Sentenza n.168 del 1985

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SENTENZA N. 168

ANNO 1985

 

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori:

Prof. Guglielmo ROEHRSSEN, Presidente

Avv. Oronzo REALE

Dott. Brunetto BUCCIARELLI DUCCI

Avv. Alberto MALAGUGINI

Prof. Livio PALADIN

Prof. Antonio LA PERGOLA

Prof. Virgilio ANDRIOLI

Prof. Giuseppe FERRARI

Dott. Francesco SAJA

Prof. Giovanni CONSO

Prof. Ettore GALLO

Dott. Aldo CORASANITI

Prof. Giuseppe BORZELLINO

Dott. Francesco GRECO, Giudici,

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 40, primo comma, della legge 3 maggio 1982, n. 203 (Norme sui contratti agrari), promosso con ordinanza emessa il 3 marzo 1983 dal Tribunale di Santa Maria Capua Vetere nel procedimento civile vertente tra Marinelli Carmela ed altri e Egizio Maria ed altri, iscritta al n. 307 del registro ordinanze 1983 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 246 dell'anno 1983.

Visto l'atto d’intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica del 19 marzo 1985 il Giudice relatore Francesco Saja;

udito l'Avvocato dello Stato Carlo Salimei per il Presidente del Consiglio dei ministri.

 

Ritenuto in fatto

 

1. - Nel corso di un procedimento civile tra Marinelli Carmela ed altri, proprietari di un fondo rustico, ed Egizio Maria ed altri convenuti, in parte affittuari ed in parte coloni parziari, avente ad oggetto la cessazione della proroga legale chiesta dai proprietari al fine di effettuare sul fondo trasformazioni agrarie immediate, radicali e "incompatibili con la prosecuzione del rapporto" (d.l.C.P.S. 1 aprile 1947 n. 273, art. 1, lett. b, modif. dall'art. un. l. 13 giugno 1961 n. 527), sopravveniva la legge 3 maggio 1982 n. 203, il cui art. 40, primo comma, stabilisce l'abrogazione delle disposizioni di legge sulla proroga dei contratti agrari e di quelle che disciplinano le eccezioni alla proroga stessa.

Il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, davanti al quale pendeva il giudizio, con ordinanza 3 marzo 1983 (reg. ord. n. 307 del 1983) osservava che la sopravvenienza della norma ultimamente citata eliminava la proroga (i proprietari, però, affermavano che la determinazione legale della durata del contratto, di cui all'art. 2 l. ult. cit., equivaleva ad una proroga sostanziale) nonché l'eccezione consistente nel diritto del concedente di far cessare anticipatamente il rapporto per l'intenzione di eseguire trasformazioni agrarie sul fondo. Questo diritto, già attribuito dal citato art. 1, lett. b d.l.C.P.S. n. 273 del 1947, era stato però abolito dall'art. 32 l. 11 febbraio 1971 n. 11 e dall'art. 5 ter l. 4 agosto 1971 n. 592. La Corte costituzionale tuttavia, con sentenza n. 107 del 1974, aveva dichiarato l'illegittimità di queste norme abrogative, ritenendo che la detta causa di cessazione della proroga legale corrispondesse ad un interesse pubblico, oltre che a quello privato del concedente: l'abrogazione in questione pertanto, secondo la Corte, era illegittima perché in contrasto con l'art. 44 Cost., nelle parti in cui esso impone al legislatore ordinario di perseguire il razionale sfruttamento dei suoli e lo stabilimento di equi rapporti sociali nell'economia agricola.

Ciò premesso, il Tribunale dubitava che la rinnovata abolizione della detta causa di cessazione della proroga da parte dell'art. 40 l. n. 203 del 1982 contrastasse con il diritto di iniziativa economica privata del concedente (art. 41) nonché con l'art. 44 Cost. per le ragioni già indicate dalla Corte costituzionale nella suddetta decisione.

2. - La Presidenza del Consiglio dei ministri interveniva osservando che il diritto di iniziativa economica privata ben poteva essere limitato, secondo una costante giurisprudenza costituzionale, ex art. 41 Cost., per fini di utilità sociale: e nel caso dell'impugnato art. 40 l. 203 del 1982, l'utilità sociale era data dal fine, perseguito con la stessa legge, di offrire ai coltivatori la possibilità di diventare imprenditori, con la sicurezza di poter programmare la propria attività per un congruo periodo di tempo, non abbreviabile per volontà del concedente. L'equilibrio dei rapporti sociali di cui all'art. 44 Cost., del resto, rimaneva salvaguardato dalla possibilità, per il concedente stesso, di effettuare interventi migliorativi sul fondo (art. 16 l. cit.), conseguendo un aumento del canone (art. 17 st. l.) ed usufruendo, secondo i casi, del c.d. diritto di ripresa (art. 42 st. l.).

 

Considerato in diritto

 

1. - L'esame della questione di legittimità costituzionale sollevata dal Tribunale di S. Maria Capua Vetere esige un breve cenno preliminare per chiarire i termini di essa.

