Sentenza n 232 del 1984

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SENTENZA N. 232

ANNO 1984

 

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

Prof. Leopoldo ELIA, Presidente

Prof. Antonino DE STEFANO

Prof. Guglielmo ROEHRSSEN

Avv. Oronzo REALE

Dott. Brunetto BUCCIARELLI DUCCI

Avv Albero MALAGUGINI

Prof. Livio PALADIN

Prof. Antonio LAPERGOLA

Prof. Virgilio ANDRIOLI

Prof. Giuseppe FERRARI

Dott. Francesco SAJA

Prof. Giovanni CONSO

Prof. Ettore GALLO

Dott. Aldo CORASANITI,Giudici,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi riuniti di legittimità costituzionale dell'art. 41 bis del codice di procedura penale promossi con le seguenti ordinanze:

1) ordinanza emessa il 29 maggio 1982 dalla Corte di Cassazione nel conflitto di competenza tra il G.I. presso il Tribunale di Teramo e il G.I. presso il Tribunale di Perugia nel procedimento penale a carico di De Floris Vittorio, iscritta al n. 114 del registro ordinanze 1983 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 191 dell'anno 1983;

2) ordinanza emessa il 29 maggio 1982 dalla Corte di Cassazione nel conflitto di competenza tra il P.G. della Repubblica presso la Cortedi Appello di Roma e il P.G. della Repubblica presso il Tribunale di Perugia nel procedimento penale a carico di Campetti Carlo iscritta al n. 115 del registro ordinanze 1983 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 191 dell'anno 1983;

3) ordinanza emessa il 29 maggio 1982 dalla Corte di Cassazione nel conflitto di competenza tra il P.G. della Repubblica presso la Cortedi Appello di Roma e il P.G. della Repubblica presso il Tribunale di Perugia nel procedimento penale a carico di Federico Pietro iscritta al n. 116 del registro ordinanze 1983 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 191 dell'anno 1983;

4) ordinanza emessa il 7 ottobre 1982 dalla Corte di Cassazione nel conflitto di competenza tra il P.G. della Repubblica presso la Cortedi Appello di Roma e il P.G. della Repubblica presso la Corte di Appello di Perugia nel procedimento penale a carico di Landara Francesco Paolo e Strano Giulio iscritta al n. 188 del registro ordinanze 1983 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 198 dell'anno 1983;

5) ordinanza emessa il 26 gennaio 1983 dal Giudice Istruttore presso il Tribunale di Belluno nel procedimento penale a carico di Sacchet Marcello ed altri iscritta al n. 273 del registro ordinanze 1983 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 198 dell'anno 1983.

Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica del 16 settembre 1983 il Giudice relatore Guglielmo Roehrssen;

udito l'avvocato dello Stato Franco Chiarotti per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

Con quattro ordinanze emesse il 29 maggio 1982 R.O. 1983, nn. 114, 115 e 116) e 7 ottobre 1982 R.O. 1983, n. 188), nel corso di giudizi per conflitto di competenza tra giudici istruttori di tribunali diversi, la Corte di cassazione ha sollevato questione di legittimità costituzionale, in riferimento agli artt. 3, 97 e 101 Cost., dell'art. 41-bis codice procedura penale, "nella parte in cui non prevede lo spostamento della competenza territoriale anche nell'ipotesi di reato, commesso da pretori o in loro danno, attribuito alla competenza ordinaria del tribunale nella cui circoscrizione é compreso il mandamento in cui il pretore esercita la sua funzione".

I conflitti avevano per oggetto competenza a giudicare su reati attribuiti a magistrati (anche onorari) di pretura ovvero commessi in loro danno e traevano origine dalla diversa interpretazione data all'art. 41-bis c.p.p. dai giudici istruttori in conflitto.

