Sentenza n. 196 del 1986

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SENTENZA N. 196

ANNO 1986

 

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

Prof. Livio PALADIN, Presidente 

Prof. Antonio LA PERGOLA

Prof. Virgilio ANDRIOLI

Prof. Giuseppe FERRARI

Dott. Francesco SAJA

Prof. Giovanni CONSO

Prof. Ettore GALLO

Dott. Aldo CORASANITI

Prof. Giuseppe BORZELLINO

Dott. Francesco GRECO

Prof. Renato DELL’ANDRO

Prof. Gabriele PESCATORE

Avv. Ugo SPAGNOLI

Prof. Francesco Paolo CASAVOLA, Giudici,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 314/14, u.c. codice civile, inserito con l'art. 4 della legge 5 giugno 1967 n. 431 (Modifiche al titolo VIII del libro del Codice civile "Dell'adozione" ed inserimento del nuovo capo III con il titolo "Dell'adozione speciale"), promosso con ordinanza emessa il 20 novembre 1980 dalla Corte di Cassazione sul ricorso proposto da Pugliese Vita Giulia c/ Borgognoni Antonio ed altro, iscritta al n. 341 del registro ordinanze 1981 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 241 dell'anno 1981.

Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica del 22 aprile 1986 il Giudice relatore Ugo Spagnoli;

udito l'Avvocato dello Stato Giorgio Azzariti per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

1. - Soccombente nel giudizio di appello innanzi la Corte di Appello di Ancona avverso la sentenza del Tribunale per minorenni di quel capoluogo che aveva respinto l'opposizione al decreto dichiarativo dello stato di adottabilità del minore Blandina Davide emesso dallo stesso giudicante, la signora Pugliese Vita Giulia, madre naturale di detto minore, proponeva ricorso per cassazione L'impugnata sentenza era stata pronunciata in data 12 luglio 1978, depositata in data 14 settembre 1978, e notificata alla ricorrente in data 2 dicembre 1978. Il ricorso per cassazione veniva notificato al curatore speciale del minore ed al Procuratore generale della Repubblica presso la Corte di Appello di Ancona in data 31 gennaio 1979, e successivamente depositato presso la Cancelleria della S. C. in data 14 febbraio 1979. Restava così inosservato il termine di 30 giorni fissato dall'art. 314/14, terzo comma, cod. civ., introdotto dalla legge 5 giugno 1967 n. 431. Eccepiva pertanto, preliminarmente, la soccombente, l'illegittimità costituzionale di detta disposizione, nella parte in cui riduce a trenta giorni l'ordinario termine di sessanta giorni previsto dall'art. 325 cod. proc. civ. per l'impugnazione con ricorso per cassazione. Assumeva, a tanto, che violati sarebbero gli artt. 3 e 24 Cost.

Il primo, perché di regola genitori coinvolti nei procedimenti di adozione speciale sarebbero in condizioni economiche e sociali tali da incontrare gravi difficoltà nella presentazione del ricorso per cassazione, sì che la riduzione alla metà dell'ordinario termine sarebbe largamente ingiustificata. Il secondo, perché, attese le suesposte osservazioni, il termine di giorni trenta risulterebbe insufficiente ad assicurare l'adeguato esercizio del diritto di difesa.

Prospettava, poi, la ricorrente, eccezione di legittimità costituzionale del complesso delle norme di cui alla legge n. 431 del 1967, per violazione degli artt. 2, 3, 30 e 31 Cost. Chiedeva, infine, la riforma dell'impugnata sentenza per violazione di legge e per omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione.

2. - Con ordinanza in data 20 novembre 1980, la S. C. riconosceva la non manifesta infondatezza della prima delle dette eccezioni, sollevando questione incidentale di legittimità costituzionale "dell'art. 314/14 ultimo comma del cod. civ. (inserito con l'art. 4 della legge 5 giugno 1967 n. 431) nella parte in cui dispone che nel giudizio sull'opposizione alla dichiarazione sullo stato di adottabilità la sentenza d'appello é impugnabile con ricorso per cassazione nel termine ridotto di trenta giorni".

