Sentenza n. 215 del 1983

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SENTENZA N. 215

ANNO 1983

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

Prof. Leopoldo ELIA, Presidente

Prof. Antonino DE STEFANO

Prof. Guglielmo ROEHRSSEN

Avv. Oronzo REALE

Dott. Brunetto BUCCIARELLI DUCCI

Avv. Alberto MALAGUGINI

Prof. Livio PALADIN

          Dott. Arnaldo MACCARONE

          Prof. Antonio LA PERGOLA

Prof. Virgilio ANDRIOLI

Prof. Giuseppe FERRARI

Dott. Francesco SAJA

Prof. Giovanni CONSO

Prof. Ettore GALLO,

          ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi riuniti di legittimità costituzionale dell'art. 332 del d.P.R. 23 gennaio 1973, n. 43 (Testo unico delle disposizioni legislative in materia doganale), promossi con le ordinanze emesse il 13 luglio 1978 dalla Sezione istruttoria della Corte d'appello di Catania, il 5 maggio 1980 dal Giudice istruttore del Tribunale di Napoli, il 14 aprile 1981 dal Tribunale di Gorizia e il 10 luglio 1981 dalla Corte di cassazione, rispettivamente iscritte al n. 516 del registro ordinanze 1978, al n.467 del registro ordinanze 1980, al n. 530 del registro ordinanze 1981 e al n. 231 del registro ordinanze 1982 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 17 del 1979, n. 215 del 1980, n. 325 del 1981 e n. 255 del 1982.

Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica del 26 aprile 1983 il Giudice relatore Giovanni Conso;

udito l'avvocato dello Stato Renato Carafa, per il Presidente del Consiglio dei ministri.

 

Ritenuto in fatto

1. - La Sezione istruttoria della Corte d'appello di Catania, pronunciando sull'impugnazione proposta da Tzonis Demetre e Edvvin Heaps, il primo cittadino greco ed il secondo cittadino britannico, contro l'ordinanza del locale Tribunale datata 16 aprile 1977, che aveva loro concesso il beneficio della libertà provvisoria previo versamento di una cauzione di L. 326.000.000, pari al minimo della multa prevista per il reato di contrabbando, aveva con ordinanza del 25 giugno 1977 disposto, in accoglimento dell'appello, la scarcerazione dei due appellanti "perché i reati loro ascritti non consentono la custodia preventiva". Tale provvedimento veniva però annullato dalla Corte di cassazione, con sentenza del 31 ottobre 1977, perché nella specie avrebbe dovuto trovare applicazione l'art. 332 t.u. legge doganale 23 gennaio 1973, n. 43.

La Sezione istruttoria, nuovamente investita della questione, con ordinanza del 13 luglio 1978 ha denunciato, in riferimento agli artt. 2, 3, 10, 13 e 27 della Costituzione, l'illegittimità dell'art. 332 d.P.R. 23 gennaio 1973, n. 43 (t. u. della legge doganale), nella parte in cui "secondo l'interpretazione corrente (seguita anche dalla Corte di cassazione nell'ordinanza di rinvio)" per gli stranieri imputati dei reati di contrabbando che siano puniti anche con la sola pena pecuniaria "consente la concessione della libertà provvisoria soltanto ed esclusivamente previo versamento della cauzione in misura eguale al minimo della pena edittale prevista e la durata massima della custodia preventiva per tempo corrispondente alla durata massima della pena".

Premesso che nei confronti degli imputati procedevasi per reato punibile con la sola pena pecuniaria - precisamente per contrabbando di tabacchi esteri lavorati (artt. 25, 282, 301, 341 d.P.R. 23 gennaio 1973, n. 43; 1, 10, 11, 12 legge 3 gennaio 1951, n. 27; 7 legge 10 dicembre 1975, n. 724) ed omesso pagamento dell'IVA (artt. 1, 2, 6, 13, 16, 67, 69 e 70 d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633; 1, 3 legge 10 dicembre 1975, n. 724) - e che secondo le regole generali per tali reati non sarebbe consentita l'emissione del mandato di cattura, il giudice a quo rileva che con la disposizione impugnata si verificherebbe nei casi, come quello sottoposto al suo esame, in cui l'imputato si trova nell'impossibilità di prestare la cauzione, un'espiazione preventiva di pena nella sua interezza ed una conversione preventiva della pena pecuniaria in pena detentiva, situazioni entrambe realizzate nei riguardi di una pena che nella quasi totalità dei casi risulterà inferiore a quella che sarà definitivamente inflitta, sia per l'eccezionalità teorica e pratica dell'inflizione della pena massima, sia perché nel determinare questa ultima durante la fase istruttoria non influiscono le attenuanti che, invece, incidono durante la fase del giudizio nella misura della diminuzione minima della pena, spesso di un solo giorno.

Sarebbe conseguentemente violato il principio di eguaglianza, "in relazione al diritto primario della libertà e in adempimento ai trattati internazionali, in particolare alla Convenzione sui diritti e sulle libertà fondamentali dell'uomo approvata con legge 4 agosto 1955, n. 848", in quanto, nei casi di contrabbando commesso dallo straniero, lo stato di non abbienza o l'impossibilità di prestare cauzione (anche in considerazione dell'inoperatività di misure sostitutive, che sono, invece, previste dal codice di procedura penale), determinerebbe un considerevole aggravamento della posizione dell'imputato, soggetto ad una carcerazione preventiva obbligatoria (e per un tempo corrispondente al massimo della pena, anche nei casi in cui, secondo le regole generali, la cattura é vietata), quando il pagamento della cauzione riduce questa obbligatoria espiazione preventiva al minimo.

