Sentenza n.52 del 1986

 

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SENTENZA N. 52

ANNO 1986

 

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

Prof. Livio PALADIN, Presidente  

Prof. Antonio LAPERGOLA

Prof. Virgilio ANDRIOLI

Prof. Giuseppe FERRARI

Dott. Francesco SAJA

Prof. Giovanni CONSO

Prof. Ettore GALLO

Dott. Aldo CORASANITI

Prof. Giuseppe BORZELLINO

Dott. Francesco GRECO

Prof. Renato DELL’ANDRO

Prof. Gabriele PESCATORE,Giudici,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi di legittimità costituzionale dell'art. 429, terzo comma, codice procedura civile, promossi con le seguenti ordinanze:

1) ordinanza emessa il 7 novembre 1980 dal T.A.R. del Lazio sul ricorso proposto da Bartoli Aldo contro Opera Nazionale Combattenti ed altri iscritta al n. 668 del registro ordinanze 1981 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 26 dell'anno 1982;

2) ordinanza emessa il 16 marzo 1981 dal T.A.R. del Lazio sul ricorso proposto da Bugno Celeste contro Istituto Poligrafico dello Stato iscritta al n. 374 del registro ordinanze 1983 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 253 dell'anno 1983;

3) ordinanza emessa il 7 novembre 1980 dal T.A.R. del Lazio sul ricorso proposto da Castellani Alberto contro Istituto Postelegrafonici iscritta al n. 659 del registro ordinanze 1983 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 18 dell'anno 1984;

4) ordinanza emessa il 25 febbraio 1983 dal T.A.R. della Lombardia sul ricorso proposto da Taesi Giuliano contro Comune di Castrezzato iscritta al n. 960 del registro ordinanze 1983 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 88 dell'anno 1984;

visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 22 gennaio 1986 il Giudice relatore Francesco Greco.

Ritenuto in fatto

A) Con ordinanza emessa il 7 novembre 1980 (R.O. n. 668/81) il T.A.R. del Lazio, nel corso di un giudizio avente ad oggetto l'erogazione, da parte di un ente pubblico non economico (O.N.C.) ad un proprio dipendente, del trattamento di quiescenza e di previdenza, con le maggiorazioni conseguenti alla rivalutazione delle somme relative, ha sollevato la questione di legittimità costituzionale dell'art. 429, terzo comma, cod. proc. civ., in quanto non applicabile al rapporto di lavoro pubblico in relazione agli artt. 1, 3 cpv., 4, 34, 36 e 97 Cost..

1) In punto di rilevanza della questione ha, in particolare, osservato:

a) la suddetta inapplicabilità non é superabile in via ermeneutica, ostandovi il collegamento della norma censurata con l'art. 409 cod. proc. civ., che, fra le categorie di lavoratori considerate, non comprende quella dei pubblici dipendenti titolari di rapporti devoluti alla cognizione del giudice amministrativo.

b) Il terzo comma dell'art. 429 cod. proc. civ. realizza una trasformazione dei crediti di lavoro da crediti di valuta in crediti di valore, essendo la prevista rivalutazione completamente automatica, non subordinata, cioé, alla dimostrazione del danno subito: e ciò a differenza di quanto stabilito dalle norme generali e segnatamente dall'art. 1224 cod. civ. in tema di risarcimento del danno da svalutazione monetaria per il caso di ritardo nell'adempimento delle obbligazioni primarie.

c) Ne consegue che il pubblico dipendente, allo stato attuale della normativa in subiecta materia, per ottenere la rivalutazione dei propri crediti retributivi, non può che invocare la predetta normativa generale, avanzando la relativa domanda non davanti al giudice giurisdizionalmente competente a conoscere del rapporto di impiego, ma davanti all'A.G.O., trattandosi di diritto conseguenziale all'eventuale pronuncia favorevole del primo. Viceversa l'eventuale declaratoria di illegittimità costituzionale della censurata inapplicabilità della disposizione speciale avrebbe effetti immediati anche nel giudizio in corso, fondando la competenza del giudice adito a conoscere anche della domanda di rivalutazione, il cui accoglimento conseguirebbe in modo del tutto automatico al riconoscimento del credito, trattandosi soltanto di esprimere quest'ultimo nei termini monetari vigenti al momento della pronuncia, coerentemente con la natura che al credito stesso deve riconoscersi, in forza della ripetuta disposizione speciale. Donde, appunto, la sicura rilevanza della questione.