Ritiene il giudice a quo che il termine di trenta giorni non sia di per sé tanto breve da impedire o rendere troppo difficile l'esercizio del diritto di impugnazione, in ispregio dell'art. 24 Cost. Ragioni di preminente interesse generale attinenti alla sollecita definizione di certi tipi di procedimenti, giustificherebbero infatti la riduzione dei comuni termini di impugnazione. Sul punto, il giudice a quo richiama le sentenze di questa Corte nn. 57 e 58 del 1979, relative alla congruità del termine di trenta giorni utile per l'opposizione al decreto sullo stato di adottabilità, pur ricordando che la dottrina, commentando tali sentenze, ha rilevato - all'opposto - l'eccessiva brevità di detto termine, che si rivelerebbe in genere insufficiente, anche in virtù del fatto che - per la classe economica alla quale in genere appartengono - i soggetti chiamati ad usufruirne abbisognano non di rado del gratuito patrocinio, che richiede tempi tecnici tali da assorbire, talora, l'intero periodo concesso per la presentazione dell'opposizione.

Il contrasto dell'impugnata disposizione con la Costituzione, invero, sarebbe piuttosto prospettabile in riferimento all'art. 3 Cost. A giudizio del giudice a quo, sussisterebbe una ingiustificata parificazione di soggetti che si trovano in situazioni diverse: quella di chi vuole ricorrere per cassazione in materia di adozione speciale, e quella di chi vuole opporsi al decreto dichiarativo dello stato di adottabilità, ovvero impugnare la sentenza del Tribunale a seguito dell'opposizione stessa.

La maggiore difficoltà della proposizione del ricorso per cassazione, rispetto all'interposizione di appello, sarebbe infatti argomentabile dallo stesso art. 325 c.p.c., che riconosce la necessità di un termine per ricorrere per cassazione maggiore di quello per proporre appello. Da un lato, la trasformazione del giudizio da giudizio di cognizione piena a giudizio di puro annullamento renderebbe più difficili la definizione e la prospettazione dei motivi invocati in favore dell'annullamento. Dall'altro, la necessità di mutare, come spesso avviene, il difensore, onde far sì che si tratti di avvocato patrocinante in Cassazione, richiederebbe pur essa un certo dispendio di tempo. Le difficoltà, inoltre, sarebbero ancor più gravi per soggetti che fossero sfavoriti dal punto di vista economico, sociale e culturale. Tali, appunto, sarebbero in genere genitori interessati alla definizione di procedimenti in materia di adozione speciale, per quali pertanto a maggior ragione dovrebbe valere il maggior termine previsto dalla norma generale, piuttosto che quello inferiore stabilito dall'impugnata norma derogatoria.

La violazione del precetto di cui all'art. 3 Cost. verrebbe poi confermata dal fatto che al giudizio di appello ex art. 314/ 14, primo comma, cod. civ., si applica la procedura speciale prevista dall'art. 314/13 per il giudizio di opposizione in Tribunale. Si tratta di procedura assai rapida e semplificata, e pertanto in quella sede sarebbe stata ben giustificata una riduzione del comune termine di impugnazione. Tale termine é invece rimasto immutato, e ciò per il giudice a quo renderebbe ancor meno giustificabile la riduzione del termine per ricorrere per cassazione, atteso che il giudizio innanzi alla S. C., al contrario di quello di merito, non subisce nella specie alcuna altra modificazione rispetto al rito ordinario.

Inoltre, per il giudice rimettente sarebbe sorprendente il fatto che la riduzione del termine di impugnazione sia stata disposta proprio per il ricorso per cassazione, che, al contrario dell'opposizione e dell'appello, per quali é sufficiente il deposito nella cancelleria del giudice adìto, richiede, prima del deposito, la tempestiva notifica alle controparti, che comporta ulteriore dispendio di tempo.

