Sentenza n. 137 del 1983

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SENTENZA N. 137

ANNO 1983

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

Prof. Leopoldo ELIA, Presidente

Prof. Antonino DE STEFANO

Avv. Oronzo REALE

Dott. Brunetto BUCCIARELLI DUCCI

Prof. Livio PALADIN

          Dott. Arnaldo MACCARONE

          Prof. Antonio LA PERGOLA

Prof. Virgilio ANDRIOLI

Dott. Francesco SAJA

Prof. Giovanni CONSO

Prof. Ettore GALLO,

          ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 54, comma primo, della legge 26 luglio 1975, n. 354 (Norme sull'ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e limitative della libertà), promosso con ordinanza emessa il 24 agosto 1976 dalla Sezione di sorveglianza di Roma, nel procedimento per riduzione di pena relativo a Ben Saad Salah, iscritta al n. 709 del registro ordinanze 1976 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 4 del 5 gennaio 1977.

Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica dell'8 marzo 1983 il Giudice relatore Giovanni Conso;

udito l'avvocato dello Stato Franco Chiarotti, per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

Ben Saad Salah, detenuto nella casa circondariale di Velletri, rivolgeva istanza alla Sezione di sorveglianza di Roma per ottenere il beneficio della liberazione anticipata ai sensi dell'art. 54 legge 26 luglio 1975, n. 354, in relazione a due condanne, entrambe inflittegli dal Tribunale di Roma, la prima, l'11 aprile 1973, a sei mesi di reclusione per un furto commesso il giorno 6 dello stesso mese, e la seconda, il 18 giugno 1973, ad un anno di reclusione per un furto commesso il 13 giugno dello stesso anno.

La Sezione - premesso che per la seconda condanna la richiesta riduzione di pena non avrebbe potuto essere concessa a causa della preclusione di cui al combinato disposto degli artt. 47, secondo comma, e 54, ultimo comma, mentre per la prima, pur non trovando applicazione le indicate disposizioni limitative (il detenuto Ben Saad Salah era, infatti, al momento in cui gli fu inflitta la condanna a sei mesi di reclusione ancora incensurato), ostava alla liberazione anticipata dell'istante la prescrizione contenuta nell'art. 54, primo comma, della legge n. 354 del 1975, secondo cui in tanto si può ottenere la riduzione di giorni venti di pena detentiva in quanto si sia già espiato un intero semestre della pena medesima - ha sollevato questione di legittimità di tale disposizione della legge n. 354 del 1975, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, nella parte in cui non prevede che la riduzione di giorni venti per ogni semestre di pena detentiva espiata sia frazionabile proporzionalmente all'espiazione di pene detentive di entità inferiore al semestre.

Rileva il giudice a quo che la norma impugnata, con il sancire che la riduzione di giorni venti si applica per ciascun semestre di pena detentiva "espiata", qualifica il rapporto "giorni venti - semestre" come un'unità di misura indivisibile: pertanto, "dalla conseguente impossibilità di frazionare la riduzione di giorni venti proporzionalmente a pene detentive di durata inferiore al semestre (ad esempio: dieci giorni per ogni trimestre)" deriverebbe "una disparità di trattamento fra i detenuti a seconda che l'entità della pena loro inflitta coincida o meno con l'unità di misura del semestre (aumentato di giorni venti) o dei suoi multipli". Ne conseguirebbe allora che colui che é stato, come nella specie, condannato alla pena detentiva di sei mesi "non può beneficiare di nemmeno un giorno di riduzione, laddove chi abbia subito una condanna a sei mesi e venti giorni può interamente usufruire dei venti giorni di liberazione anticipata".

Tale disparità di trattamento, che non si verificherebbe nel caso in cui la riduzione di venti giorni fosse proporzionalmente riducibile, contrasterebbe con il principio di eguaglianza e non potrebbe essere ricollegata nemmeno alla "discriminazione" di cui al combinato disposto degli artt. 47, secondo comma, e 54, ultimo comma, della legge n. 354 del 1975.

L'ordinanza, ritualmente comunicata e notificata, é stata pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 4 del 5 gennaio 1977.

É intervenuta la Presidenza del Consiglio dei ministri rappresentata e difesa dall'Avvocatura Generale dello Stato, chiedendo che la questione venga dichiarata non rilevante o, comunque, non fondata.