Un limite di carcerazione preventiva pari al massimo della pena finirebbe per snaturarne, poi, lo stesso concetto perché, quando la privazione della libertà personale si sia protratta per un periodo di tempo pari al massimo della pena edittale, la scarcerazione non sarebbe tanto la conseguenza del raggiungimento del limite della carcerazione preventiva, quanto l'esplicazione del diritto dell'imputato ad essere rimesso in libertà per avere scontato il massimo della pena che gli si potrebbe infliggere (come, del resto, avveniva anche per i reati "comuni", prima che fossero fissati i limiti della carcerazione preventiva) ed a questa particolare situazione cederebbe ogni obbligatorietà del mandato di cattura. Ove poi si tenesse conto che, intervenuta una condanna non definitiva, l'imputato ha diritto alla scarcerazione quando ha scontato la pena inflitta (art. 275 c.p.p.), risulterebbe chiaro che dopo la sentenza di primo grado, "nei casi del tipo in esame", non vi sarebbe più un concreto limite di carcerazione preventiva in senso proprio; esso, inoltre, nel corso della fase istruttoria, sarebbe sempre più alto del tempo occorrente dopo la pronuncia di primo grado per la scarcerazione ai sensi dell'art. 275 c.p.p., con conseguente "sovvertimento sia logico sia del sistema, che contrasta con l'art. 13 della Costituzione".

Il giudice a quo ricorda, poi, le sentenze della Corte n. 26 del 1964 e n. 120 del 1967 (che dichiararono non fondata la medesima questione di legittimità costituzionale, riferita all'art. 139 legge 25 settembre 1940, n. 1424) per precisare come queste decisioni si riferivano "ai ben diversi casi per i quali era prevista anche la pena detentiva", chiedendo un "riesame in via specifica e quantitativa" di tali sentenze perché non si tratterebbe più soltanto di diversità per categorie di reati (il contrabbando rispetto agli altri) e di persone (gli stranieri o i non identificati rispetto agli altri), "ma della certa realizzazione di una carcerazione preventiva nel massimo edittale e, quindi, certamente superiore alla pena che concretamente sarà inflitta"; si tratterebbe "di una certa carcerazione sofferta in più cioè abusivamente e, quindi, illegittimamente, in violazione ad un diritto fondamentale dell'uomo". Questo risultato si porrebbe sicuramente in violazione ai principi della nostra Costituzione ed in modo specifico agli artt. 2, 3, 10, 13 e 27.

L'ordinanza, ritualmente comunicata e notificata, é stata pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 17 del 17 gennaio 1979.

É intervenuta la Presidenza del Consiglio dei ministri, rappresentata e difesa dall'Avvocatura Generale dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata manifestamente infondata (anche se poi nelle conclusioni dell'atto di intervento si domanda una dichiarazione di non fondatezza), avendo la Corte costituzionale, con le sentenze ricordate dal giudice a quo, già giudicato, sotto tutti i profili di pretesa incostituzionalità dedotti dall'ordinanza di rimessione, la questione.

Con particolare riguardo alle differenze esistenti fra il sistema previsto dall'art. 332 del t.u. della legge doganale e le norme del codice di procedura penale che disciplinano la custodia preventiva, l'Avvocatura rileva che effettivamente si realizza un "sovvertimento logico" delle prime rispetto alle seconde, giacché la detenzione dello straniero ex art. 332 sarebbe istituto profondamente diverso dalla custodia preventiva, costituendo una misura cautelare apprestata al fine di soddisfare l'esigenza dello Stato di garantirsi contro l'insolvenza; un tale tipo di cautela non verrebbe meno a seguito della pronuncia della sentenza di condanna alla sola pena pecuniaria, se non sia prestata, appunto, cauzione o malleveria. La custodia preventiva, invece, risponderebbe alle diverse esigenze di limitare la libertà a chi sia imputato di reati talmente gravi da farlo ritenere persona socialmente pericolosa e di mantenerlo a disposizione dell'autorità giudiziaria per l'accertamento dei fatti.

Il sistema non contrasterebbe, tuttavia, con le norme della Costituzione sia nelle singole disposizioni, sia nei principi da essa desumibili.

2. - Nel corso del procedimento penale a carico di Pandelis Malahaias, Pilos Alexandros ed altri, imputati di associazione per delinquere e di contrabbando di sigarette estere, il Giudice istruttore del Tribunale di Napoli, decidendo sull'istanza di concessione della libertà provvisoria avanzata dal Pandelis e dal Pilos, emetteva in data 21 marzo 1980 ordinanza di concessione del richiesto beneficio, subordinando l'operatività dello stesso al versamento di una cauzione di L. 500.000.000, ai sensi dell'art. 332 del t. u. della legge doganale. Successivamente, i prevenuti presentavano una nuova istanza con la quale domandavano la revoca dell'obbligo di prestare la cauzione e la conferma della concessione della libertà provvisoria, argomentando la loro richiesta con il richiamo alla sentenza n. 131 del 1979 di questa Corte, che ha dichiarato costituzionalmente illegittimo il regime della convertibilità delle pene pecuniarie in pene detentive; in subordine, chiedevano che il Giudice istruttore denunciasse l'illegittimità della citata disposizione in riferimento agli artt. 3 e 10 della Costituzione.

Con ordinanza del 5 maggio 1980 il Giudice istruttore ha sollevato la questione di legittimità dell'art. 332 t. u. della legge doganale per contrasto con l'art. 3 Cost.

