Sentenza n.168 del 1984

 

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SENTENZA N. 168

ANNO 1984

 

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

Prof. Antonino DE STEFANO,Presidente

Prof. Guglielmo ROEHRSSEN

Avv. Oronzo REALE

Dott. Brunetto BUCCIARELLI DUCCI

Avv Alberto MALAGUGINI

Prof. Livio PALADIN

Dott. Arnaldo MACCARONE

Prof. Antonio LAPERGOLA

Prof. Virgilio ANDRIOLI

Prof. Giovanni CONSO

Prof. Ettore GALLO,Giudici

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 541 del codice civile, promosso con ordinanza emessa il 1 dicembre 1977 dalla Corte di appello di Lecce, nel procedimento civile vertente tra Blandamura Francesca Paola e Blandamura Luigi ed altri, iscritta al n. 51 del registro ordinanze 1978 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 94 dell'anno 1978;

visti gli atti di costituzione di Blandamura Luigi e Ave;

udito nell'udienza pubblica del 24 maggio 1983 il Giudice relatore Antonino De Stefano;

udito l'avv. Sebastiano Mastrobuono per Blandamura Luigi e Ave.

Ritenuto in fatto

1. - Con citazione 14 aprile 1968, Blandamura Francesca Paola, figlia naturale riconosciuta di Blandamura Ettore, deceduto il 9 luglio 1963, conveniva in giudizio davanti al tribunale di Taranto Blandamura Luigi, Ave ed Irene, figli legittimi del de cuius, chiedendo la riduzione in suo favore delle disposizioni del testamento pubblico, ricevuto in data 22 novembre 1962, con cui il defunto aveva diviso tra loro i beni ereditari, perché lesive, specie in riferimento all'entità dei cespiti immobiliari, della quota di riserva di sua spettanza. Costituitisi in giudizio i convenuti chiedevano il rigetto della domanda dell'attrice. Giunta la causa in decisione, il tribunale, con sentenza 30 luglio 1975, escludendo, in base ai risultati di una consulenza tecnica, la sussistenza della lamentata lesione, respingeva la domanda.

Contro tale sentenza Blandamura Francesca Paola interponeva appello alla Corte di Lecce, contestando, prima ancora delle stime dei beni ereditari, il mancato rilievo di Ufficio, da parte del tribunale, del contrasto con gli artt. 3 e 30 della Costituzione, delle disposizioni del codice civile (nell'atto di appello indicate con richiamo all'art. 542) applicate, nella specie, agli effetti del calcolo della rivendicata legittima. Il principio della parità dei cittadini dinanzi alla legge - sosteneva l'appellante - esattamente era stato interpretato dal legislatore ordinario, con la legge di riforma del diritto di famiglia 19 maggio 1975, n. 151, nel senso che i figli legittimi e quelli naturali devono essere considerati perfettamente eguali nelle successioni al comune genitore. Per logica conseguenza l'espressione dell'art. 30 della Costituzione "la legge assicura ai figli nati fuori del matrimonio ogni tutela giuridica e sociale, compatibile con i diritti dei membri della famiglia legittima", significa che i figli legittimi non devono essere pretermessi, non già che gli stessi possano o debbano conservare una posizione giuridica ed economica preminente di fronte a chi, come loro, é stato procreato dallo stesso genitore. Nel caso in questione, perciò, l'appellante aveva diritto di ottenere che la quota di legittima a lei spettante fosse determinata, non secondo i criteri (di diseguaglianza tra figli legittimi e naturali) già adottati dalla vecchia norma del codice civile, ma, conformemente alla Costituzione, secondo un principio di parità.

Costituitisi anche in appello ed opponendosi, anche sugli altri punti, alle richieste e deduzioni di Blandamura Francesca Paola, gli appellati obiettavano, quanto alla eccezione di illegittimità costituzionale, che essa, investendo una norma ormai abrogata, avrebbe dovuto essere dichiarata inammissibile. Nel merito, comunque, l'eccezione doveva ritenersi priva di fondamento, giacché l'art. 30 della Costituzione, invocato dall'appellante, lungi dall'essere in conflitto con l'impugnata disposizione del codice civile, l'aveva "accettata" sia nella sua formulazione che nelle sue finalità, non avendo per nulla inteso rapportare la tutela giuridica e sociale, da esso assicurata ai figli naturali "compatibilmente con i diritti dei membri della famiglia legittima", ad un criterio di piena equiparazione ai figli legittimi.

