Sentenza n.98 del 1987

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SENTENZA N. 98

ANNO 1987

 

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici

Prof. Antonio LA PERGOLA, Presidente

Prof. Virgilio ANDRIOLI

Prof. Giuseppe FERRARI

Prof. Giovanni CONSO

Prof. Ettore GALLO

Prof. Aldo CORASANITI

Prof. Giuseppe BORZELLINO

Dott. Francesco GRECO

Prof. Renato DELL'ANDRO

Prof. Gabriele PESCATORE

Avv. Ugo SPAGNOLI

Prof. Francesco P. CASAVOLA

Prof. Antonio BALDASSARRE

Prof. Vincenzo CAIANIELLO

        ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale del combinato disposto degli artt. 4 e 15 d.l. 2 marzo 1974, n. 30, convertito in legge 16 aprile 1974, n. 114 (Norme per il miglioramento di alcuni trattamenti previdenziali ed assistenziali); art. 5 d.l. 10 giugno (rectius: 30 giugno) 1972, n. 267, convertito in legge 11 agosto 1972, n. 485 (miglioramenti di alcuni trattamenti pensionistici ed assistenziali); art. 22 legge 21 luglio 1965, n. 903; art. 152 disp. att. cod. proc. civ. nel testo novellato dall'art. 9 legge 11 agosto 1973, n. 533 (Disciplina delle controversie individuali di lavoro e delle controversie in materia di previdenza e di assistenza obbligatorie); promosso con ordinanza emessa il 25 maggio 1979 dal Pretore di Parma nel procedimento civile vertente tra Raffaini Bolzoni Luisa e l'I.N.P.S. iscritta al n. 591 del registro ordinanze 1979 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 298 dell'anno 1979;

Visti gli atti di costituzione di Raffaini Bolzoni Luisa e dell'I.N.P.S. nonché l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

Udito nell'udienza pubblica del 13 gennaio 1987 il Giudice relatore Francesco Greco;

Uditi gli avvocati Franco Agostini per Raffaini Bolzoni Luisa, Giacomo Giordano per l'I.N.P.S. e l'Avvocato dello Stato Giorgio D'Amato per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

1. - Con decreto in data 15 marzo 1979 il Pretore di Parma ingiungeva a Raffaini Bolzoni Luisa di restituire all'I.N.P.S. la somma di lire 466.960, pretesa nell'assunto che la sua corresponsione fosse frutto di errore in quanto, siccome titolare di pensione di riversibilità, non le spettavano gli assegni familiari per i figli ultradiciottenni occupati come apprendisti.

Nel corso del susseguente giudizio di opposizione lo stesso Pretore sollevava due questioni di legittimità costituzionale, entrambe in riferimento all'art. 3, primo comma, Cost.: 1) l'una concernente il combinato disposto degli artt. 4 e 15 del d.l. 2 marzo 1974 n. 30 (convertito nella legge 16 aprile 1974 n. 114), dell'art. 5 del d.l. 30 giugno 1972 n. 267 (convertito nella legge 11 agosto 1972 n. 485) e dell'art. 22 della legge 21 luglio 1965 n. 903, nella parte in cui nega ai titolari di pensione indiretta o di riversibilità il diritto agli assegni familiari per i figli che siano apprendisti e non abbiano superato il ventunesimo anno; 2) l'altra concernente l'art. 152 disp. att. cod. proc. civ., nel testo novellato dall'art. 9 della legge 11 agosto 1973 n. 533, in quanto limita il beneficio dell'esonero dalle spese processuali del lavoratore soccombente in cause previdenziali ai soli casi dei giudizi da questo promossi, senza estenderlo a quelli analoghi di giudizi comunque vertenti fra enti previdenziali o assistenziali ed aventi titolo alle prestazioni da essi erogate, abbiano o meno la qualità di lavoratori ed abbiano essi stessi promosso la causa.