d) Né di questo può dubitarsi ipotizzando la necessità di un intervento del legislatore ordinario per colmare il vuoto determinato da una declaratoria siffatta, la quale avrebbe, invece, una funzione integratrice della vigente normativa e comunque ne giustificherebbe un'interpretazione estensiva, come la sola costituzionalmente corretta.

2) Circa la non manifesta infondatezza della questione, il giudice a quo ha osservato che non sembrano pienamente appaganti le motivazioni con le quali questa Corte (sent. n. 43/77) ha già escluso la illegittimità della norma denunciata, in quanto non applicabile ai rapporti di pubblico impiego.

a) Ha ritenuto che, dovendosi ravvisare la giustificazione del trattamento privilegiato in materia di rivalutazione del credito di lavoro rispetto agli altri crediti pecuniari, nella sua particolare natura e nella sua speciale garanzia, anche di livello costituzionale, la identica giustificazione può ravvisarsi anche riguardo ai rapporti di pubblico impiego, nel cui ambito sono ugualmente avvertibili sia l'opportunità di una remora all'inadempimento della P.A., sia l'opportunità di un meccanismo riequilibratore dell'ingiustificato arricchimento che il debitore in mora riesce a conseguire per effetto del fenomeno inflattivo.

b) Per quanto concerne il primo profilo, ha rilevato che la ipotesi di provvedimenti illegittimi o di veri e propri atti illeciti della P.A. in materia di rapporto di impiego non può in alcun modo escludersi: del che la stessa esistenza della giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo costituisce la più tangibile riprova; che, quindi, la previsione di un meccanismo economico dissuasivo, accanto ed oltre ai controlli preventivi e repressivi che caratterizzano l'azione amministrativa, non é priva di una fondata giustificazione e si risolve in un fattore di buon andamento dell'azione stessa, conformemente al disposto dell'art. 97 Cost.; che il contrario avviso, secondo cui un meccanismo di rivalutazione automatica non può avere, nei confronti della P.A., uguale funzione ed efficacia dissuasiva di comportamenti illegittimi, rispetto a quelle spiegate nei confronti del privato datore di lavoro, non solo contrasta con l'orientamento giurisprudenziale secondo il quale i ritardi e le difficoltà strutturali dell'organizzazione amministrativa non devono risolversi in danno del privato che da questa attende quanto dovutogli, ma finisce anche per riconoscere una funzione giustificatrice ai difetti di tale organizzazione e per impedire che siano perseguite le responsabilità individuali attraverso l'apposito giudizio; - che del resto, anche in altri campi si va affermando sempre di più la necessità di istituire meccanismi idonei a porre remore all'inerzia della P.A., ad es. in materia di appalti di opere pubbliche ove si prevede una particolare tutela economica del creditore rispetto alla mora, pur trattandosi di situazioni certamente meno protette, sotto il profilo costituzionale, di quelle che fanno capo al lavoratore dipendente.

c) Lo stesso giudice ha reputato non persuasiva l'affermazione che nel rapporto di pubblico impiego non sussisterebbe, con l'urgenza apprezzabile riguardo al rapporto di lavoro privato, la necessità di riequilibrare gli effetti combinati della mora del datore di lavoro e della svalutazione. Essa, a suo avviso, potrebbe avere un fondamento solo se si ritenesse che il meccanismo della rivalutazione automatica é destinato a reprimere la prava voluntas del datore di lavoro di conseguire un arricchimento in danno del lavoratore, mentre, in realtà, siffatto meccanismo opera prescindendo completamente dalla considerazione degli atteggiamenti soggettivi del debitore moroso ed al solo fine di rimuovere il pregiudizio insito nei suddetti effetti, conservando l'integrità del sinallagma originario ed il potere d'acquisto della retribuzione. Ciò che rileva é il solo fatto oggettivo della mora ed é quindi del tutto indifferente la natura pubblica o privata del datore di lavoro, come sintomatica dell'esclusione o della ravvisabilità dell'intento di lucrare sulla probabile svalutazione monetaria.

