei conti, rilevato come, alla stregua della legislazione vigente, il provvedimento adottato dal Comune di Genova fosse da considerarsi corretto, dubitava della legittimità costituzionale dell'art. 3, secondo comma, del r.d.l. 23 luglio 1925, n. 1605, relativamente al diniego di corresponsione di assegno vitalizio nei confronti di ex dipendenti degli enti locali cessati dal servizio per loro colpa.

La norma de qua, abrogata in ragione dell'art. 1 della legge 8 giugno 1966, n. 424, continuerebbe in effetti a produrre parzialmente i suoi effetti in casi come quelli di specie, in cui il riconoscimento dell'assegno vitalizio non può che decorrere dalla data fissata nell'art. 2 della stessa legge n. 424 del 1966 e cioè dal 1ø agosto 1966, restando così scoperto il periodo intercorrente tra la data di cessazione dal servizio (27 agosto 1963) e quella prevista dalla legge.

Ricordata la copiosa giurisprudenza della Corte susseguitasi alla sentenza n. 3 del 1966, il giudice a quo non nutriva dubbi circa la natura di retribuzione differita da riconoscersi all'assegno vitalizio di che trattasi e riteneva pertanto che la disposizione di cui all'art.3, comma secondo, dal r.d.l. 23 luglio 1925, n.1605, potesse essere in contrasto sia con l'art. 3 della Costituzione, a causa della disparità di trattamento che sussisterebbe a seguito dell'applicazione della norma de qua, sia con l'art. 36 Cost., in ragione del fatto che il trattamento di quiescenza non é che la logica prosecuzione della retribuzione percepita in costanza di servizio.

L'ordinanza veniva ritualmente notificata e comunicata; non si aveva intervento del Presidente del consiglio né costituzione di parti.

Considerato in diritto

1. - Oggetto della questione di costituzionalità sollevata dalla Corte dei Conti nel corso di un giudizio in materia di pensioni é l'art. 3, secondo comma del r.d.l. 23 luglio 1925, n. 1605, il quale prevede che in caso di provvedimenti di dispensa dei dipendenti degli enti locali per colpa dell'interessato questi non abbia diritto alla corresponsione dell'assegno vitalizio I.N.A.D.E.L. previsto dal primo comma dello stesso art. 3, pur se in possesso degli altri requisiti per ottenerne la concessione.

Ad avviso della Corte dei conti la norma sarebbe in contrasto con gli art.li 3 e 36 della Costituzione rispettivamente in relazione al principio di uguaglianza, nonché con riferimento al diritto del lavoratore ad una retribuzione proporzionata alla qualità e quantità del lavoro prestato e ciò avuto riguardo al carattere retributivo del trattamento di quiescenza.

2. - Come ha rilevato anche il giudice a quo nell'ordinanza di rinvio, la norma denunciata - di contenuto analogo all'art. 11 della legge 13 marzo 1950 n. 120, già a sua volta dichiarata costituzionalmente illegittima con sentenza n. 204 del 1972 - é stata espressamente abrogata solo in virtù della Legge n. 424 del 1966. Essa, pertanto, era quella applicabile nel periodo intercorrente tra la data della dispensa dall'impiego del ricorrente nel giudizio a quo e quella dell'entrata in vigore della Legge n. 424 del 1966, onde la rilevanza, ratione temporis, della questione qui sollevata, in quanto il dipendente, che aveva ricorso dinanzi alla Corte dei conti, era stato sospeso cautelarmente dal servizio a decorrere dal 26 agosto 1963 e poi, con la stessa decorrenza, dispensato dall'impiego.

3. - Per quel che riguarda il merito, questa Corte ha più volte affermato il principio secondo cui degli assegni di quiescenza aventi natura di retribuzione differita non può essere privato il lavoratore, qualunque sia la causa della cessazione del rapporto di lavoro (da ultimo sentenze n. 288 del 1983 e n. 31 del 1987).

All'assegno vitalizio previsto dall'art. 3 del r.d.l. 23 luglio 1925, n. 1605, deve essere riconosciuta la natura di retribuzione differita essendo esso proporzionato al numero degli anni di servizio prestati, onde il contrasto con l'articolo 36 della Costituzione della citata norma, sulla base dei principi costantemente affermati da questa Corte.

4. - Resta così assorbita la questione di costituzionalità della stessa norma sollevata in riferimento all'art. 3 della Costituzione.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 3, secondo comma, del r.d.l. 23 luglio 1925 n. 1605 (norme relative alla costituzione di un istituto nazionale a favore degli impiegati degli enti locali e dei loro superstiti non aventi diritto a pensione), in quanto prescrive che non si fa luogo alla concessione dell'assegno previsto dal primo comma dello stesso articolo, in caso di provvedimenti di dispensa dovuti a colpa dell'interessato.

Così deciso in Roma, in camera di consiglio, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 7 maggio 1987.

 

Il Presidente: LA PERGOLA

Il Redattore: CAIANIELLO

Depositata in cancelleria il 15 maggio 1987.

Il direttore della cancelleria: VITALE