Sulla prima questione, il giudice a quo, ritenendone in re ipsa la rilevanza, in relazione all'oggetto del giudizio, in punto di non manifesta infondatezza ha osservato: 1) che il diritto alla corresponsione degli assegni familiari per i figli di età compresa fra i diciotto ed i ventuno anni occupati come apprendisti é stato introdotto dall'art. 15 del d.l. n. 30/1974 con disposizione innovativa rispetto all'art. 4 del precedente T.U. approvato con d.P.R. n. 797/1955; 2) che l'ambito soggettivo di efficacia della nuova norma risulta però circoscritto, dall'art. 4 dello stesso d.l. n. 30/1974 (e della relativa legge di conversione, n. 114/1974), ai soli titolari di pensione diretta: ed inoltre, quest'ultima disposizione rinvia all'art. 5 della legge n. 485/1972 (di conversione del d.l. n. 267/1972), secondo il quale, ai titolari di trattamenti pensionistici indiretti, gli assegni in questione spettano solo per quanti sono i beneficiari, ad eccezione del coniuge superstite, per i quali sono state o sarebbero state corrisposte le quote di maggiorazione della pensione diretta; 3) che l'indicazione di tali beneficiari va ricercata nell'art. 22 della legge 21 luglio 1965 n. 903, che, appunto, non annovera fra gli stessi i figli maggiorenni, ma infraventunenni, occupati come apprendisti; 4) onde la denunciata disparità di trattamento fra titolari di pensione diretta e titolari di pensione indiretta o di riversibilità, non sorretta da alcuna apprezzabile giustificazione sul piano della ragionevolezza.

Della seconda questione il Pretore ha ritenuto la rilevanza osservando che il giudizio pendente davanti a lui era stato instaurato nella forma dell'opposizione a decreto ingiuntivo e che in esso si controverteva, fra l'altro, dell'obbligo del titolare di pensione di riversibilità di corrispondere all'I.N.P.S. le spese del giudizio stesso, da questo "promosso" con la richiesta del decreto opposto. Nel merito ha osservato che se la ratio della norma di favore contenuta nell'art. 152 disp. att. cod. proc. civ. nuovo testo sta nel garantire appieno la tutela giurisdizionale, evitando che, in materia di assicurazioni sociali, taluno possa essere distolto dal far valere in giudizio le proprie ragioni, per timore degli oneri di una eventuale soccombenza, la stessa ratio si impone anche nei casi in cui il giudizio circa la spettanza o non di determinate prestazioni non sia promosso dall'avente diritto alle medesime, ma dall'ente erogante ovvero nei casi in cui l'avente diritto non abbia la qualità di "lavoratore", non sia, cioè, di titolare di uno dei rapporti di cui all'art. 409 cod. proc. civ., ma un cittadino bisognoso, titolare delle prestazioni assistenziali o siano "superstiti" del lavoratore assicurato, come nella fattispecie. L'identità di ratio non giustifica, dunque, la previsione letteralmente restrittiva della norma censurata, che si pone così in contrasto col citato precetto costituzionale.

2. - L'ordinanza, emessa il 25 maggio 1979, é stata ritualmente comunicata, notificata e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 298 del 1979.

Nel susseguente giudizio davanti a questa Corte si sono costituiti l'I.N.P.S. e le parti private; é intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri.

a) La parte privata, relativamente alla prima questione, si é limitata ad esprimere l'avviso che il dubbio di incostituzionalità sollevato dal giudice a quo debba essere condiviso nei termini in cui é prospettato; mentre, relativamente alla seconda questione, ha osservato che l'interpretazione della norma censurata, fatta propria dallo stesso giudice, appare probabilmente troppo restrittiva, specie alla stregua degli orientamenti ermeneutici espressi dalla Corte di Cassazione, che sembrano giustificare un'applicazione del beneficio dell'esonero dalle spese processuali anche a casi non strettamente riconducibili alla mera dizione letterale della disposizione, ma caratterizzati dall'identità della ratio rispetto a quelli nei quali il beneficio stesso é, secondo tale dizione, sicuramente dovuto.

b) La difesa dell'I.N.P.S. ha concluso nel senso dell'infondatezza della questione relativa agli assegni familiari osservando in particolare:

1) l'art. 22 della legge n. 903/1965 regola la materia della pensione ai superstiti, includendo fra gli aventi titolo alla stessa i figli del pensionato (o assicurato) deceduto a condizione che essi non abbiano superato il diciottesimo anno o, se studenti universitari ovvero di scuola media professionale, il ventunesimo anno. Proroga analoga a quest'ultima non é, invece, da tale norma prevista per i figli ultradiciottenni occupati come apprendisti. Né in ciò può ravvisarsi illegittima disparità di trattamento, non potendosi intravedere identità di posizione fra gli apprendisti, i quali normalmente non sono in grado di procurarsi redditi da lavoro;

2) se per tali ragioni non é censurabile la citata norma, il dubbio di incostituzionalità non può investire neanche le altre norme denunciate dal Pretore: invero l'art. 5 del d.l. n. 267/1972 (convertito in legge n. 485/1972) si é limitato ad estendere il beneficio delle quote di maggiorazioni precedentemente concesso ai soli titolari di pensioni dirette, anche ai titolari di pensioni indirette, quali si individuano ai sensi del citato art. 22 della legge n. 903/1965. L'art. 4 del d.l. n. 30/1974 (convertito in legge n. 114/1974) ha sostituito il sistema delle maggiorazioni delle pensioni (sia dirette che indirette o di riversibilità) con quello degli assegni familiari di cui al T.U. approvato con d.P.R. n. 797/1955; ed infine l'art. 15 del medesimo d.l. n. 30/1974 ha sostituito una norma del citato T.U. del 1955 (art. 4), introducendo un'estensione del beneficio di percezione di detti assegni, in favore del titolare dei medesimi (lavoratore o pensionato), per i figli ultradiciottenni a carico, occupati come apprendisti.

Sulla seconda eccezione, la stessa difesa dell'I.N.P.S. ha osservato che essa può ritenersi rilevante, in relazione al caso di specie, solo per quanto attiene ai profili dell'esclusione del beneficio dell'esonero dalle spese di lite, nei giudizi non "promossi" da "lavoratori", ma, nei confronti di questi, dagli istituti previdenziali ovvero nei giudizi promossi da soggetti non aventi qualifica di "lavoratori", non potendosi riconoscere alcuna pregiudizialità al profilo concernente le cause in materia di prestazioni assistenziali. Pur nei profili ritenuti rilevanti, la difesa dell'I.N.P.S. nega, tuttavia, fondamento all'eccezione, osservando che la condizione del lavoratore costretto ad agire giudizialmente nei confronti dell'istituto previdenziale, dopo l'esito negativo del preventivo procedimento amministrativo, che più fondatamente può indurre a paventare i rischi della soccombenza, non é assimilabile a quella del soggetto, "lavoratore" o non, che si trovi ad essere convenuto in un giudizio promosso dall'istituto stesso.

c) L'Avvocatura Generale dello Stato ha contestato la fondatezza di entrambe le questioni.

Quanto alla prima, ha osservato che la lamentata disparità di trattamento non sussiste, attesa la diversità strutturale e funzionale degli assegni familiari nella pensione diretta ed in quella ai superstiti. Nell'una, infatti - allo stesso modo che nel caso del lavoratore ancora attivo - gli assegni in questione vengono attribuiti al titolare della pensione in ragione del suo carico familiare, nell'altra, invece, non rileva il carico familiare di ciascuno dei contitolari della pensione ai superstiti, bensì la condizione personale dell'uno o dell'altro di questi (escluso il coniuge) di essere ricompresi tra i soggetti per cui l'assicurato o pensionato percepiva o avrebbe percepito gli assegni familiari. Sicché, in questo secondo caso, v'é un nesso inscindibile fra detti assegni e titolarità di una quota di pensione.

La morte del pensionato o dell'assicurato determina l'insorgere iure proprio, in capo ai superstiti che ne abbiano titolo, del diritto al trattamento indiretto ed é la sussistenza di tale diritto che condiziona quello all'attribuzione integrativa degli assegni familiari. Conseguentemente, non avendo diritto i figli ultradiciottenni occupati come apprendisti a pensione di riversibilità, si giustifica anche che relativamente ad essi non possa farsi luogo all'integrazione suddetta, a beneficio di altri aventi diritto, nel nucleo familiare, a siffatta pensione. Né può essere posta come fonte della lamentata disparità di trattamento la circostanza che il titolare di pensione diretta percepisce gli assegni anche per tali figli: non é arbitrario che, deceduto l'assicurato o pensionato, la legge selezioni fra le esigenze familiari, prima unitariamente a questo riferibili, ritenendone solo alcune particolarmente meritevoli di tutela e garantendole con la pensione ai superstiti; a preferenza di altre, come quelle facenti capo ai figli ultradiciottenni occupati come apprendisti, per i quali l'esclusione di tale garanzia é ampiamente giustificata dal rilievo attribuibile all'esigenza di un'occupazione retribuita.