Pronunciandosi in proposito, con ordinanza 1 dicembre 1977, la Corte d'appello di Lecce, rilevato che né l'indicazione della disposizione impugnata, nell'atto d'appello, con riferimento (frutto di evidente errore) all'art. 542 anziché all'art. 541 del codice civile, né la sopravvenuta abrogazione della disposizione stessa con la legge di riforma del diritto di famiglia n. 151 del 1975 - abrogazione che non impediva che l'art. 541 del codice civile fosse tuttora applicabile ai casi, come quello in oggetto, di successioni apertesi in precedenza - erano di ostacolo al richiesto promovimento del giudizio di legittimità costituzionale, dichiarava "rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell'abrogato art. 541 del codice civile che determinava la quota ereditaria riservata ai figli naturali in misura pari alla metà della quota riservata ai figli legittimi".

Nella motivazione del provvedimento, dopo aver constatato che, costituendo la norma impugnata "il metro cui va commisurata l'entità della quota di riserva spettante al figlio naturale che venga all'eredità in concorso con figli legittimi", é evidente la rilevanza della questione nel giudizio a quo, la Corte d'appello, agli effetti della non manifesta infondatezza, osserva che la determinazione, nell'art. 541 del codice civile, della quota riservata ai figli naturali in misura della metà della quota riservata ai figli legittimi, non appare consentanea ai principi enunciati dagli artt. 3 e 30, comma terzo, della Costituzione. Posto infatti che l'art. 3 dichiara la pari dignità sociale e la piena uguaglianza davanti alla legge di tutti i cittadini senza distinzioni di condizioni personali e sociali, non sembra che il terzo comma del successivo art. 30, nel salvaguardare la "compatibilità" della tutela dei figli naturali con i diritti dei membri della famiglia legittima, abbia voluto ribadire la "subordinazione" della posizione giuridica dei figli naturali a quella dei figli legittimi. Non certo in questo senso, del resto - sottolinea ancora l'ordinanza - tale esigenza di "compatibilità" é stata intesa dal legislatore ordinario, che nella già richiamata legge n. 151 del 1975 ha assolutamente parificato, quanto ai diritti ereditari, mediante l'abrogazione dell'art. 541 e la modificazione degli artt. 537 e 542 del codice civile, la posizione dei figli naturali a quella dei figli legittimi.

2. - Adempiute le formalità di rito, delle parti del giudizio di provenienza si sono costituiti innanzi a questa Corte, con atto depositato il 2 gennaio 1978, i soli Blandamura Luigi ed Ave. Riportandosi alle difese scritte presentate nel corso del giudizio davanti alla Corte d'appello, e confermandole eccezioni e deduzioni già svolte in quella sede, essi hanno chiesto che la questione venga dichiarata inammissibile, o "gradatamente" non fondata.

Il Presidente del Consiglio dei ministri non é intervenuto.

In una memoria, depositata l'11 maggio 1983, la difesa di Blandamura Luigi ed Ave, dando svolgimento alle tesi esposte nell'atto di deduzioni, ha chiesto che sulla questione sollevata venga emessa una declaratoria di manifesta infondatezza.

Sottolineato che l'art. 541 del codice civile mai in passato fu sottoposto al vaglio di questa Corte, il che starebbe a conferma della validità della disposizione impugnata, nella memoria si ribadisce che essa non viola né l'art. 3, né l'art. 30, terzo comma, della Costituzione. Secondo le parti costituite, infatti, non é dubbio che la condizione di figlio naturale, alla luce della comune coscienza sociale, specie se riferita a venti anni fa (epoca dell'apertura della successione cui occorre riportarsi), non é equiparabile a quella di figlio legittimo, e pertanto il minor favore riservato dal diritto successorio al figlio naturale non può ritenersi elusivo dell'art. 3 della Costituzione, che, secondo l'interpretazione datane dalla costante giurisprudenza di questa Corte, postula la eguaglianza dei cittadini senza distinzione di condizioni personali e sociali solo quando (a differenza da quel che si verifica nel caso in questione) sussista obiettiva identità di stati e di situazioni. Riguardo all'art. 30, comma terzo, della Costituzione, nella memoria si osserva quindi che la "compatibilità" in esso prevista e prescritta (senza alcuna, peraltro impossibile, contrapposizione, ma in piena armonia con il principio di eguaglianza) implica, sulla base di una distinzione (sicuramente operata dal costituente) tra figli non legittimi e figli legittimi, che la tutela assicurata ai primi rimanga subordinata alla soddisfazione dei diritti dei secondi. Quanto ai modi di attuazione e ai limiti di tale subordinazione tra i confliggenti diritti dei figli legittimi e naturali - prosegue la memoria - il precetto costituzionale, nella sua naturale elasticità, senza dare direttive di quantità nella relativa regolamentazione, ha però lasciato al legislatore ordinario, con una specie di delega in bianco, di fissarli concretamente con ampia discrezionalità. Cosicché, quale che sia il trattamento che la legge ha riservato in passato, riserva attualmente, e riserverà in futuro ai figli naturali, l'art. 30, terzo comma, della Costituzione non potrebbe in nessun caso dirsi violato. Anche l'abrogazione dell'art 541 del codice civile, disposta con la legge di riforma del diritto di famiglia, va perciò correlata, non al precetto costituzionale, ma esclusivamente "alle mutate concezioni dell'essere della società".

