Sentenza n.36 del 1985

 CONSULTA ONLINE 

SENTENZA N. 36

ANNO 1985

 

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori:

Prof. Leopoldo ELIA, Presidente

Avv. Oronzo REALE

Dott. Brunetto BUCCIARELLI DUCCI

Avv. Alberto MAEAGUGINI

Prof. Livio PALADIN

Prof. Antonio LA PERGOLA

Prof. Virgilio ANDRIOLI

Prof. Giuseppe FERRARI

Dott. Francesco SAJA

Prof. Giovanni CONSO

Prof. Ettore GALLO

Dott. Aldo CORASANITI

Prof. Giuseppe BORZELLINO

Dott. Francesco GRECO, Giudici,

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale della legge 8 gennaio 1979, n. 2 (Interpretazione autentica dell'art. 8 della legge 26 maggio 1965, n. 590, con le modificazioni ed integrazioni della legge 14 agosto 1971, n. 817) promosso con ordinanza emessa il 20 giugno 1980 dal Pretore di Montagnana nel procedimento civile vertente tra Eredi di Sofonisbi Ovidio e Ferrari Maria. iscritta al n. 650 del registro ordinanze 1980 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 311 del 1980.

Visto l'atto d’intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica del 27 novembre 1984 il Giudice relatore Giuseppe Ferrari;

udito l'Avvocato dello Stato Giuseppe Del Greco per il Presidente del Consiglio dei ministri.

 

Ritenuto in fatto

 

1. - Con ordinanza emessa il 20 giugno 1980 il Pretore di Montagnana ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell'articolo unico della legge 8 gennaio 1979, n. 2, in riferimento agli artt. 2, 4, 25, 41 e 42 Cost..

Adito in una controversia civile promossa dal titolare del diritto di prelazione nell'acquisto di un fondo agricolo, il quale intendeva, ai sensi dell'art. 8, quinto comma, della legge 26 maggio 1965, n. 590, riscattare dal terzo acquirente il fondo a sua insaputa vendutogli, il giudice a quo osserva che, in difetto di un'esplicita previsione normativa circa il termine entro il quale il prezzo avrebbe dovuto, in tale ipotesi, rimborsarsi al terzo, la giurisprudenza aveva, dopo talune iniziali incertezze, definitivamente chiarito (Cass., sez. un. civ., 16 ottobre 1976, n. 3498) che il pagamento doveva effettuarsi entro tre mesi dalla data della manifestazione di volontà del riscattante di voler acquisire il fondo; e ciò in analogia con quanto stabilito dal sesto comma dello stesso art. 8 che, per il caso in cui sia stato esercitato il diritto di prelazione, impone che il versamento del prezzo avvenga appunto entro quel termine. La ratio di tale interpretazione - continua l'ordinanza - risiedeva evidentemente nell'esigenza di tutelare l'interesse del terzo acquirente a vedersi rimborsare in tempi brevi il prezzo erogato per il fondo poi retrattato, ed in quella correlativa di evitare possibili speculazioni da parte del riscattante.

In tale contesto ermeneutico é sopraggiunta la legge n. 2 del 1979 la quale, sotto il titolo "interpretazione autentica dell'art. 8 della legge 26 maggio 1965, n. 590, con le modificazioni e integrazioni della legge 14 agosto 1971, n. 817", nel suo articolo unico da un canto, al primo comma, stabilisce che "la disciplina relativa al versamento del prezzo d’acquisto, prevista dal sesto e dal settimo comma dell'art. 8 della legge 26 maggio 1965, n. 590, modificato dalla legge 14 agosto 1971, n. 817, si intende riferita anche ai casi di cui al quinto comma dello stesso articolo"; dall'altro, al secondo comma, recita: "i termini decorrono dalla comunicazione scritta dell'adesione del terzo acquirente, o di successivo avente causa, alla dichiarazione di riscatto, oppure, ove sorga contestazione, dal passaggio in giudicato della sentenza che riconosce il diritto"; al terzo comma, infine, statuisce che "la presente legge costituisce interpretazione autentica della legge 26 maggio 1965, n. 590". Orbene, continua il giudice a quo, dal valore retroattivo connesso alla qualificazione di legge interpretativa consegue che la disciplina sui termini si applichi anche ai giudizi in corso, e quindi anche a quello de quo, nel quale l'attore aveva fatto offerta reale del prezzo solo il 6 maggio 1975, in corso di causa, dopo oltre due anni dalla notifica dell'atto di citazione (6 marzo 1973) con il quale si chiedeva l'attuazione dell'addotto diritto di riscatto.