Sulla rilevanza della seconda questione anche l'Avvocatura dello Stato formula osservazioni analoghe a quelle svolte dalla difesa dell'I.N.P.S., mentre circa l'asserita infondatezza della questione stessa rileva in primo luogo come l'ordinanza di rimessione, nell'escludere, con riferimento al caso di specie, la "promozione" del giudizio ad opera della parte ingiunta non abbia minimamente affrontato la problematica propria del procedimento per ingiunzione con particolare riguardo al momento del passaggio dalla fase monitoria alla fase di cognizione piena. Osserva, inoltre, che l'interpretazione della norma censurata, condotta in conformità alla sua ratio, induce a ricomprendere, nel novero dei soggetti cui é accordato il beneficio dell'esonero dalle spese di lite, non soltanto i lavoratori strictu sensu ma anche altri titolari di posizioni di rilievo previdenziale che siano, comunque, correlate ad un pregresso rapporto lavorativo, come nel caso della tutela previdenziale dei superstiti. In ogni caso, la posizione del titolare di legittime aspettative previdenziali non é identica nel caso in cui l'azione sia da questo stesso promossa e nell'altro in cui l'officium iudicis sia sollecitato dall'ente previdenziale: la norma censurata, non mira a favorire l'accesso alla giustizia dei non abbienti, ma ad accertare in giudizio l'erogazione delle prestazioni previdenziali; essa, quindi, non può esplicare la sua funzione nel caso in cui siffatto accertamento é richiesto direttamente dalla parte non beneficiata in ordine alla ripartizione delle spese processuali. É chiaro, poi, che quando l'esito del giudizio abbia portato ad escludere, in capo alla parte interessata, la qualità di lavoratore o, nella possibile più latata interpretazione della norma, di titolare di una situazione di rilievo previdenziale, quale presupposto delle prestazioni rivendicate, devono ritenersi insussistenti le condizioni in presenza delle quali la norma stessa può esplicare la descritta funzione.

Nell'imminenza dell'udienza le parti hanno presentato memorie nelle quali hanno ribadito i loro assunti.

Considerato in diritto

1. - Il Pretore di Parma dubita della legittimità costituzionale:

a) del combinato disposto degli artt. 4 e 15 del d.l. 2 marzo 1974 n. 30, conv. in legge 16 aprile 1974 n. 114, dell'art. 5 del d.l. 30 giugno 1972 n. 267, conv. in legge 11 agosto 1972 n. 485 e dell'art. 22 della legge 21 luglio 1965 n. 903, nella parte in cui nega ai titolari di pensione indiretta o di riversibilità il diritto agli assegni familiari per i figli di età compresa tra i diciotto e i ventuno anni, occupati come apprendisti, in riferimento all'art. 3, primo comma Cost., per la irragionevole disparità di trattamento così determinata tra i detti titolari ed i pensionati diretti, ai quali gli assegni familiari spettano anche per i figli che si trovano nella suddetta condizione;

b) dell'art. 152 disp. att. cod. proc. civ. nel testo novellato dall'art. 9 della legge 11 agosto 1973 n. 533, in quanto accorda il beneficio dello esonero dal pagamento delle spese processuali al lavoratore soccombente nei soli giudizi promossi dallo stesso ed aventi ad oggetto prestazioni previdenziali, mentre esclude, pur in presenza di identica ratio, lo stesso beneficio allorché il lavoratore si trovi nella posizione di convenuto ovvero nei casi in cui il giudizio abbia ad oggetto prestazioni previdenziali o assistenziali non riferibili ad un soggetto qualificabile come lavoratore, sicché risulterebbe violato l'art. 3, primo comma Cost.

