Sentenza n. 211 del 1984

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SENTENZA N. 211

 

ANNO 1984

 

 

REPUBBLICA ITALIANA

 

In nome del Popolo Italiano

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori:

Prof. Leopoldo ELIA, Presidente

Prof. Antonino DE STEFANO

Prof. Guglielmo ROEHRSSEN

Avv. Oronzo REALE

Dott. Brunetto BUCCIARELLI DUCCI

Avv Albero MALAGUGINI

Prof. Livio PALADIN

Dott. Arnaldo MACCARONE

Prof. Virgilio ANDRIOLI

Prof. Giuseppe FERRARI

Dott. Francesco SAJA

Prof. Giovanni CONSO

Prof. Ettore GALLO

Dott. Aldo CORASANITI,Giudici,

 

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 140 del r.d. 27 luglio 1934, n. 1265 (testo unico delle leggi sanitarie) promosso con ordinanza emessa il 7 maggio 1982 dalla Corte di Appello di Milano nel procedimento civile vertente tra Centro italiano di meccanografia e Regione Lombardia ed altro iscritta al n. 607 del registro ordinanze 1982 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 46 dell'anno 1983; Visti gli atti di costituzione del Centro italiano di meccanografia e della Regione Lombardia nonché l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

 

Udito nell'udienza pubblica del 22 novembre 1983 il Giudice relatore Brunetto Bucciarelli Ducci;

 

Uditi l'avv. Umberto Pototschnig per la Regione Lombardia e l'Avvocato dello Stato Giacomo Mataloni per il Presidente del Consiglio dei ministri.

 

Ritenuto in fatto

 

1. - Con ordinanza del 7 maggio 1982 la Corte d'Appello di Milano ha sollevato, in relazione all'art. 33 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell'art. 140 r.d. 27 luglio 1934, n. 1265 (testo unico delle leggi sanitarie) nella parte in cui subordina l'istituzione delle scuole, abilitate a rilasciare licenza per l'esercizio di un'arte ausiliaria delle professioni sanitarie, ad una autorizzazione amministrativa assolutamente discrezionale (in passato del Ministro dell'Interno, oggi delle Regioni).

 

L'eccezione viene proposta nel corso di un procedimento civile introdotto dal CIM (Centro Italiano di Meccanografia) - che ha istituito una scuola con diversi corsi liberi di preparazione tecnico-professionale, tra i quali quello di tecnici di laboratorio per analisi cliniche-chimiche da inserire nel personale degli enti sanitari - nei confronti della Regione Lombardia e dell'assessore regionale alla Sanità dott. Vittorio Rivolta, per ottenere declaratoria di legittimità di detti corsi, sia per quanto concerne gli attestati di frequenza, sia in ordine alla idoneità degli attestati stessi all'esercizio della professione di tecnico di laboratorio.

 

In primo grado il Tribunale di Milano (sent. n. 6723 del 29 maggio 1980) aveva distinto nella sua pronuncia tra attività di insegnamento e validità legale degli attestati di frequenza per l'esercizio della professione, dichiarando sotto il primo profilo la piena legittimità dei corsi (con richiamo alla sentenza di questa Corte n. 36/1958, che ha dichiarato l'illegittimità costituzionale degli artt. 3 e 4, commi primo, secondo e terzo, della legge 19 gennaio 1942, n. 86, prevedenti la necessità dell'autorizzazione per l'istituzione di scuole e corsi privati) e sotto il secondo profilo l'ostatività dell'art. 140 r.d. n. 1265/1934 all'ammissibilità del riconoscimento legale degli attestati di frequenza per l'esercizio della professione.

 

Avverso la precitata sentenza del Tribunale di Milano veniva interposto appello da parte del CIM.

 

Nell'ordinanza di rinvio la Corte d'Appello milanese osserva che affermare da un lato il principio di libertà di insegnamento e dall'altro mantenerlo in una sfera puramente astratta, sottraendo ai corsi di istruzione privata ogni funzione pratica ai fini dell'inserimento dei giovani nelle attività professionali, significa negare ogni valore al principio stesso, in aperta violazione del dettato costituzionale.