L'art. 41-bis c.p.p, inserito nel codice di procedura penale con legge 22 dicembre 1980, n. 879, ha dettato una nuova disciplina relativa alla competenza territoriale per i procedimenti penali riguardanti i magistrati, disponendo che i procedimenti in cui un magistrato assume la qualità di indiziato, di imputato o di persona offesa dal reato, che sarebbero attribuiti secondo le norme ordinarie - o potrebbero esserlo in caso di appello - alla competenza dell'ufficio giudiziario in cui al momento del fatto il magistrato esercitava le sue funzioni sono di competenza del giudice ugualmente competente per materia, il cui ufficio é situato nel capoluogo del distretto di Corte d'appello più vicino.

La formulazione della norma - si osserva nelle ordinanze di rimessione - é chiaramente nel senso che lo spostamento di competenza territoriale é previsto nelle ipotesi in cui il reato, rispetto al quale il magistrato assume una delle qualità indicate, sarebbe di competenza dell'ufficio giudiziario nel quale il magistrato esercitava le sue funzioni al momento dei fatti, a causa della destinazione permanente all'ufficio stesso o in virtù di provvedimento temporaneo di applicazione o supplenza.

Secondo la Corte di cassazione sarebbe da escludere l'interpretazione secondo cui, per esercizio di attività giudiziaria in un determinato ufficio dovrebbe intendersi non solo l'attualità ed effettività dell'esercizio delle funzioni ma anche la potenzialità del medesimo in virtù di provvedimento temporaneo previsto dall'ordinamento giudiziario.

Ne deriverebbero fondati dubbi sulla legittimità costituzionale dell'art. 41-bis c.p.p. "nella parte in cui non prevede lo spostamento della competenza territoriale anche nella ipotesi di reato, commesso da pretori o in loro danno, attribuito alla competenza ordinaria del tribunale nella cui circoscrizione é compreso il mandamento in cui il pretore - imputato o parte lesa - esercita la sua funzione", per contrasto con gli artt. 3, 97 e 101 Cost..

Infatti, la deroga all'ordinaria competenza per territorio, introdotta con l'art. 41-bis c.p.p., é stata dettata da una duplice preoccupazione: a) che sia salvaguardata la indipendenza di giudizio del giudice, chiamato a decidere, che sarebbe vulnerata da condizionamenti psicologici - favorevoli o sfavorevoli all'imputato o parte lesa - dovuti alla reciproca conoscenza e di rapporti intersoggettivi che si determinano tra appartenenti al medesimo ufficio giudiziario sia sul piano umano che su quello di servizio; b) che il prestigio dell'organo giudicante non sia offuscato dal sospetto di parzialità stante i rapporti interpersonali tra magistrati operanti nello stesso ufficio.

Questa duplice preoccupazione - secondo la Corte di cassazione - non sembra trovare adeguata salvaguardia nell'ipotesi in questione, ove si consideri che il pretore del mandamento compreso nella circoscrizione del tribunale competente per territorio può essere stato chiamato a svolgervi - o può esserlo - determinate funzioni in virtù di applicazione o supplenza, con le inevitabili conseguenze nei rapporti con i giudici ivi stabilmente addetti.

Da ciò conseguirebbe da un lato che la diversità di disciplina riscontrata in situazioni sostanziali uguali non troverebbe razionale giustificazione, in contrasto con il principio di uguaglianza; d'altro lato che la sottoposizione del pretore al giudizio del tribunale, nella cui circoscrizione sia incluso il mandamento del pretore stesso, si pone in contrasto con il principio di imparzialità che, previsto per il buon funzionamento della amministrazione pubblica in genere dall'art. 97 Cost., assume una rilevanza assolutamente preminente nella amministrazione della giustizia.

Dinanzi a questa Corte si é costituito il Presidente del Consiglio dei ministri, chiedendo che la questione sia dichiarata non fondata.

Secondo l'Avvocatura dello Stato, infatti, non esisterebbe un contrasto fra l'articolo impugnato e l'art. 3 Cost., perché non può essere assimilata la situazione del magistrato che sia imputato o assume la qualità di parte lesa in relazione ad un reato di competenza dell'ufficio giudiziario del quale egli eserciti le sue funzioni e quella del pretore che sia imputato o assuma la qualità di parte lesa in relazione ad un reato di competenza di un ufficio giudiziario diverso dal proprio (anche se trattasi del tribunale nel cui circondario sia ricompreso il mandamento nel quale il giudice eserciti le sue funzioni).