d) Ha considerato neppure esatto che l'ente pubblico non economico non sarebbe, per tale sua natura, in grado di risentire gli effetti della svalutazione monetaria sui propri debiti, in quanto si tratta pur sempre di un soggetto che, quanto meno sul piano patrimoniale, non può sottrarsi al pari di ogni altro, alle vicende dell'economia nazionale ed ai riflessi normativi delle medesime; che il rapporto di lavoro privato e quello di lavoro pubblico, pur nelle ineliminabili differenze, hanno in comune l'essenziale elemento ravvisabile nella causa contrattuale alla cui conservazione nei termini originari é predestinato il meccanismo di rivalutazione automatica, con una funzione, dunque, identicamente apprezzabile nell'uno e nell'altro.

e) É quindi pervenuto alla conclusione che la non operatività di tale meccanismo nell'ambito del rapporto di lavoro pubblico non solo appare in contrasto con quelle norme della Costituzione che, secondo la stessa Corte Costituzionale (sent. n. 13 del 1977), concorrono a formare la "garanzia rafforzata" del credito di lavoro, a tutela dell'esigenza di mantenere inalterato il potere d'acquisto della retribuzione, e cioé con gli artt. 1, 3 capv., 4, 34 e 36 Cost., ma anche con l'art. 97, sul buon andamento dell'azione amministrativa.

B) Lo stesso T.A.R. del Lazio ha sollevato identica questione con altre due ordinanze emesse rispettivamente il 16 marzo 1981 (R.O. n. 374/83), nella causa promossa da Bugno Celeste contro l'Istituto Poligrafico dello Stato per ottenere la riliquidazione dell'indennità di anzianità e di preavviso su una maggiore base di computo, oltre la rivalutazione monetaria delle relative somme, ed il 7 novembre 1980 (R.O. n. 659/83) nella causa promossa da Castellani Alberto contro l'Istituto Postelegrafonici per ottenere l'indennità di anzianità e di preavviso, maggiorate di interessi e rivalutazione.

C) Inoltre, nella causa promossa da Taesi Giuliano contro il Comune di Castrezzato per ottenere la rivalutazione di emolumenti relativi alla sua opera di sanitario condotto e corrispostigli in ritardo, il T.A.R. della Lombardia, con ordinanza emessa il 25 febbraio 1983 (R.O. n. 960/83), ha sollevato la questione di legittimità costituzionale dell'art. 429, comma terzo, cod. proc. civ., per la parte in cui, ai sensi dell'art. 409 n. 5, stesso codice, ne é esclusa l'applicabilità al rapporto di servizio pubblico, in relazione agli artt. 1, 4, 35 e 36 Cost..

1) In punto di rilevanza della questione, prendendo le mosse dalle pronunzie dell'Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato (30 ottobre 1981 n. 7) e delle SS.UU. della Corte di cassazione (3 novembre 1982, n. 5750), il giudice a quo ha rilevato che la prima decisione, pur riconoscendo il diritto dei pubblici dipendenti alla rivalutazione dei propri crediti retributivi rimasti insoddisfatti alle rispettive scadenze, ne ha individuato il fondamento nelle disposizioni generali dettate per l'inadempimento delle obbligazioni pecuniarie (artt. 1218 e 1224 cod. civ.) e non nell'art. 429, terzo comma, cod. proc. civ..

