Ordinanza n. 186 del 1983

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ORDINANZA N. 186

ANNO 1983

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

Prof. Leopoldo ELIA, Presidente

Dott. Michele ROSSANO

Prof. Guglielmo ROEHRSSEN

Avv. Oronzo REALE

Dott. Brunetto BUCCIARELLI DUCCI

Avv. Alberto MALAGUGINI

Prof. Livio PALADIN

          Dott. Arnaldo MACCARONE

          Prof. Antonio LA PERGOLA

Prof. Virgilio ANDRIOLI

Prof. Giovanni CONSO

Prof. Ettore GALLO,

          ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nei giudizi riuniti di legittimità costituzionale dell'art. 13, comma secondo, della legge 18 dicembre 1973, n. 877 (disciplina del lavoro a domicilio) promossi con le ordinanze emesse dal Pretore di Orvieto il 13 giugno, il 1 dicembre (due ordinanze) 1979 e il 31 maggio 1980, rispettivamente iscritte al n. 599 del registro ordinanze l979 e ai nn. 101, 102 e 679 del registro ordinanze 1980 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 298 del 1979 e nn. 105 e 325 del 1980.

Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 25 maggio 1983 il Giudice relatore Leopoldo Elia.

Ritenuto che il Pretore di Orvieto con le ordinanze in epigrafe ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell'art. 13, secondo comma, della legge 18 dicembre 1973, n. 877 (disciplina del lavoro a domicilio), nella parte in cui non prevede la non punibilità dell'intermediario o del mediatore che abbia reso al giudice o agli organi di polizia dichiarazioni veritiere e utili ai fini della individuazione e della punizione del soggetto committente lavoro irregolare a domicilio, e punisce allo stesso modo l'intermediario o mediatore e il committente, in riferimento agli artt. 2,3,35 primo comma, 36, 38 secondo comma e 41 secondo comma della Costituzione.

Considerato che é giurisprudenza della Corte che, salvo che non si cada in palese irrazionalità, non é censurabile la norma che, prevedendo un'ampia possibilità di determinazione tra un minimo e un massimo, consenta di adeguare la pena al caso concreto (cfr. da ultimo sent. n. 170/82);

che la nuova legge sulle modifiche al sistema penale ha ulteriormente accresciuto i poteri discrezionali del giudice, prevedendo sanzioni alternative (cfr. ord. n. 90, 96, 99/83);

che le censure mosse dal giudice a quo cadono espressamente in considerazioni di politica criminale, materia certamente riservata al legislatore (per il rigetto di critiche a scelte discrezionali del legislatore, cfr. da ultimo ord. n. 64/83).

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87 e 9, secondo comma, delle norme integrative per innanzi la Corte costituzionale.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell'art. 13, secondo comma, della legge 18 dicembre 1973, n. 877, sollevata dalle ordinanze in epigrafe in riferimento agli artt. 2, 3, 35 primo comma, 36, 38, secondo comma e 41 secondo comma della Costituzione.

Così deciso in Roma, in camera di consiglio, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 9 giugno 1983.

Leopoldo ELIA – Michele ROSSANO - Guglielmo ROEHRSSEN - Oronzo REALE – Brunetto BUCCIARELLI DUCCI – Alberto MALAGUGINI -  Livio PALADIN – Arnaldo MACCARONE -  Antonio LA PERGOLA - Virgilio ANDRIOLI - Giovanni CONSO – Ettore GALLO

Depositata in cancelleria il 22 giugno 1983.