3. - Alla pubblica udienza del 24 maggio 1983, dopo che il Giudice Antonino De Stefano ha svolto la relazione, l'avv. Sebastiano Mastrobuono, per le parti costituite in giudizio, ha ribadito i motivi svolti nella presentata memoria, concludendo per la infondatezza della questione.

Considerato in diritto

1. - L'art. 541 del codice civile, relativo al "concorso di figli legittimi e naturali" in ordine ai diritti riservati ai legittimari nella successione, abrogato dall'art. 177 della legge 19 maggio 1975, n. 151, sulla riforma del diritto di famiglia, ma tuttora applicabile alle successioni apertesi prima dell'entrata in vigore della legge medesima (come quella di cui si controverte nel giudizio a quo), é denunciato nella parte in cui "determinava la quota ereditaria riservata ai figli naturali in misura pari alla metà della quota riservata ai figli legittimi". L'ordinanza di rimessione della Corte di appello di Lecce, di cui in narrativa, prospetta il contrasto di tale norma, sia con l'art. 3 della Costituzione, che dichiara la pari dignità sociale e la piena eguaglianza davanti alla legge di tutti i cittadini, senza distinzione di condizioni personali e sociali, sia con il comma terzo dell'art. 30 della Costituzione, il quale, nell'assicurare ai figli nati fuori del matrimonio ogni tutela giuridica e sociale, compatibile con i diritti dei membri della famiglia legittima, non può essere interpretato nel senso di consentire la "subordinazione" della posizione dei figli naturali a quella dei figli legittimi. E ciò anche alla luce della sopravvenuta legge di riforma n. 151 del 1975, la quale abrogando la denunciata norma, e modificando gli artt. 537 e 542 dello stesso codice civile, ha parificato la posizione dei figli naturali a quella dei figli legittimi quanto ai diritti ereditari.

2. - La questione non é fondata.

Giova in proposito ricordare che, anteriormente alla emanazione della menzionata legge sulla riforma del diritto di famiglia, questa Corte aveva affermato (sentenza n. 79 del 1969) che il figlio naturale (riconosciuto o dichiarato) gode, in virtù del terzo comma dell'art. 30 della Costituzione, di un'ampia protezione ("ogni tutela giuridica e sociale"), alla quale resta vincolato il legislatore ordinario. Un potere discrezionale va a quest'ultimo riconosciuto, infatti, solo ai fini della necessaria conciliazione, voluta dallo stesso precetto costituzionale, di tale protezione "con i diritti dei membri della famiglia legittima": intesa siffatta espressione nel suo ristretto significato, con riferimento, cioè, al gruppo costituitosi con il matrimonio del genitore naturale e composto dal coniuge e dai figli legittimi, e non già nella più ampia accezione (accolta dalla Corte nella precedente sentenza n. 54 del 1960), comprensiva anche degli ascendenti e dei collaterali. "Conciliazione - si é soggiunto in quella sentenza n. 79 del 1969 - del resto in parte avvenuta ante litteram ad es. con le norme del codice civile che disciplinano la situazione dei figli naturali, quanto ai diritti ereditari, se concorrono con i figli legittimi".

