Sentenza n.299 del 1984

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SENTENZA N. 299

ANNO 1984

 

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

Prof. Leopoldo ELIA, Presidente

Prof. Guglielmo ROEHRSSEN

Dott. Brunetto BUCCIARELLI DUCCI

Avv Albero MALAGUGINI

Prof. Livio PALADIN

Prof. Antonio LAPERGOLA

Prof. Virgilio ANDRIOLI

Prof. Giuseppe FERRARI

Dott. Francesco SAJA

Prof. Giovanni CONSO

Prof. Ettore GALLO

Dott. Aldo CORASANITI

Prof. Giuseppe BORZELLINO,Giudici,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 21, comma secondo, e 26 del d.l. 12 settembre 1983, n. 463, recante: "Misure urgenti in materia previdenziale e sanitaria e per il contenimento della spesa pubblica, disposizioni per vari settori della pubblica Amministrazione e proroga di taluni termini", promosso con ricorso del Presidente della Giunta regionale dell'Emilia-Romagna, notificato il 12 ottobre 1983, depositato in cancelleria il 18 successivo ed iscritto al n. 37 del registro ricorsi 1983.

Visto l'atto di costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica del 6 novembre 1984 il Giudice relatore Alberto Malagugini;

uditi l'avv. Fabio Roversi Monaco per la Regione Emilia-Romagna e l'avvocato dello Stato Paolo Vittoria per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

1. - Il Presidente della Giunta regionale dell'Emilia-Romagna ha impugnato gli artt. 21, comma secondo e 26 del d.l. 12 settembre 1983 n. 463 per assunto contrasto con gli artt. 117 e 119 Cost. in relazione all'art. 11 della legge 19 maggio 1976 n. 335 ed all'art. 13 del d.P.R. 24 luglio 1977 n. 616.

Il ricorrente premette che con l'art. 25 della legge 5 agosto 1978 n. 468 (riforma delle norme di contabilità generale dello Stato in materia di bilancio) era stato stabilito, per i Comuni, le Provincie, gli enti pubblici non economici compresi nella tabella allegata alla legge e gli enti che sarebbero stati determinati con decreto del Presidente del Consiglio entro tre mesi dall'entrata in vigore della legge, l'obbligo di adeguare il sistema di contabilità e i relativi bilanci a quelli annuali di competenza e di cassa dello Stato.

Detto art. 25 non conteneva alcun riferimento agli enti dipendenti dalle Regioni e ciò in quanto, secondo il ricorrente, i principi generali e le norme di contabilità relative a tali enti erano stati già dettati con legge 19 maggio 1976 n. 335, la quale prescrive al riguardo (art. 11) che i bilanci degli enti dipendenti dalle Regioni sono approvati annualmente nei termini e nelle forme stabiliti dallo statuto e dalle norme regionali.

Con l'art. 12, secondo comma del d.l. 11 maggio 1983 n. 176, non convertito in legge, e con l'art. 12, secondo comma del d.l. 11 luglio 1983 n. 317, neppure questo convertito in legge, furono peraltro apportate modifiche all'art. 25 sopra citato, stabilendosi espressamente che l'individuazione degli enti assoggettati a quella disciplina comprendeva gli enti anche di natura economica "a carattere nazionale e regionale che gestiscono fondi direttamente o indirettamente interessanti la finanza pubblica, con eccezione degli enti di gestione delle partecipazioni statali", ai quali si applicavano direttamente le disposizioni dell'articolo stesso.

Infine, poiché neppure il citato d.l. n. 317 del 1983 fu convertito, l'art. 12 venne riprodotto nell'art. 21, secondo comma del d.l. 12 settembre 1983 n. 463, ove però non figura più la specificazione del carattere "nazionale e regionale" degli enti da individuare con decreto del Presidente del Consiglio.

