Sentenza n.109 del 1985

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SENTENZA N. 109

ANNO 1985

 

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori:

Prof. Guglielmo ROEHRSSEN, Presidente

Avv. Oronzo REALE

Dott. Brunetto BUCCIARELLI DUCCI

Avv. Alberto MALAGUGINI

Prof. Livio PALADIN

Prof. Antonio LA PERGOLA

Prof. Virgilio ANDRIOLI

Prof. Giuseppe FERRARI

Dott. Francesco SAJA

Prof. Giovanni CONSO

Prof. Ettore GALLO

Dott. Aldo CORASANITI

Prof. Giuseppe BORZELLINO

Dott. Francesco GRECO, Giudici,

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nei giudizi riuniti di legittimità costituzionale dell'art. 41 e seguenti del titolo III del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633 (Istituzione e disciplina dell'imposta sul valore aggiunto) promossi con le seguenti ordinanze:

1) ordinanza emessa il 27 marzo 1979 dalla Commissione tributaria di primo grado di Reggio Calabria nel procedimento sui ricorsi proposti da Gagliostro Francesco, iscritta al n. 149 del registro ordinanze 1983 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 205 del 1983;

2) ordinanza emessa il 28 novembre 1983 dalla Commissione tributaria di primo grado di Genova sui ricorsi proposti dalla S.p.A. SITEL c/Ufficio IVA di Genova, iscritta al n. 507 del registro ordinanze 1984.

Visti gli atti d’intervento del Presidente del Consiglio;

udito nell'udienza pubblica del 5 marzo 1985 il Giudice relatore Oronzo Reale;

udito l'Avvocato dello Stato Carlo Salimei per il Presidente del Consiglio dei ministri.

 

Ritenuto in fatto

 

1. - Con ordinanza del 27 marzo 1979 (n. 149 reg. ord. del 1983) la Commissione tributaria di primo grado di Reggio Calabria solleva questione incidentale di legittimità costituzionale degli artt. 10, primo e secondo comma, n. 11, della legge 9 ottobre 1971, n. 825 (Delega legislativa al Governo della Repubblica per la riforma tributaria), e da 41 a 50 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633 (Istituzione e disciplina dell'imposta sul valore aggiunto), per preteso contrasto con gli artt. 76 e 77 della Costituzione.

Dovendo giudicare del ricorso presentato da Gagliostro Francesco avverso gli avvisi di rettifica ed irrogazione delle sanzioni pecuniarie per violazioni alla normativa sull'IVA per ciascuno degli anni 1973, 1974 e 1975, la Commissione tributaria di Reggio Calabria dubita della congruità dei principi direttivi della legge delega in materia di sanzioni (e perciò della legittimità costituzionale dell'art. 10 della legge n. 825 del 1971) nonché in conseguenza, della legittimità costituzionale delle norme delegate (con riguardo perciò agli artt. da 41 a 50 del d.P.R. n. 633 del 1972).

La Commissione rileva che le disposizioni da emanare in tema di accertamento, riscossione, sanzioni e contenzioso dovevano essere intese ad adeguare la disciplina preesistente alle riforme previste nella legge e ad assicurare la prevenzione e repressione dell'evasione; ma tale generica enunciazione degli scopi non specificherebbe alcunché in ordine alle finalità che si propone qualsiasi sanzione in materia fiscale; pertanto non si avrebbe alcuna concreta direttiva per l'autorità delegata.

Né il n. 11 dello stesso art. 10, comma secondo, della legge delega che concerne più specificamente il sistema sanzionatorio, offrirebbe maggiori o più precisi criteri direttivi: il richiamo ivi contenuto al "perfezionamento del sistema delle sanzioni amministrative e penali" presupporrebbe un sistema organico di base su cui operare, mentre la legge n. 825 del 1971 introduce una riforma tributaria totale, estesa ad ogni settore; si imponeva quindi un sistema sanzionatorio completamente nuovo, e non un semplice "perfezionamento" del sistema esistente.