La stessa sentenza, tuttavia, ha riconosciuto anche che la rivalutazione spetta automaticamente, onde esattamente, con la decisione da loro emessa, le SS.UU. hanno rilevato che, in tal guisa, sostanzialmente si é fatta applicazione di tale ultima norma, la quale si caratterizza rispetto a quelle generali per l'automaticità del meccanismo di rivalutazione previsto, che opera a prescindere da qualsiasi dimostrazione della sussistenza del danno subito a causa della svalutazione e che ha, perciò, trasformato il credito di lavoro da credito di valuta in credito di valore: il che spiega appunto la competenza in ordine alla domanda di rivalutazione dello stesso giudice competente sul rapporto da cui il credito rivalutando trae origine e cioé in caso di rapporto di pubblico impiego, al giudice amministrativo e non già all'A.G.0. come sarebbe, se si facesse questione di un mero diritto patrimoniale conseguenziale, attuabile sulla base delle norme generali.

Ha osservato, poi, che non é possibile desumere, al contrario di quanto mostra di ritenere la Corte regolatrice, dalla vigente normativa la diretta applicabilità della norma censurata al rapporto di impiego pubblico: vi ostano sia il combinato disposto di questa con l'art. 409 n. 5 cod. proc. civ., sia l'autorevole interpretazione della Corte Costituzionale che ha ripetutamente affermato (sentt. n. 43/77 e n. 71/81) la legittimità della norma medesima, appunto presupponendone la non applicabilità al rapporto suddetto.

Di qui la rilevanza della proposta questione in quanto la pronunzia della Corte, sia essa di accoglimento o di rigetto, si proporrà come l'unica interpretazione costituzionalmente da accogliere, cioé capace di reagire direttamente, nei termini già precisati, sugli stessi estremi della giurisdizione di esso giudice remittente.

2) Quanto alla non manifesta infondatezza della questione, ha ritenuto che gli argomenti con i quali questa Corte ha già escluso l'illegittimità della norma censurata debbano essere rimeditati alla luce di nuovi elementi di valutazione.

Ha osservato in particolare che la funzione della rivalutazione automatica consistente nel porre una remora al ritardo nei pagamenti può utilmente svolgersi anche nei confronti della P.A., specie in epoche, come la presente, nelle quali quest'ultima può consapevolmente trovare preferibile la via della mora per fronteggiare il crescente fabbisogno di cassa del Tesoro.

Ugualmente per quanto riguarda il riequilibrio delle situazioni patrimoniali delle parti, tanto più se si considera che anche il lavoratore pubblico sopporta il prelevamento all'origine ed in "moneta buona" di una porzione dei propri redditi, soprattutto al fine del trattamento di quiescenza, sicché qualora il ritardo nell'erogazione dei relativi cespiti non fosse, quanto agli effetti, correggibile attraverso opportuni meccanismi di rivalutazione, il pregiudizio subito resterebbe, in pratica, irrimediabile e direttamente proporzionale all'entità del fenomeno inflattivo.

Ha, poi, rilevato che debba considerarsi il processo sempre più rapido di assimilazione del lavoro pubblico a quello privato, reso palese anche dalla recente legge n. 93/82 (sulla contrattazione collettiva nel pubblico impiego e sull'applicabilità delle norme della legge n. 300/70).

Ad avviso dello stesso giudice a quo, il diniego dell'applicabilità anche al rapporto di lavoro pubblico dell'art. 429, terzo comma, cod. proc. civ. importa violazione non solo delle norme generali di tutela del lavoro in ogni sua forma (artt. 1, 4 e 35 Cost.) ma anche di quella che garantisce un livello retributivo sufficiente (art. 36 Cost.).

D) Tutte le ordinanze, regolarmente notificate e comunicate, sono state pubblicate con G. U. rispettivamente n. 26 del 27 gennaio 1982; n. 253 del 14 settembre 1983; n. 18 del 18 gennaio 1984; n. 88 del 28 marzo 1984.

E) Nei giudizi susseguenti alle ordinanze nn. 374/83, 659/83 e 960/83 é intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri per il tramite dell'Avvocatura Generale dello Stato.