L'irrilevanza deriverebbe dal fatto che, non risultando il Ben Saad Salah, al momento della presentazione dell'istanza volta ad ottenere la liberazione anticipata, detenuto per cause diverse da quelle derivanti dalle due sentenze di condanna, "potrebbe presumersi che, quando la questione di costituzionalità sarà decisa, l'interessato avrà già espiato anche i venti giorni di pena, in relazione ai quali avrebbe potuto, in denegata ipotesi, fruire del beneficio della liberazione anticipata".

La non fondatezza della questione sarebbe evidente stante la diversità delle situazioni poste a confronto (quella "di chi abbia espiato almeno un semestre di pena" e quella "di chi ha espiato un periodo inferiore"). Infatti, la fissazione di un periodo minimo di espiazione della pena, come requisito discrezionalmente stabilito dal legislatore, ai fini della concedibilità del beneficio della liberazione anticipata, non apparirebbe arbitraria e irragionevole perché si armonizzerebbe con la "necessità di valutare in concreto se il condannato abbia effettivamente dato prova di quella sua partecipazione all'opera di rieducazione" prevista dalla legge come presupposto per la concessione del beneficio: per una tale valutazione occorre poter fare riferimento ad un certo periodo di tempo la cui misura sarebbe stata discrezionalmente determinata dal legislatore. Non corrisponderebbe, invece, alla ratio legis l'adozione di un criterio di proporzionalità che escludesse - come vuole l'ordinanza di rimessione - tale concreta valutazione, introducendo, nel sistema, un criterio di sostanziale automaticità nella concessione del beneficio.

Considerato in diritto

1. - L'ordinanza di rimessione dubita della legittimità costituzionale, per contrasto con l'art. 3 Cost., dell'art. 54, primo comma, legge 26 luglio 1975, n. 354, "nella parte in cui non prevede che la riduzione di giorni venti per ogni semestre di pena detentiva espiata sia frazionabile proporzionalmente all'espiazione di pene detentive di entità inferiore (rectius, non superiore) al semestre". Ed invero, il comma in esame, consentendo una riduzione di pena di venti giorni "per ciascun semestre di pena detentiva scontata", pone come unità di misura indivisibile e, quindi, come termine minimo per la concedibilità del beneficio denominato dal legislatore "liberazione anticipata" i sei mesi di pena detentiva. Nessuna riduzione é, pertanto, consentita nell'ipotesi di condanna ad una pena detentiva di mesi sei, quale, appunto, in discussione nel caso di specie.

2. - Ad avviso dell'Avvocatura dello Stato, la questione dedotta non sarebbe rilevante, dovendo "presumersi" che, data la brevità della pena residua a carico del detenuto Ben Saad Salah, la decisione di questa Corte potrebbe comunque intervenire soltanto dopo la completa espiazione della pena.

L'eccezione é infondata. Anche a prescindere dalla considerazione che una semplice presunzione non é sufficiente a precludere l'esame del merito (tanto più che, pur quando non risulti agli atti l'esistenza di un'altra causa di detenzione in capo allo stesso detenuto, non può mai escludersi l'eventualità che una nuova causa di detenzione sopravvenga entro l'ultimo giorno della carcerazione in corso), appare decisivo il principio, già più volte applicato da questa Corte, secondo cui "la pregiudizialità necessaria della questione di costituzionalità rispetto alla decisione del giudizio a quo va intesa considerando tale decisione come conclusiva di un itinerario logico ciascuno dei cui passaggi necessari può dar luogo ad un incidente di costituzionalità, ogni qualvolta il giudice dubita della legittimità costituzionale delle disposizioni normative che, in quel momento, é chiamato ad applicare per la prosecuzione e/o la definizione del giudizio. La prospettata "irrilevanza di fatto e sopravvenuta" della questione di legittimità costituzionale, anche se conoscibile a priori, non implica, pertanto, che la questione non debba essere presa in esame" (v. sent. n. 53 del 1982, nonché sent. n. 16 del 1982 e, sia pur implicitamente ma non meno chiaramente, sent. n. 25 del 1979, quest'ultima con riguardo ad una situazione contingente in materia di carcerazione preventiva).