 

2. - Si é costituita in giudizio la Regione Lombardia, in persona del presidente pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Goffredo Grassani, prof. Umberto Pototschnig e Vitaliano Lorenzoni, affermando in primo luogo l'inammissibilità della questione per difetto di rilevanza, in quanto la Corte d'Appello non lamenta che per rilasciare la licenza all'esercizio della professione di tecnico di laboratorio le relative scuole debbano essere autorizzate dalla competente autorità amministrativa, ma si duole invece che il potere attribuito all'Amministrazione sia troppo discrezionale. Poiché, viceversa, la domanda proposta dal CIM nel giudizio a quo é volta a negare in radice la necessità dell'autorizzazione per le scuole che vogliano rilasciare attestati abilitativi all'esercizio della professione, la questione portata all'esame di questa Corte non avrebbe - secondo la Regione - alcuna rilevanza nel giudizio stesso.

 

In secondo luogo la Regione Lombardia sostiene l'infondatezza della questione, in quanto l'autorizzazione ex art. 140, di cui si contesta l'eccessiva discrezionalità, non attiene alla apertura o all'istituzione delle scuole - che rientrano nella sfera della libertà d'insegnamento riconosciuta ai privati dall'art. 33 Cost. - bensì al riconoscimento di queste scuole ai fini della validità o meno dei titoli rilasciati. Ora tale riconoscimento, lungi dal ledere la libertà d'insegnamento, risponde all'interesse generale di tutelare la comunità circa la adeguata preparazione tecnica di chi intende esercitare singole arti o professioni, cosicché ben si giustifica che esso sia subordinato dalla legge alla verifica da parte della P.A. dell'idoneità delle singole scuole a fornire la necessaria preparazione. Tanto più tale esigenza é sentita in un settore come quello sanitario, nel quale la Repubblica ha il preciso dovere costituzionale di tutelare la salute dei cittadini.

 

Certamente - conclude la Regione - la potestà di autorizzazione della P.A. di cui all'art. 140 deve conformarsi all'esigenza generale del corretto uso della discrezionalità amministrativa. Ma siffatta esigenza non pone problemi di costituzionalità delle leggi, ma solo di legittimità dell'azione amministrativa, sulla quale é chiamato a vigilare il giudice amministrativo, secondo i principi affermati dalla consolidata giurisprudenza del Consiglio di Stato (ved. da ultimo IV Sez., 4 marzo 1980, n. 142).

 

3. - É intervenuto anche il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, osservando il difetto di motivazione da parte del giudice a quo sulla rilevanza della questione sollevata. Sotto un primo aspetto - tenuto conto che l'attività di tecnico di laboratorio di analisi chimiche - cliniche non é espressamente menzionata come arte ausiliaria delle professioni sanitarie dall'art. 99 R.D. n. 1265/1934 e che non é stato emesso, ai sensi dello stesso articolo, alcun provvedimento di riconoscimento di detta attività - pare evidente che il giudizio sulla rilevanza avrebbe richiesto un'adeguata indagine sulla effettiva ricomprensione della fattispecie nella previsione dell'art. 140 dello stesso r.d.. Sotto altro profilo, poiché lo stesso giudice a quo riconosce che il principio della libertà d'insegnamento non esclude limitazioni legislative e controlli amministrativi a tutela di altri interessi pure garantiti a livello costituzionale, materia del contendere non era il diritto soggettivo all'insegnamento, ma il modo dell'esercizio del potere da parte della P.A.; il che avrebbe dovuto condurre la Corte d'Appello di Milano a pronunciare il proprio difetto di giurisdizione, con conseguente esclusione della rilevanza della questione in quella sede.

 

Nel merito comunque - secondo l'Avvocatura - l'eccezione sarebbe infondata. Il riconoscimento dei titoli abilitanti all'esercizio delle professioni non rientra, infatti, nella sfera della libertà di insegnamento, tanto é vero che lo stesso art. 33 Cost. prescrive l'esame di Stato per l'abilitazione all'esercizio professionale. La richiamata sentenza di questa Corte n. 36/1958 ha sì dichiarato l'illegittimità costituzionale degli artt. 3 e 4, commi primo, secondo e terzo della legge n. 86/1942 (autorizzazione per l'apertura di istituti scolastici), ma non ha coinvolto anche gli artt. 6 e 8 della stessa legge riguardanti il riconoscimento legale dei titoli scolastici (alle quali norme si ricollega l'art. 140, pur nell'autonomia della normativa in cui é inquadrato).