Per quanto riguarda l'ordinanza n. 659/83, in via preliminare ha osservato che si impone un riesame della rilevanza in quanto la decisione del T.A.R. é stata annullata senza rinvio con decisione n. 643/83 del Consiglio di Stato il quale ha ritenuto l'insussistenza di un rapporto di pubblico impiego tra il Castellani e il Poligrafico dello Stato.

Con riferimento alle proposte censure ha rilevato che le medesime non sembrano idonee a superare le considerazioni in base alle quali questa Corte ha già ritenuto legittima la esclusione dell'applicabilità dell'art. 429, terzo comma, cod. proc. civ. al rapporto di impiego pubblico e che si compendiano, in buona sostanza, nella considerazione delle importanti differenze fra datore di lavoro pubblico e datore di lavoro privato, alla stregua delle quali appare incontestabile l'impossibilità di riconoscere riguardo al primo le stesse ragioni della rivalutazione automatica che possono valere per il secondo.

Inoltre, ha dedotto che la norma sulla rivalutazione automatica, come emerge dalla sua stessa collocazione, non costituisce espressione di un principio generale dell'ordinamento e, di più, anche nell'ambito del rapporto di lavoro privato, non é indiscriminatamente applicabile: ad esempio, nel caso di fallimento del datore di lavoro, il valore del credito del lavoratore rimane fissato a quello corrente alla data di apertura del procedimento, come é stato riconosciuto costituzionalmente (sent. n. 139/81).

La censurata esclusione, poi, appare razionalmente giustificata anche alla stregua delle differenze fra i due tipi di rapporti e dell'id quod plerumque accidit in quanto il sistema di controlli preventivi dell'azione amministrativa, preordinati ad impedire comportamenti illeciti o illegittimi e la circostanza che i ritardi dei pagamenti da parte delle pubbliche amministrazioni sono per la maggior parte causati dal sopravvenire di circostanze particolari che implicano laboriosi procedimenti di ricalcolo delle retribuzioni, costituiscono plausibili motivi per ritenere correttamente esercitata, nel senso censurato dal giudice a quo, la discrezionalità del legislatore in materia di rivalutazione. Tanto più se si considera che non é impedito, al pubblico dipendente che abbia subito danni a causa della mora della P.A., di ottenere il risarcimento secondo le norme comuni (art. 1224 cod. civ.).

L'Avvocatura ha osservato, infine, che la previsione di un meccanismo di rivalutazione automatica dei crediti del pubblico dipendente determinerebbe il riversamento sistematico sul bilancio statale di oneri difficilmente preventivabili, conseguenti alla struttura procedimentale dell'azione amministrativa e difficilmente eliminabili con un semplice recupero di efficienza.

Considerazioni sostanzialmente analoghe vengono ribadite dall'Avvocatura con riferimento all'ordinanza del T.A.R. della Lombardia, ma dopo la preliminare deduzione di un possibile profilo di inammissibilità della questione ravvisata nel fatto che questa, da un lato non appare formalmente proposta in relazione all'art. 3 Cost., sebbene l'iter argomentativo si svolga nel senso di una censura della disparità di trattamento, in parte qua, fra pubblici e privati dipendenti, e dall'altro, si presenta, riguardo agli ulteriori parametri costituzionali invocati, estremamente generica.

Considerato in diritto

1. - I quattro giudizi proposti possono essere riuniti per essere decisi congiuntamente in quanto le questioni sollevate sono sostanzialmente identiche.

Il T.A.R. del Lazio, con tre ordinanze, in fattispecie di crediti derivanti da rapporto di lavoro con enti pubblici non economici, rispettivamente per trattamento di quiescenza e di previdenza (fondi integrativi) (R.O. n. 668/81), per computo "dell'ora politica" nella indennità di preavviso e di anzianità (R.O. n. 374/83), per indennità di anzianità e preavviso e risarcimento danno da omessa costituzione del rapporto previdenziale (R.O. n. 659/83), dubita della legittimità costituzionale dell'art. 429, terzo comma, cod. proc. civ., in riferimento agli artt. 1, 3 cpv., 4, 34, 36, 97 Cost..