In mancanza poi di specifici principi e criteri direttivi che delimitino in modo sufficiente il potere del legislatore delegato, questi risulterebbe titolare di un potere di scelta "in bianco", in relazione alla individuazione delle differenti ipotesi di violazioni, alla scelta tra le varie specie delle sanzioni, alla determinazione delle misure delle stesse.

Nelle scelte del legislatore delegato si riscontrerebbero poi incoerenza e mancata duttilità con riferimento al caso singolo.

La critica investe anche l'ambito delle sanzioni penali, che pure non erano in gioco nel giudizio.

É intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, esponendo:

1) che la questione sollevata ipoteticamente e solo nella parte motiva dell'ordinanza in relazione alle sanzioni penali detentive sarebbe del tutto irrilevante;

2) che la denuncia d’incostituzionalità, per quanto attiene all'art. 42 del d.P.R. n. 633 del 1972, concernente la pena pecuniaria irrogabile in ipotesi di violazione dell'obbligo di registrazione, sarebbe "manifestamente infondata" in quanto l'art. 10, secondo comma, n. 4, della legge delega n. 825 del 1971 prevede espressamente la comminazione di sanzioni "per il solo fatto della omessa o irregolare tenuta delle scritture contabili";

3) che, in linea più generale, la denunciata assenza nella legge delegante, di principi e criteri direttivi in realtà non sussiste. Oltre al parametro della "prevenzione e repressione dell'evasione", la legge delega ne fissa altri, per la normativa attinente alle sanzioni, scaturenti dal criterio dell'adeguamento della normativa previdente alle riforme previste e della semplificazione dei rapporti tributari.

Il primo comma dell'art. 10 della legge delega n. 825 del 1971 conterrebbe pertanto per un interprete attento, una nutrita serie di implicazioni, sufficiente a ritenere soddisfatta la esigenza della determinazione dei principi e dei criteri direttivi;

4) che la denuncia d’indeterminatezza di principi e criteri direttivi rivolta al n. 11 del secondo comma dell'art. 10 della legge delega appare anch'essa priva di fondamento in quanto proprio il riferimento ad un "perfezionamento" del sistema sanzionatorio, dimostra che era prescritto al legislatore delegato di "tenere fondamentalmente fermo il sistema sanzionatorio" previgente.

Stabilito dalla legge di delegazione il principio della "commisurazione delle sanzioni all'effettiva entità oggettiva e soggettiva delle violazioni" e garantita dalle norme delegate la graduazione concreta della sanzione in considerazione delle circostanze oggettive e soggettive di specie, ogni altro apprezzamento sulla congruità delle singole sanzioni investe materia sottratta a sindacato quando, come nella specie, la scelta legislativa non contrasti con la ragionevolezza.

2. - Con ordinanza del 28 novembre 1983 (n. 507 del reg. ord. 1984) la Commissione tributaria di primo grado di Genova, solleva questione incidentale di legittimità costituzionale degli artt. 41 e ss. del citato d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, per preteso contrasto con gli artt. 3, 24, 76 e 77 della Costituzione, tenuto anche conto dell'art. 10, secondo comma, n. 11, della legge delega n. 825 del 1971.

L'art. 41 e ss. del citato d.P.R. n. 633 non distingue tra adempimento spontaneo tardivo ed omissione rilevata d'ufficio e consente soltanto una riduzione della soprattassa allorché il versamento segua spontaneamente entro 30 gg. dalla scadenza del termine.

Posto che nella sua formulazione la norma parificherebbe nella sanzione due situazioni diverse, si assume violato l'art. 3 della Costituzione; si tratterebbe non di semplice discrezionalità legislativa, ma di una intrinseca irrazionalità della norma che in luogo di spingere all'adempimento dell'obbligo fiscale, seppure tardivo, spinge all'evasione totale, parificando, quoad poenam, l'inadempimento con l'adempimento tardivo oltre i 30 giorni.