2. - Gli addotti profili d’incostituzionalità concernono:

a) il valore retroattivo surrettiziamente conferito alla legge attraverso lo strumento della qualificazione della stessa come legge d’interpretazione autentica, mentre la relativa disciplina si presenta, invece, come assolutamente innovativa rispetto alla precedente per quanto concerne il decorso del termine dal passaggio in giudicato della sentenza che riconosce il diritto, in caso di controversia giudiziale. Ne risulterebbero violati, ad avviso del giudice a quo, "gli artt. 11 e 12 delle, 'disposizioni sulla legge in generalé, preliminari al codice civile" e "lo stesso art. 25, secondo comma, della Costituzione" il cui ambito applicativo non potrebbe ritenersi limitato alla sola materia penale;

b) la disparità di trattamento fra riscattante e terzo acquirente nel senso che la tutela del primo (pur, in sé, costituzionalmente corretta) comporterebbe un sacrificio eccessivo della posizione del secondo, al quale nessun onere di comunicazione é preventivamente imposto e che, tuttavia, può vedersi rimborsare il prezzo a suo tempo corrisposto con moneta svalutata, senza interessi, magari procurata dal riscattante negli anni necessari alla definitiva soluzione giudiziale della controversia, in ipotesi instaurata sulla base di una pretesa assolutamente infondata. La norma avrebbe, quindi, ignorato "il principio della parità dei cittadini davanti alla legge e il principio della libertà della proprietà e del libero commercio dei beni" in violazione degli artt. 2 (rectius 3), 4, 41 e 42 Cost..

3. - É intervenuto nel giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato dall'Avvocatura generale dello Stato, instando per la declaratoria d’infondatezza della sollevata questione di legittimità costituzionale.

In atto d'intervento si rileva anzitutto che l'ordinanza non chiarisce quale sia l'addotta violazione dell'art. 4 Cost., comunque affermandosi che il diritto di riscatto accordato al diretto coltivatore del fondo certamente non lede quello al lavoro del terzo acquirente.

Del pari - si afferma - non é spiegata e non s'intende la pretesa violazione degli artt. 41 e 42 Cost., essendo la proprietà privata costituzionalmente tutelata con l'ovvio limite della funzione sociale alla quale deve in primo luogo rispondere; finalità assicurata proprio dalle leggi del 1965 e del 1979 sulla proprietà coltivatrice.

Quanto alla prospettata violazione dell'art. 25 Cost., premesso che l'irretroattività é sancita solo per le leggi penali, l'Avvocatura nega che la legge impugnata non abbia carattere meramente interpretativo della legge n. 590 del 1965. Essa, infatti, appare priva d’autonomia ed ha senso solo se coordinata con le preesistenti disposizioni dell'art. 8 della legge del 1965, delle quali chiarisce il significato e l'ambito d’efficacia in ordine alle modalità d’esercizio del riscatto agrario, eliminando dubbi che avevano provocato contrasti giurisprudenziali riconosciuti dallo stesso giudice a quo.

In ordine alla prospettata violazione dell'art. 3 Cost. si osserva, infine, che il bilanciamento degli interessi in conflitto é riservato alla discrezionalità del legislatore. E che tale discrezionalità sia stata nella specie ragionevolmente esercitata discende dalla considerazione che la necessità di attendere il passaggio in giudicato della sentenza che riconosce il diritto di riscatto, ai fini del decorso del termine per il versamento del prezzo da parte del riscattante, non é che una conseguenza connessa al comportamento del riscattato, che ingiustamente si sia opposto alla pretesa del riscattante, secondo quanto reiteratamente ritenuto dalla Corte di Cassazione, che ha sempre escluso qualsiasi sospetto d’illegittimità costituzionale della norma impugnata (Cass. civ., 18 settembre 1979, n. 4801; 20 settembre 1979, n. 4833; 13 novembre 1979, n. 5900; 3 aprile 1980, n. 2207).

 

Considerato in diritto

 

1. - L'articolo unico della legge 8 gennaio 1979, n. 2 ("interpretazione autentica dell'art. 8 della legge 26 maggio 1965, n. 590, con le modificazioni ed integrazioni della legge 14 agosto 1971, n. 817") si distribuisce in tre commi: i primi due attengono alla disciplina dell'esercizio del diritto di riscatto dei fondi rustici - più propriamente, alla decorrenza del termine per il versamento del prezzo -, il terzo dichiara esplicitamente il carattere d’interpretazione autentica della legge. Ora, secondo il Pretore di Montagnana, questa sarebbe costituzionalmente illegittima, non tanto e solo perché, pur proclamandosi meramente interpretativa, in realtà sarebbe innovativa, stante l’introduzione di un termine che non era previsto dalla legge asseritamente interpretata, quanto e soprattutto perché comporterebbe l'applicabilità di tale termine anche ai giudizi in corso ed un trattamento di sfavore per il terzo acquirente in buona fede, che per di più é del tutto estraneo al rapporto fra proprietario e titolare del diritto di riscatto. Da ciò, la denuncia della legge in riferimento agli artt. 2, 4, 25, 41 e 42 Cost..

2. - La questione, come prospettata nell'ordinanza in esame, deve dichiararsi non fondata.