Premette il giudice a quo, con ciò disattendendo la domanda principale avanzata dagli imputati, che l'art. 332 t. u. della legge doganale, essendo "norma autonoma ed indipendente rispetto all'art. 136 c.p.", non sarebbe stato direttamente attinto dalla dichiarazione di illegittimità costituzionale di tale ultima disposizione, pronunciata con la indicata sentenza di questa Corte. Le due disposizioni, infatti, opererebbero su due piani radicalmente diversi, dettando la prima una particolare disciplina relativa alla libertà personale del "colpevole" del reato di contrabbando con esclusivo riferimento alla fase dell'istruzione, e prevedendo, invece, la seconda il meccanismo giuridico della conversione della pena pecuniaria in pena detentiva nell'ipotesi di insolvenza del "condannato" con esclusivo riguardo "allo stato processuale della esecuzione della pena". Inoltre, le due disposizioni poste a confronto sarebbero fondate su diversi presupposti, richiedendo, da un lato, l'art. 136 c.p. il mancato pagamento della pena pecuniaria accompagnato dal rigoroso accertamento della insolvibilità del condannato ed occorrendo, invece, per l'operatività dell'art. 332, che non sia nota l'identità del colpevole del reato di contrabbando, se italiano, e che venga omessa la prestazione della cauzione o della malleveria per il pagamento delle multe o delle ammende, se il colpevole sia straniero. Sempre per confutare la pretesa intervenuta abrogazione della disposizione del t. u. della legge doganale, il Giudice istruttore deduce ancora la diversa "natura formale" delle due disposizioni: l'art. 136 c.p. opererebbe, prevedendo un sistema di conversione delle pene detentive valido per tutti i soggetti, nel campo del diritto comune, mentre l'art. 332 t. u. legge doganale opererebbe nell'area del diritto speciale, introducendo un meccanismo cautelativo ed afflittivo particolare, esplicante la sua concreta efficacia nei confronti di soggetti determinati (il cittadino di cui non sia nota l'identità e lo straniero che non dia le garanzie previste dalla legge).

Presupposta, quindi, l'attuale vigenza dell'art. 332, il giudice a quo ha ritenuto tale disposizione non conforme al principio di eguaglianza "in relazione al regime giuridico chiaramente discriminatorio che essa determina fra gli stranieri che godono di una situazione economica molto agiata, e tale, comunque, che consente di soddisfare la prestazione delle cauzioni particolarmente elevate che condizionano la liberazione del colpevole dei reati previsti dalla legge doganale e lo straniero che, al contrario, non dispone di una situazione finanziaria sufficiente per beneficiare del disposto della seconda parte del primo comma dell'articolo censurato".

Secondo il Giudice istruttore, il principio di eguaglianza sarebbe operante anche nei confronti degli stranieri, così come ritenuto dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 120 del 1967, con la quale é stato affermato "in modo chiaro ed inequivocabile" che l'art. 3 Cost. non deve essere interpretato isolatamente, ma nel quadro sistematico generale della normativa costituzionale ed in particolare in connessione con gli artt. 2 e 10, il primo dei quali riconosce a tutti, cittadini e stranieri, i diritti inviolabili dell'uomo, mentre il secondo stabilisce che la condizione giuridica dello straniero é regolata dalla legge in conformità delle norme e dei trattati internazionali: l'art. 3, secondo la Corte, pur rivolgendosi ai soli cittadini dal punto di vista letterale, fissa un principio che non può non riferirsi anche agli stranieri quando sia in gioco il rispetto dei diritti fondamentali di cui all'art. 2.

Applicando tali principi alla norma impugnata, il giudice a quo rileva che l'art. 332 t. u. legge doganale determinerebbe conseguenze penali diverse per gli stranieri che si siano resi colpevoli di reati identici e di pari intensità (in quanto previsti dalla stessa norma incriminatrice), solo perché alcuni (quelli che godono di una posizione molto agiata) sono posti in grado di prestare idonea cauzione, mentre gli altri (coloro che, invece, non dispongono di mezzi finanziari sufficienti per far fronte agli obblighi imposti dall'art. 332) non sono posti in grado di farlo. In tal modo si finirebbe, prosegue il giudice a quo, riportando un passo della decisione n. 131 del 1979 di questa Corte, con "il fondare la soddisfazione del principio di eguaglianza di fronte al reato ed alla pena, proprio sul sacrificio dell'eguaglianza stessa, introducendo una discriminazione determinata dalle condizioni economiche del condannato" o dell'imputato; prova evidente che non sarebbero ancora scomparse - secondo il Giudice istruttore- "da uno Stato, che si definisce moderno e democratico concezioni paleogiuridiche, basate sulla fungibilità tra libertà e patrimonio personale" (viene ancora richiamata la sentenza n. 131 del 1979 della Corte).

L'ordinanza, ritualmente notificata e comunicata, é stata pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 215 del 16 agosto 1980.

É intervenuta la Presidenza del Consiglio dei ministri, rappresentata e difesa dall'Avvocatura Generale dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata non fondata.

Dopo aver sostanzialmente riprodotto le deduzioni del precedente atto di intervento, l'Avvocatura, soffermandosi ad esaminare l'incidenza della sentenza n. 131 del 1979 sulla norma impugnata, rileva che tale decisione sarebbe del tutto ininfluente, giacché nel regime dell'art. 332 d.P.R. n. 43 del 1972 si tratterebbe soltanto di consentire allo Stato il soddisfacimento dei suoi crediti, secondo un'esigenza riconosciuta dall'ordinamento interno e dalla normativa internazionale.

3. - Il Tribunale di Gorizia, con ordinanza emessa il 14 aprile 1981 nel procedimento penale a carico di Msatfi Salah (imputato dei reati di cui agli artt. 282,295 d.P.R. 23 gennaio 1973, n. 43; 67,69 e 70 d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633; 1 e 8 d.l. 20 aprile 1971, n. 163, convertito in legge 18 giugno 1971, n. 376), ha denunciato l'illegittimità, in riferimento all'art. 3 Cost., dell'art. 332 d.P.R. n. 43 del 1973, data la ingiustificata disparità di trattamento che esso determinerebbe tra lo straniero che non sia in grado di prestare idonea cauzione o malleveria ed il cittadino italiano.