Il d.l.C.P.S. 1 aprile 1947 n. 273, nel disporre la proroga dei contratti di mezzadria, colonia ed affitto a coltivatore diretto, statuì che essa non si applicava se il concedente volesse compiere nel fondo radicali ed immediate trasformazioni agrarie, la cui esecuzione fosse incompatibile con la continuazione del contratto (art. 1). Detta eccezione venne riprodotta con lievissime modificazioni, che non ne alterarono il contenuto, nell'articolo unico della legge 13 giugno 1961 n. 527; per contro, essa venne soppressa dall'art. 32 l. 11 febbraio 1971 n. 11 (autenticamente interpretato dall'art. 5 ter, terzo comma, l. 4 agosto 1971 n. 592), il quale abrogò le citate disposizioni dell'art. 1 d.l.C.P.S. n. 273/1947 nonché dell'articolo unico l. n. 527/1961. Ma questa Corte con la sentenza 5 aprile 1974 n. 107 dichiarò l'illegittimità costituzionale della norma abrogatrice, di talché la ricordata eccezione continuò ad essere operante.

Infine, é sopravvenuta la l. 3 maggio 1982 n. 203, la quale, come é noto, ha profondamente modificato l'intero regolamento dei contratti agrari.

2. - Qui interessa ricordare che la materia delle suindicate trasformazioni é stata regolata da detta legge in maniera del tutto diversa rispetto alla normativa anteriore - sopra richiamata - in quanto il legislatore ha optato per il mantenimento in ogni caso del rapporto agrario preesistente e ha stabilito una dettagliata disciplina diretta a contemperare gli interessi eventualmente contrastanti delle parti; in relazione a ciò ha previsto un aumento del canone, se l'esecuzione delle opere necessarie é stata effettuata dal concedente, e un'adeguata indennità, oltre al diritto di ritenzione, se le stesse sono state eseguite dal concessionario (artt. 16, 17, 18 e 20).

Da altro angolo visuale, va osservato che, in dipendenza dal radicale mutamento dell'assetto normativo, la nuova legge ha abrogato le preesistenti disposizioni che disponevano la proroga dei contratti agrari (fissando però per i contratti in corso la durata legale indicata nell'art. 2) e conseguentemente ha abolito altresì tutte le eccezioni alla suddetta proroga, che intuitivamente non avevano più ragione d'essere (art. 40, primo comma, l. cit.). É venuta così meno anche la ricordata eccezione relativa alle trasformazioni agrarie ed é proprio contro tale disposizione transitoria che si appunta la critica dell'ordinanza di rimessione. La quale osserva che, essendo stata fissata per i contratti in corso una durata legale, di notevole entità, doveva essere mantenuta la ricordata causa di cessazione del rapporto, che conferiva al concedente la facoltà di riavere immediatamente il fondo per eseguirvi le trasformazioni indicate dal ricordato art. 1 d.l.C.P.S. n. 273 del 1947 e dall'articolo unico l. n. 527 del 1961. La soppressione di tale facoltà, con il conseguente assoggettamento della materia alla disciplina dettata dalla nuova legge, si pone, secondo il giudice a quo, in contrasto con l'art. 41 Cost. perché viene a comprimere ingiustificatamente il potere di iniziativa economica del concedente; e viola altresì - sempre secondo detto giudice - l'art. 44 Cost. in quanto, da un lato, impedisce il razionale sfruttamento del suolo e, dall'altro, sacrificando la posizione del concedente stesso a esclusivo beneficio del concessionario, non regola in maniera equa il rapporto tra loro esistente.

3. - La proposta questione non é fondata.

Con essa in realtà viene impugnata la disciplina transitoria delle trasformazioni agrarie rispetto ai contratti in corso, deducendosi che per essi doveva essere mantenuta la vecchia disciplina e non si poteva estendere, come invece é stato fatto attraverso gli artt. 40, primo comma, e 53, primo comma, l. cit., il nuovo regolamento.

In linea generale rileva al riguardo la Corte che, relativamente al passaggio da una precedente normativa a quella sopravvenuta, dev'essere riconosciuto al legislatore un ampio potere discrezionale sulla base di valutazioni e scelte socio-economiche che possono consigliare, secondo i casi, la immediata applicazione delle nuove norme ovvero l'ultrattività delle disposizioni abrogate. Indubbiamente detto potere non é illimitato, e quindi, se esso é stato esercitato in maniera assolutamente irrazionale o arbitraria, ne deriva l'illegittimità costituzionale della disposizione transitoria, come qualche volta questa Corte ha ritenuto (cfr. sent. n. 7 del 1963 e n. 64 del 1982).

Ma il limite di razionalità non può dirsi superato se la disposta applicabilità della disciplina sopravvenuta ai rapporti preesistenti sia in linea con le finalità che il legislatore ha inteso perseguire con la nuova normativa, la cui operatività venga considerata, per esigenze di carattere sociale, non ulteriormente procrastinabile (cfr. sull'argomento la sent. n. 121 del 1976).