Nel frattempo, prosegue il ricorrente, in attuazione del d.l. n. 176 del 1983, con decreto del Presidente del Consiglio 2 luglio 1983 (pubblicato sulla G. U. n. 181 del 4 luglio 1983) furono individuati come enti compresi nella previsione dell'art. 25 della legge n. 468 del 1978 numerosi enti dipendenti dalla Regione Emilia-Romagna, fra i quali:

a) le aziende autonome di cura, soggiorno e turismo;

b) gli enti provinciali del turismo;

c) l'ente regionale di sviluppo agricolo in Emilia-Romagna;

d) l'Istituto sperimentale per le colture industriali di Bologna;

e) l'Ente autonomo per la Fiera di Bologna;

f) gli istituti autonomi delle case popolari IACP;

g) gli Istituti Ortopedici Rizzoli di Bologna.

Poiché sia l'art. 17 del d.l. n. 317 del 1983 sia l'art. 26 del d.l. n. 463 dello stesso anno hanno fatto salva la validità di tutti gli atti e provvedimenti assunti in applicazione del d.l. n. 176/1983, ancorché non convertito, l'individuazione degli enti operata nel citato decreto del Presidente del Consiglio rimane efficace e con ciò risulterebbe evidente l'interesse della Regione a proporre il ricorso anche se, come si é detto, nell'ultimo d.l. n. 463/83, non figura più il testuale riferimento al carattere "nazionale e regionale" degli enti già presente nel d.l. n. 317 del 1983.

Il ricorrente osserva al riguardo che la formula, senza specificazione del carattere nazionale o regionale, adottata nell'ultimo decreto, essendo stati fatti salvi gli atti ed i provvedimenti già adottati in base al primo decreto, risulterebbe interpretata dal Governo come sufficientemente ampia da ricomprendere nella sfera di applicazione della norma anche le strutture dotate di propria soggettività dipendenti dalle Regioni.

L'art. 21, secondo comma, del d.l. n. 463/83 e, con esso, l'art. 26 successivo, peraltro, violerebbero l'autonomia finanziaria e contabile spettante alla regione ai sensi degli artt. 117 e 119 Cost..

Invero, per effetto dell'art. 117 Cost. - che attribuisce alle regioni potestà legislativa (nei limiti dei principi fondamentali stabiliti dalle leggi dello Stato) in materia di ordinamento degli uffici e degli enti amministrativi dipendenti dalla Regione gli enti stessi costituirebbero materia di competenza regionale, salvo i limiti suddetti. Con la legge 19 maggio 1976 n. 335 sono stati dettati alcuni principi al riguardo, stabilendosi altresì, come si é detto, ai sensi dell'art. 119 Cost. (v. art. 11 della legge) che "i bilanci degli enti e degli organismi dipendenti dalla Regione sono approvati annualmente nei termini e nelle forme stabiliti dallo Statuto e dalle leggi regionali", mentre altrettanto viene disposto per quanto riguarda i rendiconti (art. 27).

La norma del decreto legge impugnata altererebbe illegittimamente questo disegno obbligando enti amministrativi dipendenti dalla Regione a uniformare il proprio bilancio e la propria contabilità a quelli dello Stato anziché a quelli della Regione, ostacolando così l'armonizzazione fra la gestione finanziaria e contabile di questi enti e quella della Regione.

Il riconoscimento dell'autonomia contabile della Regione costituirebbe un corollario imprescindibile dell'autonomia finanziaria regionale garantita dall'art. 119 Cost., poiché la disciplina della contabilità sarebbe finalizzata all'organizzazione dell'attività legislativa e amministrativa della Regione.

Inoltre la norma impugnata si porrebbe in contrasto anche con l'art. 13 d.P.R. n. 616 del 1977, che riconosce, dando compiuta attuazione all'art. 117 Cost., la competenza regionale sull'ordinamento degli enti amministrativi dipendenti dalla Regione.

Il d.l. n. 463/83, poi consentendo la prosecuzione della violazione della sfera di attribuzioni della Regione concretatasi nel periodo di vigenza del d.l. n. 176/83 (art. 12), si porrebbe per ciò solo in contrasto, autonomamente, con i principi di cui agli artt. 117 e 119 Cost., in relazione agli artt. 11 della l. n. 335 del 1976 e 13 del d.P.R. n. 616 del 1977.