Il giudice remittente richiama l'interpretazione dell'art. 429 cod. proc. civ., anche da parte della giurisprudenza della Corte Costituzionale, secondo cui lo stesso non é applicabile ai crediti derivanti da rapporti di lavoro con enti pubblici non economici e le ragioni addotte, cioé la insussistenza della remora al ritardo dell'adempimento alla scadenza delle obbligazioni e dell'esigenza di un riequilibrio dei rapporti delle parti con il recupero, a favore del lavoratore, dell'arricchimento conseguito dal datore di lavoro che utilizza la forza di lavoro senza corrispondere al lavoratore quanto dovutogli alle prescritte scadenze.

In punto di non manifesta infondatezza, dopo aver accennato, poi, alla qualità del credito ed alle garanzie costituzionali sussistenti anche per il lavoro pubblico, afferma che anche per il tipo di rapporto di lavoro in esame possono sussistere l'inadempimento dell'amministrazione pubblica e l'ingiustificato suo arricchimento per la ricorrenza di atti illeciti e di atti illegittimi, nonostante i controlli preventivi e le successive azioni repressive; possono verificarsi conseguenze economiche che rendono necessaria l'assicurazione del raggiungimento della imparzialità e del buon funzionamento di cui all'art. 97 Cost..

Può anche sussistere la necessità e l'opportunità di imporre una remora all'eventuale esercizio, da parte del datore di lavoro pubblico, di attività produttive di danni, mentre una effettiva responsabilizzazione dei dipendenti e la possibile limitazione dei danni derivanti dalla loro attività illegittima sono utili per assicurare il buon funzionamento dell'amministrazione.

Così come la limitazione dei ritardi nei pagamenti, delle lungaggini procedurali e delle complicazioni burocratiche sono utili conseguenze dell'applicazione dell'art. 429, terzo comma cod. proc. civ., oltre quella intrinseca di assicurare il potere di acquisto della moneta anche per le somme dovute dalla pubblica amministrazione ai suoi dipendenti.

Sul punto del riequilibrio delle posizioni delle parti, per i crediti da lavoro pubblico, il giudice remittente osserva che non rileva la qualità del datore di lavoro in quanto il meccanismo della rivalutazione automatica é diretto a correggere i naturali effetti della svalutazione monetaria la quale impoverisce il creditore ed arricchisce il debitore anche senza una sua prova voluntas, onde la sufficienza del solo accertamento dell'avvenuto inadempimento, come condizione unica ed essenziale.

Aggiunge, infine, che l'ente pubblico non economico beneficia anch'esso degli effetti della svalutazione monetaria per i suoi debiti essendo sempre un soggetto dell'ordinamento.

Il T.A.R. della Lombardia, in riferimento agli art. 1, 4, 35 e 36 Cost., dubita della legittimità costituzionale dello stesso art. 429, terzo comma, cod. proc. civ., nella parte in cui, ai sensi dell'art. 409 cod. proc. civ., ne risulta esclusa l'applicabilità ai crediti di lavoro pubblico.

Richiama la giurisprudenza della Corte di Cassazione a Sezioni Unite e dell'Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, secondo cui la rivalutazione del credito in esame si fonda sugli artt. 1218 e 1224 cod. civ., anziché sull'art. 429, terzo comma, cod. proc. civ., sebbene siano analoghi i principi applicati in concreto.

In punto di rilevanza, osserva, però, che la pronuncia della Corte Costituzionale, sia essa di accoglimento o di rigetto, é essenziale in quanto sancirebbe l'interpretazione conforme a Costituzione e potrebbe avere effetti anche sulla giurisdizione dello stesso giudice remittente.