2. - Sulla questione sub a) la Corte osserva che le prestazioni ai superstiti sono state regolate in un primo momento dall'art. 22 della legge n. 903/1965 nel senso che, in caso di morte del pensionato o dell'assicurato, sempre che per quest'ultimo sussistevano le condizioni di assicurazione e di contribuzione richieste dalla legge (art. 2, lett. a) e b) stessa legge), esse spettavano al coniuge ed ai figli superstiti al momento della morte dei suddetti, di età non superiore ai 18 anni o di qualunque età se inabili al lavoro ed a carico dei genitori al momento del decesso.

Per i figli superstiti a carico dei genitori al momento della morte che non prestavano lavoro retribuito, il limite di età é stato elevato fino al ventunesimo anno se frequentavano una scuola media professionale e per tutta la durata del corso legale ma non oltre il ventiseiesimo anno di età, se erano universitari.

Le prestazioni ai pensionati diretti sono state regolate dall'art. 21 della stessa legge il quale prevedeva, per i figli di età non superiore ai 18 anni o di età superiore se a carico, delle quote di maggiorazione con estensione fino al massimo di anni 21, se studenti di scuola media professionale, e fino ad anni 26 se studenti universitari.

Successivamente l'art. 44 della legge n. 153 del 1969 ha ampliato la previsione dell'art. 21 suddetto; ha, tra l'altro, disposto, per gli stessi beneficiari delle quote di maggiorazione delle pensioni, l'esclusione del diritto agli assegni familiari o alle integrazioni, comunque denominate, della retribuzione.

Il successivo art. 46 della stessa legge, con decorrenza 1ø gennaio 1970, ha previsto la spettanza delle quote di maggiorazione delle pensioni per dodici mesi all'anno nella stessa misura degli assegni familiari corrisposti ai lavoratori della industria.

Pertanto, nella vigenza delle norme citate, il trattamento dei titolari delle pensioni dirette é stato diverso da quello fatto ai titolari di pensioni indirette o di riversibilità nel senso che ai primi spettava una quota di maggiorazione per i figli che versavano in determinate condizioni, mentre gli stessi figli superstiti erano titolari di una quota di pensione per quanto le quote di maggiorazione fossero di entità pari agli assegni familiari.

L'art. 5 della legge n. 485 del 1972, con effetto 1ø luglio 1972, ha operato la parità di trattamento tra le due pensioni, disponendo che anche ai superstiti di assicurati o di pensionati titolari di pensione indiretta o di riversibilità a carico dell'assicurazione generale obbligatoria per invalidità, vecchiaia e superstiti di lavoratori dipendenti o delle gestioni speciali dell'assicurazione medesima per i lavoratori autonomi spettavano le quote di maggiorazione della pensione suddetta entro i limiti ed alle condizioni previste dall'art. 21 della legge 21 luglio 1965 n. 903 e dall'art. 46 della legge 30 aprile 1969 n. 153 per quanti fossero i beneficiari, escluso il coniuge superstite da considerarsi come primo intestatario della pensione o addirittura come "titolare" ai fini della riscossione.

L'art. 4 del d.l. 2 marzo 1974 n. 30, conv. in legge n. 114 del 1974 ha previsto, in sostituzione delle quote di maggiorazione, la concessione degli assegni familiari di cui al T.U. approvato con d.P.R. 30 maggio 1955 n. 797 e successive modificazioni. É ovvio, quindi, che trovano applicazione anche le altre norme che disciplinano la materia ed in particolare quelle che determinano le condizioni per la concessione del beneficio oltre che quelle che stabiliscono l'entità delle quote e le modalità di erogazione.

Tra dette norme hanno rilevanza nella fattispecie i commi terzo e quinto dell'art. 4 secondo cui gli assegni sono corrisposti fino al ventunesimo anno ai figli che frequentino una scuola media professionale o una scuola media o l'università e non prestino lavoro retribuito e l'erogazione dei detti assegni permane per tutta la durata del rapporto di apprendistato.

Inoltre, l'art. 15 del detto d.l. n. 30 del 1974, conv. in legge n. 114/1974, dopo avere regolato la materia della concessione degli assegni familiari, ha stabilito che gli assegni sono corrisposti fino al ventunesimo anno per i figli a carico che siano occupati come apprendisti.