A ciò poi si aggiungerebbe anche la violazione dell'art. 77 Cost. che riserva alle Camere il potere di disciplinare, con legge, gli effetti degli atti compiuti nel periodo di vigenza dei decreti legge decaduti.

2. - L'Avvocatura dello Stato sostiene l'infondatezza delle censure di cui sopra.

In sintesi, l'Avvocatura osserva che attraverso le norme della legge n. 335 del 1976 si rende evidente che il legislatore, mentre ha dettato un'ampia serie di principi e norme di coordinamento riguardo al bilancio ed alla contabilità relativa all'amministrazione diretta della Regione, in tema di enti ed organismi dipendenti da questa avrebbe ritenuto necessaria una meno estesa regolamentazione di principio, in modo da consentire ad ogni regione di adeguare per il resto la contabilità degli enti alle loro concrete dimensioni.

La legge 5 agosto 1978 n. 468 avrebbe in larga misura ripreso la sistemazione data alla materia dalla legge n. 335 del 1976; e la portata precettiva dell'art. 25 della legge del 1978 n. 468 - di cui l'art. 21, secondo comma, del d.l. n. 463 del 1983 ha esteso l'applicazione agli enti ed organismi dipendenti dalla Regione - nella sostanza non andrebbe oltre l'imposizione dell'osservanza della regola della redazione del bilancio in termini di competenza e di cassa e dell'altra sul modo di classificazione delle entrate già previste e non più delle sole spese (art. 1 legge n. 468/78, artt. 3 e 9 legge 335/1976).

L'avere reso operanti questi principi, oltre che per le Regioni, anche per la loro amministrazione indiretta, rientrerebbe nell'ambito della funzione di coordinamento delle finanze statali e regionali prevista dall'art. 119 Cost.; e da ciò emergerebbe la piena infondatezza delle censure sollevate.

Considerato in diritto

1. - Con ricorso notificato alla Presidenza del Consiglio dei ministri il 12 ottobre 1983 la Regione Emilia-Romagna ha impugnato in via diretta gli artt. 21, secondo comma, e 26 del decreto legge 12 settembre 1983, n. 463, assumendone il contrasto con gli artt. 117 e 119 Cost., in relazione all'art. 11 della legge 19 maggio 1976, n. 335 e all'art. 13 del d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616, per ciò che ne verrebbe offesa l'autonomia finanziaria e contabile spettante alla regione ricorrente. Il solo art. 26 del d.l. 463/1983 viene denunziato anche in relazione all'art. 77, terzo comma, Cost., "che riserva alle Camere il potere di disciplinare con legge gli effetti degli atti compiuti nel periodo di vigilanza (recte vigenza) dei decreti-legge decaduti". Quest'ultima questione é però posta soltanto nella parte motiva del ricorso, ma non é riprodotta nelle conclusioni di esso.

2. - Per meglio apprezzare le dedotte questioni e verificarne l'ammissibilità e la fondatezza é opportuno ripercorrere la sequenza delle leggi, dei decreti-legge e dei decreti governativi succedutisi nella materia in esame nell'arco di tempo che va dall'agosto del 1978 al novembre 1983.

La legge n. 335 del 1976, portante "Principi fondamentali e norme di coordinamento in materia di bilancio e contabilità delle regioni", all'art. 11 recita che "I bilanci degli enti e degli organismi, in qualunque forma costituiti, dipendenti dalla regione, sono approvati annualmente nei termini e nelle forme stabiliti dallo statuto e dalle leggi regionali, e sono pubblicati nel bollettino ufficiale della regione", e che in siffatti bilanci "le spese" devono essere "classificate e ripartite" secondo gli stessi criteri adottati per le spese regionali (art. 11 in relazione all'art. 9). A tali principi si é adeguata la legge regionale (della Regione Emilia-Romagna) n. 31 del 6 luglio 1977.