Tali principi sono stati poi ribaditi nella sentenza n. 50 del 1973, con la quale, riconosciuto il contrasto dell'art. 539 codice civile, sia con lo stesso comma terzo dell'art. 30, che con l'art. 3 della Costituzione, "in quanto stabilisce, in mancanza di membri della famiglia legittima, un trattamento non giuridicamente giustificato, di disparità successoria per i figli naturali rispetto ai figli legittimi", questa Corte ne ha dichiarato la illegittimità costituzionale "limitatamente alla parte in cui a favore dei figli naturali, quando la filiazione é riconosciuta o dichiarata, é riservato, in mancanza di figli legittimi e di coniuge, soltanto un terzo del patrimonio del genitore se questi lascia un solo figlio naturale o la metà se i figli naturali sono pi, e non, come per i figli legittimi, la metà del patrimonio del genitore se questi lascia un figlio solo o i due terzi se i figli sono più". Nella motivazione della stessa sentenza la Corte ha osservato che "il concorso del coniuge con figli naturali é già regolato dall'art. 543 codice civile, così come é regolato dall'art. 541 stesso codice il concorso di figli legittimi e figli naturali, e dall'art. 542 il concorso di figli legittimi, coniuge e figli naturali. Pertanto i diritti dei membri della famiglia legittima rispetto a figli naturali riconosciuti o dichiarati risultano tutelati in piena conformità della disposizione dell'art. 30, comma terzo, della Costituzione".

Così pure, nella successiva sentenza n. 82 del 1974, la Corte ha riaffermato che "i diritti ereditari dei figli naturali riconosciuti o dichiarati possono essere legittimamente limitati allorché essi concorrono con i figli legittimi ed il coniuge del genitore"; mentre, "nell'ipotesi in cui manchino membri della famiglia legittima e non sussista quindi l'incompatibilità prevista dall'art. 30, comma terzo, della Costituzione", essi conseguono lo stesso trattamento successorio riservato ai figli legittimi.

Alla luce della ricordata giurisprudenza (ancora ribadita nella sentenza n. 55 del 1979) va dunque sottolineato come la Corte, pur non chiamata a pronunciarsi direttamente sulla legittimità costituzionale dell'art. 541 del codice civile, ora al suo esame, abbia più volte ritenuto che esso non contrastasse con i parametri degli artt. 30, comma terzo e 3 della Costituzione. E ciò in quanto ha riconosciuto spettare al legislatore ordinario - stante la formulazione generica del testo del terzo comma del citato art. 30, frutto del "travaglio che portò, nell'Assemblea costituente, alla sua formulazione definitiva" (sentenza n. 54 del 1960) di rendersi attento interprete della evoluzione del costume e della coscienza sociale, e, in conseguenza, di apprestare, in ordine alla esigenza, espressamente posta dal precetto costituzionale, della "compatibilità" della tutela dei figli nati fuori del matrimonio con i diritti dei membri della famiglia legittima, soluzioni anche diverse nel tempo, in armonia appunto con la cennata evoluzione.

3. - Nella indicata prospettiva si colloca la modifica introdotta sul punto dalla legge di riforma del diritto di famiglia, la quale, con l'art. 173, ha sostituito il testo dell'art. 537 del codice civile, disponendo, in tema di riserva a favore dei figli, che, nella ipotesi di concorso all'eredità di figli legittimi e naturali, agli uni e agli altri siano attribuiti in egual misura i medesimi diritti successori. Nel nuovo testo dell'art 537 é stato anche trasfuso il c.d. diritto di commutazione; già contemplato dal secondo comma dell'art. 541, in virtù del quale é riconosciuta ai figli legittimi la facoltà di soddisfare in denaro o in beni immobili ereditari la porzione spettante ai figli naturali; i quali ultimi, peraltro, secondo la nuova disciplina, possono opporsi, decidendo in tal caso il giudice, valutate le circostanze personali e patrimoniali. Il nuovo testo dell'art. 537 del codice civile ha poi comportato l'abrogazione, disposta dal successivo art. 177 della medesima legge di riforma, dell'art. 541, che disciplinava appunto il concorso di figli legittimi e naturali su basi diverse dalla introdotta parificazione nei diritti successori.

Dai relativi lavori parlamentari si evince che il legislatore, muovendo dalla consapevolezza che "nessuna parte dell'ordinamento giuridico risente come il diritto familiare delle contemporanee ed opposte sollecitazioni della tradizione da un lato e del costume in evoluzione dall'altro", ha inteso impegnare "saggezza ed equilibrio" al fine di "modulare le delicate correlazioni e l'intensità degli strumenti di tutela dei diversi interessi in gioco... per la migliore sistemazione normativa dell'istituto e sopratutto per la sua aderenza alla realtà sociale". Per quanto in particolare concerne l'operata parificazione dei figli naturali ai legittimi nell'ambito successorio, é stato nella medesima sede escluso che "il limite costituzionale ai diritti dei figli nati fuori del matrimonio - rappresentato dalla tutela della famiglia legittima - implichi una ridotta partecipazione alla successione ereditaria". Ed all'uopo si é affermato che, se vero che il dettato costituzionale non impone tale parificazione, altrettanto vero é che esso non la vieta, trattandosi di "una scelta sul piano dell'opportunità politica che non coinvolge valutazioni di ordine costituzionale".

