Sentenza n.230 del 1985

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SENTENZA N. 230

ANNO 1985

 

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori:

Prof. Guglielmo ROEHRSSEN, Presidente

Avv. Oronzo REALE

Dott. Brunetto BUCCIARELLI DUCCI

Avv. Alberto MALAGUGINI

Prof. Livio PALADIN

Prof. Antonio LA PERGOLA

Prof. Virgilio ANDRIOLI

Prof. Giuseppe FERRARI

Dott. Francesco SAJA

Prof. Giovanni CONSO

Dott. Aldo CORASANITI

Dott. Francesco GRECO

Prof. Giuseppe BORZELLINO, Giudici,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 556, 564, comma secondo, e 751 del codice civile, promosso con l'ordinanza emessa il 12 ottobre 1982 dalla Corte di cassazione nel procedimento civile vertente tra Rubeo Giovanni e Rubeo Margherita ed altri iscritta al n. 340 del registro ordinanze 1983 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 253 dell'anno 1983.

Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica del 25 giugno 1985 il Giudice relatore Oronzo Reale.

 

Ritenuto in fatto

 

Con ordinanza 12 ottobre 1982 (n. 340 del reg. ord. 1983) la Corte di cassazione sollevava in via incidentale questione di legittimità costituzionale degli artt. 556 e 564, secondo comma, del codice civile, per la parte in cui dette norme richiamano l'art. 751 dello stesso codice, nonché dell'art. 751 suddetto per preteso contrasto con l'art. 3 della Costituzione.

Premesso che la giurisprudenza della Suprema Corte é consolidata nel senso che la riunione fittizia, l’imputazione ex se e la collazione relative a somme di denaro donate devono essere compiute (artt. 556, 564, secondo comma, e 751 c.c.) in base al valore nominale, si osserva che il principio nominalistico trova il suo normale ambito di applicazione nei rapporti obbligatori.

La ratio di ciò va ravvisata nel brocardo "pacta sunt servanda" nonché nell'esigenza che nei rapporti tra debitori e creditori vi sia un comune e non opinabile punto di riferimento; d'altronde, la regola é temperata dalla particolare previsione del risarcimento del danno ex art. 1224, comma secondo, del codice civile.

Ribadito che le disposizioni sulla collazione configurano le donazioni fatte dal de cuius a particolari categorie di eredi come anticipazioni della successione e che la riunione fittizia e l'imputazione ex se, pur avendo chiara autonomia, per il richiamo alle norme sulla collazione, quanto alle operazioni contabili relative, vengono ad essere attratte "nella medesima logica della anticipazione della successione", si osserva che la detta configurazione é volta ad assicurare pari trattamento anche ai legittimari da una parte e ai beneficiari della disponibile dall'altra, sia che le attribuzioni avvengano tutte al momento dell'apertura della successione, sia che esse siano, in tutto o in parte, avvenute con anticipazioni.

Il bene donato viene in considerazione non come mezzo di adempimento, ma come rappresentativo di una parte del patrimonio ereditario (valore accumulato) e pertanto, ove si tratti di denaro, questo non adempie alla funzione di mezzo di pagamento.

La legge pone a base delle operazioni di riunione fittizia, di imputazione ex se e di collazione il procedimento di valutazione dei beni; ciò é evidente nelle prime due operazioni, ma vale anche per la collazione in quanto questa anche nelle ipotesi in cui viene compiuta in natura, comporta valutazione dei beni in quanto la formazione delle quote concrete (all'atto della divisione) cui la collazione é strumentale, non é concepibile al di fuori della valutazione stessa tranne che per ipotesi marginali.

Si osserva ancora che se nella valutazione l'oggetto viene in considerazione come ricchezza, id est come valore in esso accumulato, questa considerazione non potrebbe venire meno quando oggetto della valutazione sia una somma di denaro. Tutto ciò premesso l'estensione del principio nominalistico anche a tali operazioni che si svolgono nell'ambito successorio sarebbe in contrasto "con il canone di razionalità di cui all'art. 3 Cost.".

Al riguardo si asserisce che il rilievo del contrasto é di per sé sufficiente a sollevare la questione di costituzionalità non essendo compito del giudice, ma del legislatore stabilire quale contenuto le norme impugnate dovrebbero avere per eliminare il contrasto e ristabilire la razionalità. Si suggerisce comunque "la possibilità che la valutazione delle somme di denaro donate, da compiere con riguardo al momento dell'apertura della successione, venga affidata al prudente apprezzamento del giudice nei singoli casi, tenuto conto: a) del potere di acquisto della moneta al momento della donazione; b) dell'impiego della somma in concreto attuato; c) delle ragioni che hanno indotto il donatario a preferire una determinata destinazione della somma ad un'altra".

Per quanto attiene alla decisione d’infondatezza pronunciata dalla Corte costituzionale con sentenza n. 107 del 1981, di questioni di costituzionalità afferenti agli artt. 747, 750 e 751, in relazione agli artt. 3 e 42 della Costituzione, il collegio ritiene che la pronuncia de qua non comporti manifesta infondatezza della questione in quanto:

a) non viene contestata la legittimità costituzionale del principio nominalistico ma la estensione di questo alla particolare materia in questione;

b) nei casi di riunione fittizia e d’imputazione ex se la legge prescinde dal conferimento in natura, sicché solo per la collazione non si pone un problema di imputazione;

c) anche il conferimento in natura non eliminerebbe il problema della valutazione del bene; pertanto "la supposizione di situazioni differenti, quanto alla materia in esame, non appare giustificata".