La legge 5 agosto 1978 n. 468, sulla riforma di alcune norme di contabilità generale dello Stato in materia di bilancio, sotto il Titolo IV (Conti della finanza pubblica) all'art. 25 (Normalizzazione dei conti degli enti pubblici), stabilisce che: "Ai comuni, alle province e relative aziende, nonché a tutti gli enti pubblici non economici compresi nella tabella A allegata alla presente legge, a quelli determinati ai sensi dell'ultimo comma del presente articolo, agli enti ospedalieri, sino all'attuazione delle apposite norme contenute nella legge di riforma sanitaria, alle aziende autonome dello Stato, agli enti portuali ed all'ENEL, é fatto obbligo, entro un anno dalla entrata in vigore della presente legge, di adeguare il sistema della contabilità ed i relativi bilanci a quello annuale di competenza e di cassa dello Stato, provvedendo alla esposizione della spesa sulla base della classificazione economica e funzionale ed evidenziando, per l'entrata, gli introiti in relazione alla provenienza degli stessi, al fine di consentire il consolidamento delle operazioni interessanti il settore pubblico" (primo comma).

"La predetta tabella A potrà essere modificata con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro del tesoro e di quello del bilancio e della programmazione economica" (secondo comma).

..."Entro tre mesi dall'entrata in vigore della presente legge, il Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro del tesoro e di quello del bilancio e della programmazione economica, con proprio decreto, determina gli enti pubblici non economici ai quali si applicano le disposizioni del presente articolo" (ultimo comma).

In attuazione dei disposti del succitato art. 25 l. 468/78 il Presidente del Consiglio dei ministri emanò i decreti 5 marzo 1979 (in G. U. n. 76 del 17 marzo 1979) e 20 ottobre 1981 (in G. U. n. 296 del 28 ottobre 1981).

Né la tabella A allegata alla legge né i provvedimenti del Presidente del Consiglio dei ministri comprendevano alcuno degli enti ed organismi dipendenti dalla Regione, che risultavano, anche per ciò, pacificamente esclusi dalla sfera di applicazione dell'art. 25 della medesima legge n. 468 del 1978.

Con decreto-legge 11 maggio 1983, n. 176, all'art. 12, secondo comma, il testo dell'ultimo comma del precisato art. 25 (legge 468/78) veniva sostituito con altro, nel quale al decreto del Presidente del Consiglio dei ministri era attribuito lo scopo di individuare "gli organismi e gli enti anche di natura economica a carattere nazionale e regionale, che gestiscono fondi direttamente o indirettamente interessanti la finanza pubblica, con eccezione degli enti di gestione delle partecipazioni statali, ai quali si applicano le disposizioni del presente articolo". Per quanto qui interessa, rileva la specifica estensibilità anche agli organismi ed enti "a carattere regionale", della disciplina di cui alla legge 468/1978.

In applicazione dell'art. 12, secondo comma, del d.l. 176/1983, il Presidente del Consiglio dei ministri emanava il decreto 2 luglio 1983 (in G. U. n. 181 del 4 luglio 1983) nel quale venivano individuati numerosi organismi ed enti, ritenuti dalla ricorrente regione Emilia-Romagna da essa dipendenti.

Il d.l. n. 176 del 1983 non veniva convertito in legge nei termini costituzionalmente stabiliti e con altro d.l. n. 317 dell'11 luglio 1983 (art. 12, secondo comma) veniva riprodotto letteralmente il testo dell'art. 12 cpv. del d.l. n. 176 del 1983, mentre apposita disposizione (art. 17) statuiva che "restano validi gli atti ed i provvedimenti adottati ed hanno efficacia i rapporti giuridici derivanti dalla applicazione", tra gli altri, "del decreto-legge 11 maggio 1983, n. 176".

Neppure il d.l. n. 317 del 1983 veniva tempestivamente convertito in legge.