Ciò comporterebbe anche violazione degli artt. 76 e 77 della Costituzione, in quanto, pur nella sommaria prefissione da parte della legge delegante dei principi e criteri direttivi, era stato prescritto di provvedere al perfezionamento delle sanzioni amministrative e penali e alla migliore commisurazione di esse alla effettiva entità oggettiva e soggettiva delle violazioni.

Ma la norma denunciata violerebbe oltre che l'art. 3, anche l'art. 24 della Costituzione perché le sanzioni non dovrebbero essere commisurate solo in via edittale alla diversa configurabilità delle violazioni astrattamente configurabili, ma anche, in concreto, alla diversa entità che uno stesso tipo di violazione assume nei singoli casi evitando che l'applicazione delle sanzioni vada a costituire un mero fenomeno automatico.

In punto di rilevanza, l'ordinanza non indica se nella specie il pagamento tardivo (oltre i trenta giorni) era stato effettuato o offerto prima della notifica degli avvisi di rettifica da parte dell'Ufficio Imposte, ma si limita a riferire la circostanza, dedotta dalla ricorrente soc. SITEL, che le somme dovute non sarebbero state tempestivamente corrisposte a seguito di difficoltà finanziarie scaturite dal ritardo con cui vari lavori eseguiti a favore anche dello Stato erano stati pagati.

Ha spiegato intervento il Presidente del Consiglio dei ministri per il tramite dell'Avvocatura generale dello Stato chiedendo che le questioni siano dichiarate infondate.

Assume l'Avvocatura che l'art. 49 del d.P.R. n. 633 del 1972 stabilisce che la misura delle pene debba essere determinata tenendo conto della gravità del danno o del pericolo per l'erario e della personalità dell'autore delle violazioni. L'aver tardivamente, ma spontaneamente, adempiuto all'obbligo fiscale diminuirebbe il danno per l'erario ed inciderebbe in modo notevole sulla valutazione della personalità del trasgressore; in concreto dunque la sanzione sarebbe congruamente differenziata.

La scelta tra il sistema di differenziare le pene edittali a seconda della gravità delle violazioni e quello di differenziare la pena concreta in base alla previsione di circostanze attenuanti o aggravanti, apparterrebbe alla piena discrezionalità del legislatore e sarebbe quindi sottratta a sindacato, in quanto non contrasterebbe con il generale criterio della ragionevolezza.

La violazione dell'art. 24 della Costituzione non sussisterebbe poiché il trasgressore é indubbiamente ammesso a far valere le circostanze di fatto da valutarsi ai fini della commisurazione della pena.

Nessuna delle parti si é costituita.

All'udienza del 5 marzo 1985 l'Avvocatura dello Stato ha concluso per la infondatezza delle due questioni.

 

Considerato in diritto

 

1. - Con le due ordinanze indicate in epigrafe e riassunte in narrativa le Commissioni tributarie di primo grado di Reggio Calabria e di Genova sollevano questioni di legittimità costituzionale di contenuto analogo ancorché riferite a disposizioni e a parametri in parte diversi.

É quindi opportuno riunire i due giudizi e deciderli con unica sentenza.

2. - La Commissione tributaria di primo grado di Reggio Calabria, con ordinanza emessa in data 27 marzo 1979 e pervenuta alla Corte il 18 febbraio 1983 (n. 149 del reg. ord. 1983), dubita della legittimità costituzionale dell'art. 10, primo comma e n. 11 (rectiucs: secondo comma n. 11) della legge delega per la riforma tributaria nonché del titolo terzo del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633 (che determina le sanzioni per le varie violazioni alla disciplina della imposta sul valore aggiunto).

La rilevanza della questione stava in ciò che, come testualmente si legge nell'ordinanza di rimessione, "a seguito delle varie violazioni contestate sono state applicate numerose sanzioni pecuniarie non accettate dal ricorrente onde la necessità di risolvere le questioni attinenti alla legittimità costituzionale della norma che prevede le sanzioni in materia di violazioni IVA".

