Sentenza n.8 del 1987

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SENTENZA N. 8

ANNO 1987

 

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori giudici

Prof. Virgilio ANDRIOLI, Presidente

Prof. Giuseppe FERRARI

Dott. Francesco SAJA

Prof. Giovanni CONSO

Prof. Aldo CORASANITI

Prof. Giuseppe BORZELLINO

Prof. Renato DELL'ANDRO

Prof. Gabriele PESCATORE

Avv. Ugo SPAGNOLI

Prof. Francesco Paolo CASAVOLA

Prof. Antonio BALDASSARRE

Prof. Vincenzo CAIANIELLO

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 250, terzo e quarto comma, del codice civile, promosso con ordinanza emessa il 7 maggio 1979 dal Tribunale per i minorenni di Bologna sul ricorso proposto da Lorenzini Mauro contro Bianchi Paola ed altro, iscritta al n. 700 del registro ordinanze 1979 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 338 dell'anno 1979;

Udito nella camera di consiglio dell'11 dicembre 1986 il Giudice relatore Francesco Paolo Casavola;

Ritenuto in fatto

Il Tribunale per i minorenni dell'Emilia-Romagna con ordinanza del 7 maggio 1979 solleva, in riferimento agli artt. 3 e 30 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell'art. 250, commi terzo e quarto, del codice civile, nella parte in cui, qualora un figlio infrasedicenne sia stato già riconosciuto da uno solo dei genitori, preclude all'altro genitore il riconoscimento successivo senza il consenso del primo, o, in caso di opposizione, senza una sentenza del Tribunale sostitutiva di tale consenso.

L'eccezione viene proposta su istanza del pubblico ministero nel corso di un giudizio introdotto da Lorenzini Mauro per il riconoscimento del minore Gianluca, nato a Bologna il 14 settembre 1977. La madre Bianchi Paola, che aveva già riconosciuto il figlio fin dalla nascita, si opponeva alla richiesta del Lorenzini, contestandone la paternità e negandone - nell'interesse del minore - l'idoneità a svolgere responsabilmente il ruolo educativo di padre.

Osserva il Tribunale che la riforma del diritto di famiglia, introdotta con la legge 19 maggio 1975, n. 151, informandosi alla ratio legis dell'art. 30 della Costituzione, si é posta in un'ottica completamente mutata rispetto alla normativa del codice 1942, attribuendo al genitore non già un diritto nei confronti del figlio, ma il dovere di assumere gli obblighi derivanti dalla generazione. A conferma del principio del favor minoris il Tribunale richiama la sentenza n. 121 del 1974 di questa Corte nella quale si afferma essere a carico del genitore l'obbligo di educare, mantenere ed istruire il minore per il solo fatto generazionale, anche se non sia stato accertato il rapporto di filiazione attraverso il riconoscimento o una sentenza costitutiva.

Appare quindi evidente - prosegue l'ordinanza - che secondo il dettato costituzionale il diritto del genitore a riconoscere la prole é strettamente connesso all'interesse della stessa, sì che può essere legittimamente limitato in caso di tardività del riconoscimento. Ma tale tardività andrebbe valutata dalla data della nascita e non dalla semplice circostanza di avere riconosciuto per secondo e richiederebbe quindi un controllo sulle capacità educative del genitore addivenuto troppo tardi alla decisione di assumere la paternità. Tale esigenza potrebbe ritenersi soddisfatta, con il rispetto della parità di trattamento per entrambi i genitori, qualora il legislatore richiedesse un'autorizzazione giudiziale per il riconoscimento che ciascuno di essi volesse effettuare dopo che il figlio avesse raggiunto un'età minima.

Invece l'art. 250 del codice civile non richiede alcun controllo circa l'interesse del minore in caso di riconoscimento, seppure tardivo, del figlio infrasedicenne non ancora riconosciuto da alcuno e attribuisce per contro al genitore che abbia già effettuato il riconoscimento il diritto di opporsi all'analogo atto dell'altro genitore, in virtù del semplice principio della priorità, insufficiente per giustificare tale diversità di trattamento. La tardività del riconoscimento può infatti derivare dall'impossibilità del genitore ad effettuarlo per situazioni contingenti a lui non imputabili o addirittura per il divieto della legge (come nel caso di prole adulterina prima della riforma del 1975). Il genitore, quindi, che voglia "per secondo" accedere al riconoscimento può trovarsi limitato, "pur essendo senza colpa", da eventuali ricatti, pregiudizi o latenti rancori del genitore primo autore del riconoscimento, che, invece, non é soggetto ad alcun controllo anche se ha tardato a sua volta a riconoscere il figlio.

Secondo il giudice a quo tale disparità di trattamento non appare connessa ad una sostanziale diversità delle situazioni di fatto riferibili a ciascun genitore, poiché il legislatore prescinde dalla loro condotta, privilegiando il criterio della mera successione temporale rispetto a quello della imputabilità delle azioni umane.

L'intervento dell'autorità giudiziaria, essendo soltanto eventuale e successivo, si configura pertanto più che come un controllo sul riconoscimento tardivo come un controllo sull'esorbitante potere attribuito al genitore che ha riconosciuto per primo.

Sarebbe stato costituzionalmente corretto - conclude il Tribunale - che il legislatore avesse richiesto il controllo sull'interesse del minore infrasedicenne in ogni caso di riconoscimento tardivo e che avesse previsto l'autorizzazione del giudice in via preventiva, così come stabilito, in tema di attribuzione del cognome del figlio, dall'art. 262, ultima parte, del codice civile, nel testo modificato.

La rilevanza della questione risulta infine dall'impossibilità di decidere il ricorso del signor Lorenzini senza prima stabilire se le norme invocate siano costituzionalmente legittime.

Considerato in diritto

La domanda rivolta alla Corte dal Tribunale per i minorenni dell'Emilia-Romagna, con l'ordinanza del 7 maggio 1979, tende ad ottenere una risposta che rientra nella sfera propria del potere legislativo. Il Tribunale a quo, infatti - nel delineare il profilo della condizione di svantaggio del genitore che, intendendo procedere al riconoscimento tardivo del figlio infrasedicenne, già riconosciuto dall'altro genitore, può esserne impedito dal mancato consenso di questo, superabile solo con una sentenza del Tribunale che tiene luogo del consenso mancante - propone un diverso trattamento che ristabilisca parità tra entrambi i genitori, assoggettandoli ad una autorizzazione giudiziale che valga a controllare l'idoneità del primo come del successivo riconoscimento a realizzare l'interesse del minore. É così prospettata una radicale ristrutturazione della norma che interpella la discrezionalità del legislatore e non il giudice della legittimità costituzionale.

La giurisprudenza di questa Corte ha costantemente dichiarato la inidoneità dello strumento additivo o manipolativo quando non sia prospettata dal giudice a quo una soluzione univoca e costituzionalmente obbligata, ma soltanto una astratta possibilità di nuova produzione legislativa (v. sentenze n. 194 del 1984; nn. 230, 292 e 350 del 1985).

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell'art. 250, commi terzo e quarto, del codice civile, sollevata dal Tribunale per i minorenni dell'Emilia-Romagna con l'ordinanza in epigrafe, in riferimento agli artt. 3 e 30 della Costituzione.

Così deciso in Roma, in camera di consiglio, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 14 gennaio 1987.

 

Il Presidente: ANDRIOLI

Il redattore: CASAVOLA

Depositata in cancelleria il 19 gennaio 1987.

Il direttore della cancelleria: VITALE