Sopravveniva, quindi, il decreto-legge 12 settembre 1983, n. 463, che, all'art. 21, secondo comma, sostituiva l'ultimo comma dell'art. 25 della legge n. 468 del 1978, riproducendo il testo dell'art. 12, secondo comma, del d.l. (non convertito) 11 maggio 1983, n. 176, identico a quello dell'art. 12, secondo comma del d.l. 11 luglio 1983, n. 317, omessa però (nel d.l. 463/83) la specificazione che gli organismi ed enti da individuare mediante il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri potevano avere "carattere nazionale e regionale".

Il medesimo d.l. n. 463 del 1983, all'art. 26, riproduceva la clausola per cui "restano validi gli atti ed i provvedimenti adottati ed hanno efficacia i rapporti giuridici derivanti dall'applicazione", per quanto qui interessa, "dei decreti legge... 11 maggio 1983 n. 176 e ... 11 luglio 1983 n. 317...".

Come si é notato all'inizio, con ricorso notificato il 12 ottobre 1983 la regione Emilia-Rornagna impugnava in via diretta dinnanzi a questa Corte i precitati artt. 21, secondo comma, e 26 del d.l. n. 463 del 1983.

Con decreto 3 novembre 1983 (in G. U. n. 305 del 7 novembre 1983) il Presidente del Consiglio dei ministri, visti i propri precedenti decreti 5 marzo 1979 e 20 ottobre 1981, emanati ai sensi dell'art. 25, ultimo comma, del d.l. n. 463 del 1983, ravvisava "la necessità di rideterminare, ai sensi del suddetto art. 21, secondo comma, e di raccogliere in un unico provvedimento, che sostituisce il decreto 2 luglio 1983, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 181 del 4 luglio 1983, tutti gli organismi e gli enti anche di natura economica che gestiscono fondi direttamente o indirettamente interessanti la finanza pubblica, ai quali si applicano le disposizioni recate dal citato art. 25 della legge 468/78, compresi anche quelli già individuati con i due sopra ricordati decreti (del Presidente del Consiglio dei ministri) 5 marzo 1979 e 20 ottobre 1981". Nell'elenco degli organismi ed enti come sopra individuati compaiono, fra quelli indicati nel d.P.C.M. 2 luglio 1983 e che la Regione Emilia- Romagna nel ricorso in esame assume da essa dipendenti, soltanto gli "Istituti ortopedici Rizzoli - Bologna" e "l'Istituto sperimentale per le colture industriali di Bologna".

Infine, il d.l. n. 463/1983 é stato convertito in legge, con modificazioni, con la legge 11 novembre 1983, n. 638. La legge di conversione sostituisce l'art. 21, secondo comma, del d.l. convertito, aggiungendo agli enti di gestione delle partecipazioni statali, esclusi dall'applicazione dell'art. 25 della legge n. 468/1978, gli enti autonomi fieristici; sopprime l'art. 26 del d.l. convertito, riproducendone, però, il testo con autonoma disposizione della legge medesima.

3. - Dalla successione delle leggi, dei decreti-legge, convertiti e non, e dei decreti del Presidente del Consiglio dei ministri, qui sopra analiticamente richiamati e che testimoniano una prassi non certo esemplare, si deduce però con sicurezza:

a) che la legge n. 468/1978, provvedendo, all'art. 25, alla normalizzazione dei conti degli enti pubblici, non si é riferita anche agli enti dipendenti dalle regioni, restando, quindi, per questi ultimi, salva la disciplina di cui alla legge n. 335/1976. Ciò é confermato anche dai d.P.C.M. 5 marzo 1979 e 20 ottobre 1981, emanati in forza del succitato art. 25, che non comprendono alcun organismo od ente di carattere regionale;

b) che neppure il d.l. 463/1983 (art. 21, secondo comma) né la legge di conversione 638/1983 menzionano gli enti di carattere regionale, esclusi, perciò, dalla sfera di applicabilità dell'art. 25 della legge 468/78 anche nel testo come sopra sostituito;