In siffatta ipotesi é evidente infatti come trattisi di una scelta rimessa alla valutazione politica del legislatore ed estranea, come tale, all'oggetto del giudizio di costituzionalità.

4. - Ciò precisato in termini generali, osserva la Corte, quanto ai due parametri a cui fa riferimento l'ordinanza di rimessione, che non sembra appropriatamente richiamato l'art. 41 Cost., trovando la proprietà terriera, come più volte é stato osservato, la sua specifica tutela nel successivo art. 44, in base al quale perciò deve essere condotto esclusivamente l'esame della censura formulata dal giudice a quo. Tale norma esige da parte del legislatore ordinario una disciplina che assicuri il razionale sfruttamento del suolo e sia diretta altresì a instaurare equi rapporti sociali: funzione quest'ultima che si concreta, come é stato già ritenuto nella sent. n. 138 del 1984, nella attuazione di un superiore fine di giustizia e nella realizzazione di un equilibrio sostanziale fra le diverse categorie interessate. Dal precetto costituzionale così inteso si ricava agevolmente come la ricordata applicabilità della normativa sopravvenuta ai rapporti preesistenti non può essere considerata arbitraria e irrazionale, in quanto la nuova legge, pur tenendo in considerazione l'interesse superiore della produzione (e permettendo quindi l'esecuzione, oltre che di miglioramenti e di addizioni, anche di trasformazioni di qualsiasi dimensione), risulta tendenzialmente finalizzata, con il mantenimento del rapporto agrario in corso, a tutelare entrambe le parti (senza costringere il concessionario a rilasciare il fondo) e quindi a instaurare tra loro una situazione più rispondente ad un sostanziale criterio equitativo.

5. - Né in senso contrario può addursi la suindicata sentenza n. 107 del 1974 con cui questa Corte dichiarò l'illegittimità costituzionale degli artt. 32 l. 11 febbraio 1971 n. 11 e 5 ter, ultimo comma, l. 4 agosto 1971 n. 592, che avevano abolito la più volte richiamata eccezione alla proroga, consistente nella facoltà del locatore di riavere il fondo per eseguirvi radicali e immediate trasformazioni.

La realtà giuridica attuale presenta, invero, sensibili elementi di diversità rispetto a quella considerata nella predetta decisione. Questa, infatti, fu pronunciata nel periodo in cui vigeva, per i contratti agrari, il regime vincolistico senza limite di tempo (art. 14 l. 15 settembre 1964 n. 756), mentre tale regime con la nuova legge é venuto a cessare, ancorché sia stata imposta una durata legale dei rapporti in corso (art. 2 l. n. 203 del 1982), onde risulta determinato il momento in cui, spirato il termine finale del rapporto fissato dalla legge, il concedente riavrà la disponibilità del fondo e potrà eseguire tutte le trasformazioni che riterrà opportune. Ancor più importante é il rilievo che, secondo la legislazione vigente (art. 16 e segg. l. cit.), sussiste per la realizzazione delle trasformazioni in pendenza del rapporto agrario un meccanismo accuratamente articolato, diretto all'effettiva attuazione dei principi espressi dall'art. 44 Cost., meccanismo che si distingue nettamente dall'incerta e lacunosa disciplina della l. 11 febbraio 1971 n. 11 (art. 10 e segg.), vigente al momento della pronuncia della ricordata sentenza n. 107 del 1974 e peraltro dichiarata in parte costituzionalmente illegittima da questa Corte (sent. n. 153/1977).

Né può tralasciarsi di considerare che la nuova legge, ispirandosi a valori maggiormente acquisiti dalla coscienza comune col trascorrere del tempo, ha inteso attuare - come ampiamente risulta dai lavori preparatori - un principio di più intensa tutela del lavoro e dell'impresa e, quindi, disporre un più equo contemperamento delle posizioni del concedente e del concessionario.

Peraltro non mancano dei rimedi a favore del concedente, come il diritto di ripresa previsto dalla legge vigente (art. 42) e sconosciuto nella legislazione anteriore, per cui il concedente medesimo, sussistendo determinate condizioni, può far cessare il rapporto agrario e riavere la disponibilità del fondo. Mentre l'inidoneità del concessionario alla coltivazione del terreno, eventualmente sopravvenuta all'esecuzione delle radicali trasformazioni agrarie, può trovare adeguato rimedio nella previsione dell'art. 5 l. cit., che prevede il recesso dal contratto di affitto o la sua risoluzione.

In definitiva deve pertanto dirsi che la decisione suindicata, su cui ha tanto insistito l'ordinanza di rimessione, non contrasta con la conclusione sopra accennata.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 40, primo comma, l. 3 maggio 1982 n. 203, sollevata in riferimento agli artt. 41 e 44 Cost. dal Tribunale di Santa Maria Capua Vetere con l'ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, l'8 maggio 1985.

Guglielmo ROEHRSSEN - Francesco SAJA

Depositata in cancelleria il 25 maggio 1985.