Piuttosto, le esigenze sottostanti alla rilevanza impongono di prendere in considerazione la norma denunciata con specifico riferimento all'impossibilità di concedere la liberazione anticipata a chi sia stato condannato ad una pena detentiva non superiore a sei mesi.

3. - Nel merito la questione non é fondata.

La lamentata differenza di trattamento che discende dall'art. 54, primo comma, della legge n. 354 del 1975, nel senso che "chi ha subito una condanna a mesi sei di pena detentiva non può beneficiare di neanche un giorno di riduzione, laddove chi abbia subito una condanna a sei mesi e venti giorni può interamente usufruire dei venti giorni di liberazione anticipata", non é contestabile (sempreché, ovviamente, nel secondo caso si possa decidere alla scadenza del sesto mese), ma ciò non basta a far ritenere violato l'art. 3 Cost. A tale scopo occorre che la disparità di trattamento si riveli priva di razionalità e coerenza, così da comportare un addebito in termini di arbitrarietà alla sottostante scelta legislativa.

Per il giudice a quo l'irrazionalità e l'incoerenza, e quindi l'arbitrarietà, sarebbero insite nel fatto che, stando al dettato originario dell'art. 54 della legge n. 354 del 1975, la disparità in discussione non poteva "essere ricollegata alla discriminazione prevista dal combinato disposto degli artt. 47, secondo comma, e 54", quinto comma, di tale legge, in quanto "la preclusione alla concedibilità del beneficio della riduzione della pena nei confronti dei recidivi specifici e dei responsabili di delitti di particolare gravità" trovava "fondamento in particolari esigenze di prevenzione generale e di difesa sociale che non sono invece rinvenibili nella ratio ispiratrice di cui al primo comma dell 'art. 54 che, al contrario, prevede un trattamento più sfavorevole proprio per i condannati a pene più brevi". Ma tale fatto non implica di per sé, l'irrazionalità e l'incoerenza, né quindi l'arbitrarietà, di questo "trattamento più sfavorevole per i condannati a pene più brevi", non solo e non tanto perché la preclusione nei confronti dei recidivi specifici e dei responsabili di delitti di particolare gravità é venuta meno in forza dell'art. 5 della legge 12 gennaio 1977, n. 1, che ha abrogato il quinto comma dell'art. 54, ma anche e soprattutto perché la ratio dell'esclusione dei condannati a pene detentive non superiori a sei mesi dal beneficio della liberazione anticipata, data la sua fisionomia, andava, e va, ricercata e valutata autonomamente, non certo in parallelo con altre eventuali cause di esclusione.

Come bene osserva l'Avvocatura dello Stato, la fissazione di un periodo minimo di espiazione della pena e, in particolare, la fissazione di tale periodo nella misura di sei mesi ai fini della concedibilità del beneficio della liberazione anticipata non appare priva di razionalità e di coerenza, così da risultare non arbitraria, sol che la si ponga in correlazione alla ratio ispiratrice che ha portato all'introduzione nel nostro sistema dell'istituto di cui si discute. Contribuisce, anzi, a rafforzare tale convincimento l'ulteriore, non meno necessaria, considerazione dei rapporti intercorrenti tra la liberazione anticipata e le altre misure alternative alla detenzione (in special modo, la semilibertà), per la prima volta previste dalla stessa legge n. 354 del 1975, in un sistema dai cui intenti di organicità non si può ovviamente prescindere.

4. - La ratio ispiratrice della liberazione anticipata emerge direttamente dal dettato stesso dell'art. 54, primo comma, della legge n. 354 del 1975, nella parte che individua i criteri per la riduzione della pena. Si tratta di un beneficio che, nel perseguire "un più efficace reinserimento" del condannato a pena detentiva "nella società", richiede quale presupposto per la sua concessione che il condannato "abbia dato prova di partecipazione all'opera di rieducazione". Perché si possa valutare in concreto se il condannato abbia effettivamente dato prova di tale partecipazione, il legislatore ritiene indispensabile il riferimento ad un periodo di tempo avente una certa consistenza: periodo determinato, appunto, nella misura di almeno un semestre.

Prima ancora di qualsiasi considerazione sulla coerenza o meno di un tale limite, sarebbe facile dedurre dall'esigenza appena evidenziata l'incoerenza del criterio di mera proporzionalità prospettato dall'ordinanza di rimessione: infatti, di fronte a pene brevissime (la reclusione parte da un minimo di quindici giorni, l'arresto da un minimo di cinque), questa proporzionalità, frazionando la riduzione di venti giorni per semestre secondo il parametro di un giorno ogni nove di detenzione, finirebbe con il prescindere da un'effettiva verifica della partecipazione del condannato all'opera di rieducazione.

