Sentenza n. 238 del 1983

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SENTENZA N. 238

ANNO 1983

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

Prof. Leopoldo ELIA, Presidente

Dott. Michele ROSSANO

Prof. Antonino DE STEFANO

Prof. Guglielmo ROEHRSSEN

Avv. Oronzo REALE

Dott. Brunetto BUCCIARELLI DUCCI

          Avv. Alberto MALAGUGINI

          Prof. Livio PALADIN      

          Dott. Arnaldo MACCARONE

          Prof. Antonio LA PERGOLA

Prof. Virgilio ANDRIOLI

Prof. Giuseppe FERRARI

Dott. Francesco SAJA

Prof. Giovanni CONSO

Prof. Ettore GALLO,

          ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 42 comma quinto, della legge 6 dicembre 1971, n. 1034 (Istituzione dei Tribunali amministrativi regionali) promosso con ordinanza emessa il 14 gennaio 1975 dal Tribunale Amministrativo regionale dell'Emilia - Romagna sul ricorso proposto da Migani Gastone ed altro contro il Comune di Riccione iscritta al n. 580 del registro ordinanze 1976 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 281 del 1976; visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito, nella pubblica udienza del 25 gennaio 1983 il Giudice relatore Brunetto Bucciarelli Ducci;

udito l'avvocato dello Stato Renato Carafa per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

Con due ricorsi diretti al Tribunale Regionale Amministrativo per l'Emilia-Romagna, notificati il 14 novembre 1973, Gastone Migani e Pierino Corinaldesi impugnarono il provvedimento 13 settembre 1973, con il quale il Sindaco del Comune di Riccione, a norma dell'art. 13 legge 6 agosto 1967, n.765, aveva determinato nella misura di venti milioni la sanzione pecuniaria a loro carico per la costruzione del piano di una abitazione senza che fosse stata rilasciata la licenza edilizia.

I due ricorsi, diretti ad ottenere la declaratoria di nullità o l'annullamento del provvedimento, furono depositati il 28 novembre 1973 nella Cancelleria del Tribunale di Bologna, a norma dell'art. 42, comma secondo, legge 6 dicembre 1971, n. 1034 (istituzione dei Tribunali Amministrativi Regionali), non essendo ancora entrata in funzione la Segreteria del Tribunale Amministrativo Regionale per l'Emilia - Romagna.

Con avviso, ricevuto dalle parti il 18 febbraio 1974 la Segreteria del suddetto Tribunale Amministrativo comunicò che la cancelleria del Tribunale di Bologna le aveva trasmesso i ricorsi.

I ricorrenti chiesero al Presidente del Tribunale amministrativo, con domanda 28 settembre 1974, che venisse fissata l'udienza di trattazione del ricorso.

Il comune di Riccione, costituitosi in giudizio, eccepì, con memoria 3 gennaio 1975, l'improcedibilità del ricorso, a norma dell'art. 42, comma ultimo, citata legge n. 1034 del 1971, perché gli istanti non avevano tempestivamente presentato la domanda diretta ad ottenere la fissazione dell'udienza di trattazione del ricorso.

Il Tribunale amministrativo Regionale per l'Emilia - Romagna, con ordinanza 14 gennaio 1975, propose, di ufficio, in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione, la questione di legittimità costituzionale dell'art. 42, comma ultimo, legge n. 1034 del 1971.

L'ordinanza fu pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 281 del 20 ottobre 1976.

Nel giudizio davanti a questa Corte non si sono costituite le parti private.

É intervenuto il Presidente del Consiglio dei Ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocato Generale dello Stato, con atto depositato il 5 ottobre 1976, chiedendo che la questione di legittimità costituzionale sia dichiarata in parte infondata e in parte inammissibile per irrilevanza.