La rilevanza della questione é ampiamente motivata.

Spiegava intervento il Presidente del Consiglio dei ministri per il tramite dell'Avvocatura generale dello Stato e chiedeva che la proposta questione fosse dichiarata infondata.

Osserva al riguardo l'Avvocatura che tra i beni mobili ed immobili e la moneta non esisterebbe omogeneità alcuna; se manca l'omogeneità nei beni donati, si giustificherebbe pienamente un trattamento diseguale.

Allorché nell'ordinanza si assume che nel caso di specie sarebbe ingiustificata l'estensione del principio nominalistico della moneta e non il principio in quanto tale, si sarebbe di fatto portata in discussione l'insindacabilità del criterio nominalistico, confermato dalla Corte costituzionale, che ha più volte affermato che l'ovviare agli effetti del graduale deprezzamento della moneta comporta scelte politiche riservate al legislatore e che, in linea di massima, sfuggono al sindacato di costituzionalità.

 

Considerato in diritto

 

1. - Con la sua ordinanza riccamente motivata, riassunta in narrativa, la Corte di cassazione, ricordata la costante giurisprudenza in virtù della quale "la riunione fittizia, la imputazione 'ex sé e la collazione relative a somme di denaro donato devono essere compiute, applicando le prescrizioni degli artt. 556, 564, comma secondo, e 751 del codice civile, in base al valore delle somme medesime", cioé secondo il principio nominalistico, ritiene che non sia razionale, e violi perciò l'art. 3 della Costituzione, che tale principio, legittimo "nel campo dei rapporti obbligatori", venga esteso "al diverso campo delle operazioni previsto negli artt. 556, 564, comma secondo, e 751 c.c.". Infatti, mentre nel campo dei rapporti obbligatori il principio nominalistico é giustificato dal canone "pacta sunt servanda" e dall'"esigenza di assicurare la certezza di rapporti reciproci di entrata e di spesa" e, inoltre, é sorretto dal "correttivo dell'art. 1224, comma secondo, c.c.", non é razionalmente giustificabile che, anche alla moneta, come agli immobili e ai mobili, si attribuisca il valore del "tempo dell'aperta successione" ogni qualvolta debba procedersi a collazione o imputazione.

Insistendo, con argomentazioni varie, sull'affermata differenziazione, la Cassazione ritiene di non porsi in contrasto con la sentenza n. 107 del 1981, con la quale la Corte costituzionale dichiarò non fondate le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 751, 747 e 750 del codice civile sollevate da due tribunali in riferimento agli artt. 3 e 42 della Costituzione, affermando quindi la legittimità e razionalità dell'applicazione del principio nominalistico anche nella materia regolata dai citati articoli del codice civile, non incrinata "dal presupposto (privo di fondamento) che chi abbia ricevuto una somma di denaro... l'abbia investita nell'acquisto di beni o, quanto meno, che costui debba essere comunque trattato come se a tale acquisto sia addivenuto".

In sostanza, la Cassazione chiama la Corte a un riesame della questione sulla base di considerazioni e distinzioni varie.

2. - Ma tale riesame non può essere ipotizzato, poiché la questione é inammissibile, come risulta dalle stesse parole dell'ordinanza di rimessione. "Il rilievo del contrasto (con l'art. 3 della Costituzione) - si legge nella ordinanza - é sufficiente per sollevare la questione di legittimità costituzionale della norma in esame, non essendo compito del giudice indicare, altresì, quale contenuto la norma stessa dovrebbe avere per eliminare il contrasto. Spetta infatti al legislatore, tra più soluzioni astrattamente possibili, operare la scelta che sia conforme al principio di razionalità".

Dunque, la norma impugnata non sarebbe illegittima perché attribuisce anche al denaro (come ai mobili ed immobili) il valore del momento dell'aperta successione anziché quello del momento della donazione della somma; cioé la questione non sarebbe risolvibile con una decisione additiva in tal senso ma solo scegliendo tra le "soluzioni astrattamente possibili", la più vicina alla razionalità, magari in relazione alle singole fattispecie, come la Cassazione ipotizza.

Senonché la Corte non può operare scelte nell'ambito di soluzioni "astrattamente possibili", né valutare essa la congruità di un ventaglio di soluzioni da indicare al legislatore (cfr. da ultimo sentenze n. 214 del 1983, n. 232 del 1984, n. 134 del 1985).

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale degli artt. 556 e 564, comma secondo, del codice civile, per la parte in cui richiamano l'art. 751 del codice civile, e dello stesso art. 751 del codice civile, sollevata dalla Corte di cassazione, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, con l'ordinanza (n. 340 del reg. ord. 1983) di cui in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, l'11 ottobre 1985.

Guglielmo ROEHRSSEN - Oronzo REALE

Depositata in cancelleria il 17 ottobre 1985.