L'art. 16 successivo ha previsto alcune incompatibilità tra gli assegni ed altre quote integrative con la possibilità per il beneficiario di optare per il migliore trattamento.

Gradualmente, quindi, come di solito avviene in materia previdenziale, specie per le esigenze finanziarie di bilancio, si é attuata la parità di trattamento tra i titolari di pensione diretta ed i titolari di pensione indiretta o di riversibilità in punto di concessione prima delle quote di maggiorazione e poi degli assegni familiari, sostitutivi delle quote di maggiorazione. Il che si desume dalla interpretazione delle norme di previsione compiuta secondo i criteri interpretativi generali e normali (lettera e logica della norma). E che, del resto, é quella effettuata dai giudici di merito e di recente anche dalla Corte di cassazione con un indirizzo che sembra costante ed univoco.

Pertanto, nei su indicati sensi la questione non é fondata.

3. - Per quanto riguarda la questione sub b), questa Corte ha già ritenuto (sentt. nn. 23/1973 e 60/1979) che la ratio della norma censurata é quella di garantire al lavoratore la tutela, nelle vie giudiziali, della sua fondata pretesa al conseguimento delle prestazioni previdenziali o assistenziali mediante l'esonero dal pagamento delle spese del giudizio in caso di soccombenza; che detto esonero concreta un meccanismo di neutralizzazione della notoria minore resistenza del lavoratore di fronte al rischio del processo che, apparendo troppo gravoso, lo possa distogliere dal far valere in giudizio la sua fondata pretesa previdenziale o assistenziale; che tutti i lavoratori, siccome versano nella identica situazione psicologica, hanno titolo alla stessa forma di tutela e cioè al detto esonero, che rimuove le conseguenze economiche derivanti dalla soccombenza nel giudizio, sia che si tratti di prestazioni previdenziali che di prestazioni assistenziali.

I su richiamati principi, secondo un indirizzo giurisprudenziale ormai costante anche della Cassazione, sono stati applicati anche ad altre fattispecie sempre che la controversia abbia come oggetto una prestazione previdenziale o assistenziale e come parte del giudizio, non importa se attrice o convenuta, oltre l'Istituto erogatore, sia un soggetto che abbia titolo a conseguirla. Detto titolo può derivare non solo da un rapporto in corso o già cessato, ma anche dalla legge che accordi il beneficio ad una determinata categoria di soggetti quale, per esempio, i superstiti del lavoratore. La posizione assicurativa del lavoratore si trasmette anche ad essi anche se la loro pretesa nei confronti dell'ente che deve erogare la prestazione trovi ulteriore titolo specifico nella morte del lavoratore e l'attribuzione avvenga ex lege, iure proprio.

Indubbiamente gli assegni familiari costituiscono una prestazione previdenziale cui il lavoratore o i suoi superstiti hanno diritto. E nel giudizio che i beneficiari sono costretti ad instaurare per ottenerli o, in genere, per dirimere un'eventuale contestazione, ricorrendo la identica ratio, trova egualmente applicazione la norma censurata sempre che la lite non sia temeraria e manifestamente infondata.

Pertanto, nei su indicati sensi, anche questa questione non é fondata.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara non fondate, nei sensi di cui in motivazione, le questioni di legittimità costituzionale:

a) del combinato disposto degli artt. 4 e 15 del d.l. 2 marzo 1974 n. 30 convertito in legge 16 aprile 1974 n. 114, dell'art. 5 del d.l. 30 giugno 1972 n. 267, convertito in legge 11 agosto 1972 n. 485 e dell'art. 22 legge 21 luglio 1965 n. 903;

b) dell'art. 152 disp. att. cod. proc. civ. nel testo novellato con l'art. 9 della legge 11 agosto 1973 n. 533; sollevate dal Pretore di Parma con l'ordinanza in epigrafe in riferimento all'art. 3 Cost.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte Costituzionale, Palazzo della Consulta, il 26 marzo 1987.

 

Il Presidente: LA PERGOLA

Il Redattore: GRECO

Depositata in cancelleria il 3 aprile 1987.

Il direttore della cancelleria: VITALE