Rileva la necessità di una rimeditazione delle considerazioni svolte da questa Corte a sostegno della dichiarazione di non fondatezza della questione già sollevata a suo tempo, osserva che la funzione di remora al ritardo del pagamento, riconosciuta alla rivalutazione automatica, può utilmente attuarsi anche nei confronti della pubblica amministrazione, specie in un'epoca in cui la via della mora può essere percorsa per fronteggiare il bisogno di cassa del tesoro; che sussiste la necessità del riequilibrio delle situazioni patrimoniali delle parti in quanto anche il lavoratore, specie nei trattamenti di quiescenza, per il ritardo dei pagamenti, subisce gli effetti dannosi della svalutazione monetaria correggibili solo con la rivalutazione.

Soggiunge, infine, che deve essere considerato il processo sempre più rapido dell'assimilazione del rapporto di impiego pubblico a quello privato secondo quanto si desume dalla più recente legislazione e che, comunque, anche per il tipo di rapporto di lavoro in esame debbono trovare applicazione le norme più generali che tutelano il lavoro in ogni sua forma e garantiscono un livello retributivo sufficiente alle normali esigenze di vita.

2. - Ritiene la Corte che, preliminarmente debba essere esaminata l'eccezione di inammissibilità, per difetto di rilevanza, sollevata dall'Avvocatura dello Stato nel giudizio, di cui all'ordinanza n. 659/83 del T.A.R. del Lazio nella considerazione che dopo la decisione parziale del T.A.R. con la quale detta questione é stata sollevata, é intervenuta la decisione del Consiglio di Stato che l'ha annullata senza rinvio, considerando insussistente il preteso rapporto di impiego pubblico.

L'eccezione non é fondata.

Invero, il processo incidentale di costituzionalità non é influenzato da circostanze di fatto sopravvenute nel procedimento principale e ciò in quanto, svolgendosi esso nell'interesse generale, una volta che si sia validamente instaurato, a norma dell'art. 23, legge n. 87 del 1953, acquisisce autonomia che lo pone al riparo dall'ulteriore atteggiarsi della fattispecie, financo nel caso in cui, per qualunque causa, il giudizio rimasto sospeso cessi (art. 22 delle norme integrative dei giudizi davanti alla Corte Costituzionale; sent. n. 300/84).

3. - Passando all'esame del merito, la Corte ritiene che la questione non é fondata.

Invero, sucessivamente alle pronuncia di questa Corte (sent. n. 43 del 1977; ord. n. 63 del 1978; sent. n. 71 del 1981; sent. n. 76 del 1981), si é formato un indirizzo giurisprudenziale dei giudici amministrativi, specie dell'Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, che si é andato man mano consolidando e che può, ora, dirsi costante, secondo il quale, anche ai crediti di lavoro dei dipendenti da enti pubblici non economici, ivi compresa l'amministrazione statale, é sostanzialmente applicabile il principio dell'automatica rivalutazione, in conseguenza dell'inadempimento o del ritardo nell'adempimento dell'amministrazione datrice di lavoro. Le disposizioni ritenute regolatrici, nella fattispecie, dei detti crediti di lavoro, sono state interpretate in parità con quanto risultante per i lavoratori privati o di enti pubblici economici, in conformità degli invocati precetti costituzionali, quali, ad esempio, la natura privilegiata dei crediti, l'assicurazione della funzione di sostentamento della retribuzione, generalmente intesa secondo le esigenze di vita del lavoratore e la tutela del lavoro.

Invero, dandosi rilevanza alla svalutazione monetaria come fatto notorio, ed alla validità della prova per presunzione, si é ritenuto che per i detti crediti sia venuto meno il principio della insensibilità delle obbligazioni pecuniarie alla svalutazione monetaria. Viceversa, la rivalutazione automatica trova applicazione in forza del rischio che l'inadempimento o il ritardo nell'adempimento comportano a carico dell'amministrazione debitrice ed in correlazione alla tecnica risarcitoria usata in materia dal legislatore che consente di attrarre in una fattispecie unica e complessa, tanto il momento della maturazione dei crediti, della loro valutazione e della loro liquidazione, quanto i relativi interessi e la loro svalutazione; quindi, in definitiva, un meccanismo, da applicarsi dallo stesso giudice amministrativo, competente sia sull'an che sul quantum, di conservazione del valore economico della retribuzione generalmente intesa atto a ripristinare, per il pagamento delle somme dovute, il relativo potere di acquisto della moneta.