Infine, rileva il giudice a quo che le speciali ragioni di celerità, che avrebbero potuto pur giustificare una riduzione dei termini utili per l'appello, non sussistono nel caso del ricorso per cassazione, che non sospende l'esecuzione della sentenza impugnata (artt. 337 e 373 cod. proc. civ.).

3. - É intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura dello Stato. Rileva l'Avvocatura che, dall'ordinanza di rimessione, emergerebbe che la norma costituzionale - parametro non sarebbe l'art. 24, bensì l'art. 3 Cost., che si assumerebbe violato non tanto per la brevità del termine in sé e per sé, quanto per il mancato rispetto della proporzione fra termini delle impugnazioni in appello e per cassazione stabilita dall'art. 325 cod. proc. civ.

A giudizio dell'Avvocatura, il rapporto fra termini non sarebbe determinato solo in relazione alle diverse difficoltà tecniche dei vari mezzi di impugnazione, ma anche in ragione delle diverse esigenze sottese ai singoli procedimenti. Il maggior termine previsto dall'art. 325 cod. proc. civ., invero, sarebbe stabilito non solo in considerazione della maggiore difficoltà della proposizione del ricorso per cassazione, ma anche in ragione della minore intensità dell'esigenza di consolidare gli effetti della sentenza di appello, che, al contrario di quella di primo grado, ha di regola efficacia esecutiva. La disposizione di cui all'art. 325 cod. proc. civ. non sarebbe comunque in sé inderogabile, ed in effetti il legislatore in vari casi avrebbe adottato soluzioni diverse (sarebbero significativi, a tal proposito, ad esempio, gli artt. 191. fallimentare; 597 codice nav.; 28 e 361.1034 del 1971; 82/2 e 82/3 d.P.R. 570 del 1960).

Potrebbero, pertanto, sussistere esigenze tali da giustificare una riduzione del termine per proporre ricorso per cassazione, senza per questo imporre la parallela necessità di riduzione del termine per presentare appello. Nella specie, l'interesse alla riduzione dell'ordinario termine per ricorrere consisterebbe nella necessità di non lasciare incerta per troppo tempo la qualità di adottabile del minore una volta pronunciato lo stato di adottabilità.

Andrebbe, poi, contestata la particolare difficoltà che si incontrerebbe nella proposizione del ricorso per cassazione, certo non superiore a quella che si deve affrontare per opporsi al decreto dichiarativo dello stato di adottabilità; d'altro canto, la notifica del ricorso non richiederebbe un tempo significativamente più lungo di quello necessario per il deposito in cancelleria.

Infine, dovrebbe osservarsi che irrilevante andrebbe ritenuto il richiamo fatto dal giudice a quo agli artt. 337 e 373 cod. proc. civ., poiché, al contrario di quanto avviene di regola, nel procedimento di adozione speciale gli effetti delle sentenze si producono solo quando le stesse divengono definitive, e perciò quando sono scaduti termini utili per l'appello o per il ricorso per cassazione.

Considerato in diritto

1. - Con l'ordinanza indicata in epigrafe la Corte di Cassazione ha sollevato questione incidentale di legittimità costituzionale dell'art. 314/14 ultimo comma codice civile, inserito con l'art. 4 della legge 5 giugno 1967 n. 431, nella parte in cui dispone che nel giudizio sulla opposizione allo stato di adottabilità la sentenza di appello é impugnabile con ricorso per cassazione nel termine - ridotto - di trenta giorni.

Secondo il giudice a quo tale norma contrasterebbe con l'art. 3 Cost., per l'ingiustificata equiparazione che dalla stessa sarebbe operata tra soggetti che, nel procedimento di adozione speciale, si troverebbero in situazioni obbiettivamente diverse: coloro, cioé, che si oppongono al decreto dichiarativo dello stato di adottabilità ovvero impugnano in appello la sentenza del Tribunale che respinge l'opposizione, e coloro che propongono ricorso per cassazione avverso la sentenza della Corte d'Appello che li abbia lasciati soccombenti.