Tale diseguaglianza sarebbe divenuta ancor più evidente in quanto la pena della multa, la sola da infliggere in base ai reati contestati, non potrebbe più, anche in ipotesi di condanna definitiva, essere convertita in pena detentiva, a seguito della dichiarazione di illegittimità costituzionale dell'art. 136 c.p. e dell'art. 586, quarto comma, c.p.p.

L'ordinanza, ritualmente comunicata e notificata, é stata pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 325 del 25 novembre 1981.

É intervenuta la Presidenza del Consiglio dei ministri, rappresentata e difesa dall'Avvocatura Generale dello Stato, ed ha chiesto, riportandosi ai precedenti atti di intervento, che la questione sia dichiarata non fondata.

4. - La Corte di cassazione, con ordinanza del 10 luglio 1981, pronunciata nel procedimento penale a carico di Vassos Kostantinos, Skorzos Lazaros, Hatziathnassiou Padaleon, Liberopoulos Panatios, Zalakotas Joannis e Ibacache Bernal Victor, tutti cittadini greci, ha ritenuto non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 332 d.P.R. n. 43 del 1973, in riferimento agli artt. 3,27, secondo comma, e 13, ultimo comma, Cost., nella parte in cui impone la carcerazione preventiva e fa divieto di ordinare la liberazione degli imputati stranieri che non prestino cauzione o malleveria per il pagamento delle multe e delle ammende.

La Cassazione, premessa l'intervenuta caducazione dell'art. 136 c.p., e ricordate due sue precedenti decisioni con le quali é stata ritenuta illegittima la detenzione dello straniero che non abbia prestato né cauzione né malleveria e che sia stato condannato con sentenza passata in giudicato alla pena detentiva interamente scontata ed a pena pecuniaria insoluta per il reato di contrabbando, ha rilevato che, pur trovandosi il processo in fase di cognizione, apparirebbero innegabili le ripercussioni della sentenza n. 131 del 1979 di questa Corte, essendo l'arresto obbligatorio ed il divieto di liberazione dello straniero che non presti cauzione o malleveria giustificati soltanto dalla funzione cautelare della carcerazione preventiva in ordine all'esecuzione della eventuale condanna, e non avendo, invece, una tale funzione cautelare alcun senso "in previsione di un evento futuro - la detenzione a seguito della conversione - il cui verificarsi non é più ipotizzabile". Di conseguenza, sembrerebbe contrario ad ogni criterio di ragionevolezza privare della libertà personale l'imputato per un reato in ordine al quale non potrà essere mai irrogata una pena detentiva (neppure a titolo di conversione dell'originaria pena pecuniaria), con conseguente contrasto con i principi costituzionali: di eguaglianza, oltre che per l'intrinseca irragionevolezza della norma impugnata anche sotto il profilo del diverso e, quindi, ancora irragionevole, trattamento riservato allo straniero abbiente rispetto a quello che tale non é (e che, perciò, per non poter prestare garanzie patrimoniali, viene privato della libertà personale a titolo di carcerazione preventiva); di presunzione di non colpevolezza fino al giudicato, essendo l'imputato sottoposto, nel corso del processo, a misure restrittive in via cautelare sostanzialmente più onerose di quelle cui sarebbe in concreto assoggettabile nel caso di accertamento definitivo della sua colpevolezza; della fissazione, per legge, dei limiti massimi di carcerazione preventiva, dovendosi, nella specie, determinare tali limiti nel massimo della pena detentiva stabilito dalla legge per la conversione della multa non pagata, "con la conseguenza, tenuto conto delle esemplari pene pecuniarie comminate dal d.P.R. n. 43 del 1973, di individuare termini di carcerazione preventiva irragionevolmente eccessivi, di gran lunga superiori a quelli indicati dall'art. 272 c.p.p. per delitti carichi di maggior disvalore giuridico -sociale, quali, ad es., l'omicidio volontario".

In questo giudizio non vi é stato né intervento della Presidenza del Consiglio né costituzione delle parti private.

Considerato in diritto

1. - Anche se con riferimento a parametri costituzionali parzialmente differenziati, le quattro ordinanze riassunte in narrativa riguardano tutte l'art. 332 del d.P.R. 23 gennaio 1973, n. 43: i relativi giudizi possono, quindi, essere riuniti e decisi con unica sentenza.

2. - Più esattamente, come puntualizza nel suo dispositivo l'ordinanza della Corte di cassazione, le questioni dedotte assoggettano a vaglio di costituzionalità la "parte in cui il detto articolo impone la carcerazione preventiva e fa divieto di ordinare la liberazione degli imputati stranieri, che non prestino cauzione o malleveria per il pagamento delle multe e delle ammende". Anzi, poiché l'art. 332 del d.P.R. 23 gennaio 1973, n. 43, consta di cinque commi, il primo dei quali impone che sia arrestato immediatamente ed il secondo vieta che sia liberato anteriormente alle scadenze ivi stabilite non soltanto l'imputato "straniero che non dà idonea cauzione o malleveria per il pagamento delle multe e delle ammende", ma anche l'imputato di cui "non é nota" l'identità personale, la "parte" in discussione viene ad identificarsi con la parte del primo comma e la parte del secondo comma concernenti l'imputato straniero, mentre restano impregiudicate, oltre ai tre commi successivi, le analoghe parti concernenti l'imputato di cui non é stata accertata l'identità personale.