Secondo la Commissione, che accoglieva l'istanza del ricorrente, l'illegittimità costituzionale era evidenziata dal "raffronto delle regole enunciate negli artt. 76 e 77 Cost." con il contenuto dell'art. 10 comma primo e comma secondo n. 11 della legge delega "per non sufficiente e idonea determinazione dei principi e criteri direttivi".

L'ordinanza di rimessione si diffonde a specificare la censura di incostituzionalità con una descrizione analitica delle formule della legge delega e delle disposizioni del decreto delegato al fine di dimostrare che non soltanto la "libertà lasciata alla legge delegata", munendo l'organo delegato di "un potere di ricerca in bianco", ha consentito la previsione di "sanzioni differenziate, che, a volte, appaiono incoerenti, o eccessivamente pesanti, e prive della necessaria duttilità nella concreta applicazione"; ma che non si poteva prevedere, come ha fatto la legge delega, il "perfezionamento delle sanzioni amministrative e penali", di fronte ad una totale innovazione del sistema tributario, quale é quella disegnata nella stessa legge delega.

L'Avvocatura dello Stato contesta la fondatezza di questi rilievi di incostituzionalità, a sua volta negando attraverso l'esame delle sue disposizioni, la genericità della legge delega; eccepisce l'irrilevanza della questione, prospettata soltanto nella motivazione della ordinanza, della eccessiva severità delle sanzioni penali in confronto di quelle previste per le evasioni di altri tributi, poiché nella specie non erano in discussione sanzioni penali, ma solo amministrative (né del resto avrebbe potuto la Commissione tributaria applicare sanzioni penali); rileva che taluna delle sanzioni previste nel decreto delegato corrisponde pressoché testualmente alla previsione della legge delega.

3. - La Corte non ritiene di doversi addentrare nell'esame della questione sollevata e dei suoi vari profili, rilevando che il giudice a quo era chiamato a decidere dell'applicazione o meno delle sanzioni amministrative previste nel titolo terzo del d.P.R. n. 633 del 1972, per violazioni delle disposizioni sull'IVA consumate negli anni 1973, 1974 e 1975.

Ora l'ordinanza della Commissione, sebbene pervenuta alla Corte, come già rilevato, con quasi quattro anni di ritardo, é stata emessa il 27 marzo 1979. Successivamente a questa data sono stati emanati due provvedimenti di sanatoria, cioé la legge 22 dicembre 1980, n. 882 e il decreto legge 10 luglio 1982, n. 429 convertito in legge 7 agosto 1982, n. 516, con i quali (citiamo dal secondo testo: artt. 25, 29 e 30) i contribuenti che siano incorsi in violazioni della normativa IVA sono ammessi, allorché non sia intervenuto accertamento definitivo, a presentare dichiarazione integrativa, e quando questa corrisponda al dovuto, le sanzioni amministrative previste nel titolo III del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, nonché gli interessi di mora non si applicano. (Il d.l. 15 dicembre 1982, n. 916 convertito in legge 12 febbraio 1983, n. 27 ha poi prorogato al 15 marzo 1983 il termine per le dichiarazioni integrative).

Pertanto, essendo in discussione non il debito d'imposta, ma l'applicazione delle sanzioni per il suo mancato versamento, e potendo l'autore delle infrazioni, in virtù della normativa sopravvenuta, sottrarsi, pendente il giudizio, alle previste sanzioni contro le quali aveva fatto ricorso, spetta al giudice a quo, al quale vanno restituiti gli atti, (in conformità della giurisprudenza della Corte: da ultimo sentenza n. 310 e ordinanza n.32 del 1983) accertare se la questione sollevata sia tuttora rilevante.

4. - La Commissione tributaria di primo grado di Genova con ordinanza 28 novembre 1983 ha sollevato questione di legittimità "dell'art. 41 e seguenti del titolo III del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, in relazione agli artt. 3 e 24 della Costituzione, nonché in rapporto agli artt. 76 e 77 primo comma della Costituzione medesima, tenendo presente il disposto dell'art. 10 n. 11 della legge 9 ottobre 1971, n. 825".

