Sentenza n. 111 del 1986

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SENTENZA N. 111

ANNO 1986

 

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

Prof. Livio PALADIN, Presidente 

Prof. Antonio LAPERGOLA

Prof. Giuseppe FERRARI

Dott. Francesco SAJA

Prof. Giovanni CONSO

Prof. Ettore GALLO

Dott. Aldo CORASANITI

Prof. Giuseppe BORZELLINO

Dott. Francesco GRECO

Prof. Renato DELL’ANDRO

Prof. Gabriele PESCATORE

Avv. Ugo SPAGNOLI

Prof. Francesco Paolo CASAVOLA, Giudici,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 43 del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633 (istituzione e disciplina dell'imposta sul valore aggiunto) in relazione all'art. 10, n. 11, della legge 9 ottobre 1971, n. 825 (delega legislativa al Governo della Repubblica per la riforma tributaria) promosso con ordinanza emessa il 22 ottobre 1979 dalla Commissione tributaria di primo grado di Trento sul ricorso proposto da Ugolini Italo iscritta al n. 34 del registro ordinanze 1980 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 78 dell'anno 1980.

Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica del 18 marzo 1986 il Giudice relatore Ettore Gallo;

udito l'Avvocato dello Stato Carlo Salimei per il Presidente del Consiglio dei Ministri.

Ritenuto in fatto

Con ordinanze 22 ottobre 1979 la Commissione tributaria di primo grado di Trento sollevava questione di legittimità costituzionale dell'art. 43 D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633 in relazione all'art. 10, secondo comma, n. 11 della l. 9 ottobre 1971, n. 825, con riferimento all'art. 76 Cost..

Riferiva la Commissione che tale Ugolini Italo, titolare di omonima ditta corrente in Nave S. Felice, aveva presentato ricorso avverso il provvedimento dell'Ufficio I.V.A. di Trento, che gli aveva irrogato la pena pecuniaria di Lit. cinquecentomila per ritardata allegazione del prescritto elenco fornitori alla denuncia annuale per il 1973.

Accogliendo la proposta pregiudiziale del ricorrente, l'ordinanza rilevava che l'ampiezza della delega legislativa, di cui all'art. 10, secondo comma, n.11 impugnata, non sembrava ossequiente ai principi posti dall'art. 76 Cost. in quanto non sarebbero ravvisabili né la "determinazione di principi e criteri direttivi" né gli "oggetti definiti" di cui parla il parametro costituzionale: in guisa che le statuizioni contenute nell'art. 43 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633 risulterebbero frutto di libera scelta del Governo anziché espressione di delega del Parlamento.

Secondo il Giudice tributario, infatti, la legge delega non precisa quali atti costituiscano violazioni da assoggettare a sanzioni, né individua quali, per la maggiore gravità, debbano essere puniti con pena detentiva. D'altra parte, la delega nemmeno fissa alcun criterio direttivo per la graduazione delle pene in rapporto alla entità delle violazioni, né detta principi distintivi per la scelta in ordine alla specie delle sanzioni, né infine, indica elementi idonei a configurare il rapporto fra imposta evasa e sanzione. Ad avviso del rimettente, tali carenze sarebbero tanto più gravi in quanto il sistema sanzionatorio delegato prevede perfino restrizioni della libertà personale. L'ordinanza é stata regolarmente notificata, comunicata e pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale. Innanzi alla Corte Costituzionale é intervenuto il Presidente del Consiglio dei Ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, che ha chiesto declaratoria d'infondatezza della questione.