3. - L'art. 332 del d.P.R. 23 gennaio 1973, n. 43 (Testo unico delle disposizioni legislative in materia doganale), riproduce, alla lettera, l'art. 139 della legge 25 settembre 1940, n. 1424 (Legge doganale), già oggetto di due interventi da parte di questa Corte, sfociati entrambi in pronunce di rigetto. Ed invero, dapprima, é stata dichiarata non fondata, con la sentenza n. 26 del 1964, una questione di legittimità dell'art. 139, secondo comma, ultimo periodo ("Tuttavia, la detenzione del colpevole non può superare il massimo della pena stabilita dalla legge per il reato di cui é imputato, od i tre mesi quando contro di lui si procede per contravvenzione"), in riferimento all'art. 13, quinto comma, Cost., e, poi, con la sentenza n. 120 del 1967, una questione di legittimità dell'art. 139, in riferimento agli artt. 3 (collegato, nella parte motiva, con l'art. 2), 10, secondo comma, e 27 Cost., così "da escludere", fra l'altro, l'esistenza di "una illegittima discriminazione per lo straniero" rispetto al cittadino.

4. - Poiché anche i giudizi ora riuniti, considerati nel loro insieme, coinvolgono parametri facenti capo agli artt. 2, 3, 10, 13 e 27 Cost., occorre verificare in via preliminare se le ordinanze di rimessione sottopongano ad indagine profili in qualche modo diversi da quelli esaminati in precedenza, tanto più che l'Avvocatura dello Stato, nell'atto d'intervento del Presidente del Consiglio dei ministri nel giudizio promosso dalla Sezione istruttoria della Corte d'appello di Catania, formula inizialmente una richiesta di manifesta infondatezza, asserendo che "tutti i profili di pretesa incostituzionalità" della norma in discussione "sono stati già esaminati e risolti negativamente dalla Corte".

In proposito, é agevole rilevare, anzitutto, che le altre tre ordinanze (Giudice istruttore del Tribunale di Napoli, Tribunale di Gorizia, Corte di cassazione) - tutte emanate dopo la pubblicazione della sentenza 21 novembre 1979, n. 131, con cui questa Corte ha dichiarato non legittimo l'istituto della conversione in pene detentive delle pene pecuniarie non eseguite per insolvibilità del condannato (v. art. 136 testo originario del c.p. 1930; art. 586, quarto comma, testo originario del c.p.p. 1930) - si richiamano più o meno direttamente a tale pronuncia, ravvisando nel suo dispositivo (Tribunale di Gorizia, Corte di cassazione) o in alcuni passaggi della sua motivazione (Giudice istruttore del Tribunale di Napoli) nuovi elementi atti a proporre, nei riguardi dell'art. 332 del d.P.R. 23 gennaio 1973, n. 43, dubbi di costituzionalità prospettati senza successo nei riguardi dell'art. 139 della legge 25 settembre 1940, n. 1424. Quanto, poi, all'ordinanza della Sezione istruttoria della Corte d'appello di Catania, é significativo che anch'essa, benché anteriore alla sentenza n. 131 del 1979, muova alla norma, tra gli altri addebiti, quello di realizzare "una conversione preventiva della pena pecuniaria in detentiva con considerevole aggravamento", mai prima portato all'attenzione di questa Corte.

5. - Ciò premesso, le censure attualmente rivolte all'art. 332 del d.P.R. 23 gennaio 1973, n. 43, nella parte o, meglio, nelle parti che già si é avuto modo di circoscrivere, si possono sintetizzare così:

A) Tutte le ordinanze in esame reputano violato l'art. 3 Cost., anche se sotto angolature differenti, senza che, peraltro, queste si escludano a vicenda, tanto da trovarsi talora affiancate nella stessa ordinanza.

Così, la Corte di cassazione assume leso l'art. 3, in primo luogo, "attesoché sembra contrario ad ogni criterio di ragionevolezza privare della libertà personale l'imputato per un reato in ordine al quale non potrà mai essere comminata una pena detentiva neppure a titolo di conversione dell'originaria comminatoria di pena pecuniaria"; e, subito dopo, "anche sotto il profilo del diverso e quindi irragionevole trattamento riservato allo straniero abbiente rispetto a quello che non lo é". Questa seconda prospettazione si ritrova, e da sola, nell'ordinanza del Giudice istruttore del Tribunale di Napoli, mentre il Tribunale di Gorizia si sofferma sulla diseguaglianza di trattamento fra lo straniero ed il cittadino italiano, ritenendo riproponibile la tematica disattesa dalla sentenza n. 120 del 1967, in quanto la diseguaglianza risulterebbe ora "più palese", una volta eliminata la possibilità di conversione della pena pecuniaria in detentiva. A sua volta, la Sezione istruttoria della Corte d'appello di Catania ravvisa un'"aperta violazione del principio di eguaglianza, in relazione al diritto primario della libertà ed in adempimento ai trattati internazionali" (da qui il concomitante riferimento agli artt. 2 e 10 Cost.), dato che "nei casi di contrabbando commesso da straniero lo stato di abbienza o di impossibilità a prestare la cauzione, in considerazione anche della mancanza di previsione di possibilità di sostituirla con altre misure (com'è secondo il codice di procedura penale), costituisce un particolare aggravamento della posizione personale dell'imputato, perché fa diventare obbligatoria la carcerazione preventiva anche nei casi in cui, secondo la legge comune, la cattura é vietata e per un tempo corrispondente al massimo della pena. Di converso, il pagamento della cauzione riduce quest'obbligatoria espiazione preventiva al minimo": con il che la diseguaglianza fra straniero e cittadino italiano viene ad aggiungersi alla diseguaglianza fra straniero abbiente e straniero non abbiente.

B) Due ordinanze (Sezione istruttoria della Corte d'appello di Catania, Corte di cassazione) assumono leso anche l'art. 13, quinto comma, Cost., riprospettando la tematica disattesa dalla sentenza n. 26 del 1964, ma non più attraverso un puro e semplice raffronto con i termini massimi ordinariamente previsti dall'art. 272 c.p.p., bensì attraverso la rilevazione degli eccessi insiti nella deroga a tale articolo. "Un limite di carcerazione preventiva pari al massimo della pena snatura il concetto stesso della carcerazione preventiva" si legge nell'ordinanza della Sezione istruttoria della Corte d'appello di Catania; di "termini di carcerazione preventiva irragionevolmente eccessivi, di gran lunga superiori a quelli indicati dall'art. 272 c.p.p. per delitti carichi di maggior disvalore giuridico - sociale, quali, ad es. l'omicidio volontario" si parla nell'ordinanza della Corte di cassazione.