Considerato in diritto

1. - Il Tribunale Amministrativo Regionale per l'Emilia - Romagna ha proposto, di ufficio, in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione, la questione di legittimità costituzionale dell'art. 42, quinto comma, legge 6 dicembre 1971, n. 1034 (istituzione dei Tribunali Amministrativi Regionali), che impone alle parti interessate di chiedere al Presidente del Tribunale Amministrativo la fissazione dell'udienza di trattazione del ricorso - proposto prima dell'entrata in funzione dello stesso Tribunale e depositato, a norma del comma secondo dello stesso art. 42, nella Cancelleria del Tribunale Civile con sede nel Capoluogo di regione - entro il termine perentorio di sessanta giorni dalla data di ricezione dell'avviso, con il quale la Segreteria del Tribunale Amministrativo ha dato loro notizia del ricevimento del ricorso trasmesso dalla Cancelleria del Tribunale.

La norma impugnata, secondo il giudice "a quo", nel prevedere il suddetto breve termine perentorio di sessanta giorni, sarebbe in contrasto con il principio di uguaglianza innanzitutto perché determinerebbe una disparità di trattamento non giustificata tra coloro che hanno proposto il ricorso prima dell'entrata in funzione dei Tribunali Amministrativi e coloro che lo hanno proposto dopo, dato che i primi devono, in quel termine perentorio, valutare l'opportunità di chiedere la fissazione dell'udienza di trattazione, mentre gli altri si giovano del termine ben più ampio di due anni stabilito dall'art. 23, comma primo, stessa legge.

Inoltre, sussisterebbe disparità di trattamento anche tra parti nello stesso giudizio. Infatti coloro che si sono costituiti presso la Segreteria del TAR prima del ricevimento dell'avviso da parte della stessa Segreteria (avviso che del resto appare superfluo giacché le parti con la loro costituzione hanno avuto evidentemente conoscenza della ricezione degli atti trasmessi dalla Cancelleria del Tribunale) possono usufruire del termine di perenzione di due anni; mentre gli altri, già costituiti presso la Cancelleria del Tribunale Civile devono proporre istanza di fissazione della udienza entro il più breve termine perentorio di 60 giorni a decorrere dall'avviso della Segreteria del TAR. Non potrebbe considerarsi valida secondo il giudice "a quo" la giustificazione della disparità di trattamento addotta da alcuni Tribunali Amministrativi, che hanno ravvisato la "ratio" della norma in esame nella necessità di un atto di impulso del processo, che avrebbe la funzione di provare l'attualità dell'interesse della parte ad ottenere la decisione del ricorso. Inoltre, l'onere del rispetto del breve termine sarebbe posto, sempre secondo il giudice "a quo", senza alcun riguardo nei confronti di coloro che, come nel caso di specie, hanno depositato il ricorso presso la Cancelleria del Tribunale ordinario pochi giorni prima dell'insediamento dei Tribunali Amministrativi.

Lo stesso comma quinto dell'art. 42 della legge indicata lederebbe anche il principio del diritto di difesa (art. 24 Cost.) perché limiterebbe in maniera incisiva il periodo di tempo a disposizione della parte per valutare l'opportunità di chiedere la fissazione dell'udienza di trattazione.

2. - La questione non é fondata.

L'art. 42 legge n. 1034 del 1971 contiene, in cinque commi, disposizioni di natura transitoria, aventi tutte la finalità di concentrare entro breve termine i ricorsi - pendenti presso qualsiasi autorità giurisdizionale o proposti dopo l'entrata in vigore della stessa legge e prima dell'inizio del funzionamento dei Tribunali Amministrativi - presso la Segreteria di questi ultimi; ciò anche a dimostrazione della persistente volontà delle parti di ottenere la decisione.

E proprio per raggiungere tali finalità il citato art. 42 impone: con il comma secondo, alla Cancelleria del Tribunale di trasmettere i ricorsi alla Segreteria del Tribunale Amministrativo non appena questo entrerà in funzione; con il comma quarto, alla Segreteria del Tribunale amministrativo di dare agli interessati avviso del ricevimento degli atti trasmessi dalla Cancelleria del Tribunale; con il quinto comma, che é la norma impugnata, alle parti di chiedere la fissazione dell'udienza di trattazione entro il termine perentorio di sessanta giorni dalla ricezione del suddetto avviso. Tali norme trovano la loro giustificazione nella particolare situazione che avrebbero dovuto affrontare i Tribunali Amministrativi all'inizio della loro attività per il notevole numero di ricorsi già proposti.