Essendo stata emessa l'ordinanza posteriormente alla scadenza del termine della sanatoria accordata con la normativa innanzi ricordata, deve ritenersi che la società SITEL, ricorrente contro l'ufficio IVA, non si fosse avvalsa della facoltà di sottrarsi alle sanzioni con la dichiarazione integrativa.

La Commissione di Genova rileva una violazione dell'art. 3 Cost. derivante dal fatto che le norme denunciate, non distinguendo tra "adempimento spontaneo tardivo" e "omissione rilevata d'ufficio", "parifica (irrazionalmente) nella sanzione due situazioni nettamente diverse, quali l'adempimento spontaneo dell'obbligo fiscale, pur in sensibile ritardo rispetto alla scadenza legale, e l'evasione totale, rilevata dall'ufficio solo a seguito della sua attività di controllo e di accertamento".

Soggiunge la Commissione rimettente che una simile irrazionale parificazione "ed il togliere ogni rilevanza al versamento spontaneo successivo" non era consentita al legislatore delegato "senza una sostanziale violazione dei limiti posti dagli artt. 76 e 77 della Costituzione alla funzione legislativa dell'Esecutivo". E vi sarebbe ulteriore violazione dell'art. 24 Cost. poiché il diritto di difesa "non attiene soltanto alla possibilità di far valere tempestivamente la propria innocenza, ma anche alla possibilità di ottenere una migliore commisurazione delle sanzioni alla entità oggettiva e soggettiva delle infrazioni stesse".

5. - Tale essendo la doglianza della Commissione rimettente (e cioé l’equiparazione, denunziata sotto vari profili, dell'adempimento spontaneo tardivo della obbligazione tributaria con l'inadempimento contestato dall'ufficio), la questione proposta si appalesa chiaramente inammissibile.

Infatti, non solo la Commissione rimettente non spende una parola sulla rilevanza, ma questa é sicuramente esclusa dall'oggetto del giudizio quale risulta dalla stessa ordinanza.

Il giudizio aveva infatti per oggetto le opposizioni ad avvisi di rettifica dell'ufficio IVA del 18 febbraio 1977 e 18 aprile 1978 relativi alle dichiarazioni degli anni 1973, 1974, 1975 e 1976, con i quali si contestavano le violazioni al d.P.R. n. 633 del 1972, e si indicavano le pene pecuniarie e gli interessi di mora dovuti.

Si aggiunga che dall'esame degli atti della controversia risulta che le violazioni della legge non venivano negate in fatto dalla Società ricorrente, la quale le giustificava con le difficoltà finanziarie nelle quali era venuta a trovarsi a causa del ritardo nella riscossione dei suoi crediti.

Questa essendo la situazione sottoposta all'esame della Commissione rimettente, non aveva alcuna rilevanza imputare alla normativa denunciata l’impossibilità di evitare o limitare le sanzioni mediante il pagamento volontario dell’imposta prima della contestazione dell'infrazione, poiché tale contestazione - relativa, come si esprime l'ordinanza, proprio ad infrazioni rilevate dall'ufficio a seguito della sua attività di controllo e di accertamento - era già avvenuta da anni senza che prima di essa il pagamento si fosse verificato.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

1) ordina la restituzione degli atti alla Commissione tributaria di primo grado di Reggio Calabria (giudizio di cui all'ordinanza n. 149 del reg. ord. 1983);

2) dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale "dell'art. 41 e seguenti del titolo III del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633 in relazione agli artt. 3 e 24 della Costituzione, nonché in rapporto agli artt. 76 e 77 primo comma della Costituzione, tenuto presente il disposto dell'art. 10 n. 11 della legge 9 ottobre 1971, n. 825", sollevata dalla Commissione tributaria di primo grado di Genova con l'ordinanza n. 507 del reg. ord. 1984.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 16 aprile 1985.

Guglielmo ROEHRSSEN - Oronzo REALE

Depositata in cancelleria il 17 aprile 1985.