Quanto al limite di sei mesi, si potrebbero richiamare le numerose sentenze della Corte di cassazione che dalla necessità di un congruo termine di osservazione hanno tratto l'ulteriore conseguenza che il giudizio sulla partecipazione del condannato all'opera di rieducazione dovrebbe essere unitario proprio per usufruire della maggiore estensione di tempo possibile ai fini di un'appropriata decisione sull'istanza di liberazione anticipata. Ma il fatto che tale tesi abbia suscitato e susciti forti dissensi e che, comunque, essa venga enunciata con riferimento a periodi di detenzione plurisemestrali, lontani, quindi, dalla situazione in oggetto, induce questa Corte a soffermarsi, piuttosto, sul non contestabile rilievo che un periodo minimo di sei mesi trascorso in detenzione é di consistenza tale da dare credibilità al comportamento avuto dal condannato nel corso della detenzione stessa.

5. - A scongiurare l'impressione che, pur a tutto concedere sotto il profilo dei presupposti e delle condizioni per l'applicazione dell'istituto, il trattamento riservato ai condannati a pene detentive non superiori a sei mesi sarebbe comunque deteriore rispetto a quello dei condannati a pene più gravi, consentendosi ai secondi e non ai primi di usufruire di un beneficio di tangibile portata (non per nulla il giudice a quo si sofferma sulla virtuale equiparazione che si verrebbe a determinare tra un condannato a sei mesi ed un condannato a sei mesi più venti giorni cui sia stata concessa la liberazione anticipata), contribuisce in modo decisivo una visione non settoriale, ma globale, del capitolo dedicato dall'ordinamento penitenziario alle misure alternative alla detenzione.

Contrario a qualsiasi forma di generalizzazione, anche per coerenza alla logica del trattamento individualizzato, scelto come base del sistema, il legislatore del 1975, nel regolare le misure alternative alla detenzione, opera non una, ma parecchie distinzioni a seconda dell'entità delle pene inflitte. I condannati a pene detentive non superiori a sei mesi, esclusi dalla liberazione anticipata, trovano specifica, apposita considerazione, così da veder controbilanciata quell'esclusione, nell'art. 50, primo comma, della legge n. 354 del 1975, che prevede l'ammissione facoltativa alla semilibertà in relazione ai progressi compiuti nel corso del trattamento, semprechè, non sia disposto per essi l'ancor più favorevole regime dell'affidamento in prova al servizio sociale, peraltro sempre possibile quando la pena non superi i due anni e sei mesi ovvero i tre anni per i minori degli anni ventuno e gli ultrasettantenni.

In un'ottica similare, le pene detentive brevi fruiscono ora anche della possibilità che al loro posto il giudice applichi una sanzione sostitutiva, ai sensi della legge 24 novembre 1981, n. 689. Più specificamente, una pena detentiva che rientri "entro il limite di sei mesi" può essere sostituita con la semidetenzione; una pena detentiva che rientri "entro il limite di tre mesi" può essere sostituita anche con la libertà controllata; una pena detentiva che rientri "entro il limite di un mese" può essere altresì sostituita con la pena pecuniaria della specie corrispondente.

Se ne può concludere che, prima ancora e più ancora di prospettarsi la possibilità di una liberazione anticipata, l'ordinamento tende a sottrarre alla detenzione in senso tradizionale chi sia stato condannato ad una pena detentiva che non superi i sei mesi.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 54, primo comma, della legge 26 luglio 1975, n. 354, sollevata, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, dalla Sezione di sorveglianza di Roma con l'ordinanza in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 28 aprile 1983.

Leopoldo ELIA - Antonino DE STEFANO -  Oronzo REALE – Brunetto BUCCIARELLI DUCCI -  Livio PALADIN – Arnaldo MACCARONE -  Antonio LA PERGOLA - Virgilio ANDRIOLI - Francesco SAJA - Giovanni CONSO – Ettore GALLO

Giovanni VITALE - Cancelliere

          Depositata in cancelleria il 16 maggio 1983.