Si é considerato che la svalutazione non introduce un incremento ulteriore delle ragioni creditorie del dipendente ma opera una quantificazione di valori antologicamente e funzionalmente coincidenti con i momenti originari di maturazione del diritto alla retribuzione; che la rivalutazione ha l'esclusivo fine di rendere la retribuzione immune dalla perdita del potere di acquisto dei beni reali necessari al sostentamento del lavoratore ed assicurargli una esistenza libera e dignitosa; che i parametri di riferimento normativo sono quelli afferenti all'allargamento dell'area di tutelabilità della prestazione lavorativa in presenza di oggettivi fattori esterni idonei ad alterare l'originario equilibrio contrattuale tra detta prestazione e la controprestazione remunerativa.

Secondo lo stesso indirizzo giurisprudenziale, dalla peculiarità del fenomeno svalutativo, inerente anche ai crediti di lavoro pubblico, deriva che la liquidazione, in sede giurisdizionale, della maggiore somma, dovuta a titolo di rivalutazione, non necessita di una esplicita domanda da parte del ricorrente lavoratore in quanto la detta maggior somma non altera il petitum ma tende a conseguire il petitum originario attraverso la corretta aestimatio.

D'altro canto, le Sezioni Unite della Cassazione hanno ritenuto che detto meccanismo, in sostanza, é uguale a quello che si ricollega all'art. 429, terzo comma, cod. proc. civ., ed all'art. 150 disp. att. cod. proc. civ..

Hanno riconosciuto la giurisdizione del giudice amministrativo per la sua applicazione in quanto egli si limita a stabilire l'intrinseco valore economico del credito del lavoratore pubblico ed a delineare un profilo della disciplina del rapporto assoggettato alla sua esclusiva giurisdizione mentre solo le controversie sugli interessi moratori o sul maggior danno conseguente a comportamenti colposi o dolosi dell'amministrazione rientrano nella giurisdizione del giudice ordinario, essendo esse le sole da qualificarsi questioni conseguenziali.

In sostanza hanno ritenuto che la mutazione in termini quantitativi del credito del detto lavoratore per effetto della svalutazione avviene ab intra e rimane entro il rapporto di impiego o di lavoro pubblico.

In tale situazione, essendo quello innanzi richiamato il diritto vivente ed essendo sostanzialmente assicurato anche ai lavoratori pubblici, in punto di rivalutazione dei crediti da essi vantati nei confronti dell'amministrazione pubblica o dell'ente pubblico non economico da cui dipendono, lo stesso trattamento dei lavoratori privati o dipendenti da enti pubblici economici e trovando Così applicazione gli invocati precetti costituzionali, non hanno fondamento i rilievi e le osservazioni dei giudici remittenti che proprio i citati effetti tendono a realizzare.

Pertanto, la questione sollevata va dichiarata non fondata.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 429, terzo comma, c.p.c., sollevata in riferimento agli artt. 1, 3, 4, 34, 35, 36 e 97 Cost. dai T.A.R. del Lazio e della Lombardia con le ordinanze in epigrafe.

Così deciso in Roma, in camera di consiglio, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 18 marzo 1986.

 

Livio PALADIN - Antonio LAPERGOLA - Virgilio ANDRIOLI - Giuseppe FERRARI - Francesco SAJA - Giovanni CONSO - Ettore GALLO - Aldo CORASANITI - Giuseppe BORZELLINO - Francesco GRECO - Renato DELL’ANDRO – Gabriele PESCATORE

 

Depositata in cancelleria il 24 marzo 1986.