C) Le stesse due ordinanze appena ricordate ipotizzano, infine, un contrasto con l'art. 27, secondo comma, Cost., non potendo la presunzione di non colpevolezza consentire che l'imputato sia "sottoposto, nel corso del processo, a misure restrittive in via cautelare, sostanzialmente più onerose di quelle cui sarebbe in concreto assoggettato nel caso di accertamento definitivo della sua colpevolezza"(così l'ordinanza della Corte di cassazione), stante la "certa realizzazione di una carcerazione preventiva... superiore alla pena che concretamente sarà inflitta" (così, anche se in modo generico, l'ordinanza della Sezione istruttoria della Corte d'appello di Catania).

 

6. - Prima di analizzare la consistenza dei dubbi che si sono riassunti, occorre dar cenno della tesi interpretativa, non priva di riscontri giurisprudenziali e dottrinari, secondo cui la declaratoria di illegittimità dell'art. 136 testo originario del c.p. 1930, facendo venir meno un presupposto di applicabilità dell'art. 332 del d.P.R. 23 gennaio 1973, n. 43 (appunto, la conversione della pena pecuniaria in pena detentiva), ne avrebbe determinato l'abrogazione: e questo non solo nei confronti degli stranieri destinatari di nuove imputazioni comportanti pene pecuniarie, ma anche nei confronti degli stranieri in detenzione preventiva per analoghe imputazioni precedentemente contestate.

Le ordinanze del Giudice istruttore del Tribunale di Napoli, del Tribunale di Gorizia e della Corte di cassazione impediscono di considerare una tale interpretazione diritto vivente; anzi, l'ultima di dette ordinanze induce a ravvisare il diritto vivente proprio in coincidenza con l'interpretazione all'esame di questa Corte, basata sulla persistente vigenza dell'art. 332 del d.P.R. 23 gennaio 1973, n. 43.

Piuttosto, ci si deve far carico di una più attenta messa a punto dei rapporti tra il testo dell'art. 136 c.p. dichiarato illegittimo dalla sentenza n. 131 del 1979 e l'art. 332 del decreto n. 43 del 1973, a causa della differente configurazione che a tali rapporti danno, da un lato, le ordinanze della Corte di cassazione e del Tribunale di Gorizia e, dall'altro, l'ordinanza del Giudice istruttore del Tribunale di Napoli. Mentre la Corte di cassazione (e così sostanzialmente anche il Tribunale di Gorizia) ritiene "l'arresto obbligatorio e il divieto di liberazione dello straniero che non presti cauzione o malleveria (per il pagamento della multa o dell'ammenda) giustificato soltanto dalla funzione cautelare della carcerazione preventiva in ordine all'esecuzione dell'eventuale condanna", il Giudice istruttore del Tribunale di Napoli considera l'art. 332 del decreto n. 43 del 1973 "norma autonoma e indipendente rispetto all'art. 136 c.p.", in quanto le due norme "estrinsecano la loro operatività su due piani completamente diversi" (e cioé: la prima nell'ambito del processo di cognizione, la seconda con esclusivo riferimento alla fase dell'esecuzione), muovendo da "presupposti" diversi (e cioé: la prima dal semplice fatto che lo straniero non presti idonea cauzione o malleveria, la seconda dal rigoroso accertamento dell'insolvibilità del condannato).

Effettivamente, né la diversità dei piani (o, meglio, degli ambiti processuali) applicativi, né la diversità dei rispettivi presupposti possono essere negate. La diversità degli ambiti processuali, nonostante l'inappropriato uso per ben quattro volte dell'espressione "colpevole" da parte dell'art. 332 del d.P.R. 23 gennaio 1973, n. 43 (come già da parte dell'art. 139 della legge 25 settembre 1940, n. 1424), é ribadita dal similare art. 108 della legge 17 luglio 1942, n. 907 (Legge sul monopolio dei sali e dei tabacchi), che fa sistematico uso dell'espressione "imputato", ad eccezione di un caso, comunque chiaramente riconducibile nel processo di cognizione (vi si parla, infatti, di "massimo della pena stabilita dalla legge", con ovvio riferimento alla sanzione irrogabile in astratto); la diversità dei presupposti - nonostante il completo silenzio serbato dall'art. 332 del decreto n. 43 del 1973, come già dall'art. 139 della legge n. 1424 del 1940, per quanto riguarda il momento del passaggio dal processo di cognizione alla fase dell'esecuzione - é riconosciuta, dopo le incertezze del passato, dall'ormai costante giurisprudenza della Corte di cassazione, richiamata nelle premesse dell'ordinanza di rimessione della Corte stessa, che ritiene contra legem la detenzione dello straniero una volta che la condanna a pena pecuniaria sia divenuta irrevocabile e, quindi, esecutiva.

Tutto ciò non comporta, peraltro, né che l'estromissione dall'ordinamento della convertibilità della pena pecuniaria in pena detentiva nel corso dell'esecuzione, a seguito della declaratoria di illegittimità dell'art. 136 c.p. da parte della sentenza n. 131 del 1979, sia priva di ripercussioni sulle valutazioni di costituzionalità dell'art. 332 del d.P.R. 23 gennaio 1973, n. 43; né che i principi argomentativi ispiratori della decisione così ripetutamente menzionata siano aprioristicamente estranei alla presente tematica. Del resto, la stessa ordinanza del Giudice istruttore del Tribunale di Napoli, pur nell'ottica della separatezza delle due norme, conclude la sua motivazione con un esplicito richiamo alla parte della sentenza n. 131 del 1979 volta a stigmatizzare il retaggio di concezioni arcaiche o paleogiuridiche "basate sulla fungibilità tra libertà e patrimonio personali".