4. La ratio cui risulta ispirata la intervenuta parificazione dei figli naturali ai figli legittimi, in ordine ai diritti riservati ai legittimari nella successione, appare dunque in armonia con quella interpretazione del terzo comma dell'art. 30 della Costituzione, che la Corte aveva già accolto e che qui riconferma, riconoscendo al legislatore ordinario, a proposito della concreta estrinsecazione del limite di "compatibilità" ivi sancito, ampio margine di scelte egualmente ammissibili, pur nella loro diversità: sempre che - é appena il caso di precisare - le scelte medesime non si rivelino palesemente irrazionali o vulnerino interessi costituzionalmente garantiti.

Dalla menzionata disciplina che - accompagnando, con progressivo adeguamento, la evoluzione della coscienza sociale - ha sostituito quella dettata dalla denunciata norma, non può, pertanto, contrariamente all'assunto del giudice a quo, trarsi utile argomento per avvalorare il prospettato dubbio di legittimità costituzionale sul quale la Corte é chiamata a pronunciarsi. Significativa in proposito appare anche la considerazione che la medesima legge di riforma, nel disporre (art. 237) che alcune delle modifiche da essa introdotte (artt. 580 e 594 del codice civile, concernenti i diritti successori dei figli naturali non riconosciuti o non riconoscibili, nei testi sostituiti rispettivamente dagli artt. 188 e 195) si applichino anche alle successioni apertesi prima della sua entrata in vigore, non abbia disposto altrettanto per il nuovo testo dell'art. 537, che ha operato, come innanzi detto, la cennata parificazione: il che sembra confermare che, nella elaborazione della riforma del diritto di famiglia, non si é nutrito dubbio sulla legittimità costituzionale dell'abrogato art. 541 del codice civile.

5. - In conclusione, per quanto innanzi esposto, ritiene la Corte che l'art. 541 del codice civile, abrogato dalla legge n. 151 del 1975, ma tuttora applicabile alle successioni apertesi prima dell'entrata in vigore della legge medesima, nel determinare la quota ereditaria riservata ai figli naturali in misura pari alla metà della quota riservata ai figli legittimi, non contrasti né con il principio della tutela dei figli nati fuori del matrimonio, garantita dall'art. 30, comma terzo, né con il principio di eguaglianza, sancito dall'art. 3 della Costituzione.

La diversità di trattamento cui la denunciata norma dà luogo, in ordine ai diritti riservati ai legittimari nella successione, tra figli legittimi e figli naturali, appare infatti giustificata dall'esigenza, sancita a livello egualmente costituzionale, di una conciliazione della tutela dei figli naturali con i diritti dei membri della famiglia legittima. Frutto di una scelta operata in aderenza alla realtà sociale dell'epoca, ed immune da vizi di irrazionalità, la disposizione in questione rientra invero, nell'ambito che il precetto costituzionale, senza incidervi direttamente, ha lasciato, riguardo ai modi di tale conciliazione, alle valutazioni discrezionali del legislatore.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 541 del codice civile (abrogato dall'art. 177 della legge 19 maggio 1975, n. 151, sulla riforma del diritto di famiglia), nella parte in cui determina la quota ereditaria riservata ai figli naturali in misura pari alla metà della quota riservata ai figli legittimi, sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 30, comma terzo, della Costituzione, con l'ordinanza emessa il 1 dicembre 1977 dalla Corte di appello di Lecce (R.O. n. 51 del 1978).

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 5 giugno 1984.

 

Antonino DE STEFANO - Guglielmo ROEHRSSEN - Oronzo REALE - Brunetto BUCCIARELLI DUCCI – Albero MALAGUGINI - Livio PALADIN - Arnaldo MACCARONE - Antonio LAPERGOLA  - Virgilio ANDRIOLI - Giovanni CONSO - Ettore GALLO

 

Depositata in cancelleria l'8 giugno 1984.