2. - Va preliminarmente osservato che la questione, nonostante la riforma introdotta dalla legge 4 maggio 1983 n. 184, é tuttora rilevante. Tale legge, infatti, non ha modificato la norma impugnata, né ha inciso - altro che con talune variazioni terminologiche - sulla restante normativa relativa ai termini utili per presentare diversi gravami nel procedimento di adozione. La questione, peraltro, non é fondata.

3. - Ritiene per vero il giudice rimettente che la situazione di colui che, nel procedimento di adozione speciale, ricorre per cassazione, sia diversa da quella di chi si oppone al decreto dichiarativo dello stato di adottabilità ovvero impugna la sentenza del Tribunale resa a seguito dell'opposizione stessa, per la maggiore difficoltà che, in via di principio, sarebbe propria della proposizione del ricorso per cassazione. In particolare nei confronti dell'appello, tale maggiore difficoltà sarebbe dimostrata dallo stesso art. 325 c.p.c., che, stabilendo per la proposizione del ricorso per cassazione un termine utile più ampio, implicitamente riconoscerebbe il diverso e maggiore impegno richiesto da tale atto, per la redazione del quale, poi, frequentemente é necessario mutare il difensore, per far sì che si tratti di patrocinante in Cassazione. Sempre a parere del giudice a quo, le attività connesse alla pro posizione del ricorso per cassazione (tra le quali va poi annoverata anche la notifica, non essendo sufficiente, come per l'appello, il deposito nella cancelleria del giudice adìto) sarebbero inoltre particolarmente gravose per soggetti in posizione di inferiorità culturale, economica o sociale, quali in genere sono gli interessati alla definizione dei procedimenti in materia di adozione speciale.

4. - In realtà, é costante giurisprudenza di questa Corte che il diritto di agire e di difendersi in giudizio possa essere disciplinato in conformità alle esigenze dei singoli procedimenti nei quali viene esercitato, purché non ne siano pregiudicati lo scopo e le funzioni in lesione dell'art. 24 Cost. Anche termini utili per le varie impugnazioni, quindi, possono essere ridotti rispetto a quelli di cui all'art. 325 c.p.c., ove ricorrano preminenti interessi generali ad una sollecita definizione delle controversie.

Come riconosce la stessa ordinanza di rinvio, non é dubbio che nel caso di specie tale preminente interesse generale vi sia, e si appunti sulla necessità di definire rapidamente la posizione giuridica del minore in istato di adottabilità, onde garantire allo stesso certezza nei rapporti familiari (v. anche sent. 4 luglio 1979 n. 57), ciò che - va aggiunto - può essere ottenuto solo con la decisione sul ricorso per cassazione, ove questo sia stato promosso. Né può ritenersi - ed anche questo riconosce ancora l'ordinanza di rimessione - che il termine ridotto di trenta giorni per proporre ricorso per cassazione sia in sé e per sé insufficiente o incongruo, sì che salvo resta l'art. 24 Cost., che non a caso viene espressamente menzionato, ma non invocato come utile parametro di raffronto dal giudice a quo.

Acclarata la piena - e dal rimettente incontestata - legittimità della riduzione del termine utile per proporre ricorso per cassazione in riferimento alla garanzia costituzionale del diritto di difesa, non può ritenersi che la norma che tale riduzione prevede sia viziata da illegittimità costituzionale per violazione dell'art. 3 Cost.

Come esattamente ricorda nei suoi scritti difensivi l'Avvocatura dello Stato, l'evenienza che, contrariamente a quanto previsto in via generale dall'art. 325 c.p.c., il legislatore - come qui accade - equipari termini per le diverse impugnazioni, non é ignota all'ordinamento, tanto che va esclusa l'esistenza, nello stesso, di un inderogato principio di proporzionalità fra termini utili per presentare appello e quelli utili per proporre ricorso per cassazione. Il processo di cassazione, d'altro canto, non può più considerarsi conseguente ad un rimedio straordinario, ma va configurato anch'esso come vero e proprio processo di impugnazione, come questa Corte ha già avuto modo di precisare (v. sent. 25 marzo 1970 n. 50).