7. - Venendo alle censure dedotte, le prime a dover essere sottoposte ad esame sono sicuramente quelle imperniate in vario modo sull'art. 3 Cost., non tanto perché la loro presenza si riscontra in tutti i provvedimenti di rimessione, quanto perché esse, coinvolgendo l'istituto dell'arresto obbligatorio dello straniero che non dia idonea cauzione o malleveria per il pagamento delle pene pecuniarie (e, dunque, 1'"an" o, meglio, 1'"in sé" dell'istituto), precedono, in ordine logico, le censure che, come quelle imperniate sugli artt. 13, quinto comma, e 27, secondo comma, Cost., si soffermano particolarmente sull'esorbitante durata dell'arresto (e, dunque, sul "quantum" o, meglio, sul "grado di intensità" dell'istituto).

Tra le censure che si rifanno all'art. 3 Cost. viene ad occupare, a sua volta, una posizione di priorità nei confronti delle altre quella che per l'art. 332 del d.P.R. 23 gennaio 1973, n. 43, si traduce in un addebito di irrazionalità intrinseca. Questa priorità - evidenziata dalla stessa ordinanza della Corte di cassazione che, nel sollevare tale addebito, ne aggiunge, come già si é visto, un secondo, rivolto in subordine contro la differenziazione tra straniero abbiente e straniero non abbiente - trova spiegazione nell'incidenza che l'eventuale irrazionalità intrinseca avrebbe sull'essenza stessa dell'istituto: viceversa, i profili di comparazione, come quelli tra lo straniero abbiente e lo straniero non abbiente o tra il cittadino e lo straniero (il che vale anche per i parametri degli artt. 2 e 10 Cost., richiamati, unitamente all'art. 3, dalla Sezione istruttoria della Corte d'appello di Catania), limitandosi a contestare una differenza di trattamento, non mettono in discussione, anzi presuppongono, la legittimità dei termini normativi, oggetto di raffronto comparativo, in sé e di per sé considerati.

A questo punto, dunque, si deve affrontare la tematica dei rapporti tra l'art. 332 del d.P.R. 23 gennaio 1973, n. 43, e l'art. 3 Cost., sotto il primo dei profili prospettati dall'ordinanza della Corte di cassazione (irrazionalità intrinseca).

8. - La questione é fondata.

Già in due occasioni questa Corte era pervenuta a dichiarare illegittime, per contrasto con l'art. 3 Cost., norme che imponevano la carcerazione preventiva per reati punibili con sola pena pecuniaria: nel primo caso (sentenza n. 39 del 1970) la questione verteva sull'arresto obbligatorio in flagranza nei confronti del contravventore al divieto di comparire mascherato in luogo pubblico o aperto al pubblico, cioé di un contravventore che, "tutt'al più, sarà passibile della pena dell'ammenda" (artt. 85 e 220 del r.d. 18 giugno 1931, n. 773); nel secondo caso (sentenza n. 42 del 1973) era in discussione l'emissione del mandato di cattura obbligatoriamente prevista anche per le ipotesi nelle quali il fatto di vendere o mettere in vendita merci a prezzi superiori, in quanto addebitato come "di lieve entità", può essere "punito solo con la multa" (artt. 14, terzo comma, e 15, secondo comma, del d.lgs. C.p.S. 15 settembre 1947, n. 896).

Per la prima sentenza, la specifica ipotesi di carcerazione preventiva non trovava giustificazione di fronte all'art. 3 Cost. (là invocato a causa della diversità di trattamento riscontrabile rispetto a tutti gli altri reati punibili con pena detentiva ma non suscettibili di arresto in  flagranza) "né con la gravità del reato, che, anzi, la legge stessa considera di così scarsa entità da comportare, come si é detto, la sanzione contravvenzionale dell'ammenda; né con ragionevoli motivi di prevenzione, che la mascheratura é lungi dal denotare, di per sé, una qualsiasi pericolosità del soggetto attivo": due argomentazioni, queste, che non si possono ripetere tali e quali in ordine ai delitti per le cui ipotesi non aggravate il d.P.R. 23 gennaio 1973, n. 43, commina la sola pena della multa (le contravvenzioni punibili con la sola pena dell'ammenda sono ora depenalizzate, non esistendo ipotesi aggravate punibili con l'arresto). A sua volta, per la seconda sentenza, l'irrazionalità ex art. 3 Cost. era da ravvisare nell'essere l'autorità giudiziaria "obbligatoriamente tenuta a disporre la cattura anche per un fatto nel quale essa stessa, nella sua preliminare delibazione, ravvisi gli estremi della tenuità": una considerazione, pure questa, che non trova pieno riscontro nel settore regolamentato dal d.P.R. n. 43 del 1973. D'altra parte, per quanto riguarda l'art. 332 di tale decreto, che prescrive l'arresto quando non sia data cauzione o malleveria "per il pagamento delle multe o delle ammende", essendovi in allora posto per la conversione della pena pecuniaria insoluta in pena detentiva, non mancava la possibilità che la pena detentiva, pur non comminabile all'atto della condanna, subentrasse alla pena pecuniaria in sede di esecuzione.

Come osserva l'ordinanza della Corte di cassazione, adesso che, a seguito della sentenza n. 131 del 1979, la pena detentiva non può più subentrare alla pena pecuniaria insoluta, la previsione di una carcerazione preventiva così finalizzata, a carico di un imputato nei cui confronti la pena detentiva non potrà più trovare esecuzione in alcun modo ed in alcuna forma, si appalesa "contraria ad ogni criterio di ragionevolezza", qualunque sia l'entità della pena pecuniaria irrogabile.