c) che il riferimento agli enti ed organismi di carattere regionale é contenuto soltanto nei d.l. nn. 176 e 317 del 1983 (art. 12, secondo comma) entrambi non tempestivamente convertiti;

d) che l'art. 26 del d.l. 463/1983 é stato soppresso dalla legge di conversione 638/1983, che, però, ne riproduce integralmente il testo; mentre quest'ultima disposizione non può concernere il d.P.C.M. 2 luglio 1983, emanato in forza del d.l. 176/1983 ed elencante enti ed organismi di sicuro carattere regionale, posto che tale d.P.C.M. é stato sostituito da altro, emanato, in forza del d.l. 463/1983, il 3 novembre 1983 e cioé prima dell'entrata in vigore della legge di conversione.

4. - Se così é, ne consegue anzitutto la inammissibilità delle questioni proposte dalla Regione Emilia-Romagna ed aventi ad oggetto il soppresso art. 26 del d.l. 463/1983, autonomamente censurato in riferimento vuoi agli artt. 117 e 119 Cost., vuoi all'art. 77, ultimo comma, Cost.. Per quanto concerne la questione di legittimità costituzionale sollevata in riferimento all'art. 77, terzo comma, Cost., e non specificamente enunciata, come si é detto, nelle conclusioni del ricorso, é da ritenere che la stessa Regione Emilia-Romagna ne abbia riconosciuto la inammissibilità per l'assorbente motivo che il vizio così adombrato non concreta in ipotesi alcuna invasione della sfera di autonomia regionale.

5. - Quanto alla censura rivolta all'art. 21, secondo comma, del d.l. n. 463/1983, strettamente connessa a quella concernente l'art. 26, il percorso argomentativo seguito dal ricorrente per formularla é del tutto impraticabile.

Infatti, in presenza di una disposizione normativa (l'art. 21, secondo comma), che, innovando, sul punto specifico, al dettato degli artt. 12, secondo comma, dei caducati d.l. nn. 176 e 317 del 1983, non fa menzione alcuna degli enti ed organismi regionali, la regione ricorrente, poiché l'art. 26 conserva validità agli atti ed ai provvedimenti adottati in applicazione dei succitati d.l. 176 e 317 del 1983, e poiché ritiene invasa la sfera della propria autonomia dal d.P.C.M. 2 luglio 1983 (emanato, appunto, in applicazione dell'art. 12, secondo comma, del d.l. 176/1983), invece di impugnare quest'ultimo atto, solleva questione di legittimità costituzionale del disposto di legge (art. 21, secondo comma, d.l. 463/1983) del quale il decreto presidenziale 2 luglio 1983 non può certo dirsi costituisca applicazione. Vero é che, secondo la ricorrente, la conservazione degli effetti del decreto presidenziale emesso in applicazione dell'art. 12 del d.l. n. 176/1983, nel quale ultimo "non sussisteva" il testuale riferimento al carattere nazionale o regionale degli enti coinvolti, costituirebbe, "pure in presenza delle sopravvenute variazioni normative", "segno non dubbio del fatto che" "la formula" "organismi ed enti di natura economica che gestiscono fondi direttamente o indirettamente interessanti la finanza pubblica" (di cui al disposto censurato) "é già ritenuta di per sé sufficientemente ampia da ricomprendere nelle sfere di applicazione delle norme anche le strutture dotate di autonoma soggettività dipendenti dalle Regioni".

In contrario é facile osservare, anzitutto, che l'art. 12, secondo comma, del d.l. 176/1983 fa espressa menzione degli organismi ed enti di carattere nazionale e regionale, contrariamente a quanto assunto dalla ricorrente, il cui errore, sul punto, ne inficia in radice l'argomentazione.