Neppure sussisterebbe il contrasto allegato con l'art. 97, Cost., dato che, nelle ipotesi in esame, il principio di imparzialità della pubblica amministrazione (in questo caso gli organi dell'Amministrazione della giustizia) é garantito dalle norme sull'astensione e sulla ricusazione.

Relativamente, poi, alla questione attinente al preteso contrasto con l'art. 101, nessuna indicazione del preteso contrasto é data nell'ordinanza.

Analoga questione, in riferimento agli artt. 3, 24 e 97 Cost. é stata sollevata dal giudice istruttore presso il tribunale di Belluno, nel corso di un procedimento a carico di un magistrato che aveva svolto le funzioni di pretore di Belluno all'epoca dei fatti attribuitigli, divenendo successivamente giudice presso il tribunale di quella città.

In tale ordinanza si deduce - a sostegno della rilevanza - la competenza del tribunale di Belluno, affermandosi che l'inapplicabilità delle deroga stabilita dall'art. 41-bis c.p.p. alla competenza ordinaria per i reati attribuiti a pretori che siano di competenza dei tribunali, implica anche l'inapplicabilità dell'ulteriore deroga prevista dall'ultima parte dell'art. 41-bis per il caso in cui il magistrato abbia assunto, successivamente al fatto contestatogli, le funzioni dell'ufficio giudiziario che sarebbe competente a norma del primo comma.

Anche in tale giudizio é intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, il quale ha chiesto che la questione sia dichiarata inammissibile, in quanto dall'art. 41-bis c.p.p. deriverebbe che, perché nei procedimenti nei quali un magistrato assume la qualità di indiziato, di imputato o di persona offesa dal reato, si applicano le norme ordinarie della competenza, occorre che il caso non spetti, né in primo grado né in appello, alla competenza dell'ufficio giudiziario in cui al momento del fatto il magistrato esercitava le sue funzioni o sia venuto, successivamente, ad esercitare le sue funzioni. In ciascuna di dette due ipotesi, anche disgiuntamente considerate, la norma detterebbe, infatti, lo spostamento della competenza: cosicché, nel caso all'esame del giudice istruttore di Belluno, esso sarebbe incompetente.

Considerato in diritto

1. - Le ordinanze in epigrafe hanno ad oggetto la medesima disposizione di legge in ordine alla quale sollevano tutte una identica questione di legittimità costituzionale in riferimento alle stesse norme della Costituzione: i relativi giudizi vanno, pertanto, riuniti ai fini di un'unica pronuncia.

2. - Le ordinanze in epigrafe sollevano, con riferimento agli artt. 3, 24, 97 e 101 Cost., questione di legittimità costituzionale dell'art. 41 bis c.p.p. (introdotto con la legge 22 dicembre 1980, n. 879: "Norme sulla connessione e sulla competenza nei procedimenti relativi a magistrati e nei casi di rimessione"), nella parte in cui non prevede lo spostamento della competenza territoriale nel caso che il pretore o vicepretore implicato in un processo penale appartenga al mandamento sito nella circoscrizione del tribunale competente, dato che costoro possono essere stati chiamati o potranno essere chiamati a prestare la loro opera presso lo stesso tribunale in virtù di applicazione o di supplenza, sicché in tal modo viene a verificarsi la stessa situazione contemplata dall'art. 41 bis.

La questione é inammissibile.