A tutto concedere sulla natura giuridica di questa speciale figura di carcerazione preventiva (arresto obbligatorio e divieto di liberazione se non viene prestata idonea cauzione o malleveria per il pagamento della pena pecuniaria; liberazione dovuta e, pertanto, non libertà provvisoria, ma scarcerazione immediata se viene prestata idonea cauzione o malleveria), e, quindi, anche ad ammettere che si sia in presenza non di un'anticipata espiazione della pena (in tal caso, si arriverebbe all'assurdità di far scontare sotto forma di carcerazione preventiva un'eventuale sanzione non espiabile sotto specie di pena detentiva), bensì di una misura cautelare sussidiaria e mediata rispetto alla misura cautelare principale e diretta (cioé, la cauzione o malleveria) preordinata soltanto ad assicurare il pagamento della pena pecuniaria, un dato rimane innegabile: l'arresto obbligatorio e il divieto di scarcerazione si risolvono in un mezzo di pressione esercitato sulla persona fisica dell'imputato all'unico fine di costringerlo all'esborso anticipato di una somma che, in caso di condanna a pena pecuniaria, non potrebbe mai essere ottenuta dallo Stato utilizzando nella fase dell'esecuzione analoghi strumenti di coercizione fisica.

Questo insieme di valutazioni - che, facendo leva su un riverbero della sentenza n. 131 del 1979, portano a concludere nel senso di una palese irrazionalità delle prescrizioni in esame, anche tenuto conto di quelle che sono le normali finalità della carcerazione preventiva: un'irrazionalità tanto più grave e tanto meno tollerabile in quanto a risentirne é un fondamentale valore quale la libertà personale - coinvolge, anzitutto, le ipotesi (normalmente, ma non esclusivamente, prese in considerazione dalle ordinanze di rimessione) nelle quali l'applicazione dell'art. 332 del d.P.R. n. 43 del 1973 concerne reati punibili esclusivamente con pena pecuniaria. Ma ciò non toglie che ne rimangano coinvolte anche le ipotesi in cui il prolungarsi dell'arresto dello straniero abbia attinenza a reati punibili congiuntamente con pena detentiva e con pena pecuniaria (o - anche se questa eventualità non trova riscontro nelle previsioni del d.P.R. 23 gennaio 1973, n. 43 - con pena detentiva alternativamente a pena pecuniaria): ovviamente, e sempreché rispetto alla pena detentiva la carcerazione preventiva trovi titolo nelle ordinarie previsioni delle leggi processuali penali, l'irrazionalità dell'arresto verrà a delinearsi quando il periodo di carcerazione già sofferto assorba i rapporti con la pena detentiva, così che il suo proseguire trovi titolo soltanto nella mancata prestazione della cauzione o della malleveria preordinata a garantire il pagamento della pena pecuniaria.

L'art. 332 del d.P.R. 23 gennaio 1973, n. 43, va, dunque, dichiarato illegittimo relativamente sia alle parole del primo comma: "ovvero quando si tratta di straniero che non dà idonea cauzione o malleveria per il pagamento delle multe e delle ammende", sia alle parole del secondo comma: "o, trattandosi di straniero, fino a che questi non ha pagato la cauzione o la malleveria".

Per le ragioni già dette, tale conclusione esime la Corte dall'esaminare le ulteriori censure, di portata analoga o più ridotta, prospettate dalle ordinanze di rimessione in riferimento agli altri profili concernenti l'art. 3 Cost., nonché agli artt. 2, 10, 13, quinto comma, e 27, secondo comma, Cost.

In applicazione dell'art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87, é pure da dichiarare illegittimo negli stessi termini il già menzionato art. 108 della legge 17 luglio 1942, n. 907, che, con riguardo alle violazioni penalmente sanzionate del monopolio dei sali e dei tabacchi, configura per lo straniero casi di arresto con prescrizioni pressoché identiche; pertanto, anche questa declaratoria conseguenziale di illegittimità investe le corrispondenti parole dei primi due commi di detto articolo.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

a) dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 332, primo comma, del d.P.R. 23 gennaio 1973, n. 43 (Testo unico delle disposizioni legislative in materia doganale), relativamente alle parole: "ovvero quando si tratta di straniero che non dà idonea cauzione o malleveria per il pagamento delle multe e delle ammende";

b) dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 332, secondo comma, del d P.R. 23 gennaio 1973, n. 43 (Testo unico delle disposizioni legislative in materia doganale), relativamente alle parole: "o, trattandosi di straniero, fino a che questi non ha pagato la cauzione o la malleveria";

c) dichiara, in applicazione dell'art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87, l'illegittimità costituzionale dell'art. 108, primo comma, della legge 17 luglio 1942, n. 907 (Legge sul monopolio dei sali e dei tabacchi), relativamente alle parole: "ovvero quando si tratta di straniero che non dà idonea cauzione o malleveria per il pagamento delle multe o delle ammende";

d) dichiara, in applicazione dell'art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87, l'illegittimità costituzionale dell'art. 108, secondo comma, della legge 17 luglio 1942, n. 907 (Legge sul monopolio dei sali e dei tabacchi), relativamente alle parole: "o, trattandosi di straniero, fino a che questi non ha prestato la cauzione o la malleveria".

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, l'l luglio 1983.

Leopoldo ELIA - Antonino DE STEFANO - Guglielmo ROEHRSSEN - Oronzo REALE - Brunetto BUCCIARELLI DUCCI - Alberto MALAGUGINI -  Livio PALADIN - Arnaldo MACCARONE -  Antonio LA PERGOLA - Virgilio ANDRIOLI - Giuseppe FERRARI - Francesco SAJA - Giovanni CONSO - Ettore GALLO

Giovanni VITALE - Cancelliere

          Depositata in cancelleria il 1 luglio 1983.