3. - La denunciata violazione del principio di eguaglianza, prospettata sotto due profili, non sussiste.

In relazione al primo profilo si osserva che la situazione di coloro che hanno proposto il ricorso in epoca anteriore alla entrata in funzione dei Tribunali amministrativi e la situazione di coloro che l'hanno proposto dopo sono oggettivamente diverse dato che solo per i primi sussiste quell'esigenza di avere la prova dell'interesse attuale ad ottenere la decisione, esigenza che la norma impugnata mira a soddisfare per i motivi già sopra esposti e costituisce valida ragione giustificatrice della norma stessa.

Per quanto concerne il secondo profilo, si rileva che l'Avvocato Generale dello Stato ha eccepito l'inammissibilità della questione perché nella fattispecie in esame non si era verificata la coesistenza di parte costituita nella Segreteria del Tribunale Amministrativo e di parte costituita anteriormente nella Cancelleria del Tribunale di Bologna, con la conseguente dedotta disparità di trattamento, perché la prima si sarebbe giovata della perenzione di due anni mentre la seconda sarebbe stata soggetta al termine perentorio di sessanta giorni.

Tale eccezione va disattesa perché il giudice "a quo" non ha affermato che in quel determinato procedimento le parti si erano costituite in tempi diversi presso uffici diversi, ma ha aggiunto altro argomento a sostegno della tesi prospettata.

La questione, quindi, sotto il secondo profilo é ammissibile, ma non é fondata perché la situazione della parte che si é costituita presso la Segreteriadel Tribunale Amministrativo é diversa da quella in cui si trova la parte che si era costituita in epoca precedente nella Cancelleria del Tribunale ordinario. Infatti solo per quest'ultima vale la esigenza di verificare il persistere dell'interesse alla decisione sul ricorso.

Nessun rilievo può assumere l'ultimo argomento del giudice "a quo", il quale ha posto in evidenza che, nel caso in esame, il ricorso era stato depositato presso la Cancelleria del Tribunale di Bologna pochi giorni prima dell'entrata in funzione del Tribunale Amministrativo, perché la legge deve disciplinare la generalità dei casi e le mere disparità di fatto, necessariamente conseguenti alla successione di leggi nel tempo, non possono costituire violazione di precetti costituzionali.

4. - La norma impugnata non viola neppure l'art. 24 della Costituzione perché non impone alla parte un onere particolarmente gravoso, tale da pregiudicare il suo diritto di difesa. Invero il termine perentorio di 60 giorni consente alle parti una adeguata valutazione dell'interesse a chiedere la decisione sul ricorso. É da osservare poi che durante il suddetto termine la parte si deve limitare a presentare una semplice istanza, che non richiede alcuna motivazione e deve solo contenere il richiamo al ricorso pendente. Tale termine, del resto, é di durata eguale a quello prescritto dall'art. 21 stessa legge n. 1034 del 1971 per impugnare l'atto amministrativo, termine durante il quale la parte deve svolgere attività di ben altro rilievo.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 42, comma quinto, legge 6 dicembre 1971, n. 1034 (Istituzione dei Tribunali Amministrativi Regionali) proposta dal Tribunale Amministrativo Regionale per l'Emilia - Romagna con l'ordinanza in epigrafe, in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 15 luglio 1983.

Leopoldo ELIA - Michele ROSSANO -  Antonino DE STEFANO-  Guglielmo ROEHRSSEN - Oronzo REALE - Brunetto BUCCIARELLI DUCCI - Alberto MALAGUGINI - Livio PALADIN - Arnaldo MACCARONE -  Antonio LA PERGOLA - Virgilio ANDRIOLI -  Giuseppe FERRARI - Francesco SAJA - Giovanni CONSO - Ettore GALLO

Giovanni VITALE - Cancelliere

          Depositata in cancelleria il 15 luglio 1983.