Inoltre, a tacer di ciò ed a voler considerare coinvolti nell'impugnazione, oltre all'art. 21, secondo comma, del d.l. 463/1983, nel testo sostituito dalla legge di conversione, anche il disposto della legge medesima, interamente riproduttivo del testo del soppresso art. 26 del decreto convertito, la clausola per cui "restano validi gli atti ed i provvedimenti adottati ed hanno efficacia i rapporti giuridici derivanti dall'applicazione dei decreti legge" non convertiti (nn. 176 e 317 del 1983) sta a significare soltanto che gli atti e i provvedimenti adottati in applicazione dei decreti legge non convertiti non vengono automaticamente travolti dalla caducazione della fonte normativa dalla quale traggono origine. Ciò non vuol dire, però, che la validità di siffatti atti o provvedimenti, per effetto della clausola in esame, possa permanere oltre i limiti segnati dalla successione nel tempo delle fonti normative medesime e tanto meno che essi atti e provvedimenti vengano a godere di una sorta di intangibilità, quasi che l'art. 77, terzo comma, ultimo periodo, Cost. valesse a rendere insindacabili nelle sedi competenti i vizi dai quali fossero eventualmente affetti, originariamente o in forza di norme sopravvenute.

Ora, é fuori dubbio che l'art. 21, secondo comma, del d.l. 463/1983, sia nel testo originario che in quello sostituito dalla legge di conversione, ha eliminato il riferimento agli enti regionali, contenuto, invece, negli artt. 12, secondo comma, dei d.l. 176 e 317 del 1983, non convertiti, e che nessuna influenza sul significato e la portata della disposizione di legge denunziata possono spiegare sia la norma precedente caducata sia i provvedimenti adottati in forza di quest'ultima, pur se fatti salvi dalla legge di conversione.

Si aggiunga che il d.P.C.M. 2 luglio 1983 sul quale, in definitiva, la regione ricorrente fonda la propria denuncia, assumendone, erroneamente, attraverso la disposizione di salvaguardia (art. 26 d.l. 463/1983), la persistente validità - ed efficacia - é stato sostituito interamente dal d.P.C.M. 3 novembre 1983, così che neppure più sussiste il decreto presidenziale ritenuto invasivo della sfera di autonomia regionale. Che, infine, il decreto presidenziale 3 novembre 1983 individui due degli enti ed organismi che la regione Emilia-Romagna ritiene da essa dipendenti, non sposta i termini del problema. In primo luogo, l'assunto della ricorrente, circa la natura degli enti, é, a tutto concedere, opinabile per quanto concerne sia l'Istituto sperimentale per le colture industriali di Bologna sia gli Istituti Ortopedici Rizzoli di Bologna. In secondo luogo, anche a prescindere da ciò, la eventuale inclusione, nell'elenco degli enti ed organismi ai quali si applicano le disposizioni riguardanti l'adeguamento del sistema della contabilità e dei relativi bilanci a quello annuale di competenza e di cassa dello Stato, di enti ed organismi dipendenti dalle Regioni, non compresi nella previsione legislativa, può semmai dare luogo ad un vizio di legittimità del provvedimento governativo, ma non essere assunto a canone ermeneutico della norma in violazione della quale il provvedimento medesimo sarebbe stato assunto.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

a) dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell'art. 26 del d.l. 12 settembre 1983, n. 463, sollevata, in riferimento agli artt. 117 e 119 Cost., dalla Regione Emilia-Romagna con il ricorso indicato in epigrafe;

b) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 21, secondo comma, del d.l. 12 settembre 1983, n. 463, sollevata, in riferimento agli artt. 117 e 119 Cost., dalla Regione Emilia-Romagna con il ricorso indicato in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 20 dicembre 1984.

 

Leopoldo ELIA - Guglielmo ROEHRSSEN - Brunetto BUCCIARELLI DUCCI – Alberto MALAGUGINI - Livio PALADIN - Antonio LAPERGOLA  - Virgilio ANDRIOLI - Giuseppe FERRARI - Francesco SAJA  - Giovanni CONSO - Ettore GALLO - Aldo CORASANITI - Giuseppe BORZELLINO

 

Depositata in cancelleria il 28 dicembre 1984.