La parificazione dei termini di impugnazione finalizzata al perseguimento di un interesse generale non può pertanto ritenersi irrazionale. Né, come vorrebbe invece il giudice a quo, può considerarsi nella specie sintomo di irrazionalità il fatto che il legislatore abbia ridotto il solo termine utile per proporre ricorso per cassazione e non anche quello utile per l'appello, nonostante che al giudizio di appello ex art. 314/ 14, primo comma, cod. civ., si applichi la - rapida e semplificata - procedura prevista dall'art. 314/13 per il giudizio di opposizione in Tribunale. Appare infatti evidente che, mentre l'ampiezza del comune termine utile per il ricorso per cassazione lasciava al legislatore consistenti margini di scelta sull'an ed il quantum di una riduzione, la parallela riduzione dei termini per le altre impugnazioni avrebbe potuto determinare una loro compressione tale da restringere sensibilmente margini per un esercizio adeguato del diritto di difesa.

Resta comunque fermo che la diversità di situazioni processuali - specie in ordine alle esigenze di patrocinio - tra proponenti di diversi mezzi di impugnazione, non ha rilievo di fronte all'interesse perseguito, la cui preminenza rende non più necessaria la differenziazione dei termini, una volta che si sia garantito, con la congruità degli stessi, l'esercizio del diritto di difesa.

E ciò indipendentemente dal fatto che la diversità nella specie denunziata appare quanto meno opinabile, sia in relazione alla affermata maggiore necessità di tempo connessa alle particolari difficoltà del ricorso per cassazione, sia in riferimento alla maggiore gravosità dell'onere di effettuare la relativa notifica rispetto alla maggiore semplicità del deposito del ricorso nella cancelleria del giudice adìto. Quanto infatti a tale secondo profilo, la maggiore gravosità della notificazione rispetto al deposito, quand'anche fosse dimostrata, non potrebbe avere rilievo più che marginale. Quanto invece alla ricerca di un eventuale nuovo difensore per il giudizio per cassazione, essa può essere - con normale diligenza - effettuata anche preventivamente dallo stesso difensore nel giudizio di appello, così quanto meno attenuando - ai fini della difesa - gli effetti della condizione di inferiorità culturale, sociale ed economica delle parti coinvolte nei giudizi di adottabilità: situazione che deve peraltro trovare una adeguata considerazione in una ampia e urgente revisione degli istituti che debbono assicurare la difesa giudiziaria dei cittadini meno abbienti.

Ogni diversità di situazione processuale é peraltro irrilevante rispetto alla salvaguardia del diritto di difesa da un lato e alla tutela dell'interesse del minore ad acquisire rapidamente certezza sul suo stato: sì che la abbreviazione dei termini di ricorso per cassazione nel giudizio di adottabilità, e la conseguente equiparazione dei termini di impugnazione, garantendo appunto il diritto di difesa e perseguendo concretamente la finalità di tutelare l'interesse del minore, non sono costituzionalmente censurabili.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 314/14 ultimo comma codice civile, inserito con l'art. 4 della legge 5 giugno 1967 n. 431, sollevata con riferimento all'art. 3 Cost. dalla Corte di Cassazione, Sez. civile, con ordinanza 20 novembre 1980 (r.o. n. 341 del 1981).

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 1 luglio 1986.

 

Livio PALADIN - Antonio LA PERGOLA - Virgilio ANDRIOLI - Giuseppe FERRARI - Francesco SAJA - Giovanni CONSO - Ettore GALLO - Aldo CORASANITI - Giuseppe BORZELLINO - Francesco GRECO - Renato DELL’ANDRO – Gabriele PESCATORE - Ugo SPAGNOLI - Francesco Paolo CASAVOLA

 

Depositata in cancelleria il 15 luglio 1986.