Nell'atto di intervento, infatti, l'Avvocatura, contestando punto per punto i rilievi del Giudice tributario, faceva notare che i criteri direttivi e la determinazione dei principi non dovevano essere ricercati esclusivamente nel n. 11 del secondo comma dell'art. 10 della legge delega, ma nell'intero complesso normativo e nelle stesse leggi vigenti al momento della riforma, che l'Esecutivo doveva adeguare a quest'ultima. Peraltro, risultava evidente che gli atti sanzionabili non potevano essere se non quelle violazioni delle norme I.V.A. da cui può derivare evasione dell'imposta, perfettamente individuate e sanzionate proprio nel sistema delineato dagli artt. da 41 a 50 del Decreto, giusta i principi della legislazione preesistente. Era pure chiaro - secondo l'Avvocatura - che quello dei "fatti più gravi" era criterio direttivo sufficiente a dare attuazione alla riserva di legge in materia di pene detentive, e che il Governo si era scrupolosamente attenuto alla direttiva: e ciò, benché il punto fosse assolutamente irrilevante in relazione alla questione da decidere. Né si poteva pretendere maggiori precisazioni in ordine alla graduazione delle pene rispetto alla entità delle violazioni, oltre al criterio chiaramente espresso dalla legge delega con il riferimento "alla effettiva entità oggettiva e soggettiva delle violazioni".

Considerato in diritto

La sollevata questione non é fondata. Come ha rilevato l'Avvocatura Generale dello Stato, é esatto che principi e criteri direttivi (si tratti o non di concetti distinti) non sono comunque contenuti esclusivamente nel punto 11 del secondo comma dell'art. 10 della legge delega, ma si rinvengono anche nel punto 7 dello stesso comma e nel primo comma.

In realtà, poi, é a tutto il complesso del sistema che occorre avere riguardo per giudicare della conformità della delega ai rigorosi principi fissati dalla Costituzione, tenendo conto che al legislatore delegato era stato assegnato un compito ben preciso: e, cioé, quello di adeguare la disciplina delle sanzioni tributarie già esistenti, e predeterminate dalla legge, alle riforme che la stessa legge delega prevedeva. Tale compito doveva essere svolto perfezionando il sistema delle sanzioni attraverso una migliore commisurazione delle sanzioni stesse alla effettiva entità oggettiva e soggettiva delle violazioni.

Sono, dunque, le nuove norme tributarie a disporre innanzitutto i vari obblighi sostanziali e formali dei contribuenti: obblighi che già configurano quei precetti che non restano, perciò, affidati all'inventiva del legislatore delegato. Per altro verso, poi, é il sistema tributario vigente, e quindi ancora una volta la legge non delegata, a prevedere le sanzioni amministrative dirette, che il legislatore delegato può comminare per la inosservanza di quei precetti. Né la discrezionalità del legislatore delegato nella scelta dei precetti da sanzionare e delle sanzioni da adottare é senza limiti, posto che il delegante l'ha espressamente subordinata alla necessità di commisurare e graduare queste ultime alla entità delle violazioni.

Si tratta, perciò, di una discrezionalità minima, tale da rendere possibile al potere delegato di adeguare la disciplina della situazione preesistente alla riforma, perfezionando il sistema delle sanzioni, così come la delega prescrive.

Ed é appena il caso di osservare che la Corte intende riferirsi alle sanzioni amministrative, essendo esclusa dai limiti di rilevanza della questione proposta ogni considerazione concernente le sanzioni penali.

Così come, peraltro, appare evidente che l'impugnazione dell'art. 43 d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, meramente conseguenziale a quella relativa all'art. 10 n. 11 della l. 9 ottobre 1971, n. 825, deve essere parimenti respinta.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale degli artt. 10 n. 11 della l. 9 ottobre 1971, n. 825 e 43 d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633 sollevata, dalla Commissione Tributaria di primo grado - sezione seconda - di Trento con ordinanza 22 ottobre 1979 (34/80), in riferimento all'art. 76 Cost.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 22 aprile 1986.

 

Livio PALADIN - Antonio LAPERGOLA - Virgilio ANDRIOLI - Giuseppe FERRARI - Francesco SAJA - Giovanni CONSO - Ettore GALLO - Giuseppe BORZELLINO - Francesco GRECO - Renato DELL’ANDRO – Gabriele PESCATORE - Ugo SPAGNOLI - Francesco Paolo CASAVOLA

 

Depositata in cancelleria il 23 aprile 1986.