 

Considerato in diritto

 

1. - La norma impugnata (art. 140 del T.U. delle leggi sanitarie) prescrive che "chiunque intenda esercitare un'arte ausiliaria delle professioni sanitarie deve (...) essere munito di licenza, rilasciata dalle scuole appositamente istituite per impartire l'insegnamento delle arti medesime" e che l'istituzione delle scuole sopra indicate "é autorizzata con decreto (presidenziale) promosso dal Ministro dell'interno di concerto con quello dell'educazione nazionale".

 

La questione sollevata davanti alla Corte é se detto articolo - nella parte in cui subordina l'istituzione delle scuole, abilitate a rilasciare licenza per l'esercizio di un'arte ausiliaria delle professioni sanitarie, ad una autorizzazione amministrativa, senza che siano delimitati né l'ambito né le modalità di esercizio di tale potere autorizzativo - contrasti o meno con l'art. 33, terzo comma, della Costituzione.

 

Dubita, infatti, il giudice a quo che tale disposizione violi il principio della libertà d'insegnamento, limitandone in concreto l'esercizio.

 

Anche ammettendo - argomenta l'ordinanza di rimessione - che possa essere riconosciuto all'autorità amministrativa il potere di intervento in materia di diritti costituzionalmente garantiti, al fine di evitarne un esercizio dannoso e pericoloso (cfr. sentenza di questa Corte n. 36 del 1958), l'impugnato art. 140 non definisce adeguatamente i margini della discrezionalità amministrativa, come sarebbe necessario per contenere l'attribuzione della potestà nei limiti costituzionali.

 

2. - La questione, così posta, é inammissibile per difetto di rilevanza.

 

Essa riguarda, infatti, una pretesa inadeguatezza della norma che, nel disciplinare l'insegnamento delle arti sanitarie ausiliarie, non determina con sufficiente chiarezza i presupposti o le condizioni richieste per il rilascio della relativa autorizzazione.

 

Senonché la soluzione di tale questione non ha alcun nesso di pregiudizialità con l'oggetto del giudizio a quo, quale é richiesto dall'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87, che pone come condizione tassativa per sollevare una questione incidentale di legittimità costituzionale che il giudizio a quo non possa essere definito indipendentemente dalla risoluzione della questione di legittimità costituzionale.

 

Nel caso di specie oggetto della domanda proposta dal CIM (Centro italiano di meccanografia) nel procedimento a quo era che venisse riconosciuto il suo pieno diritto a rilasciare attestati di abilitazione all'esercizio delle arti sanitarie ausiliarie.

 

Il CIM (Centro italiano di meccanografia), pertanto, non lamenta che l'autorizzazione non gli sia stata concessa o che l'Amministrazione abbia esorbitato dai suoi poteri nel rifiuto dell'autorizzazione stessa, non avendola nemmeno richiesta, ma assume viceversa il suo diritto a rilasciare attestati professionali validi per esercitare le attività sanitarie oggetto dell'insegnamento impartito nei suoi corsi senza alcuna licenza amministrativa, facendo discendere il diritto preteso direttamente dall'art. 33 della Costituzione.

 

L'ordinanza di rimessione del giudice a quo lamenta viceversa che il potere di rilascio dell'autorizzazione attribuito all'Amministrazione sia troppo "discrezionale" e comunque non sufficientemente "delimitato" dalla normativa impugnata.

 

L'eventuale accoglimento della questione da parte di questa Corte e la conseguente pronuncia di incostituzionalità della norma per eccessiva ampiezza del potere attribuito alla Pubblica Amministrazione in nessun modo gioverebbe all'accoglimento della domanda ad opera del giudice a quo, che, essendo diretta a disconoscere in toto il potere di autorizzazione dell'Amministrazione, é del tutto indipendente rispetto alla proposta questione di legittimità costituzionale.

 

PER QUESTI MOTIVI

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell'art. 140 r.d. 27 luglio 1934, n. 1265 (testo unico delle leggi sanitarie) sollevata in riferimento all'art. 33, terzo comma, della Costituzione dalla Corte d'Appello di Milano con l'ordinanza indicata in epigrafe.

 

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 12 luglio 1984.

 

Leopoldo ELIA - Antonino DE STEFANO - Guglielmo ROEHRSSEN - Oronzo REALE - Brunetto BUCCIARELLI DUCCI – Alberto MALAGUGINI - Livio PALADIN - Arnaldo MACCARONE - Virgilio ANDRIOLI - Giuseppe FERRARI - Francesco SAJA  - Giovanni CONSO - Ettore GALLO - Aldo CORASANITI

 

Depositata in cancelleria il 18 luglio 1984.