Ed invero, a parte il rilievo che i vizi denunciati, eccezion fatta per la censura formulata in riferimento all'art. 25 Cost., si contengono, prima ancora che nella legge de qua, in quella interpretata, non é agevole comprendere - la doglianza risulta, infatti, sul punto del tutto immotivata - come possa ritenersi violato l'art. 4 Cost., cioé il principio del diritto al lavoro, ad opera di una norma la quale si propone di assicurare al coltivatore la possibilità di lavorare in proprio il fondo che già lavorava per conto del proprietario. Né può dirsi che attingano dignità di motivazione i richiami, generici e fuggevoli, che, a sostegno dell'asserito contrasto con gli artt. 41 e 42 Cost., risultano nell'ordinanza fatti ai principi "della libertà della proprietà" e "del libero commercio dei beni".

In quanto, poi, alla sollecitazione a non "dimenticare che il danneggiato non é il venditore, cui solo incombe l'onere della comunicazione della vendita, ma l'acquirente, che nessun rapporto ha mai avuto col fittavolo" e che, in conseguenza del rinvio del pagamento del prezzo del riscatto, potrebbe subire anche l'eventuale danno della svalutazione monetaria - per cui si creerebbe "una illegittima distinzione tra due categorie di cittadini, che hanno invece il diritto di essere ugualmente tutelati" - é di piena evidenza, in rapporto alla motivazione offerta, che solo per disattenzione il riferimento risulta fatto all'art. 2, anziché all'art. 3 Cost.. Ma, chiariti i termini dell'impugnativa nel senso di cui sopra, va subito detto che non si configura nella specie la lamentata violazione del "principio della parità dei cittadini avanti alla legge": in una situazione dilemmatica, quale quella prospettata dal giudice a quo, sono tutt'altro che irrazionali l'opinione che sia il fittavolo la parte più debole e la conseguente opzione per esso, anziché per il terzo acquirente; non costituisce anomalia nel nostro sistema il fatto che anche a riguardo del caso di specie "il giudice di merito (non) possa modificare la situazione economica nel frattempo creatasi" per effetto della svalutazione monetaria; la decorrenza del termine dal passaggio in giudicato della sentenza che definisce il giudizio - del resto disposta anche per il riscatto degli immobili urbani dall'art. 39, u. comma, legge 27 luglio 1978, n. 392 ("disciplina delle locazioni d’immobili urbani") - é corretta applicazione del principio della certezza del diritto e dei rapporti giuridici.

3. - Residua così solo la doglianza, secondo cui "con la definizione d’interpretazione autentica dell'art. 8, legge 26 maggio 1965, n. 590..., la legge n. 279 viene ad avere necessariamente valore retroattivo, applicabile pertanto anche ai giudizi tuttora pendenti, e quindi anche al presente". Come appare con tutta chiarezza dalla trascritta prospettazione, in sostanza il giudice a quo lamenta che la legge impugnata venga fatta retroagire contravvenendo alle "disposizioni sulla legge in generale" premesse al codice civile (artt. 11 e 12) a sensi delle quali "la legge non dispone che per l'avvenire". Essendo, quindi, la retroattività il preciso oggetto della questione sollevata, é indifferente che il legislatore disponga l'operatività di una legge anche per il passato, anziché mediante un'apposita norma, mediante un diverso strumento, qual é, come nella specie, l'autodefinizione di interpretazione autentica. Se così é, perde ogni rilievo, ai fini del decidere la presente questione, la problematica relativa alla categoria delle leggi di interpretazione autentica e, conseguentemente, il solo nodo che in proposito questa Corte deve sciogliere é se la retroattività di che trattasi, comunque disposta, confligga con l'art. 25 Cost.. Ma a torto il Pretore di Montagnana fa richiamo al suddetto articolo. Questo - per l'esattezza, il secondo comma - vieta espressamente ed esclusivamente la retroattività della legge penale. Inoltre, a prescindere dalla questione, già esaminata con la sentenza n. 187 del 1981, ma che qui non interessa, se tale divieto debba ritenersi limitato al diritto penale sostantivo o esteso anche a quello processuale, questa Corte, già con sentenza n. 118 del 1957, ha insegnato che "nel nostro ordinamento il principio della irretroattività della legge non assurge, nella sua assolutezza, a precetto costituzionale", precisando tuttavia (anche con la sentenza n. 81 del 1958) non doversi "escludere che in singole materie, anche fuori di quella penale, l'emanazione di una legge retroattiva possa rivelarsi in contrasto con qualche specifico precetto costituzionale". E poiché nel caso di specie l'impugnata legge non viola, come più sopra si é visto, alcuno dei principi costituzionali invocati nell'ordinanza de qua, la questione deve dirsi infondata anche in riferimento all'art. 25 Cost..

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'articolo unico della legge 8 gennaio 1979, n. 2 (interpretazione autentica dell'art. 8 della legge 26 maggio 1965, n. 590, con le modificazioni ed integrazioni della legge 14 agosto 1971, n. 817) sollevata, in riferimento agli artt. 3, 4, 25, 41 e 42 della Costituzione dal Pretore di Montagnana con ordinanza in data 20 giugno 1980 (reg. ord. n. 650 del 1980).

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 7 febbraio 1985.

Leopoldo ELIA - Giuseppe FERRARI

Depositata in cancelleria il 13 febbraio 1985.