3. - Con la citata legge n. 879 del 1980, il legislatore ha ritenuto di dare una nuova disciplina al delicato problema del giudice competente a pronunciarsi sui procedimenti penali nei quali sia implicato, come indiziato, imputato o persona offesa dal reato, un magistrato che al momento del fatto esercitava le sue funzioni presso lo stesso ufficio giudiziario: si é, infatti, disposto che in tal caso competente a giudicare é il giudice ugualmente competente per materia, il cui ufficio sia situato nel capoluogo del distretto di corte d'appello più vicino, salvo che in detto ufficio il magistrato stesso sia venuto ad esercitare le sue funzioni.

Le ordinanze di rimessione rilevano che la norma ora citata non ha provveduto per il caso (quello del pretore o del vice pretore onorario), nel quale possono verificarsi gli stessi presupposti sui quali é fondato l'art. 41 bis, in quanto la possibilità che un pretore o vice pretore onorario appartenente a mandamento sito nella circoscrizione del tribunale che dovrebbe giudicare sia chiamato a prestare la sua opera presso detto tribunale pone in essere quei rapporti interpersonali che possono turbare la serenità e la imparzialità del giudizio. I giudici a quibus ritengono che il caso possa essere risolto con la dichiarazione di illegittimità costituzionale della norma nella parte in cui essa non ha provveduto al caso ora citato.

Ma in realtà il caso indicato nelle ordinanze costituisce una sola delle possibili situazioni nelle quali può sorgere il dubbio che, a causa di rapporti interpersonali di vario genere, può verificarsi una qualche turbativa della serenità e della imparzialità dei giudizi.

Ed invero situazioni del genere possono nascere in conseguenza dell'esercizio del potere di sorveglianza che gli artt. 14 e 16 del r.d.lg. 31 maggio 1946, n. 511 ("Guarentigie della magistratura") affidano ai capi delle magistrature e degli uffici del P.M. sui magistrati addetti ad uffici minori; così come occorre tenere presente anche la ipotesi di magistrati addetti ad uffici investiti di funzioni superiori che dovrebbero essere giudicati da magistrati addetti ad uffici investiti di funzioni inferiori.

In tutte queste ipotesi, cioé, occorre valutare se ed in quale misura situazioni ambientali che si pongono necessariamente in essere a causa della complessità dell'organismo giudiziario e dei rapporti che si creano fra organi e tra singoli possano influire sulla determinazione della competenza e quali possano essere le soluzioni più idonee, al fine della tutela del prestigio e dell'indipendenza della magistratura, cui tutte le ordinanze si richiamano.

Ed allora é evidente che le ordinanze di rimessione, necessariamente ancorate al requisito della rilevanza nei giudizi a quibus delle norme denunciate e degli effetti delle decisioni di questa Corte, hanno formalmente sottoposto al suo esame soltanto una delle norme del c.p.p., ma nella realtà pongono in discussione il delicato problema predetto nella sua globalità.

In tal modo il problema, ovviamente, si sposta nella competenza del potere legislativo, al quale soltanto spetta di procedere alle valutazioni del caso ed alla scelta delle soluzioni più idonee, che possono essere diverse, come del resto é dimostrato anche dalla varietà delle soluzioni che fino ad ora sono state adottate attraverso il tempo o che sono state prospettate nella predisposizione di nuove norme.

Ne consegue che questa Corte deve dichiarare inammissibile la questione.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara l'inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell'art. 41 bis, c.p.p., introdotto con la legge 22 dicembre 1980, n. 879 ("Norme sulla connessione e sulla competenza dei procedimenti relativi a magistrati e nei casi di rimessione"), sollevata con le ordinanze indicate in epigrafe, in riferimento agli artt. 3, 24, 97 e 101 della Costituzione.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 13 luglio 1984.

 

 Leopoldo ELIA - Antonino DE STEFANO - Guglielmo ROEHRSSEN - Oronzo REALE - Brunetto BUCCIARELLI DUCCI – Alberto MALAGUGINI - Livio PALADIN - Antonio LAPERGOLA  - Virgilio ANDRIOLI - Giuseppe FERRARI - Francesco SAJA  - Giovanni CONSO - Ettore GALLO - Aldo CORASANITI

 

Depositata in cancelleria il 30 luglio 1984.